Capitolo I

Toby respirò a pieni polmoni l'aria della notte, prima di rimettersi la maschera. Erano passati anni da quando aveva iniziato la sua nuova vita, eppure non era mai invecchiato: dietro alle lenti gialle, negli occhi brillava sempre la stessa fredda determinazione, la determinazione di un pazzo incontrollato. Anzi no, era controllato da un'entità ben specifica. Toby sentì un famigliare ronzio nelle orecchie prima di dirigersi con passo sicuro fuori l'invisibile confine del bosco. Camminò per un po' in mezzo al buio fiocamente illuminato dalla luna, trascinandosi tranquillamente nell'erba alta. La periferia della città si avvicinava, e Toby fu rapido a distinguere la casa che gli interessava: su due piani, pitturata di una piacevole tonalità di azzurro, le tegole rosse. Era quella la casa che l'uomo alto gli aveva detti di visitare, quella notte. Lo aveva anche ammonito sulle poche finestre che si affaciavano sul lato Nord, ma per Toby non era un problema. Si arrampicò abilmente sulla grondaia, per poi saltare e aggrapparsi al bordo di una finestra. Si accucciò sul davanzale, studiandola per qualche minuto, prima di scegliere come agire. Spinse leggermente verso l'interno, creando un piccolo spazio che poteva sfruttare per aprirla. Tirò fuori dalla tasca del fil di ferro, molto spesso, che piegò fino a formare una specie di anello. Continuò ad allungarlo, infilandolo nello spazio che si creava spingendo dalla finestra. Armeggiò per un po', poi riuscì finalmente a infilare l'anello nella maniglia che permetteva l'apertura. Tirò, e finalmente la finestra si aprì. Riavvolse il fil di ferro e se lo mise in tasca; poi entrò, atterrando morbidamente sul pavimento. Camminò silenziosamente sulle piastrelle del bagno, prima di uscire in un corridoio. Toby estrasse le accette, passandosi la lingua sulle labbra al di sotto della maschera. Già pregustava il momento in cui le asce avrebbero colpito la carne, e il sangue avesse impregiato le bende delle sue mani. Si avvicinò ad una porta, ed essa si aprì rivelando un letto matrimoniale, con una trapunta rossa e un comodino fatto di legno chiaro. Dentro, assopita, si trovava una donna. I capelli castani corti abbellivano il viso, e sotto le palpebre, Toby Rogers lo sapeva, sibtrovavano due occhi verde scuro. Si chiamava Connie, un altro dettaglio che Toby Rogers conosceva, ma che Ticci Toby, la persona che era diventata da ormai cinque anni, non poteva certo ricordare. Delle voci iniziarono ad impregnare la sua testa.
Uccidila, uccidila, ripetevano.
Uccidila, uccidila.
Ticci Toby si avvicinò al letto. Non un tic gli impedì di fare il movimento, quello fatale.
Uccidila, uccidila.
Un sorriso sadico si allargò sulla sua faccia, coincidendo con quello disegnato sulla maschera.
Uccidila, uccidila!
Toby abbassò di colpo il braccio, decapitando la madre. Uscì dalla stanza, mentre una macchia di sangue si confondeva con il rosso delle coperte.

...

Toby camminò lungo il corridoio, la sete di sangue che non si era ancora placata. Appoggiò l'orecchio alla seconda porta, sentendo, quasi impercettibile, il suono di qualcuno che russava. Ancora un volta sorrise, mentra spingeva delicatamente la porta per poter entrare. La stanza era sui toni del giallo, e un letto arancione era il primo mobile che si notava nella stanza. Si poteva vedere benissimo il piumino alzarsi e abbassarsi, al ritmo del respiro della persona che lo occupava. Di tanto in tanto era scosso da qualche movimento più violento e improvviso di chi ci dormiva. Toby entrò lentamente nella stanza, poi si avvicinò. Spostò leggermente il piumino, rivelando chi ci dormisse: una ragazza, i capelli color platino erano disordinatamente sparsi sul cuscino, e la corporatura esile che quasi spariva sotto le coperte. Ma non fu questo a colpire Toby: la pelle della ragazza era grigiastra, spenta, e i movimenti improvvisi si rivelarono essere tic nervosi. Un tic scosse la mano destra di Toby, che fece sbattere un'accetta contro il muro, producendo un rumore forte e secco che fece subito svegliare la ragazza. I loro occhi si incrociarono, quelli di lei azzurri e spaventati, quelli di lui nascosti dietro le spesse lenti gialle. Passò a malapena un secondo, poi la ragazza gridò. Toby fu rapido a tapparle la bocca, posizionandosi dietro di lei. L'altra mano andò a posarsi sul suo cuore, che batteva all'impazzata. La testa di Toby scattò di nuovo in un tic. Una sola domanda, per la prima volta, si fece spazio nella sua mente. Perché la doveva uccidere? Un ronzio tentò di sostituire quella domanda, ma stavolta Toby non voleva cedere. Il ronzio crebbe d'intensità, e Toby crollò sul pavimento, gridando e tappandosi le orecchie. I tic si erano fatti più insistenti, e Toby ora era disteso sul pavimento, senza emettere un suono. La ragazza prese il cellulare e compose il numero d'emergenza. "Pronto? Pronto! Mi chiamo Tori Moore, c'è un ragazzo qui che ha bisogno di un'ambulanza! Pronto? Pronto?!" Il cellulare smise all'improvviso di funzionare, spegnendosi in suono ruvido e gracchiante. Tori si voltò verso il centro della stanza, dove prima era accasciato il ragazzo; ma di lui era rimasta solo la finestra aperta. Si affacciò, vedendo poco più in basso, in giardino, lui che correva, in modo quasi animalesco, verso la foresta, da cui traspariva una figura alta che lo fissava. Lei non lo poteva sapere, ma quella notte, dopo cinque anni, Toby Rogers era tornato. Nemmeno sua madre era riuscita a far perdere il comando dell'Operatore sul ragazzo. Allora come c'era riuscita, lei, una semplice ragazza che non lo conosceva nemmeno?

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