Una verità devastante
DOVE ERAVAMO RIMASTI...(Angoletto autrice)
IN SEGUITO ALLA MORTE DI JARRED, la ruota sembra girare anche verso KATE, fidanzata della vittima che aveva ascoltato di alcune minacce al telefono ricevute dal ragazzo poco prima. SARA, avezza delle minacce che urlano la scritta "NESSUNO DEVE SAPERE", avendo assisito in parte all'omicidio di JARRED, ha capito che il killer non vuole che lei parli, non vuole che lei riveli quanto kate le ha detto circa le minacce. Ricevuto l'invito di KATE ad andare a casa sua, si trova il suo corpo senza vita.
ERIC ha dubbi riguardo il presunto suicidio della madre... il tipo di farmaco, con cui è andata in overdose, diverso da quello che era solita ad assumere senza un'apparente ragione, inoltre ha accettato visite un'ora prima del suicidio. PERCHE'? DOMANDA a cui neanche il farmacista sa rispondere o a cui forse non vuole rispondere (?)...
ILLAZIONI O REALTA'?
Perso nei suoi pensieri, arriva SARA stravolta, è momento di confessioni per i due ragazzi.
LEI gli racconta di KATE e gli confessa un disperato ti amo.
LUI fa un passo indietro, confessandole in modo quasi esplicito della sua vendetta, pur non negando, però, di provare una singolare attrazione per lei. MA PUR SEMPRE ATTRAZIONE.
SOLO ATTRAZIONE.
Pov Sara:
Sono trascorsi tre giorni da allora, eppure nulla è cambiato in questa centrale di polizia: lo scandire delle lancette in legno, appartenenti all'orologio affisso alla parete, è rimasto invariato; i muri sono sempre bianchi, la sua scrivania è tutt'ora in legno; il rumore della battitura, proveniente dalla sua collega, seguita ad essere incessante, lei è pronta a registrare ogni nostra dichiarazione.
L'immagine del suo corpo tumefatto in quella pozza viscosa e pregna di quell'odore nauseabondo, dei suoi occhi sbarrati che erano espressione di una mancanza di vitalità e luce, delle sue labbra pallide così schiuse, quasi fossero intente a dirmi qualcosa... tutto questo non mi ha abbandonato neanche per un secondo. Neanche ora lo ha fatto, mentre... me ne sto qui, seduta su questa bianca sedia, intrappolata in questo interrogatorio senza fine. Jason, nel suo completo scuro, siede di fronte a me, o meglio a noi. I suoi capelli neri sono corti e rasati ai lati, conferendogli un aspetto e un rigido portamento da soldato, oltre a consentire a me la completa visione della sua mascella squadrata, dei suoi zigomi pronunciati, delle sue labbra sottili e di quei pozzi scuri che bruciano sulla mia figura di tanto in tanto, per poi poggiarsi su quella di mia madre che, con assoluta disinvoltura, seguita a raccontargli:
< Come le ho detto, io e quella donna non avevamo alcun contatto. Non sono solita ad avere contatti con parenti, fidanzate o ex del personale di servizio >.
Il suo timbro di voce e la sua postura così sicura nell'accavallare le gambe, così come il suo sguardo azzurro, esprimono un'indifferenza sprezzante che, per la prima volta, mi induce a provare un malcelato disgusto verso di lei.
Jason sospira per poi proferire parola:
< Signora Rowen in Wilson, io sono consapevole della sua posizione, ma... mi risulta che lei avrebbe avuto più di una ragione per liberarsi di Kate in quanto ex e di Jarred, essendo stato... mi duole ricordarglielo... il suo amante. E questo ormai lo sanno tutti qui dentro, lo sa tutta New York, perchè ci sono foto ben nitide che lo affermano. Dunque... adesso è inutile che lei finga di essere estranea alla vicenda che li ha coinvolti >.
Il suo abito succinto, la cui tonalità è marcata dal petrolio più prezioso, è accarezzato delicatamente dalle sue lunghe onde bionde che scendono sino alle spalle. Lei lo scruta e non sembra voler abbandonare quell'atteggiamento di superiorità. L'eyeliner blu e la matita accentuano la grandezza dei suoi occhi cerulei che ora sfidano l'ispettore senza paura, ben consapevole di essere estranea alla vicenda.
< E' vero, io e Jarred siamo stati insieme una notte, però la sua ex fidanzata non è mai venuta da me a reclamare o lamentare questo. Non avrei avuto alcun movente per ucciderli >
< Sono state formulate varie ipotesi... la prima... Kate scopre dei vostri trascorsi; uccide Jarred e, in seguito, tenta di fare lo stesso con lei, Isabel, ma lei ha la meglio su Kate che muore; seconda ipotesi... l'uomo, che secondo l'intercettazione delle chiamate minacciava Jarred, lo uccide per evitare che riveli quello che ha scoperto e, per paura che Kate possa rivelare le minacce alla polizia, uccide anche lei > ci espone pacatamente, con intelligenza, lui. Noi restiamo in silenzio. Un silenzio che può racchiudere tante verità mai rivelate, tante bugie.
< Il curioso di questa vicenda è che l'omicidio dapprima di Lara, l'omicidio di Jarred in seguito e quello di Kate adesso... sono tutti collegati tra di loro e sapete qual è questa connessione? La vostra famiglia! Lara era una sua ex amica, con cui lei ha condiviso un passato burrascoso. Jarred era il suo amante. Kate era la ex fidanzata di Jarred. Tutti e tre minacciavano di raccontare i suoi innumerevoli segreti e incrinare la sua già critica situazione familiare! Eric, il suo figliastro, ci ha detto che Jarred minacciava di raccontare al suo attuale secondo marito dei vostri trascorsi passionali. > provoca direttamente con aria sicura. Mia madre resta impassibile, ma le sue dita curate tamburellano ripetutamente sul suo grembo piatto. Io, totalmente elettrica, sistemo nervosamente alcuni miei capelli dietro l'orecchio, nel mentre sospingo lungo la gola altra saliva.
< Jarred voleva farlo, è vero, ma questo non ha alcuna correlazione con le minacce che lei sostiene abbia ricevuto da quel delinquente il giorno prima del decesso. Voleva dire la verità, ma ha desistito, perchè ha capito che quanto successo era stato un errore. Sa, essere la moglie di un uomo ricco e facoltoso comporta notevoli rinunce e sacrifici, non è sempre tutto rose e fiori. A volte può accadere di sentirsi smarriti e commettere questo genere di errori. Io amo mio marito, Jarred amava Kate; la prego di non indugiare con le sue accuse > gli spiega cautamente con aria rammaricata.
< Mi dispiace essere stato inopportuno, ma l'ho fatto anche con suo marito, ho dovuto e devo farlo, perchè voi tre siete i primi indiziati. La scientifica non ha rilevato alcuna impronta, ma... l'uomo è stato ucciso con un'ascia, la stessa ascia che ha frantumato il bagno in cui la vittima si era presumibilmente rinchiusa per sfuggire alla morte. Non ci sono segni di percosse sul cadavere. Non ci sono impronte sulle porte; dunque la persona in questione indossava i guanti. Non ci sono segni di scassinamento sulla porta; dunque doveva avere le chiavi della casa. Ad ogni modo, fino a nuovo ordine e in attesa di altre prove, è vietato per voi lasciare la città e sarete nuovamente chiamati per i successivi interrogatori. Ora potete andare > sentenzia con tono perentorio, invitandoci all'uscita. Io tiro un sospiro di sollievo e, quando mia madre si appresta ad oltrepassare l'uscio leccato in bianco, esito. Le faccio segno di andare via sotto lo sguardo accigliato e attento di Jason, a cui rivolgo la mia attenzione con rispetto e ansia:
< La prego trovi il colpevole e... so che tutto questo incrimina ipoteticamente la mia famiglia, ma... mi deve credere... noi non siamo implicati! >
La mia risuona proprio come una supplica in questa stanza, come se fosse in un eco di sofferenza, perché questa situazione è insostenibile. Lui, invece, esala un profondo respiro, degnandomi di una risposta, ma non so se sia quella sperata:
< Sara... in un mese che vi conosco, ho visto più ipocrisia nella vostra famiglia che in qualsiasi altra. Non ho nulla contro di lei, ma... sua madre, dopo una cerimonia di nozze rocambolesca e quasi tragica, ha tradito il suo attuale marito. Suo marito, dal suo canto, finge di fronte ai giornali che tutto questo non lo tocchi. Lei ha una relazione clandestina e, aggiungerei, tormentata con il figlio del suo patrigno, Eric. Eric odia sua madre. Peggio di Beautiful! > mi fa presente sarcasticamente < Con l'unica differenza... questa è una soap opera gotica che ha l'odore della morte >. Io, ansante e paonazza, con sguardo rivolto fissamente alle mattonelle bianche, farfuglio parole, cercando di giustificare l'ingiustificabile:
< Lo so. Noi non siamo perfetti, abbiamo commessi errori, ma... le giuro, non siamo stati noi! Spero che le prove possano dimostrarlo >.
Gli volto le spalle, ricoperte dal tessuto leggero del mio maglione color pesca. Con l'intenzione di lasciare la stanza, le mie esili gambe, fasciate da dei jeans scuri, si piegano, ma...
La sua voce, così seria e decisa, arresta qualsiasi mio passo:
< Sara, lei ragiona con il cuore, ma capisce che io devo ragionare con la logica. Tutto porta a pensare che questi tre omicidi siano collegati l'uno all'altro. Finché non si trovano altre prove, gli indiziati siete voi >. In un tacito assenso mi avvio verso lo stipite della porta.
< Comunque, se io ragionassi seguendo il cuore, affermerei la sua innocenza. Lei, in questo covo di vipere pronte a sbranarsi l'una con l'altra, mi sembra l'unica vittima innocente > decreta con dolcezza ed io annuisco, abbandonando il luogo. Questa sensazione opprimente mi angustia persino in questo momento, intenta a sedermi sui sedili in pelle del taxi. L'oscillare continuo dell'autovettura mi culla lievemente, ma non riuscirei ad abbandonarmi al sonno, nonostante io abbia dormito poche ore. I quindici minuti scorrono in men che non si dica; inchioda lentamente. L'aria fredda e l'odore dell'erba fresca, caratterizzanti l'immensa natura circostante oltre il cancello in ferro battuto, mi inebriano.
Percorro, nell'ansia più asfissiante, il vialetto perfettamente ordinato e adornato dalle aiuole. Dopo aver chiuso in un tonfo il portone, le urla di mamma e John riecheggiano sin nel salone. Sbuffo sonoramente roteando gli occhi al cielo. Di soppiatto guardo intorno a me: il lampadario pendente in cristallo è inchiodato al muro come sempre; i tavolini di vetro, frapposti tra i divani in pelle, sono disposti perfettamente in ordine, poggiandosi sui costosi tappeti bianchi e marroni; le vetrinette in foglia d'argento, avvezze e portatrici di vizi alcolici, sono lì, a poca distanza dai salottini.
< Sono stufo! Stufo di essere lo zimbello dell'alta società! Ora sono anche indiziato per l'omicidio del tuo amante! Tu sei una... Io ti ho dato tutto! Ho rinunciato alla mia precedente famiglia per amore tuo! Hai distrutto il mio orgoglio e la mia immagine! > strilla lui di fianco la scalinata in ferro, colmando con furia la distanza che lo separa da lei. Mia madre, singhiozzando a causa delle lacrime che inondano il suo volto delicato, con voce affannosa, non si ritrae dallo scontro verbale: < Tu vuoi una bambola al tuo fianco, ma sono umana e ho commesso un errore! >.
Lui respira in modo forsennato, stringendo le sue nocche con eccessivo fervore arrossandole.
< Un errore... hai... co-m-messo un erro-re! >, il suo tono è flebile, tremolante, preda di un'ira funesta. La sua mano si infrange furiosamente sulla sua guancia che lampeggia, del tutto in fiamme. In un secondo lei si ritrova a terra. Io mi precipito da colei che, nonostante tutto, è mia madre. Resto impietrita, scorgendo la nebbia che si riflette nella dilatazione smodata delle sue pupille, ora di un nero ardente e penetrante. Per la prima volta ho paura di John. Ma inaspettatamente scoppia in una risata sguaiata e isterica afferrando un bicchiere con stizza. Trasalisco quando lo scaglia contro il muro, facendo lo stesso con gli altri sulla credenza. Dopo procede a grosse falcate verso lo studio.
< Stai bene? > le domando e lei annuisce sollevandosi. Sale su per andare in camera sua.
-Cosa ci è successo? La nostra vita si è tramutata in un inferno! Perché quell'uomo ha ucciso Jarred quella notte? Che sia stato lui ad uccidere Kate? E' lui! La stessa persona che si è introdotto in casa qualche ora prima per minacciarmi di tacere! E Eric? Dove sarà Eric ora?-
Decido di andare in cucina.
-Una bella camomilla è proprio quella che mi ci vuole!-
Pov Eric:
Sbatto distrattamente lo sportello della mia Range Rover nera che luccica nel suo nero lucido. Ho parcheggiato velocemente nell'area riservata ai parcheggi delle nostre auto, non molto lontana dal viale principale. Un tacchettio catura la mia attenzione e, volgendo lo sguardo, incontro quello glaciale e altezzoso dell'ultima persona che avrei voluto incontrare.
Marina.
I suoi lunghi ricci mogano, sciolti e ribelli sulle sue spalle, incorniciano i suoi lineamenti delicati e il suo naso alla francese. Le sue ciglia e arcate sopraccigliari, di un castano chiaro, sembra siano state pettinate. I suoi zigomi, accentuati dal trucco, creano un contrasto leggermente rossastro con la sua pelle nivea. Il rossetto sul marroncino valorizza la pienezza delle sue labbra e pare abbia voluto abbinarlo al suo completo: il top, scoprente la sua pancia piatta, e i pantaloni attillati sono del medesimo colore. Indossa solo una giacchetta nera a coprirla.
< Che c'è? Sei rimasto ammaliato dalla mia silhouette? > pronuncia soavemente in modo volutamente provocatorio, lo stesso modo in cui encheggia verso di me. Io scuoto il capo ridacchiando.
< No, mi chiedevo cosa ci facessi qui e come tu faccia a vestirti in questo modo in pieno inverno... Immagino che l'idea di dover apparire come la più bella batta il freddo. Con te le temperature sono relative > la stuzzico come sempre, perchè non cambierà mai.
< Sei stato tu ad avermi invitato a cena, ricordi? > mi rammenta e, con fatica, mi sembra di ricordare.
-Ah... vero! Non la smetteva di parlare di quella festa e, per potermela filare, ho dovuto prometterle questa cena! Cosa non si fa per un'amica talvolta fastidiosa? -
< Sì sì. Ricordo. Prego! > la invito ad entrare.
Mentre oltrepassiamo la soglia di casa, qualcosa cattura la sua attenzione: il foulard pesca di Sara.
Schiocca la lingua disgustata e, sprezzante, proferisce sillabe sicuramente velenose:
< Sai... mi chiedevo quanto tempo dovrai aspettare ancora affinchè quelle due arrampicatrici sociali lascino questa casa. E' stato davvero indecoroso quel che ha fatto Isabel a tuo padre >
-Lo sapevo! Non sopporta Sara!-
< A tempo debito... è solo una questione di giorni > concludo, volendo terminare al più presto questa snervante discussione, ma lei non sembra essere del mio stesso avviso:
< Cosa aspetti? La tua vendetta è lenta! Perché non hai detto a Sara e tuo padre la verità? >
< Lo farò. Ma adesso lasciami solo! >
< Se non lo farai tu, lo farò io e sai che ho le prove! Queste... è una vera fortuna che tu abbia la mania di fotografare tutto, Eric > pronuncia e io non capisco come possa sapere che...
Dalla sua borsa nera caccia fuori delle foto. Sussulto alla vista dell'oggetto: Sara, denudata e dormiente, gace sul letto con un solo lenzuolo a coprire le zone intime.
< Ridammele! Come me le hai sottratte? >, allungo il braccio per afferrarle, ma lei riesce a sgattaiolare via.
- Come diavolo ha fatto ad appropriarsene! Dovevo gettarle via! -
< Se non dirai la verità, ci penserò io e... sai... potrebbe sfuggirmi la mano, le darei ad un giornalista. E sì, comunque, non presti attenzione quando mi lasci sedere in camera tua > mi minaccia, melliflua e il suo ghigno si distende sempre di più.
< No! Le distruggerebbe la reputazione! Smettila di giocare Marina! > mi oppongo con fervore.
< Non hai sempre detto che lei è un'arrivista come la madre? Non avevi detto che la odi? Ebbene fallo! > mi incentiva a proseguire una vendetta che, giorno dopo giorno, mi sta sempre più stretta.
Avverto uno spostamento d'aria e...
< Cosa succede qui? > domanda il mio vecchio, aggrottando le sopracciglia, seguito dalla sua immancabile ancella, la sua seconda consorte.
< Marina... > la ammonisco, ma lei... con un sorriso sempre più vivo e trionfante, mostra loro le prove del misfatto. La loro espressione, dapprima sgomenta, si fa furiosa e incredula.
I loro occhi, ormai fuori dalle orbite, sporgono verso l'esterno.
< E' la tua stanza Eric. Hai... ha-ai una qualche spiegazione per tutto questo > mi chiede con un timbro graffiante, vibrante e, solo in apparenza, calmo, mio padre.
Isabel trattiene a stento un'imprecazione, soffermandosi con disgusto su di me.
< Sapevo che eri un ragazzo indisciplinato ma non mi aspettavo che lo fossi a questo livello >
< Potrei dire lo stesso di te. Neanche un bagno al Lourdes potrebbe purificarti > controbatto con sarcasmo pungente.
< Ho pensato che vi avrebbe interessato questo, insomma i vostri figli si sono innamorati! Presto dovrete celebrare un altro matrimonio! > infierisce quell'impertinente di Marina.
< Marina taci! > tuono nella sua direzione.
< Ah... grazie Marina, adesso lasciaci soli > la accomiata con una calma innaturale, preludio di un'ira funesta. E lei si defila.
< Cosa... cos'è questo? > vibra nella mia direzione. Isabel si appoggia alla credenza, quasi temesse di perdere i sensi da un momento all'altro.
Socchiudo gli occhi respirando pesantemente. Lascio cadere il mio peso sul divano, tentando di ristabilire la mia usuale barriera di imperscrutabilità. Sul mio volto si fa strada un sorriso di strafottenza osservandoli così disorientati e scandalizzati.
-Non è quello che ho sempre voluto? Non posso più chiamarmi fuori da questo guaio in cui mi ha cacciato quella commediante di Marina! Hai voluto la bicicletta Eric? Ora pedala!-
< Non lo vedi già da te? Hai bisogno del disegnino? Sara si trova palesemente nuda nel mio letto. Su! Siete capaci di fare due più due. Ciò che si cela dietro questa foto è abbastanza ovvio! > mi faccio beffa di loro che, vividi di rabbia, mi scrutano. Mio padre mi afferra dal colletto della camicia azzurra che indosso e posso notare, a questa distanza millimetrica, la forza con cui digrigna i denti.
< Cosa stai dicendo! Siete andati a letto insieme? >, io mi divincolo dalla sua presa e lo spingo di lato.
< Cosa credete abbiamo fatto? Cosa credete si faccia in un letto mezzi nudi? Abbiamo giocato a briscola, sì > seguito a prendermi gioco di loro.
< Perchè? Ti rendi conto di quello che hai fatto? Perchè diamine! Perchè? La ami? > strilla.
< No > rispondo secco.
< Allora perchè? Perchè diamine! > esclama furente, del tutto fuori di sé.
< Hai distrutto la famiglia che abbiamo faticosamente costruito! Sei solo un ragazzo viziato che non ha rispetto di nessuno! Ti sarai preso gioco di mia figlia che, lo sanno anche i muri, è una stupida! In quale modo l'hai intortata? Sentiamo! > mi rimprovera, ma non tollero paternali, non le tollero da lei, la regina delle ipocrite. Sghignazzo apertamente di fronte alla sua ipocrisia.
< Non l'ho stuprata. Era consenziente. Evidentemente tua figlia non era poi così innocente quanto credevi, ma... d'altronde... ha imparato dalla madre > insinuo malignamente e, lo ammetto, sono crudele, ma mi manda fuori dai gangheri la sua falsità.
- E' solo una puttana!-
< Adesso non essere volgare, Eric! Sono sicuro che sei stato tu a circuirla e a sedurla. Lei è ancora una bambina, tu invece sei grosso e vaccinato, oltre a poter vantare di un passato sentimentale movimentato! Noi eravamo una famiglia prima che tu la distruggessi > mi accusa liberamente.
< Famiglia... famiglia? Quale famiglia! Non lo siamo mai stati. Io ho avuto una sola famiglia, ma tu e questa donna l'avete mandata in frantumi! Avete messo su questo teatro che voi chiamate famiglia, ma in questo mondo vige solo l'ipocrisia! Andiamo papà! Chiedere a me, tuo figlio, dopo tutto quello che ho vissuto, di convivere con la tua amante e sua figlia è stata una vera pagliacciata! > li attacco con ironia caustica e nella stanza rimbombano solo le mie risate derisorie.
< Ma il colmo del degrado lo hai raggiunto quando hai preteso che io facessi da guardia del corpo all'inizio, quando hai preteso che io considerassi quella ragazzina, un'estranea, come una sorella! Io, una sorella, già ce l'ho, ma a te cosa importa? Non ti occupi di lei! Mentre tu giochi a fare la famiglia del mulino bianco con una donna del suo calibro e con una ragazzina in cui non scorre neanche una singola goccia del tuo stesso sangue, lei è sola > mi dilungo con il tono più dispregiativo che conosca e i due si sono ammutoliti.
< Ma Sara non è e non sarà mai, e sottolineo mai, parte della mia famiglia! E' stato folle pretendere che io la vedessi tale! > concludo.
-Se fosse mia sorella, non proverei di certo sentimenti così carnali nei suoi confronti! Non penserei ogni secondo al suo sorriso di bambina e al suo sguardo in preda al piacere quando è stata mia!-
In un tacito dissenso si ritirano nelle rispettive stanze.
Una lampada in frantumi sul marmo cattura il mio interesse.
E vedo lei.
Sara.
Se ne sta a qualche metro di distanza, in disparte. Il miele nelle sue iridi è immensamente grande e vitreo, lei ha dilatato le pupille. Aggrotta le sopracciglia permettendo a delle rughe di solcare la sua fronte. Si mangiucchia le labbra a cuore. A giudicare dal modo in cui le sue mani sfregano l'una contro l'altra, ha sentito.
Ha sentito ogni cosa.
Per certi versi mi sento sollevato, almeno dovrò smetterla con questo teatro.
Non ne posso più.
Ma, vedendo la situazione da un altro punto di vista, il suo, è tutto così complicato.
Lei è la vittima, il capro espiatorio.
Io sono il carnefice.
Se loro non si fossero appropriate della mia vita, io non sarei stato costretto a diventare un vile.
Eppure...
-Cosa mi accade? Perché mi sento un vile? Perché provo questo senso di oppressione al petto, quest'ansia opprimente, quest'inquietudine?-
Mi giro da tutt'altro parte e impugno il bicchiere di Bourbon.
-Ho bisogno di bere! Devo reggere!-
L'alcol incendia la mia gola, ma, ciononostante, bevo avidamente come se fosse acqua.
Lei, insoddisfatta dal mio atteggiamento, mi raggiunge a pochi passo, parandosi proprio di fronte a me.
E adesso lo so, non ho scampo.
Pov Sara:
Lui, in un primo momento disorientato e quasi infastidito dalla mia presenza, adesso mi inchioda con lo sguardo. Il suo è così gelido. Se ripenso a ciò che ho sentito, mi sale un magone allo stomaco. Ma voglio ascoltare la verità da lui.
< Cosa... cosa ho sentito? > farfuglio, non sapendo come introdurre il discorso.
-Dio! Mi sento così nervosa! -
Lo stronzo, invece, è impassibile, ma leggo un velo di irrequietezza nella sua espressione contratta.
I suoi polpastrelli affondano nei suoi capelli.
< Speravo che non fosse necessario che io te lo dicessi... Pensavo che l'avessi capito da sola... Ebbene sì, ci siamo divertiti ma tra noi non c'è stata e mai ci sarà una relazione > mi spiega lentamente con un'estraniazione alla vicenda che mi mette i brividi. La pelle mi si accappona.
< Ma... noi due abbiamo... >, non mi dà la possibilità di dare un senso compiuto alla mia frase: < Fatto sesso? E quindi? Sentivamo una forte attrazione fisica e lo abbiamo fatto. Una cosa naturale in questo mondo, ma niente di più > mi chiarisce lentamente come se fossi una bambina stupida. Le mie gote si inumidiscono, la mia vista si appanna e tante lacrime iniziano a sgorgare, incontrollatamente, sul mio viso. Tutto ciò avviene senza alcun preavviso.
-Mi sento tanto stupida! Ma... perché?-
< Ma tu... pensavo volessi veramente stare con me... Me lo avevi detto quel giorno prima che io e te... > biascico in modo flebile. Il suono, che produce la mia bocca, è impercettibile, delicato e strozzato.
< Volevo stare lì, con te, in quel momento, non ho mai detto di volere fidanzarmi con te e non ti ho mai fatto alcuna promessa > sottolinea su ogni parola.
< Andiamo! Davvero credevi che volessi avere una relazione con la figlia della donna che più odio sul pianeta? > mi chiede retoricamente con un cinismo che ha il solo potere di ferirmi.
< MA TU...QUINDI È VERO CHE LO HAI FATTO PER VENDICARTI? RISPONDIMI > alzo i toni girovagando come un'anima in pena, ma lui non si muove dalla sua postazione.
< Cos'è che vuoi sentire? Che sei stata solo uno strumento per distruggere il matrimonio dei nostri genitori? Ebbene sì! > mi confessa. La mia mano scatta sulla sua guancia lasciando un segno evidente, ma vorrei che fosse indelebile. Ormai ciò che mi circonda è sempre meno nitido a causa del pianto.
< Tu sei un bastardo! Perchè mi odi tanto? > provo a dargli un secondo schiaffo, ma lui intrappola i miei polsi. Dopo aver cercato senza successo di colpirlo sulle gote nuovamente. Mi dimeno ancora e, con uno spintone, lo discosto da me.
< Non ti odio. Non provo alcun tipo di sentimento nei tuoi confronti > scandisce ogni lettera in un'intonazione molto bassa, espressione di aridità e indifferenza.
Con il cuore pulsante in gola, non interrompo il contatto visivo con lui, ma via da me vibra quell'aspetto della realtà che lui non vuole vedere, quello più terribile, quello che può devastarlo con la stessa crudeltà con cui lo sta facendo lui a me:
< Farla pagare a coloro che sono stati i responsabili della sua infelicità, non riporterà in vita tua madre >, lui sgrana gli occhi e finalmento colgo qualcosa in lui, un sentimento, una maledetta emozione.
Tanto dolore.
Quel dolore che mai si è sopito o attenuato.
< Non colmerà il vuoto che hai dentro. Mi fai tanta pena, Eric. Sei destinato ad essere infelice e solo. Destinato ad essere impegnato nella disperata ricerca di una felicità e un passato che mai tornerà. Una felicità che non arriverà mai > chiudo definitivamente la conversazione sputando tutto l'odio che provo per lui e so che ho colpito il segno.
-Proprio così odio! Lo odio!-
Lo supero e vado via, quanto più possibile lontano da lui e dal suo rancore, perchè ora ho compreso che esso è capace di avvelenare la mia anima così come sta facendo con lui.
ANGOLO AUTRICE:
ECCOMI! Allora... un capitolo denso di emozioni tra le innumerevoli rivelazioni che sembrano incriminare proprio la tanto amata(/odiata) famiglia Wilson. Le verità vengono svelate ed Eric, istigato da Marina, si trova costretto a rivelare la notte passata con Sara. La ragazza finalmente ha potuto toccare con mano l'essenza del rancore del giovane. E adesso?
D'ora in poi la storia prenderà una piega del tutto diversa e inaspettata, perchè tutto questo avrà delle ripercussioni per Sara, Eric, Isabel, John e l'attenzione si sposterà anche sul passato terrificante e occulto di Rossella. Cosa ne pensate di questo capitolo? Cosa pensate accadrà prossimamente?
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