Nessuno deve sapere parte2
DOVE ERAVAMO RIMASTI... (Angoletto autrice)
Su richiesta, DAL MOMENTO CHE PER FORZE MAGGIORI non è possibile per me caricare con maggiore frequenza, d'ora in poi ho tutta l'intenzione di scrivere un angoletto introduttivo, in cui faccio un riepilogo delle dinamiche precedenti, qualora uno dovesse perdere il filo. La storia è un noir e, quindi, presenta molti collegamenti. Ma adesso veniamo a noi...
JARRED, giardiniere dei WILSON, amante di ISABEL è stato brutalmente ucciso in giardino da un uomo dal volto coperto. LE INVESTIGAZIONI dell'agente segreto di ERIC hanno portato ad una possibile via: l'uomo era in attrito con ISABEL e chiedeva denaro in cambio del silenzio riguardo i loro trascorsi passionali. CHE SIA STATA LEI? CHE SIA QUALCUNO SUO ALLEATO? Chiaramente ERIC era stato incastrato, perchè è stata trovata la sua pistola sul luogo del crimine, qualcuno a loro vicino, forse.
KATE confessa a SARA che un uomo lo minacciava al telefono riguardo un segreto. CHE SIA STATO LUI?
SARA, dopo essersi trovata proprio di fronte al cadavere dell'uomo e agli occhi penetranti del killer, scagiona ERIC nonostante il ragazzo in precedenza si fosse insinuato in lei con prepotenza per via di uno stato di ebrezza. IN SEGUITO, riceve vari ammonimenti, dapprima nel bagno della festa, poi nella sua stanza, "NESSUNO DEVE SAPERE", PROPRIO NEL MENTRE Kate la invita a casa sua. CHI SARA' L'UOMO CHE MINACCIA SARA? LO STESSO UOMO CHE HA UCCISO JARRED E HA, POI, INCASTRATO ERIC?
Narratore onnisciente:
Il nulla regna sovrano e una sensazione di immobilità permane in questa stanza da letto così spoglia, semplice nel suo grezzo ed umile legno antico. La ragazza, dai lunghi capelli scuri e arruffati, schiude le sottili labbra in modo spasmodico, quasi fosse alla ricerca di ossigeno, come se le pesasse psicologicamente quell'armadio chiuso, privo anche del più piccolo spiraglio luminoso. I suoi denti sporgenti, il seno poco generoso che caratterizza il suo fisico esile, sembrano vibrare al suono dei suoi passi.
Lenti e cadenzati, decretano lo scorrere del tempo e l'arrivo della sua ora. Indicano il preludio di un verdetto doloroso e crudele, figlio di un destino spietato e misterioso. L'uomo, o meglio l'essere, che si è introdotto in casa sua minuti fa, è spavaldo, silenzioso, impavido e privo di pietà, una persona esperta, una persona che sa come muoversi e come stroncare vite. Una persona che conosce ogni spostamento dei Wilson. Sembra che stia passeggiando: il suo andamento trasmette una calma inquietante, ben conscio che la sua vittima è proprio qui, da qualche parte in questo piccolo appartamento, ben consapevole che non ha via di scampo. Le vibrazioni della paura si propagano in quella ragazza che, tremante, resta spiaccicata al legno dell'armadio.
Quella paura, che la paralizza e le impedisce di vivere, che può ucciderla ancor prima che lui, il sadico, trapassi il suo stomaco con un coltello... domina e dirige i movimenti della vittima, così impercettibili e sfuggenti alla sua stessa volontà.
Lei, come immobilizzata, ha perso la motilità del proprio corpo. Vorrebbe urlare a squarciagola, fuggire lontano, chiamare aiuto, ma niente esce dalla sua bocca. Si limita a stare ferma in quell'armadio saturo e soffocante, avvolta nel più assoluto silenzio, pregando Dio che tutto questo finisca al più presto, che l'uomo vada via, che la lasci andare o che la uccida senza dover subire atroci torture nel bel mezzo di suppliche disperate e isteriche.
Continua a respirare quell'aria innaturale, tesa, carica di un'emozione tanto sconosciuta quanto torbida:
"Il terrore".
In questo momento ricorda solo il suo nome: Kate. Tutto il resto è scomparso, ha perso ogni significato nell'istante in cui quell'essere incappucciato ha violato la sua privacy e lei è stata costretta a rinchiudersi in questo spazio ristretto, sperando che non la veda. Tra il buio e la luce più fioca che si infrange sul parquet, lei è in grado di discernere solo le suole delle sue scarpe che, consumate, dal colore verde pistacchio, incidono su di esso con una lentezza innaturale. Il rumore è continuo e il suo respiro è sempre più vicino, mentre la povera malcapitata, dal suo canto, afferra il coltello che in precedenza aveva sottratto dalla cucina, e sa quello che accadrà tra una frazione di secondi. Sa che dovrà fare qualcosa di folle e avventato, l'unica scelta possibile per fuggire. Tremolante, aumenta l'impugnatura su di esso, e...
Il cigolio dell'anta determina una galoppata forsennata ed improvvisa nel suo cuore. Ed eccolo qui, di fronte a lei: il diavolo.
Avviene tutto velocemente come se Kate non si trovasse in quel luogo: l'uomo, dal volto coperto con un passamontagna nero, la osserva, ma lei reagisce trapassandogli lo stomaco con la lama affilata. Inizia a correre guardandosi attorno per trovare una via di fuga. Il suo assalitore, dopo aver imprecato, si alza da terra e si appresta ad uscire dalla stanza, lo udisce. Non ha il tempo di pensare, non ha il tempo di ragionare, non ha il tempo di riflettere. Si fionda nel bagno e, in un tonfo, chiude a chiave la porta, per poi appoggiare la schiena ad essa. Avendone finalmente la possibilità, si concede profondi respiri, anche solo per pochi minuti, però sa che non è ancora finita. Lui è ancora qui, pronto a privarle del bene più prezioso che possiede: la vita. C'è una finestra, si spinge verso di essa, nonostante la sua altezza, ma... non si apre. Il respiro, ormai fuori controllo, esprime tutta l'ansia e la frustrazione di qualsiasi agnellino in gabbia.
< Toc toc >, il bussare alla porta delicato la fa sobbalzare.
< So che sei qui dentro > constata, mellifluo e crudele, fuori dal bagno, confermando le sue ansie.
Il rumore di un'ascia, che si abbatte violentemente su di essa, fa trasalire la ragazza che, arrivando a stringere l'arma, con cui lo ha ferito, prova dolore. Convulsamente inizia a dondolarsi dopo aver portato le gambe al petto, mentre il legno continua a frantumarsi, ogni secondo sempre di più. Infine, si forma un foro, da cui sbuca il suo viso coperto e gli occhi che, scuri e penetranti, la osservano follemente. Lei si alza repentinamente e si appoggia al muro adiacente alla zona assediata, vittima dei suoi attacchi violenti. Non abbandona neanche per un attimo la sua lama, stretta al petto come se fosse un tesoro. Nonostante il suo corpo e la sua presa su di essa vacilli, alla rottura definitiva della sua unica protezione, scatta velocemente sul suo braccio, riuscendo a ferirlo proprio lì. Il suo colpo va a segno e il maledetto cade a terra, in ginocchio. Lei, comprensibilmente, comincia a fuggire. Il suo cuore è più leggero, ben conscia che è sopravvissuta ad un incubo, ma...
Secca, spietata e cruenta, quella stessa ascia, che ha fatto in modo che lui sfondasse il legno del bagno... ora attraversa la sua pelle, ormai completamente rossa.
Qualcosa di terribilmente doloroso le penetra nello stomaco e nella schiena. La sua vista si offusca e l'unica cosa, che riesce a scorgere, è il mare di sangue che la circonda, il suo. Il suo corpo grava a terra e i suoi occhi, come spinti da una forza inarrestabile e pericolosa, si serrano, intrappolandola in un sonno eterno.
***
Pov Sara:
All'ennesimo suono del campanello, non ricevendo alcuna risposta, le mie dita premono sul citofono, nuovamente, ma questa volta sono intente a catturare l'attenzione di altre persone del condominio. A quanto pare, la mia idea dà i suoi frutti e il portone si apre. Con il cuore in gola, salgo velocemente le scale bianche. Arrivata al suo piano, pareti gialle e diverse porte scorrono davanti ai miei occhi, che sono perennemente spalancati al fine di scovare l'appartamento e il portone di Kate. Ma solamente uno di essi attira il mio interesse, in legno anch'esso e, spalancato, sembra quasi che mi attenda. Mi avvicino di soppiatto, quasi con timore, mentre diverse scosse attraversano la mia colonna vertebrale. La targhetta su di essa, con su scritto "Kate Sallivan", risplende di una luce giallastra, appartenente all'illuminazione che rischiara sul pianerottolo. Il lume che, ora, nel pieno dei filmini che incombono sulla mia testa, fa in modo che una sensazione di malessere al basso ventre si impadronisca di me e ne sia la causa. Mentre lentamente oltrepasso l'inquietante ingresso, diversi scenari creano una terribile consapevolezza...
-Le è successo qualcosa?-
Le tenebre della casa sembrano voler inghiottirmi e, infatti, le mie mani affusolate si precipitano subito sull'interruttore per dissipare questo buio. Non appena ciò avviene, un'immagine agghiacciante si para di fronte a me: il cadavere tumefatto di Kate giace a terra in un mare di sangue.
I suoi occhi sono sigillati, mentre... il suo volto, caratterizzato da un pallore innaturale, trasmette solo gelo; il suo esile fisico è supino a terra, in quel liquido viscoso e opaco, che macchia le sue braccia, il suo stomaco, le sue gambe, i suoi capelli e anche le mattonelle sottostanti, creando una pozza che ha l'odore della morte più crudele.
Strillo con tutto il fiato che ho in corpo, a tal punto da avvertire un'infiammazione all'altezza della gola. Essa è come se esplodesse, dei rigurgiti mi opprimono spingendo il mio organismo a rigettare tutto, anche l'anima. Inizio a sudare e tutto ciò, che c'è intorno a me, riprende a girare vorticosamente. Questa sensazione non mi abbandona mai, anche quando chiamo la polizia, anche quando hanno finito di farmi le regolari domande e posso tornare a casa, anche nelle seguenti ore sino alle prime luci dell'alba del mattino successivo.
***
Pov Eric:
All'impiedi, con un largo camice bianco a ricoprire la sua corporatura minuta e mingherlina, l'anziano farmacista mi scruta.
L'uomo in questione, la cui pelle è segnata da profondi solchi, segno dell'inevitabile invecchiamento cutaneo, schiocca la lingua, stufo della mia ennesima visita.
< Lei ha venduto questo farmaco senza prescrizione medica. Mia madre veniva solo alla sua farmacia; lei glielo ha dato > gli rammento per l'ennesima volta con tono grave.
< Sua madre non è venuta qui > mi informa, ma non so quanto ci sia di verità in queste sue parole.
< Allora chi? Chi è venuto qui quel giorno? > incalzo, ansioso e leggermente irritato, picchiettando le mani sul bancone della sua farmacia con impazienza e rabbia. Lui trasalisce, chiaramente spaventato dal mio impeto.
< Tante persone, e molte non le conosco > mi informa con voce sottile.
< Saprebbe identificarle? Saprebbe testimoniare alla questura di aver dispensato una sostanza stupefacente oppioide, alcaloide-analgesica e narcotica, per mia madre? > gli domando impavidamente, perché non mi interessa. Da quando quest'uomo è tornato qui per lavorare, mi si è presentata una seconda possibilità di far luce sul mistero che aleggia intorno alla morte di mia madre. Rotea gli occhi al cielo, per poi strabuzzarli nella mia direzione. Non sembra sia d'accordo e, infatti, non tarda a manifestare il suo più netto dissenso:
< Lei è pazzo! Dovrei dire alla polizia di aver dispensato un farmaco senza prescrizione ad una persona, che poi l'avrebbe data a sua madre? Finirei in carcere per aver dispensato, in dosi eccessive e senza prescrizione medica, sostanze stupefacenti! >
< Lei lo ha fatto, dottore. Sarebbe dire la verità e liberare la sua coscienza! > cerco di fare appello alla sua coscienza, sempre che ne abbia una. Lui sospira pesantemente posando una mano tra i suoi capelli brizzolati.
< Non avrei mai prescritto sostanze psicotrope senza ricetta! > insiste nel negare, ma io sono sicuro che è stato lui a darle quei farmaci, era il suo farmacista di fiducia d'altronde.
< Allora può spiegarmi come ci è finita mia madre in overdose dieci anni fa? Lei non assumeva oppioidi, ma assumeva benzodiazepine, perché aveva problemi di insonnia! > obbietto cercando di apparire imperscrutabile e inarrestabile.
< Gli oppioidi sono alcoloidi, anelgesici narcotici precisamente, derivati dalle foglie di oppio. Vengono usati per lenire il dolore fisico > mi spiega, ma non mi è nuovo quel che mi dice.
< Mia madre non aveva alcun dolore fisico. Dunque quelle sostanze a lei non traevano alcun giovamento e non aveva ragioni di assumerle quella notte > affermo con sicurezza.
< Senta, queste sue ipotesi... non deve porle a me, Eric. Io non so niente, dico davvero! Sono mesi, da quando sono tornato in città, che lei mi sta torturando con queste sue accuse velate nei confronti della mia etica morale e professionale! > esclama, ormai stufo del mio assedio continuo.
< Dottore, io ne sono convinto, lei ha dispensato quel farmaco in nero per conto di mia madre. Dovrebbe solo dirlo alla questura e dovrebbe riconoscere gli uomini che sono entrati in farmacia, ciò forse potrebbe riaprire il caso! > non demordo nel cercare di convincerlo a fare quel che è giusto.
< Non lo riaprirebbe, perché, anche supponendo che sia così, la persona, che ha ritirato il farmaco, potrebbe averlo fatto per conto di sua madre, per i suoi intenti suicidi. E io mi caccerei nei guai con la legge! > mi ricorda ancora, per la terza volta. Io mi discosto dal bancone e, nuovamente rigido, gli dò le spalle per andare via. Sull'uscio della farmacia, mi volto verso di lui, per ricordargli in una chiara minaccia:
< Va bene. Me ne vado, ma tornerò, dottore >, in seguito esco non potendo più far nulla, o almeno per ora.
***
I pensieri di quel giorno si susseguono nella mia testa ripetutamente anche adesso attraverso dei flashback improvvisi, seduto su questa comoda poltrona in pelle nera, con le gambe disposte sotto il lungo tavolo rettangolare da almeno sedici posti, anche quando dovrei pensare alla riunione che si terrà in azienda.
Il mio orologio segna le 08.00 am.
Mi soffermo a guardare il mio riflesso sul vetro nero della superficie su cui sono poggiate delle carte molto importanti. Anche questa spaziosa sala è nello stile asettico che caratterizza tutta l'azienda.
Vengo distratto dall'entrata di Kevin.
< A cosa pensi? > interrompe la quiete apparente che ci circonda.
< Al solito. Lo sai > alludo e, a giudicare dal modo in cui sbuffa, ha capito.
< Eric, so che per te è difficile da accettare, ma tua madre voleva togliersi la vita. Io capisco che tu per anni ti sia afferrato a qualsiasi cavillo che potesse smentire questa ipotesi, ma ormai sono passati 10 anni. Devi accettarlo, amico > tenta di farmi ragionare, ma io non ne voglio sapere:
< Kev, ci sono molte cose che non tornano, perché prendere in quella dose un oppioide e non le solite benzodiazepine? Perché mi aveva detto quelle parole sulla vita se voleva morire? Perché quella notte aveva ricevuto una visita? Da chi? Perché Eres la cuoca, unica presente, non sa chi fosse venuto a trovarla? Perché ha sentito solo la porta sbattere e non ha visto la persona? Perché, se voleva fare quel che ha fatto, aveva accettato visite un'ora prima del suicidio? > gli rivolgo una valanga di domande di fronte alle quali lui resta in un tacito dissenso, scuotendo il capo.
< Amico, il caso non sarà riaperto perché le tue sono illazioni, agli occhi di tutti è stato un suicidio in piena regola. Ora facciamo quello per cui siamo qui >, mi lascia un'affettuosa pacca sulla spalla.
< Parlando di altro. Dopo tante ore di discussione, tuo padre ha firmato la collaborazione con me, finalmente.
Sono il fornitore dei nuovi macchinari che saranno determinanti in questa nuova collezione > mi informa, impassibile. Io reagisco in modo imperscrutabile, poggiandomi allo schienale, ma l'ombra di un ghigno, impercettibile e accennato, fa capolinea sulle mie labbra. Almeno il resto sta andando come previsto.
Questo attimo, in cui posso assaporare il gusto piacevole della vittoria nei confronti di mio padre e di quell'arrampicatrice sociale, è effimero, e infatti...
Di soppiatto, ci raggiunge anche un altro uomo, vestito al medesimo modo.
Edward, il contabile dell'azienda.
Un uomo impeccabile in apparenza, ma che, come tutti, ha qualche scheletro nell'armadio risalente al periodo in cui stava faticosamente lottando per costruirsi un futuro lavorativo.
Mi scruta con sdegno e disgusto, ma quest'ultimo trova il modo di trasmetterlo anche con altri mezzi:
< Quel che lei ha fatto, per indurmi a falsificare i bilanci, dichiarando un reddito sbagliato e indurre erroneamente suo padre a credere di poter coprire quei costi di produzione, si chiama corruzione e frode >.
Io simulo un cipiglio di falso dispiacere.
< Oh... Edward, dopo quel che lei ha fatto in passato per conquistare questa posizione, vuole fare il moralista, proprio adesso? Questo suo moralismo è patetico > il mio timbro è mellifluo, sarcastico e quasi sprezzante.
< Lo sto facendo, perché lei mi ha ricattato. Non vado fiero del mio passato, ma lei sta distruggendo la sua stessa azienda, che andrà in deficit quando non potrà coprire i costi di produzione! > mi cantilena e tutto ciò sta diventando snervante.
-È snervante dover fingere, per tutto il tempo, un'indifferenza e invincibilità che non mi appartiene! Ma devo essere imperscrutabile, devo anticipare le sue mosse prima che lo faccia lui! Questo mi hanno insegnato, con alcune persone bisogna adottare questa tattica! -
< Non si preoccupi della mia azienda. Si preoccupi di quello che penserebbe la sua famiglia, se sapesse quante azioni illegali ha commesso... > lo minaccio direttamente, senza la minima insicurezza.
Lui distoglie lo sguardo dal mio in una manciata di secondi, per poi uscire col capo chino e io posso trarre un sospiro di sollievo.
< Adesso inizierà la fase due del piano, ti senti pronto? > mi chiede Kevin.
< Presto ciò che è di mio diritto, tutto questo, sarà mio anche legalmente e quella sanguisuga non potrà appropriarsene > realizzo con soddisfazione.
La segretaria, Nadia, perfettamente in ordine, ci raggiunge velocemente con una alquanto sconvolta Sara. Aggrotto le sopracciglia lasciando che qualche ruga solchi la mia fronte nel vedere la sua attuale condizione: le sue ciocche bionde cadono, scarmigliate, sulle spalle; il suo sguardo è perso nel vuoto, mentre le sue pupille, dal colore del caramello, sono dilatate.
< Io ho chiamato la polizia, io... lei... era... era lì, completa... > farfuglia singhiozzando. Non mi dà neanche il tempo di tirarmi sù, perchè le sue esili braccia, così bisognose, mi cingono la vita. Affonda la sua testa nel mio ampio petto, come se volesse essere protetta da me, come se temesse che qualcuno le faccia del male. Io resto interdetto e stranamente rigido. Kevin e Nadia ci osservano, accigliati. Io faccio segno ad entrambi di abbandonare la stanza e loro eseguono. Una volta soli, lei aumenta l'intensità della stretta.
-Deve esserle successo qualcosa, ma cosa! E' spaventata, come posso fare per indurla a raccontarmi tutto senza pressarla?-
Inaspettatamente interrompe la conversazione con me stesso:
< Ho ri-ricevuto un messaggio da Kate, ieri e... e sono andata da lei ieri, ma... lei era lì, completamente... mo-morta >, non è in grado di terminare il discorso, dal momento che scoppia in un pianto isterico. Impacciatamente sfioro il suo braccio per confortarla, anche se, a dirla tutta, non so cosa fare. Le offro un bicchiere d'acqua che lei non esita a portare alla bocca con avidità.
< Hai trovato Kate morta? > pongo una domanda legittima, ottenendo un debole assenso da parte sua.
< Hai chiamato la polizia ? >, annuisce nuovamente.
< Ora come stai ? So che è una domanda stupida > affermo e le sue labbra si incurvano in un leggero sghignazzo, per, successivamente, ritornare nel solito grigiore. Fa per andarsene, ma io la trattengo spingendola delicatamente verso di me.
< Puoi restare > sussurro soavemente a lei che si perde a fissarmi, chiaramente disorientata, sbattendo le ciglia. Senza dire altro, nelle ore successive, se ne sta qui, al mio fianco. Di tanto in tanto le sue pupille nocciola sono calamitate dalle mie che non riescono a reggere questo contatto visivo, reputandolo sin troppo intimo e profondo. Paradossalmente, adesso, quella rilassata tra noi è lei, invece io sono teso. Questa ragazza mi rende teso; infatti sto leggendo la stessa frase da almeno mezz'ora.
All'improvviso proferisce parola:
< Dopo che io e te... beh... insomma, hai capito... >, non le permetto di concludere la frase senza abbandonare il ghigno che accompagna il mio volto: < Noi due cosa? >.
< Smettila di prendermi in giro > esclama, ridendo e suscitando ilarità anche in me, successivamente si fa seria.
< A che gioco stai giocando, Eric? >
Pov Sara:
C'è qualcosa nel suo sguardo: un velo di tristezza e di insicurezza attraversa l'oceano dei suoi occhi, al contempo mi analizza, quasi a volermi leggere dentro. Prima con quella nostra discussione ho avvertito la stessa sensazione che avverto ora: è come se ci fossimo incontrati per la prima volta. Anche un cieco avrebbe notato la tensione nell'aria.
Mi ha, ormai, intrappolato in qualcosa di sconosciuto, qualcosa che mi fa paura, da cui non riuscirò più ad uscirne.
Tutto è diverso. Seppur non sappia spiegarmelo neanche io, è diverso: lui non mi bacia.
Il suo dorso seguita ad accarezzare il mio palmo.
< Di cosa parli? >
Deglutisco per poi confessargli la verità una volta per tutte:
< Dopo che io e te lo abbiamo fatto, mi hai trattato in quel modo... >, si frappone tra me e le mie parole sprezzanti, pregne di un dolore indescrivibile:
< Scusami se sono fuggito, ma ero sconvolto dal fatto che tu fossi vergine prima che noi lo facessimo >
La sua voce è flebile, ferma, ma le braccia, prese da uno strano movimento frenetico, ripongono con cura le carte sul tavolo.
< Beh, sì, lo ero, te l'ho detto che non avevo mai avuto un fidanzato, per me è qualcosa di importante >, le mie gote vanno letteralmente a fuoco.
E una strana emozione come la tenerezza permane sul suo viso: le sue pupille si dilatano immobilizzandomi davanti al suo sguardo ceruleo, la sua mascella abbandona la rigidità precedente a causa di un sorriso che irradia sulle sue labbra, incurvandole dolcemente e mettendo in evidenza le sue gote. Sembra intenerito da me, i suoi polpastrelli indugiano sui miei capelli, senza che lui stesso sia capace di realizzarlo.
< È molto dolce come cosa >
In seguito, si incupisce in un sorriso malinconico e di rammarico, scorgo pietà in lui.
< Non avresti dovuto farlo, Sara > mi dice, quasi esitante.
< Perché dici questo? Hai detto che ti piaccio... > sibillo lentamente.
Lui scompiglia i suoi ricci nervosamente.
< Sì, mi piaci, ma io ho molte cose a cui pensare, Sara. Cose serie. Non ho tempo da dedicare ad una donna >
-Perché queste parole hanno il potere di farmi sentire così male?-
< Cosa intendi? Io voglio aiutarti. Aiutarti con tua sorella > insinuo, ma lui non mi crede.
< Davvero? Vuoi stare con me clandestinamente? > si gongola con una strana felicità.
Una nuova luce sprigiona da lui.
< Sara tu mi piaci, mi fai stare bene, possiamo stare insieme, ma... >, lui è esitante, guidato da una sensazione prorompente, mentre farfuglia queste sillabe < Senza impegno >.
-Senza impegno... senza impegno? Senza impegno! Avrei dovuto aspettarmelo!-
Fissando un punto indefinito della stanza, non mi ritiro da questa conversazione.
< Io mi sono concessa, perché ti amo >
-Semplice, concisa, sintetica! Brava Sara!-
Abbassa la mascella, completamente sconvolto.
< Cosa? Io... > balbetta.
< Dì qualcosa! > incalzo, ansante e tesa.
< Cosa vuoi che ti dica? Che mi sento un vile per aver ceduto a te e non aver creduto alla tua purezza? Ebbene sì! Mi sento tale! Cambierebbe qualcosa? No! Saremmo sempre nemici! Presto tu e tua madre andrete via e il responsabile di tutto ciò sarò solo io! >, questo suo monologo è espresso da una voce graffiante e, al medesimo tempo, controllata.
< Perché diavolo non puoi accettare che mia madre ami tuo padre? Perché non puoi accettare l'amore che provo per te? >, alzo i toni, perché sono esausta.
< Perché sarebbe come rinunciare a tutto ciò in cui credo, perché tua madre non ama mio padre, svegliati Sara! > mi mostra delle foto sul giornale, foto di mia madre e Jarred. L'articolo è datato a ieri, mia madre è in braccio a quell'uomo. Le lacrime minacciano di sgorgare sulle mie guance, la mia vista si offusca diventando vitrea.
< No-non può es-sere. No... sei stato tu, vero? >
< Sì >
< E... cosa hai da dire per quello che hai fatto? > gli pongo questa domanda, ma temo fortemente la sua risposta.
< Non abbiamo nulla da dirci. Tu hai fatto la tua scelta. Hai scelto la tua famiglia, una relazione vera, e io la rispetto. Ma io ho fatto la mia, Sara >, la sua barriera di imperscrutabilità, lo riveste nuovamente, impedendo a chiunque di accedere alla sua anima.
< A volte penso che tu sia capace di fare qualsiasi cosa e ciò mi fa paura > constato con un tremore che mi impedisce di parlare fluidamente, che mi blocca il respiro.
< Perché lo hai fatto? > cantileno con voce e sguardo assente.
< Perché volevo che mio padre aprisse gli occhi > mi svela con nonchalance guardando di fronte a sé.
< Non so perché, ma non ti credo. Tu sei pieno di odio, non ami neanche il tuo stesso padre! >, sto perdendo il controllo, ne sono consapevole.
Eric fa per andare via, ma esita al suono di questa mia ultima confessione: < Mi hai mentito. Perché... ti sei avvicinato a me? >. Si gira completamente verso di me per ritornare indietro e abbrancare la mia schiena in una stretta ferrea.
< Hai ragione. Io non sono capace di amare neanche il mio stesso padre, non sono capace di dimenticare e sono in grado di fare qualsiasi cosa. Sei ancora in tempo per allontanarti da me, perché potrei farti molto male >
-Sputa parole su parole... parole che hanno l'effetto di tanti aghi sottopelle! Sa solo sputare parole! E io? Cosa faccio io ora?-
Il sapore salato delle mie lacrime inonda copiosamente la mia mascella, mentre la mia mente giunge ad una terribile verità, l'unica verità possibile, quella più devastante che travolge ogni cosa e mi fa sentire un essere ancora più insignificante e misero.
ANGOLETTO AUTRICE:
UN INIZIO che oserei definire decisamente ansiogeno e ben poco allegro per la povera Kate! Un uomo misterioso, entrato in casa sua, la uccide senza pietà e la ragazza non potrà più testimoniare alla polizia quanto ha sentito al telefono sulla discussione e le minacce ricevute dal suo ex fidanzato. "CHE SIANO COLLEGATE LE DUE COSE? CHE SIA LO STESSO UOMO, CHE HA UCCISO JARRED, AD AVER UCCISO LA RAGAZZA?"
Sara ha una grandissima abilità nel trovarsi nel luogo sbagliato e nel momento sbagliato. Eric, invece, ha l'incredibile capacità di procurarsi problemi. Ma... c'è sempre un ma... le sue illazioni non sono poi così fantasiose: il suicidio di sua madre fa acqua da tutte le parti. Riuscirà a dimostrare che è stato un avvelenamento? OVVIAMENTE di fronte alla dichiarazione pura e sincera di una disperata Sara come poteva rispondere? Le ha detto la verità.
PS: Spero vi sia piaciuta la scena leggermente thriller, perchè è ispirata (in una piccolissima parte) al celebre e intramontabile film horror "SHINING", ispirato a sua volta al bellissimo romanzo del grandissimo Stephen King.
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