Un risveglio difficile

Sento l'orribile suono di quella tortura che chiamano sveglia e a malincuore capisco che, forse, dovrei alzarmi.

Mi sporgo leggermente verso il margine del letto, per far smettere quel frastuono massacrante che mi dà alla testa.

Sono le 07:00 a.m.

Ho sempre trovato assurdo svegliarsi a quest'ora del mattino: il sonno vince sempre su tutto. Prima di aprire gli occhi, io non capisco né dove mi trovi né, tantomeno, che ore siano: ho sempre avuto un sonno pesante. Mi guardo intorno, decisamente estraniata.

Mi sembra ancora surreale vivere in questo palazzo, cosa che non posso far a meno di notare mentre mi guardo intorno. La luce proveniente dalle vetrate illumina tutta la camera. Al centro della stanza è situato il mio letto a due piazze, ricoperto da lenzuola, copriletto bianco e un orsacchiotto con in mano un cuore su cui è scritto "Miss you". Sulle pareti rosa ci sono quadri sureali, l'urlo di Edvard Munch e tante mie foto che mi ritraggono con le trecce e l'apparecchio da bambina sino all'adolescenza. Lateralmente al letto ci sono due comodini in legno bianco: su di uno è riposta la brocca di vetro contenente l'acqua, sull'altro poggia il libro. "Il Tulipano che fiorí tra la neve". Distante di qualche metro si trova un piccolo salottino costituito da 2 poltrone e un lungo divano a isoletta, rivestiti di pelle bianca. Tra di essi, su un tappeto bianco e beige, si trova un tavolino di legno, la cui gamba presenta, attorcigliata a sé, una seconda gamba che incrocia la prima. Poco più avanti si nota la mia scrivania, anch'essa in legno bianco, su cui sono poggiati alcuni miei libri, avezzi della mia cultura, anche se la maggior parte risiedono sulla mensola di fronte la scrivania, inchiodata al muro.

Scendendo l'enorme scalinata, scorgo i salottini con poltrone e divanetti in pelle.

Giunta al fondo della scala, con la mano ancorata al corrimano in ferro, mi guardo un attimo intorno. - Dov'era la cucina? -

Sento dei passi.

<< Si può sapere cosa fai lì ferma come un'allocca? >>

Riconoscerei quella voce arrogante ovunque. Il figlio di John è dietro di me, già perfettamente in ordine : indossa una camicia bianca e dei jeans, la sua chioma riccia cade disordinata sulla fronte, però lascia scoperta la visione di quei suoi occhi di ghiaccio che mi scrutano dalla testa ai piedi con la solita sufficienza. Abbasso lo sguardo e solo ora mi rendo conto che sono ancora in pigiama. Le mie gote si colorano di rosso e rivolgo lo sguardo al marmo del pavimento. Vorrei farmi piccola piccola.

Eric mi supera e, senza dire un'altra parola, va in cucina. Ne approfitto per seguirlo e ringrazio quel qualcuno lassù che mi ha protetto dalla dea della sfiga: mi ha evitato un'altra figura da ritardata.

Mia madre e John sono comodamente seduti sulla sedia, non appena ci vedono entrare, esclamano all'unisono: < Buon giorno, era ora che arrivaste! >

<< Buongiorno >> mormoro, io, con voce impercettibile. Lui, contrariamente a me, pare non conosca il significato del verbo salutare. John, cercando di ottenere la sua attenzione , si schiarisce la voce e gli rivolge una domanda lecita: << Eric, non si usa più salutare? >>.

Suo figlio alza il viso dal piatto e, con assoluta indifferenza, afferma: << Al mio paese è così, lo reputo qualcosa di superfluo,soprattutto se è rivolto a persone non proprio classificabili come tali >>.  Abbassa il volto con la stessa espressione atona.

La mamma interviene nella conversazione con tono indignato: << Scusami? >>.

John cercando di evitare discussioni, posa la sua mano sulla sua spalla per farle una carezza, in seguito riprende il discorso come se nulla fosse: << Eric, dovrai accompagnare Sara all'università >>.

<< Scordatelo! >> la voce di Eric è forte e intimiditoria.

<< Sara è stata rapita da quella donna che è ancora in libertà, lei fa parte della nostra famiglia ora, quindi è tuo dovere proteggerla! >>

<< Io non ho alcun dovere verso di lei, perché non è nessuno per me, non lo farò >> risponde, risoluto.

<< Eric, io e Isabel ora siamo marito e moglie, tu e Sara, in quanto nostri figli, fate parte di questa famiglia >>

Eric non riesce a trattenere un ghigno e gli risponde con strafottenza : << Il fatto che tu ti porti a letto sua madre non fa di noi una vera famiglia >>.

John, visibilmente arrabbiato, scatta in piedi. Mia madre lo accarezza cercando di calmarlo, ma fatica a trattenere la rabbia che ha dentro, motivo per cui fa grossi respiri e solo in seguito inizia a parlare.

<< Tu la accompagnerai altrimenti ti toglierò i viveri >> gli intima severamente.

Eric è livido in volto, mentre si alza e, dopo avergli lanciato un'occhiataccia, si rivolge a me con tono perentorio: << Hai 5 minuti, dopodiché se non ci sarai, io vado via lo stesso >>. Frettolosamente butto giù l'ultimo boccone della fetta biscottata e corro in camera a vestirmi. Mentre infilo il cappotto con non poche difficoltà a causa della cerniera, varco la soglia della porta. Il freddo della stagione mi entra nelle vene e mi fa rabbrividire.

Rincorro Eric che raggiunge la sua macchina : una Range Rover nera lucida con i vetri oscurati.

Il viaggio è più lungo del previsto o forse è il silenzio assordante di Eric a snervarmi così tanto da far passare il tempo troppo lentamente.

Non dice neanche una parola, mentre con espressione arrabbiata guarda la strada. Allungo la mano sullo stereo, ma la sua si posa sulla mia e la toglie da lì. Si volta a guardarmi con cipiglio duro e finalmente proferisce parola:

<< Chi ti ha detto di toccare il mio stereo? Questa è la mia macchina e non hai alcun diritto di toccarla o decidere di mettere un po' di musica >>, mette in chiaro con aggressività.

<< Sai com'è... non è piacevole un viaggio in silenzio, perciò vorrei almeno un po' di musica! >>

<< Secondo la tua concezione... non secondo la mia! >> continua con un sorrisino stampato in volto << Sicuramente tu sei una di quelle ragazze che non stanno zitte un attimo! >>.

<< E sicuramente, tu sei uno di quei ragazzi che dosano le parole con il contagocce >> replico in un suono acido e pungente.

<< Il mio lato logorroico lo mostro solo a chi merita >> risponde ghignando.

<< Io non sono logorroica, ma non mi ritengo neanche silenziosa e a differenza tua non seleziono le persone con cui parlare >> non gli lascio l'ultima parola.

<< Ah... però! Non ti facevo così... >> non abbandona mai quella sua ironia caustica.

<< Così come? >>

<< Credevo che fossi una ragazzina succube della mammina e quindi priva di carattere >>

<< Beh... ti sbagliavi! Solo perché non litigo ogni secondo con mia madre come fai tu con tuo padre,non significa che io sia sua succube. Semplicemente se posso,voglio evitare discussioni >>

<< Mio padre non è perfetto come vuole apparire, non lasciarti ingannare dall'apparenza >> mi confessa.

<< Anche mia madre ha commesso errori gravi, ma io ho cercato di darle un'altra possibilità, lei mi vuole bene >> gli spiego pazientemente.

<< Se sei qui, in una casa che non ti appartiene, evidentemente quegli errori non erano così gravi dal tuo punto di vista >> conclude il suo discorso.

<< Assolutamente no! >> esclamo, indignata.

<< Ad una madre si può perdonare tutto, anche un adulterio, se ci promette una vita da principessa! >>.

- Incredibile, mi sta dando della ragazzina viziata e attaccata al denaro!-

<< Non so quale idea tu ti sia fatto di me, ma ti sbagli, a me non interessano i tuoi soldi e la tua casa! >>

<< Certo... ci tieni ad apparire ingenua, timida, semplice, ma sappi che con me non attacca, io non mi faccio ingannare, tanto meno da una ragazzina come te! >>

<< Cosa vorresti insinuare? >> alzo i toni.

<< Voglio dire che non vi permetterò di spennare mio padre e ora ti prego, chiudiamo questo discorso superfluo, siamo arrivati >>. Ancora scossa da questa discussione accesa, esco dalla macchina e chiudo la portiera con violenza. Il suo sguardo di fuoco scatta sul mio viso, ma io gli volto le spalle e vado via senza neanche salutarlo.

-Ben ti sta, maleducato, arrogante e rancoroso! Non sai nulla di me e pensi di conoscermi!-

Entro con il piede di guerra e ucciderei chiunque mi desse fastidio. Persa nei miei pensieri, mi scontro con una ragazza, alzo lo sguardo e la riconosco.

<< Ma tu sei... >>

<< Sì , sono Maria, signorina >>

-Ma è la cameriera!-

Le dico di non darmi del lei e cominciamo a parlare dell'università. Maria è molto simpatica a differenza di Eric: mi fa da Cicerone nell'università.

L'università é molto grande ed è strutturata come un Campus, all'interno del quale presenta un giardino immenso, pieno di alberi, panchine, tavoli, anche un campo da basket e da tennis. Maria mi spiega che ogni anno si tengono dei campionati nei quali viene premiato il migliore e ciò assegna dei punti di credito che verranno inseriti sul curriculum. Ci sono dei cartelli che indicano tutte le facoltà: farmacia, medicina, infermieristica e biotecnologie sono tutte situate nella stessa struttura parallela all'ospedale; le facoltà umanistiche sono situate a destra. Imbocchiamo la seconda per arrivare a destinazione.

-Finalmente la mia facoltà! Scienze della moda e del costume!-

Le ore passano più in fretta di quanto credessi, ci viene presentato il corso con molto entusiasmo, i professori sono tutti molto stravaganti con una concezione della vita anticonformista.

Sono euforica e felice, passo tutta la giornata con Maria che ha il mio stesso sogno: diventare una stilista. Maria deve andare via prima a causa del lavoro purtroppo e io resto sola. Ne approfitto per tirare fuori la mia adorata matita magica e disegnare.

Adoro il disegno, passerei le ore a disegnare, così come passerei le ore a leggere libri di ogni tipo, dai romanzi rosa ai libri psicologici.

Mi piace anche tenermi informata sull'attualità leggendo giornali.

Sono persa nei miei pensieri, ma il suono di una chitarra mi distoglie da essi, è una melodia dolce, delicata e lenta. Seguo il suono e mi ritrovo sullo stipite della porta di una grande aula, al centro della quale c'è un ragazzo seduto su un puffo che strimpella un pezzo.

Imbraccia la chitarra con una sicurezza e una tale maestria da sembrare parte di sé. Lui è di spalle e non riesco a vederlo in viso, ma vedere il modo in cui suona mi affascina, mi mette di buon umore, mi trasmette tranquillità e pace. A giudicare dalla lunghezza delle sue gambe sembra alto, indossa dei jeans strappati, una camicia a quadri blu e bianca. I suoi capelli sono castano chiaro e cadono disordinati a ricoprire interamente la sua fronte.

Ad un certo punto cambia pezzo e ne suona un altro dall'andamento più veloce e movimentato.

-Non è possibile!! Questa melodia è...

C'è solo una persona che può suonarla- penso mentre il mio cuore sembra accelerare il battito.

Frettolosamente e con grande agitazione attraverso la stanza, per arrivare di fronte a lui e finalmente posso vedere il suo viso.

-Non posso crederci! È lui! È Martin! -

Riconoscerei ovunque quei suoi occhi nocciola, così caldi e dolci. Non è cambiato così tanto, è decisamente cresciuto, d'altronde sono passati 5 anni, ma nel suo sguardo c'è sempre la stessa tenerezza. Lui non sembra accorgersi di me, perché è preso dalla sua melodia. Quando finisce, applaudisco energicamente. Lui sobbalza ritornando alla realtà e alzando il viso, i suoi occhi incontrano i miei.

Si alza velocemente e mi si avvicina lentamente come se non mi ritenesse reale.

<< Non posso crederci, sei tu, Sara! >> mi chiede incredulo, le sue braccia mi stringono forte a se in un abbraccio. I miei occhi sono vitrei, non posso credere di aver ritrovato quello stesso ragazzino che è stato il mio compagno di avventura.

Quando ci stacchiamo dall'abbraccio, io mi sento stranamente in imbarazzo e anche lui sembra provi lo stesso, perché comincia a grattarsi la nuca. Io sorrido pensando che forse non tutto è cambiato: lui è rimasto lo stesso timido Martin.

<< Sì, sono io. Non mi sembrava possibile fossi tu e invece... >>

<< E invece sono qui, di fronte a te! Dio! Guardati Sara, sei bellissima! Sei diventata una piccola donna! >>

Il secondo successivo rendendosi conto delle sue parole, ridacchia nervosamente, mentre farfuglia : << I-intendevo dire che sei cresciuta, sì cresciuta! >>.

<< Anche tu sei un bel ragazzo >> farfuglio a disagio, e una sensazione di calore attraversa le mie guance.

<< Ah... grazie! >>

<< DAI! Adesso voglio che mi racconti quello che fai qui >> affermo, cercando di uscire dalla situazione di disagio.

<< Studio musica >>

<< Alla fine, hai deciso di seguire la tua passione, quindi ! Sono felice per te, Martin! Non conosco persona più sensibile e romantica di te, doti necessarie per un song writer >>

<< TI ringrazio Sara! Tu hai sempre avuto fiducia in me >> mi dice dolcemente lui.

Le nostre labbra si incurvano all'insú, per un attimo mi sembra di essere in una bolla in cui il cielo è sereno e gli uccellini cantano, un luogo in cui dimenticare tutto ciò che mi fa paura.

Con Martin è sempre stato così, lui è speciale, nessun ragazzo era ed è come lui. Eravamo inseparabili da adolescenti, molte notti di soppiatto è venuto nella mia stanza e insieme vedevamo un film o mi faceva ascoltare un suo nuovo pezzo. Ora mi rendo conto che neanche gli anni trascorsi lontani sono riusciti a far affievolire il nostro legame. Anche se lui non è più lo stesso ragazzino mingherlino che portava l'apparecchio, lui è diventato un uomo molto bello ormai, alto, con la muscolatura ben pronunciata e i lineamenti decisamente più maturi. Il tempo non ha risparmiato neanche i suoi capelli, decisamente più lunghi.

Lui mi racconta dei suoi ultimi anni a Londra.

<< Quindi alla fine tua madre ha sposato John. Come ti trovi con lui, in quella casa? >> mi domanda con curiosità standosene seduto sul puffo. Mi scruta come se volesse fissare nella mente ogni mio singolo lineamento.

<< Con lui mi trovo bene, in quella casa un po' meno >> gli confesso con espressione pensierosa.

<< E perché? >> mi chiede, aggrottando la fronte.

<< Beh... lui ha un rapporto non proprio facile con suo figlio e questa mattina ho fatto una colazione a base di fette biscottate e frecciatine pungenti >> gli spiego ironizzando

<< Ah... accidenti! Hai provato a parlare con questo ragazzo? >>

<< I nostri primi incontri diciamo che non sono stati dei migliori e lui credo che non mi sopporti per via di mia madre >>

<< Ma cosa c'entri tu con lei? >>

<< Teme che io sia un'arrampicatrice sociale o qualcosa del genere. Non lo so! >> gli confesso esasperata.

Gli racconto della mia scelta di diventare una disegnatrice anche se temo di non esserne all'altezza.

Sgrano gli occhi, quando vedo l' orario. 20:00.

Mi alzo di colpo costringendo anche lui a fare lo stesso.

<< Che c'è? >>

<< Devo andare, si è fatto tardi, mi ha fatto piacere rivederti Martin! >>

<< Se vuoi ti accompagno a casa >> si offre gentilmente.

<< No no, tranquillo deve venire a prendermi quel ragazzo di cui ti ho parlato >> mi affretto a dirgli e dopo esserci salutati con dei baci sulla guancia, esco fuori.

Ecco che ritorna il disagio. Pur non capendone il motivo, non mi è mai piaciuto restare sola.

Il cielo è oscurato dalla presenza delle nuvole, segno che precede il maltempo. La strada è stretta e buia, purtroppo questa è l'unica via che conosco. Aspetto Eric, ma il tempo scorre e di lui neanche l'ombra.

-Accidenti, perché non è qui? Sapeva di dovermi venire a prendere? John glielo aveva detto!-

Inizio ad incamminarmi nella nebbia della notte.

-Lo avrà fatto apposta! Quel ragazzo mi odia!-

L'idea di essere qui da sola, mi fa ritornare alla mente l'immagine vivida di quel giorno terribile e del suo sguardo folle.

-Dai Sara! Non essere la solita fifona!- sussurro a me stessa cercando di trovare il coraggio.

Mi guardo intorno e non c'è nessuno.

Un rumore mi fa trasalire...

Sento dei passi in lontananza.

Accellero l'andamento della camminata.

I passi sono sempre più vicini.

Ed eccoli che ritornano forti e chiari: i brividi e con essi l'incessante battito del mio cuore. Il mio respiro inizia a farsi affannoso a causa della paura.

Inizio a correre.

Li sento, sono sempre più vicini.

Il cuore sembra esplodermi nel petto.

Annaspo a causa del respiro affannoso. Tremante compongo il numero di Eric ma lui non risponde. Fingo di parlare con la polizia e poi decido di riprovare.

-Accidenti! Perchè caspita non risponde!-

Quando ho perso ormai le speranze, la sua voce mi arriva forte e chiara:<< SI PUÒ SAPERE COSA VUOI? >>

<< Eri-ric ti prego! Vieni qui, mi trovo poco più avanti l'università, mi sento pedinata! TI scongiuro! >>

<< Cosa stai... ok, ora arrivo! Ma se mi stai prendendo in giro... >> lascia la frase in sospeso perché chiude la chiamata.

Vado in una locanda chiedendo un bicchiere d'acqua, ma in realtà voglio cercare di sfuggire a chiunque ci sia là fuori. Mi guardo intorno continuamente come se fossi una pazza. La signora mi porge un bicchiere che cerco invano di bere: mi trema la mano. Il contenuto viene riversato sul tavolo.

<< Signorina stiamo chiudendo, mi dispiace ma oggi nasce mio nipote, quindi... >>

<< Cosa? No! La prego! >> lo imploro, perché non voglio restare sola.

<< Mi dispiace, ma devo chiudere >>. Con il cuore in gola esco, il freddo qui fuori mi fa accapponare la pelle. Non so cosa fare.

Il mio sguardo si posa su tutta la zona circostante, temendo che da un momento all'altro appaia quella donna. Eric non è ancora qui.

-Quel ragazzo mi odia! Ma cosa speravo? Speravo davvero che mi traesse in salvo?-

Mi dò mentalmente della stupida. Avverto dei passi e accellero la camminata. Li sento sempre più vicini e nonostante io corra veloce, temo che mi raggiungerà. Ad un certo punto sento una mano posarsi sulla mia vita e spostarmi verso di sé con forza. Comincio a dimenarmi istintivamente. Avverto il suo respiro.

<< Mi lasci andare! Mi lasci! Aiuto aiuto! >> urlo con tutto il fiato che ho in corpo.

Sento una risatina.

-Ma questa voce è... -

<< Non ti facevo così fifona >>. Mi volto e riconosco Eric, mi porto la mano sul petto cercando di regolarizzare il respiro e il battito. Mi divincolo dalla sua presa .

<< TU SEI VERAMENTE UNO STUPIDO! HAI IDEA DELLA PAURA CHE MI HAI FATTO PROVARE! >>

<< Ho notato... era un modo per testare la sincerità delle tue parole al telefono... >>

<< E cosa ha decretato il giudice? >> replico in tono isterico.

<< La sentenza è facile... soffri di manie di persecuzione >> afferma con ironia.

<< Io non soffro di alcuna mania di persecuzione! >> gli urlo.

-Sono furiosa! Quanto lo odio!-

<< Ah... no? Allora mi spieghi dove si trova quest'uomo nero? >> replica col suo immancabile sarcasmo.

<< Io... io... non lo so, però è qui, me lo sento! >>

<< Si... certo, come no! Ora senti anche le presenze, sei una visionaria per caso? >> continua a ridere di me.

<< OK, se questa è l'idea che hai di me, vattene pure! Me ne torno da sola a piedi! Ciao! >> esclamo indignata voltandomi per andare via o almeno ci provo, perché Eric mi cinge il polso. Mi dice con voce divertita: << Mi spieghi dove pensi di andare se fino a qualche minuto fa tremavi come una foglia? >>.

<< Mi spieghi perché mi tratti sempre così male? >> non riesco a trattenermi, non più.

Lo conosco da due giorni e sono già stufa del suo atteggiamento. Lui in un primo momento sembra sorpreso dalla mia domanda così diretta, poi la sua espressione ritorna imperscrutabile.

<< Ti tratto male perché non mi fido di te e odio tua madre per quel che mi ha fatto in passato e prima stavo scherzando. Rilassati. >>

<< Ah... tutte le persone di cui non ti fidi, le torturi in questo modo? >>

<< Adesso non esagerare, non ti tratto così MALE, voglio starti alla larga, ma il paparino mi ha costretto a farti da guardia del corpo e la cosa non mi va giù >> mi spiega annoiato alzando gli occhi al cielo.

<< Io non ti ho fatto nulla di male, posso capire il tuo risentimento verso mia madre, ma verso di me... >>

<< Non provo alcun risentimento verso di te. Semplicemente, ti ribadisco, non mi fido di te >>

<< Ah... mi torturi, ti prendi gioco di me, perché non ti fidi! >> sbotto esasperatamente gesticolando.

<< Mi diverte infastidirti e vedere in che modo reagisci, mi serve per studiarti e capire se quel che vedo è solo apparenza >>.

Non so se credergli, ma non c'è alcuna traccia di divertimento sul suo viso, credo che sia così. Non capisco cosa abbia da temere da me.

<< Tu pensi che io voglia prendermi ciò che è tuo, ma non è così >>

<< Vedremo... >> risponde enigmatico, il suo sguardo diventa serio, mentre aggiunge:

<< Sappi solo che, se pensi di fregarmi con la faccia da santarellina, non ci riuscirai e ti renderò la vita un inferno. Se vuoi vivere pacificamente, evita di fare l'avida come tua madre! >>

<< Ti ripeto che... >> vengo interrotta da un rumore di passi che si allontanano. Eric scorge qualcosa alle mie spalle , io inaspettatamente stringo la sua maglia. Lui si avvicina ad un punto indefinito nel buio di una stradina stretta e scura. Io lo seguo, ho tremendamente paura. Lui aggrotta le sopracciglia.

Io comincio ad agitarmi guardandomi intorno e aumentando la presa su di lui. Gli chiedo impaziente : << QUINDI? COS'ERA QUESTO RUMORE? >>

Mi lascia all'improvviso allontanandosi velocemente da me.

Lo raggiungo in tutta fretta e di fronte al suo silenzio pregno di significati sottintesi mi agito.

<<  Eric... allora? Perché non rispondi? >> chiedo con insistenza.

<< Sembrava il rumore di un ramo che si è spezzato e infatti... >> mi indica il ramo spezzato ben visibile ai nostri piedi.

<< No-non po-potrebbe essere stato un animale? >> balbetto in modo agitato.

<< Sì potrebbe, ma l'ombra che ho visto di sfuggita prima sembrava troppo grande per essere quella di un animale >> afferma pensieroso e io, in preda alla paura, gli stringo un braccio.

<< Mi-mi sta-stai di-dicendo che... >> balbetto e un groppo in gola mi blocca il respiro.

<< C'era veramente qualcuno qui... >> conclude con aria preoccupata.

La sua esclamazione dà voce a tutti i miei timori. I brividi attraversano il mio corpo in una notte che, forse, potrebbe essere l'ultima per me.


NOTE:

Vi invito a lasciare una stellina e a commentare, se la storia vi sta piacendo.


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