3. Vi vendicherò


"Parlami, ascoltami.
 Sono qui.
Aspettami,
 Pioggia e neve sulle ali.
Salvami." 
- Sonohra;

Nota: Verso l'ultima parte del capitolo ascoltate questa canzone: https://youtu.be/iZmLCTqHrxQ

Pov. Adrian;

Trascorrere tutta la notte in dipartimento non era mai piacevole ma era molto meglio che dormire e rivivere quell'incubo all'infinito, anche se avevo i miei dubbi sapevo che non sarei riuscito a chiudere nemmeno un occhio mi sarei rigirato nel letto di continuo e sicuramente avrei fatto cadere "accidentalmente" qualcosa.
Mi sentivo fin troppo nervoso che preferivo consumare le mie energie qui per cercare qualche indizio in più, o capire chi erano davvero i coniugi Aydin: il loro omicidio mi puzzava e l'istinto mi spinge a continuare con le ricerche.
Il volto di quella ragazza, Gizem, era ormai un disegno indelebile nella mia mente: di come i suoi occhi scuri si erano dipinti di dolore e di come a quella notizia il suo mondo era crollato in mille minuscoli pezzi. E sì. Sapevo perfettamente cosa stava provando, lo avevo vissuto sulla mia pelle. E ancora lo sto vivendo.
E' un dolore che ti rimane dentro non se ne andrà mai impari solamente a conviverci, a farlo diventare una parte di te, quando ti uccidono un genitore è come se ti strappano via la parte più pura di te. Si cresce in fretta, si intraprendono delle strade buie ma sei consapevole di essere cambiato e che quella parte di te non tornerà più.
Certo quella ragazzina mi aveva sorpreso aveva reagito alla notizia controllandosi, ho visto persone che mi si sono buttate addosso piangendo ed urlando ma lei.. Una sola lacrima era sfuggita al suo controllo, nessuno gli avrebbe detto niente quella mattina era iniziata con il piede storto ed aveva tutto il diritto di piangere.
Ma non lo aveva fatto.
Non era andata affatto come avevo pianificato, c'era un motivo per cui avevo detto a Collins che ci avrei pensato d'altronde so come dare queste notizie, spesso alcuni colleghi tagliano a corto sentendosi a disagio e quel maledetto di un novellino aveva rovinato tutto. Era entrata in shock non appena aveva visto l'arma puntata contro di lei e in quel momento non ci ho visto più, se non fosse stato per Harris e Clark: il suo naso non sarebbe stato l'unica parte del corpo rotta.
Eppure mi sono bloccato non appena i suoi occhi scuri si sono specchiati nei miei, in quel preciso momento ho dimenticato tutto anche il mio breve discorso ed ero riuscito solamente a dire un "mi dispiace". L'intera giornata di ieri è stata strana, ma mai prima d'ora mi è capitato una cosa del genere.
Di tutto quello che è successo, solo di una cosa sono certo e so bene che non mi sto sbagliando: non è lei l'assassina dei suoi genitori.
Si è capito chiaramente quando abbiamo parlato, ho preferito non rincarare la dose con un interrogatorio ma di conoscerla meglio e di captare qualcosa senza metterla alle strette o costringerla, d'altronde con quello che era successo capivo perfettamente che voleva tornare a casa a gestire il tutto.
Quello che mi ha colpito di più che l'appartamento era perfettamente pulito, di sicuro il giorno prima dell'omicidio la madre era stata lì, c'erano anche alcuni oggetti comprati da poco ancora sigillati dentro le buste della spesa. Anche dallo sguardo di Gizem era sorpreso come se non sapesse nulla, non si aspettava di vedere tutto così in ordine c'era perfino la stessa foto che ho trovato sul luogo dell'omicidio.
I genitori o solo la madre, sapevano che non sarebbero vissuti a lungo e che la loro vita era appesa da un filo invisibile ma dai rapporti dei loro vicini di casa risultavano come una famiglia modello: lui lavorava in un piccolo supermercato come responsabile e lei lavorava part time in un negozietto a Brooklyn nel tempo libero aiutava le sue vicine anziane a fare la spesa o cose del genere.
Un sospiro uscì dalle mie labbra mentre tamburellavo le dita sul ripiano della scrivania il mio sguardo era fisso sullo schermo del computer, avevo appena visionato il loro file nel database della polizia era risultato che entrambi erano puliti: solo qualche multa di poca importanza che avevano pagato subito nei tempi previsti dalla legge.
Non c'era nulla di losco nelle loro vite: o sono stati fin troppo bravi a nascondere le loro tracce oppure erano soltanto delle vittime.
Chiudo la schermata buffando portandomi una mano sul volto, avevo decisamente voglia di un caffè decente e non quella brodaglia che abbiamo qui in dipartimento ma se sto ancora aspettando è solo per un motivo: vedere la faccia del nostro capitano Dumont, ieri non era stato per nulla in dipartimento infatti si poteva lavorare in santa pace senza la sua voce che urlava ogni minuto.
Quando era tornato si è trovato con le spalle al muro, oltre a me: Harris, Clark ed altri agenti che si trovano ieri giù avevano fatto tutti un esposto su come si era comportato il novellino, ognuno di loro era oltraggiato per il suo comportamento visto che ognuno di noi poliziotti viene giudicato per colpa di questi esseri.
Oggi in teoria dovremo parlare, io e lui non abbiamo un buon legame e non lo avremo mai, se sono ancora qui è perché sono bravo nel mio lavoro e risolvo casi molto prima rispetto i miei colleghi detective. Non gli ho mai fatto trovare una scusa per buttarmi fuori da qui, questo lo fa andare fuori di testa ogni volta, da ciò che ho saputo da vecchi colleghi di mio padre che lavorano ancora qui: lui lo ha sempre odiato.
Ed essendo uno Scott: odia anche me, nel profondo del suo cuore di pietra.
All'inizio credevo che mi odiava per via di sua moglie, dieci anni più giovane di lui, ad un tratto aveva cominciato a venire spesso qui in dipartimento ma non per vedere suo marito ma per me. Non ero né il primo né l'ultimo poliziotto con cui la signora Dumont si è divertita nei suoi momenti di "noia", mentre suo marito passava da un bordello all'altro.
Una voce femminile mi riscuote dai miei pensieri, distolgo lo sguardo dallo schermo portandolo su di lei, Hannah mi sorrise con in mano due caffè e una busta beige con il simbolo di una caffetteria che si trova a pochi passi dal dipartimento. « Buongiorno. » disse con un sorriso porgendomi un caffè.
Osservo Hannah in silenzio, mentre un sorriso appare sul mio volto. « Buongiorno, Myers. » la saluto notando l'orario dallo schermo del mio cellulare, era troppo presto perfino per lei non erano ancora le otto d'altronde. « Grazie.. A cosa devo questo? » domandai curioso mentre prendevo il bicchiere con il caffè.
Hannah è una giornalista del New York Times, si occupa della cronaca nera e devo dire anche se non ho molta simpatia per alcuni giornalisti: è davvero brava nel suo lavoro, la prima volta che ci siamo conosciuti è stato proprio su una scena del crimine non so come ma era riuscita ad entrare dentro e la volta successiva era alla ricerca del serial killer. Sebbene la sua giovane età vanta già di molti articoli in prima pagina, in realtà ha tutte le qualità per diventare una buona detective e qui in dipartimento ci servirebbe siamo davvero in pochi ma non glielo dirò mai. Sia per proteggerla e sia perché so cosa ne pensa sua madre, non voglio mettermela contro.
Conosco perfettamente il suo patrigno, Duncan, lui e mio padre si erano conosciuti in accademia ed è una delle poche persone che lo ha trattato con il giusto rispetto in un certo senso è rimasto fedele a lui. Siamo stati colleghi per qualche anno prima che ha deciso di andare in pensione, non è stata una scelta facile per lui, mi fece promettere di tenere d'occhio Hannah in modo che non si cacciava nei guai.
D'altronde il vizio che ha di cercare un criminale: non se lo è ancora tolto, non credo che lo farà mai. « Non posso portare del caffè decente al mio detective preferito? » mi domandò a sua volta mettendosi seduta, aveva un aria così innocente che chi non la conosceva ci avrebbe creduto, inarcai un sopracciglio. « Sei davvero un guasta feste lo sai? » borbottò sbuffando scuotendo la testa. « E va bene: il caffè è per ringraziarti per l'ultimo caso e questo.. » disse porgendo la bustina. « E' per addolcirti un po', è una brioche alla crema sono certa che toglierà il tuo umore cattivo. » continuò.
Un sorriso divertito spuntò sulle mie labbra. « Ora ci siamo. » mormoro mentre bevo un sorso di caffè, tra l'altro è stato grazie a lei se avevo chiuso in tempo l'ultimo caso senza altre vittime: non so come ma era riuscita a trovare una testimone e chissà come l'aveva convinta a parlare con me. « Perché mai dovresti addolcirmi un po'? » chiedo osservandola, presi il contenuto assaggiandolo mentre mi appoggio contro lo schienale della mia sedia, ieri avevo mangiato poco e niente d'altronde. « Spara su. » dissi.
Scoppiò a ridere. « Sai di essere acido appena mattina? » mi domandò e mi limito a sorridere, sbuffò nuovamente mentre beve un sorso del suo caffè. « Ho saputo di quello che è successo ieri, non si parla d'altro e so anche dell'omicidio. » disse.
Sospiro, non ero sorpreso che tutti i giornalisti parlavano di nuovo del dipartimento e di quello che succedeva. « Lo immaginavo. » mormoro semplicemente scrollandomi appena le spalle, so che Hannah ha le sue "fonti" segrete e che molti assistenti per aver la possibilità di una promozione passano molto tempo al nostro bar giusto per cogliere qualche notizia o scandali. Ormai i loro volti erano noti a tutti noi, ma nessun poliziotto riusciva a stare zitto specialmente dopo i loro drink. « Se vuoi fare un articolo su quel novellino: ti dirò tutto quello che vuoi. » continuo con un sorriso, consapevole che ho cambiato discorso.
Questa volta fu lei ad alzare un sopracciglio. « Sei serio? » mi chiese scrutandomi con i suoi occhi scuri, scosse la testa contrariata. « Ti conosco e non daresti mai notorietà a quel bamboccio e poi non lo farei nemmeno io anche se mi occupo di altre cose. » disse sorridendo divertita finendo poi di bere il suo caffè.
Appoggio la tazza ancora piena di caffè sul ripiano della scrivania. « Non c'è nessun serial killer questa volta, penso si tratti di una rapina andata a male. » sussurro a tono basso tenendomi sul vago, mi fido ciecamente di Hannah e so che quello che diciamo non finisce sulla prima pagina del Times. Ma non ho ancora delle idee chiare su questo caso, ma sento dentro di me che c'è molto di più dietro la facciata della "famiglia perfetta".. Qualcosa di più oscuro e pericoloso.
« Chissà perché non riesco proprio a crederti. » esclamò tenendo anche lei il tono della sua voce basso, di solito non abbiamo mai parlato dei vari casi qui in dipartimento e se siamo abbastanza tranquilli è perché Dumont non è ancora arrivato. Per fortuna. « So ogni cosa: una mia fonte si trovava casualmente vicino al luogo del crimine e ha sentito il novellino quando ha fatto il suo discorso. » sussurra per poi sospirare. « In realtà da come mi ha detto: lo hanno sentito tutti. » conclude.
Perché non avevo colto l'occasione di spaccargli direttamente la faccia? Sono stato fin troppo buono a limitarmi a fargli qualche minaccia e a rompergli il naso, forse sarei riuscito ad insegnarli che deve tenere quella boccaccia chiusa invece di spifferare tutto in una scena del crimine. Già sapevo qualcosa, anche perché ieri avevo sentito alcuni civili parlare qui in dipartimento ma non pensavo che era già arrivato alle orecchie dei giornalisti. Chiudo la mano libera stretta in un pugno cercando di recuperare un po' della mia pazienta, esaurita del tutto, bevo un altro sorso di caffè. « Myers. » iniziai per poi fermarmi qualche secondo portandomi una mano sul volto. « Non credo sia il caso questa volta, specialmente dopo quello che ha fatto il novellino siamo in una situazione scomoda. » spiegai del tutto sincero, era la verità il dipartimento stava rischiando l'ennesima denuncia da parte di un civile. « La ragazza.. Ne ha subite tante. » sussurro ma quando stavo per continuare Hannah mi bloccò.
« E' proprio per questo! » esclamò con un tono serio guardandomi dritto negli occhi, ricambiai lo sguardo. « Quella povera ragazza ha bisogno di giustizia, sai bene che ti posso aiutare. » aggiunse non lasciandomi rispondere nemmeno questa volta. « Lo so sei il miglior detective di questa città: tu farai di tutto per trovare l'assassino dei suoi genitori, conosco bene come lavori. » mormorò. « Credo davvero che questa volta hai bisogno di aiuto. » concluse decisa.
Rimango in silenzio osservandola sapevo bene che le sue fonti non si fidano affatto dei poliziotti e se avevamo concluso i nostri ultimi casi: era solo perché la vittima si è fidata ciecamente di Hannah. « Questa volta non collaborerai con me. » dissi deciso e quando aprì la bocca la fermai. « Lasciami finire: l'articolo ovviamente è il tuo non dirò nulla a nessun giornalista. Non puoi rischiare ancora. » mi fermai quando vidi un mio collega farmi un cenno, il classico gesto che avvisava che il nostro capitano si è degnato di arrivare in dipartimento. « Tempo scaduto lo stronzo è arrivato, ne parliamo dopo ok? » le chiedo.
Sbuffò contrariata. « Sempre al momento sbagliato deve arrivare, comunque d'accordo tanto è ora di andare al lavoro. » disse mentre si alzava dalla sedia e recupera le sue cose si girò guardandomi puntandomi un dito contro. « Sappi che non finisce qui e sarò il tuo tormento se non mi chiami. » mi minacciò decisa.
Scoppiai a ridere annuendo. « Certo comandante. » scherzai facendo il gesto usato tra noi militari con il nostro superiore. « Ti chiamo non appena ho un po' di tempo oggi è una giornata piena e tieniti lontana dai guai. » dissi seriamente.
Alzò gli occhi al cielo. « Certo certo, ma credimi spesso mi sembri mia madre solo in versione maschile. » borbottò e poi mi scruta silenziosamente. « Ciao Adrian, puoi chiamare a qualsiasi ora lo sai. » mi salutò allontanandosi dalla mia scrivania, uscendo dall'altro lato per non incontrare Dumont.
Sbuffai rumorosamente mentre finisco di bere il mio caffè e sistemo la mia scrivania buttando le cose vuote nel cestino, preparandomi psicologicamente all'incontro con il capitano non riesco a sopportare la sua presenza ed ora mi tocca sentire anche le sue urla: non appena saprà che i giornalisti sanno quello che è il suo protetto ha combinato il giorno prima.
« Scott, alza quel culo pigro e vieni qui! » lo sento sbraitare dopo pochi minuti nel suo ufficio, alzo gli occhi al cielo chiudendo una mano stretta in un pugno e respirando evitando di combinare casini. Sento lo sguardo dei miei colleghi su di me, l'ufficio si è chiuso in un silenzio imbarazzante ormai la quiete di qualche minuto prima è sparita del tutto.
Mi alzo avviandomi verso il suo ufficio: che abbia inizio il mio mal di testa.

E' passata più di un'ora da quando sono entrato in questo ufficio seduto composto senza muovere nemmeno un muscolo su questa poltrona scomoda, la puzza procurata dalla sua acqua di colonia scadente ha invaso l'intera aerea e comincia a mancarmi l'aria. Ma mi limito a rimanere impassibile; seduto al mio fianco, per mia fortuna, c'è il Novellino che blatera qualcosa di incomprensibile trattengo un sorriso: la maggior parte del suo volto è rosso con tanto di un enorme cerotto bianco che gli copre il naso.
Da "bravo" detective non appena ero entrato in ufficio avevo informato il capitano che ieri è avvenuta una fuga di notizie, evitai di dire che chi aveva parlato era un poliziotto ma mentì mettendo di mezzo qualche civile che era presente ovviamente nel giro di poco era arrivato all'orecchio di qualche giornalista affamato di notizie.
Lo ammetto: non avrei mai creduto e nemmeno scommesso un dollaro per come ha reagito questa notizia, con quello che era accaduto era chiaro che veniva fuori con tutto quello che alcuni agenti avevano combinato i giornalisti aspettano come degli avvoltoi e non sarebbe stata nemmeno l'ultima volta di una fuga di notizie qui in dipartimento.
Il suo volto era prima sbiancato e man mano era apparsa una vena sulla fronte, nel giro di qualche secondo si era alzato sbattendo entrambe le mani con rabbia sul ripiano della sua scrivania facendo cadere delle cornici e alcuni oggetti, ha iniziato a strillare così forte che la voce del Novellino non si sentiva nemmeno più.
Ed ora eccolo qui il capitano Dumont che cammina avanti e indietro nel suo ufficio non dicendo nemmeno una parola, buttando a destra e sinistra alcuni articoli di oggi, una risata isterica riempì il silenzio. « "Il Dipartimento di New York e Brooklyn hanno fatto l'ennesima pagliacciata. Un neo poliziotto aggredisce e punta un'arma da fuoco contro una civile." » legge ad alta voce scuotendo la testa. « "Una fonte anonima ci assicura che nessuno è rimasto ferito ma solo un grande spavento, dopo le interviste del capitano Dumont e di tutto il corpo di polizia, come possiamo fidarci di loro se si comportano da pagliacci?" » continuò.
Il Novellino si alzò di scatto. Mossa stupida ragazzino. « Zio ho fatto il mio dovere di poliziotto come giurato all'accademia, avevo in pugno l'assassina e il detective Scott l'ha lasciata scappare. » disse con un tono d'orgoglio nella sua voce, la voglia di rompergli il naso e dargli anche il resto stava aumentando sempre di più ma quando disse la parola "zio" evitai rimanendo congelato sul posto. Eravamo tutti convinti che fosse il figlio di qualche politico importante o di qualche pezzo grosso, un amico di famiglia per esagerare ma mai che fosse il nipote di Dumont. « E come ringraziamento per aver concluso il caso: mi ha rotto il naso. » aggiunse piagnucolando.
Ringraziamento? Lo aveva detto seriamente? Possiamo definirci ormai il dipartimento più incompetente di tutto il mondo non solo dell'America, stavo per intervenire volevo dirgliene quattro ma mi bloccai notando lo sguardo di Dumont che si voltò verso di lui, molte volte lo avevo visto in preda all'ira ma non credo fino a questo punto.
« Non osare chiamarmi zio! » il tono della sua voce era una finta calma ma la nota di minaccia era chiara. « Ti ho spiegato un sacco di volte le regole! Hai idea di quello che mi stai facendo passare da ieri?! Ho passato l'intera notte a telefono. » disse urlando e gli puntò un dito contro. « Ti rendi conto che hai minacciato una civile?! Senza nessuna prova porca di quella.. » aggiunse fermandosi evitando di bestemmiare fece un respiro profondo tentando di calmarmi. « Detective Scott vuole illuminare mio nipote sull'alibi della ragazza? » mi chiede mentre si sedeva nella sua poltrona allentando di poco la cravatta.
« La ragazza durante l'omicidio non si trovava in casa. » risposi ma subito il Novellino cercò di bloccarmi, contai fino a dieci per non pestarlo nuovamente e continuai a parlare. « Era all'università a confermarlo c'erano le telecamere ed inoltre.. » aggiunsi. « Quando la ragazza è uscita di casa i vicini hanno visto le vittime ancora vivi mentre la salutavano. » conclusi voltandomi verso di lui con un ghigno stampato sulla faccia.
Un applauso mi fece girare subito ritornando a guardare il capitano, evitai di fare qualsiasi smorfia rimanendo impassibile. « Mi duole ammetterlo ma il detective Scott ha fatto più che bene, ti dovrei rispedire in accademia o peggio licenziarti. Ma poi chi le sente?! » disse parlando tra se abbassando il tono di voce, fece una breve pausa per poi sbuffare. « Ma ho fatto una promessa a tua zia ed a tua madre, non ho proprio voglia di sentirle le loro lamentele: sei sospeso senza stipendio per sei mesi e passerei almeno un anno in ufficio poi si vedrà. » concluse facendo un breve cenno con la mano.
È stata una decisione fin troppo buona visto che molti poliziotti per errori meno gravi avevano perso il loro posto di lavoro, senza la possibilità di essere nuovamente dei poliziotti, portai le braccia conserte sul petto mentre il silenzio era calato di nuovo nella stanza ma fu interrotto dal Novellino. Ovviamente.
« Ma ma.. Non è giusto! » esclamò alzando il tono di voce sbattendo i piedi a terra come se era un bambino viziato, ma probabilmente lo era visto il suo modo di fare e il suo sguardo da chi ottiene tutto ciò che vuole, mi volto appena verso di lui osservandolo in silenzio.
Il capitano Dumont rimase impassibile nel vedere la sua scenata forse era abituato, la sua vena però sembrò quasi sul punto di esplodere. « Decido io cosa è giusto o meno. Ti vorrei ricordare che non sei nella posizione di lamentarti. » disse tenendo un tono basso trattenendo la sua voglia di urlare. « Ti ho graziato fin troppo. » borbottò dopo una breve pausa si voltò verso di me. « Detective Scott. » mi chiamò e avverto subito quella punta di astio nel pronunciare il mio cognome.
Rimasi impassibile. « Mi dica capitano. » dissi voltando lo sguardo verso di lui, tutti gli anni passati nell'esercito mi hanno insegnato come comportarmi con un superiore sia se gli portavo rispetto o se non lo sopportavo come in questo caso. Non ho mai avuto problemi con i miei vecchi comandanti della mia squadra, ma con lui riesco a provare solo astio e repulsione.
Nel suo sguardo notai che era sorpreso ma specialmente deluso, era certo che avrei reagito come ogni volta alla sua provocazione silenziosa. Ma oggi non era affatto il caso. « La figlia delle vittime viene oggi per il riconoscimento, giusto? » domandò mentre cominciava a mettere in ordine in modo maniacale tutto ciò che era caduto dalla sua scrivania.
Controllai velocemente l'ora. « A breve. » risposi alzando di nuovo lo sguardo su di lui, la sera stessa non appena sono arrivato in dipartimento avevo parlato con Mancini chiedendogli quando era possibile per il riconoscimento, in teoria poteva benissimo aspettare qualche giorno ed era una scusa ma lui non fece domande concordando per oggi. So quanto voleva rivedere i suoi genitori, forse pensa che sia tutto un brutto scherzo ma questa sarebbe stata la conferma che tutto era reale. Non ci avevo pensato due volte a chiamarla per avvisarla.
Annuisce lentamente. « Perfetto. Cerca di convincerla di venire in un colloquio con me e te, vorrei fare delle scuse da parte di tutto il dipartimento: io stesso. » disse per poi alzare di nuovo lo sguardo su di me evitando quello del nipote. « La situazione è critica c'è da pregare che non ci denuncia. Ora può andare. » borbottò facendo un rapido gesto con la mano, mi limito di annuire e dire un "ok" per poi uscire finalmente da quell'ufficio.
Una volta uscito ero andato direttamente verso la mia scrivania afferrando la giacca e il mio telefono, i miei colleghi mi osservano curiosi di sapere cosa era successo visto che gli strilli del capitano si erano sentiti per tutto il dipartimento come minimo, ma faccio un gesto con la mano che ne avremo discusso dopo.
Ero sceso di sotto senza fermarmi dopo quello che era accaduto il giorno prima e con il Novellino impazzito ancora qui, preferivo aspettare fuori il dipartimento la ragazza sperando che non fosse in anticipo era meglio evitare qualsiasi cosa.
Una volta fuori tiro un sospiro di sollievo avevo davvero bisogno di un po' di aria fresca senza quella terribile puzza di acqua di colonia, francese da come mi aveva detto un collega una volta. Afferro il pacchetto di sigarette mezzo pieno tirandone fuori una portandola tra le labbra l'accendo con un gesto automatico, ormai sono mesi che quasi non fumo più posso dire che ho diminuito parecchio ma questi due giorni appena trascorsi sono stati stressanti. Fin troppo.

Pov. Gizem;

Le prime luci dell'alba entrano dalla finestra silenziosi mentre illuminano l'ambiente togliendo ogni traccia della notte appena trascorsa in bianco, un sospiro esce dalle mie labbra spezzando momentaneamente il silenzio che si era creato intorno, immaginai le strade di Brooklyn ancora semi deserte.
Avevo trascorso la maggior parte della notte a cercare qualcosa, adesso nemmeno io so con certezza cosa stavo cercando, ma non appena ero entrata in questo appartamento un senso di confusione si era creato in me. Com'era possibile che quei fiori erano sul tavolo della cucina? Perché era tutto così pulito?
Domande su domande che non avevano ancora una risposta ben chiara, sapevo che mia madre spesso veniva nel nostro vecchio appartamento per dargli una pulita e per far vedere che non era abbandonato. Molte volte gli avevo detto di venderlo oppure di affittarlo a qualcuno, in modo che non rimaneva abbandonato ma le sue risposte come quelle di mio padre erano sempre negative.
E io non ne sapevo il motivo.
Poi mi ricordai di quei racconti che mi diceva mia madre quasi ogni giorno proprio qui in questo appartamento quando ero piccola e non capivo, ma le ore passano e il senso di speranza svaniva quando vedo che il telefono non suona: una parte di me è convinta che i miei genitori non sono morti, forse sono scappati e mi chiamano non appena sono al sicuro. Ma da cosa? L'altra parte invece sapeva che i corpi trovati nella nostra casa sono i loro, ero tentata di chiamarli ma sapevo che i loro telefoni erano in mano della polizia per i vari accertamenti.
Ma poi il telefono aveva squillato ed io ero davvero convinta che erano loro, con un altro numero certo ma quando avevo risposto e riconobbi il tono di voce del Detective Scott ogni speranza aveva abbandonato di colpo il mio corpo, ma tenni duro e nascosi tutto come sono abituata: lo ascoltai mentre mi diceva che l'indomani mattina potevo vederli per il riconoscimento. Era stato di parola.
Ero come un robot mentre gli rispondevo che andava bene all'orario stabilito e poi mi scusai riattaccando il telefono, fu allora che crollai del tutto lasciandomi cadere a terra mentre le mie lacrime scendevano senza sosta sul mio viso.
Una foto famigliare proprio di fronte a me catturò la mia attenzione, il mio respiro era corto mentre il dolore al petto aumentava ma deglutì non asciugando le mie lacrime e mi avvicino verso il piccolo tavolino di legno accanto il divano. Con tanto di lampada. Com'era possibile che questa foto si trova qui? Avevano lasciato questo appartamento quando avevo circa otto anni e la foto risale a qualche anno fa, era una delle poche vacanze fuori New York che ci siamo concessi.
I nostri volti erano felici e rilassati: lo sfondo con una bella giornata di sole e il mare alle nostre spalle, una giornata diversa dalla nostra solita routine.
La mia mano tremò non appena presi la cornice tra le mie mani, la guardai per qualche istante accarezzando i volti dei miei genitori sorridenti, avvertì sotto le mie dita una sorta di rigonfiamento sulla parte posteriore la girai lentamente per poi aprila attenta a non rompere nulla: nascosta dietro la foto c'era una lettera con scritto il mio nome, un vizio di mio padre quando scriveva qualcosa di romantico a mia madre, aveva dei suoi nascondigli per non farle trovare nulla.
Riconobbi subito la sua calligrafia elegante di mio padre.
Appoggiai il resto della cornice sul divano mentre mi sedevo per terra appoggiando le spalle contro di esso, accarezzai il mio nome e sorrisi nel notare che come al solito non aveva usato una normale penna ma l'inchiostro. Mi morsi appena il labbro inferiore e chiusi per un'istante gli occhi mentre sento il suono della voce di mia madre mentre dice che questo è: "« Il nostro posto sicuro. »", dopo anni ero arrivata alla conclusione che lo dicevano solo per non farmi aver paura del buio o dei tuoni.
Ma mi sbagliavo, forse in questa lettera ci sono tutte le domande che ho nella mia testa che quasi mi stava per esplodere ma quando ero ad un passo per aprirla: mi bloccavo nuovamente e ormai era troppo tardi.
Il mio appuntamento con il detective Scott era tra meno di quaranta minuti e non ho nessuna voglia di fare tardi o che cambi idea, ieri sera mi aveva perfino chiesto se mi sentivo pronta: no non lo ero. Ma sarei andata lo stesso, avevo bisogno di sapere e di avere una mia conferma.
Mi alzo velocemente dal divano senza perdere ancora tempo e porto la lettera con me mentre mi avvio verso quella che un tempo era la nostra camera da letto: questo è un appartamento piccolo con solo una camera da letto, accanto c'era la porta del piccolo bagno e poi c'era il salotto e la cucina. Era uno dei motivi per cui crescendo i miei hanno optato per cambiare casa.
Avevo bisogno di una rinfrescata prima di uscire, non avevo nessun vestito con me e dubito fortemente che mi facevano la cortesia di lasciarmi andare a casa mia per prendere almeno qualche vestito.
Una volta entrata nella camera mi guardo intorno notando il letto che era in ordine con tanto di lenzuola pulite, una smorfia apparve sul mio volto ed abbasso lo sguardo sulla lettera scuotendo la testa mentre l'appoggio delicatamente sul letto. Mi avvicino verso l'armadio sentendomi tutto d'un tratto curiosa per poi aprirlo trovando una vecchia giacca nera di mio padre, un paio di pantaloni neri e una maglia dello stesso colore e forse erano di mia madre: ho il sospetto che questi vestiti sono stati messi qui per una ragione.
Evitai di creare qualche teoria fasulla e li afferro appoggiando anche loro sopra il letto, forse la mancanza di sonno e il dolore stanno giocando seriamente brutti scherzi nella mia mente.
Una volta in bagno mi libero dei vestiti del giorno prima buttandoli disordinatamente nella cesta, inizio a lavarmi velocemente togliendomi del tutto anche il mascara che è colato sul mio viso. Mi asciugai il viso e mi guardai allo specchio: le occhiaie erano ben visibili sul mio volto come anche i miei occhi arrossati per il pianto di poco prima, una smorfia appare sul mio viso e prendo dalla mia borsa il fondotinta passandolo un po' sul mio volto: non volevo mostrare nessuna della mia debolezza.
Sorrisi, quanto siamo simili io e mia madre sotto questo aspetto?
Mi ero vestita velocemente e dopo aver preso le mie cose sono uscita di casa di corsa, ignorando la vecchia vicina che mi guardava con il suo solito sguardo da indagatrice e forse in questo appartamento era rimasto tutto come prima.
Cammino a passo veloce per le strade di Brooklyn attenta a non andare contro la gente che quasi corre per raggiungere il proprio posto di lavoro o il primo taxi disponibile, il dipartimento di polizia per mia fortuna non era troppo distante ed io avevo bisogno di sentire l'aria fresca contro il mio viso e non di rimanere chiusa dentro un taxi con il rischio di rimanere bloccata per via del traffico mattutino.
Per quanto io non ami affatto la polizia ed odio ammetterlo ma non posso negare che il Detective Scott era stato gentile, difendendomi da quel figlio di papà: forse è tutta una montatura per quello che è successo ieri, una sorta di "scusa" per non farmi procedere per via legali al suo dipartimento oppure non lo so.
Mi sento così fuori di me che non riesco a dare un giudizio giusto, non riesco nemmeno a quadrarlo per bene e fino a ieri era una cosa che riuscivo a fare senza il minimo sforzo.
Rallento il passo quando lo noto appoggiato contro una parete libera del dipartimento sta fumando tranquillo con lo sguardo pensieroso mentre guarda un punto davanti a lui, mi fermo del tutto mentre lo scruto in silenzio: indossa la stessa giacca di pelle nera del giorno prima, una camicia dello stesso colore con i primi bottoni aperti. In lui c'è qualcosa di strano, lo sento.
Scuoto la testa mentre sul mio volto appare una smorfia, devo smetterla prima che inizio davvero ad impazzire del tutto, mi avvicino a lui. « Giorno detective Scott. » mormoro mentre alzo lo sguardo su di lui.
Sussulta non appena sente la mia voce girandosi sorpreso verso di me, lasciando la sigaretta a mezz'aria mentre mi scruta in silenzio e d'istinto mi mordo l'interno della guancia sentendomi a disagio. « Buongiorno signorina Aydin. » risponde educato accennando un breve sorriso, seguo i suoi movimenti mentre spegne la sigaretta per poi lasciarla cadere dentro al cestino.
Non appena sento la stessa voce arrogante e viziata del giorno prima sento il mio corpo irrigidirsi mentre il fiato mi muore in gola, punto lo sguardo verso l'ingresso dove esce come una furia. Il volto arrossato con un enorme cerotto bianco che gli copre maggior parte del volto fin troppo esagerato, per istinto forse oppure per la paura mi avvicino di più al detective quasi nascondendomi dietro di lui; con tutto quello che era successo il giorno precedente quell'esperienza negativa era passata in secondo piano, il mio cervello l'aveva accantonata in una parte della mia mente d'altronde non accade tutti i giorni che un pazzo ti punta una pistola contro strillando ed accusandoti davanti a tutti di essere un'assassina.
La mano del detective sfiora la mia in qualche modo mi fa tornare alla realtà bloccando l'imminente attacco di panico, i nostri sguardi si incrociano nel suo non c'è fastidio o qualcos'altro ma mi sorride. Un sorriso che trasmette protezione e sicurezza, non so come ma riesce a tranquillizzarmi. « Stia tranquilla non può farti del male, non più. » mormora a tono basso.
L'osservo per qualche istante e nei suoi occhi leggo solo la sincerità mi limito solo di annuire leggermente, rendendomi conto di quanto ero vicino a lui faccio qualche passo indietro imbarazzata distogliendo lo sguardo verso la strada.
Che diamine sto facendo?

Il detective Scott mi fece strada verso l'obitorio del dipartimento dove i miei genitori o chiunque avevano trovato nella mia casa erano stati portati il giorno prima, durante il tragitto siamo rimasti in silenzio non aveva accennato a quello che era successo poco prima rispettandolo e io ne fui grata; ogni passo che conduceva verso quella stanza sentivo un brivido percorrermi tutta la schiena ma lo ignorai cercando di mantenere un'espressione neutra sul volto.
Ma come si può? Specialmente quando una persona estranea ti dice che i tuoi genitori sono stati uccisi, quando poche ore prima eravamo tutti e tre insieme a tavola a fare colazione: ridendo e scherzando come ogni giorno prima di uscire di casa.
Nel dirlo era stato cauto senza incolparmi di nulla come aveva fatto quel ragazzino, ha cercato ogni mia possibile reazione ma avevo indossato una maschera.
Una volta arrivati nella piccola sala d'attesa si sentiva già un forte odore di disinfettanti mischiato con altri prodotti chimici, osservo l'ambiente in silenzio mentre il detective al mio fianco è impegnato a suonare un campanello. Al centro della stanza si trova una porta ampia con dei vetri oscurati simili a quelli del piano di sopra, la sala invece è quasi del tutto vuota e sterile: sedie in ferro color grigio come le parenti accompagnati da dei poster sulla medicina e dei fogli, l'unica nota di colore in quel ambiente era il pavimento dal color verde acqua scuro.
Non passa molto tempo quando si avverte un rumore di tacchi dietro l'enorme porta che divide la stanza, subito dopo si apre rivelando una donna di mezz'età magra e uno sguardo tagliente abbinato a degli occhiali piccoli da lettura: oltre a un completo grigio ha su un camice bianco e dei tacchi bacchi. Mi osserva brevemente per poi lanciare uno sguardo di fuoco verso il detective, non ha detto una parola né un "buongiorno" ma da come ci sta guardando è chiaro che vuole una risposta. « Mancini ci sta aspettando. » disse senza essere cortese con la donna, ma lei comunque non parlò spostandosi di lato per farci passare.
Seguo il detective lungo il corridoio simile alla sala d'attesa, la donna che ci ha aperto ci sorpassa in totale silenzio e si rintana in uno dei tanti uffici\laboratori sbattendo la porta aggrotto le sopracciglia. « Non ci fare caso: non mi sopporta. » sussurra a bassa voce il detective accennando un ghigno.
« Noto. » sussurro a mia volta sentendo il mio cuore battere più veloce del normale ad ogni passo, non so perché ma sentivo che dietro all'ultima porta di fronte a noi c'era la risposta. La verità.
Non appena ci fermiamo sento lo sguardo del detective su di me, mi sta studiando in silenzio forse in cerca di una mia reazione ma rimango rigida sento solo il rumore del mio cuore che aumenta sempre di più. « Sei pronta? » mi domanda gentile il Detective Scott, mi volto verso di lui guardandolo. « Se non te la senti possiamo rimandare, non è facile. » aggiunse subito dopo.
Scuoto velocemente la testa, non mi sentivo affatto pronta e forse non lo sarei mai stata ma la mia voglia di vederli, di avere una conferma era più forte di tutto il resto e non potevo aspettare ancora. « Sono pronta, non serve aspettare oltre Detective. » mormoro la mia voce è ferma quasi autonoma, nel suo sguardo leggo indecisione.
Continua a guardarmi in silenzio ma poi annuisce non convinto di ciò che avevo detto, ma non dice nulla lasciando uscire un sospiro dalle sue labbra mentre bussa contro la porta: l'unica a non avere nessun vetro rispetto alle altre, qualche secondo dopo un ragazzo giovane forse coetaneo del Detective Scott apre la porta. « Ehi Scott. » lo saluta, riconosco subito il suo accento italiano, mio padre aveva la fissa per i film italiani ogni volta li guardava in lingua originale. Scaccio via quel pensiero dalla mia mente, non era il momento di perdersi nei ricordi.
Mi prendo un momento per osservare il ragazzo di fronte a me: il suo volto è stanco e stravolto, si volta verso di me dispiaciuto ma accenna un breve sorriso gentile. « Voi dovreste essere la signorina Aydin. » aggiunge per poi porgermi la mano destra. « Sono il Dottor Francesco Mancini, medico legale. » si presenta a disagio.
Con la coda dell'occhio noto il detective al mio fianco con una espressione preoccupata ma non dice nulla si scambiano un breve sguardo comunicando tra loro, ignoro il tutto e stringo la mano del dottore. « Piacere di conoscerla, dottore. » mormoro.
Dopo le brevi formalità ed aver firmato una sorte di registro delle visite entriamo nella stanza, sento di nuovo il mio cuore contro lo sterno e il respiro mi muore in gola: qui è freddo, la stanza è tutta bianca con delle luci accecanti, hai lati ci sono dei contenitori in acciaio ma il mio sguardo si ferma al centro della stanza dove ci sono due corpi.
Uno accanto all'altro coperti con un lenzuolo bianco.
Mi obbligo a fare un passo sperando che il mio corpo non mi tradisca, sento lo sguardo dei presenti su di me specialmente quello del dottore ma continuo ad ignorarli facendo un segno che può procedere: un sospiro esce dalle sue labbra, non era molto convinto che io fossi pronta, alza entrambi i lenzuoli lasciando scoperto solo i loro volti e le braccia.
Tutte le speranze vengono spazzate via come se non fossero mai esistite, come un terremoto di notte che arriva all'improvviso risucchiando ogni abitazione sotto terra senza dar il tempo di nulla.
Nonostante la distanza riesco a riconoscere subito i loro volti: anche se pallidi come la neve d'inverno pura della montagna senza nessuna contaminazione, sembrano sereni privi ormai di qualsiasi preoccupazione, sento le gambe cedere ma non cado.
Avverto le mani del Detective Scott su di me, sulle mie spalle, la sua stretta è gentile e salda non facendomi cadere dandomi il supporto che il mio corpo ha bisogno, il mio sguardo era così perso che non mi sono nemmeno accorta che lui non si trovava più al mio fianco. Ma questo pensiero svanisce via subito dalla mia mente.
Mi faccio forza quel minimo per staccarmi da quella presa ed andare più vicino a loro, i miei passi zono lenti ed incerti. « Tu vai resto io qui con lei. » sento distrattamente la voce del detective che parla con qualcuno, ma tutto sembra così lontano, subito dopo il rumore di una porta che si chiude con delicatezza.
Alzo una mano verso di loro ma mi fermo. Tremo. Sento il mio volto umido le lacrime scendono senza consenso sul mio viso. « Come.. » mormoro ma le parole mi muoiono in gola, deglutisco per poi fare un respiro profondo. « Come li avete trovati? » domando sapendo che ormai oltre ai corpi dei miei genitori, in questa stanza eravamo solo io e il Detective Scott.
I suoi passi si fanno più vicini ma non troppo lasciandomi spazio e privacy per questo momento, come se sapesse bene cosa sto provando sulla mia pelle sento il suo sguardo su di me mentre il mio al contrario è sempre rimasto sui miei genitori. « Mano nella mano, si stavano guardando.. » mormora cauto evitandomi altri dettagli.
I miei occhi si riempiono di lacrime mentre un sorriso appare sul mio volto, mi faccio coraggio sfiorando il volto freddo di mia madre lasciandogli una carezza dolce e poi passo a quello di mio padre sentendo sotto le dita sua amata barba curata. « Tipico di loro. » la mia voce è un sussurro. « Insieme anche nella morte. » continuai.
Il loro amore è raro e forte ma con questo non voleva dire che non era mai stato privo di ostacoli, ricordo la voce di mio padre di notte mentre mi raccontava sotto forma di favola per farmi dormire ma crescendo sapevo che quella era la loro storia: senza mostri, troll, fate o qualsiasi personaggio di fantasia che mio padre inseriva ogni sera cambiando lo scenario.
I loro occhi parlano di più delle loro labbra, bastava un innocuo e semplice sguardo per far in modo di trasmettere il loro amore e di quello che provavano l'uno per l'altra, che provano ancora adesso. Nonostante la morte. Perché so bene che nonostante siano da un'altra parte, forse un altro universo, loro sono insieme mano nella mano.
Gizem anche se siamo in un altro Paese ricorda: le nostre tradizioni sono importanti, devono vivere in noi solo così rimarranno vive. In questo modo saremo sempre a casa anche se lontani. »" avvertì la voce di mia madre, viva dentro di me.
Mi inchinai leggermente prendendo la mano fredda di mio padre portandola all'altezza delle mie labbra lasciando un bacio su di essa appoggiandola poi sulla mia fronte, feci lo stesso con mia madre ripetendo quell'usanza. Appoggio entrambe le mie mani su di loro stringendole piano con delicatezza, ricordando com'era il loro calore o il tocco di una loro carezza, tenni lo sguardo fisso su di loro. « Ve lo giuro sulla mia stessa vita.. » mormoro piano come se loro mi possono vedere e sentire. « Io vi vendicherò. ».

- Angolo dell'Autrice:

Ciao a tutti, ecco finalmente il terzo capitolo!
Non vi nego che questo capitolo è stato un parto: specialmente la parte del obitorio credo che non ho mai scritto niente di così difficile e doloroso, ma la musica aiuta sempre e comunque!
Ora i giochi hanno finalmente inizio, questi sono giusto dei capitoli calmi prima di quello che accadrà nei prossimi!
Amerete il personaggio di Hannah: ne combinerà un bel pò!
A parte questo: ho cambiato il prestavolto di Adrian non avrei mai pensato di farlo ma Laurence ha parecchie espressioni che mi ricordano il nostro caro Detective!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, cosa ne pensate? Lasciate un commento!

P.S.: Ho aggiornato il cast date un occhiata!

Ogni errore verrà man mano corretto!
A presto!

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