Nessuno deve sapere parte1
Narratore onnisciente:
Il chiarore del sole illumina quasi completamente la stanza, al centro della quale è situato un letto a due piazze, la cui testiera è in ferro battuto e, con le sue sinuosità, sembra riproduca la forma di due vortici che si incontrano. Su di esso, testandone la morbidezza, è coricato Eric, coperto solo da un lenzuolo che, però, lascia ben intravedere il suo petto leggermente scultoreo. Se ne sta lì, immobile, apparentemente imperscrutabile, con un braccio disteso dietro il capo e l'altro intento a porre una sigaretta alla bocca. Frappone il filtro tra le sue labbra carnose inspirando ed espirando con sguardo assorto, creando una nuvola di fumo. Il gesto è ripetuto in modo meccanico, perché la sua mente sembra sia persa in altri luoghi inesplorati. Incurante di tutto ciò che succede attorno a sé, seguita a fissare il pallore del soffitto. L'orsacchiotto, che racchiude tra le mani un cuore su cui è scritto "Miss you", è stato gettato sul pavimento di marmo, vittima innocente della sua passione impetuosa. Lo osserva, ma non allunga alcun braccio per raccoglierlo. Stesso dicasi per i vestiti disordinati a terra.
Successivamente i suoi occhi si posano sulla zona circostante: le pareti sono caratterizzate da un rosa pallido, su di esso sono affissi dei quadri surreali, l'urlo di Edvard Munch e tante foto che ritraggono Sara con le trecce e l'apparecchio durante l'infanzia. Finalmente, si accorge dei due comodini in legno, collocati lateralmente al letto, su uno dei quali è riposta la brocca di vetro contenente dell'acqua, sull'altro è appoggiato il libro. La copertina presenta lo sfondo verde e bianco e raffigura in primo piano un tulipano bianco.
"Il Tulipano che fiorí tra la neve".
Distante di qualche metro, si trova un piccolo salottino costituito da 2 poltrone e un lungo divano a mezza isola in pelle bianca. Tra di essi, su un tappeto bianco e beige, è posizionato un tavolino di legno che presenta due gambe: una che, tesa, si poggia a terra; l'altra che, attorcigliata a sé, circonda la prima. Poco più avanti, investita interamente dal lume della stanza e dal leggero venticello che fa svolazzare la grande tenda bianca e le pagine dei libri, è situata la scrivania, anch'essa del medesimo materiale. I quaderni e i raccoglitori dei fogli sono disposti in modo disordinato sulla mensola inchiodata al muro. Lui resta nella sua barriera di imperscrutabilità, del tutto indifferente al vento che scompiglia i suoi ricci e alla ragazza che giace, ancora mezza nuda al suo fianco, reduce della notte, per così dire, dinamica che hanno vissuto. Quello stesso lenzuolo bianco, che accarezza lui, le ricopre il seno e l'intimità, lasciando in splendida vista la sua schiena nivea e delicata, che risplende, parzialmente illuminata dal filtrare dei raggi del sole.
I suoi lineamenti angelici sono rilassati e l'ombra di un sorriso accarezza le sue labbra serrate.
I lunghi capelli biondi sono sciolti e occupano in modo caotico tutto il cuscino, sul quale é posata una sua mano chiusa a pugno. Il suo respiro è regolare, come se, del tutto ignara degli ingranaggi nella mente di Eric, stesse facendo un bellissimo sogno. Invece, lui, indifferente a tutto ciò che lo circonda e a lei, consuma il filtro, per poi alzarsi e andare in bagno. Ha intenzione di concedersi una doccia ristoratrice che lo purifichi, dalla durata di 20 minuti. Venti minuti in cui, sottoposto al grondare di quell'acqua tiepida, pare che tutti i pensieri si scrollino via da lui, volontariamente.
***
Pov Sara:
Un brivido di freddo attraversa la mia schiena nuda e, automaticamente, i miei muscoli si contraggono cercando del calore. Qualcosa mi solletica il viso, causandomi non poco prurito.
-Accidenti,ma cosa diavolo...- esclama la me interiore, lasciando che la luce accechi la mia vista da poco ristabilita. Ancora avvezza del sonno, in pieno stato confusionale, il mio sguardo è catturato da qualsiasi particolare della stanza. Le uniche cose messe a fuoco ora sono: le pieghe delle lenzuola e delle coperte a terra e il vuoto lasciato accanto a me sul materasso.
Il letto disfatto è frutto di quel che è accaduto la scorsa notte. In un attimo l'immagine del misfatto mi assale: il ricordo di quelle sue labbra che mi baciavano con passione il collo, il seno e tutto il corpo.
Una ciocca dei miei capelli mi sta torturando. Mi guardo attorno e noto la luce, che irradia tutto ciò che mi circonda. La maniglia si muove e...
-È lui!! Che faccio?-
Già perfettamente vestito con una maglia bianca e dei jeans, che fasciano perfettamente le sue lunghe gambe, entra nella stanza con passo lento e cadenzato.
< Sei sveglia > constata, quasi apaticamente.
< Buongiorno! > non riesco a nascondere l'allegria nella mia voce.
-Sono così felice di vederlo!-
Lo amo, amo il suo sorriso, i suoi occhi quando trasmettono passione e malizia, quando trasmettono dolcezza e malinconia, adoro la sicurezza che trasuda in essi, la sua intelligenza e anche la sua ironia, adoro la dolcezza con cui mi ha baciato per farmi dimenticare il dolore che stavo vivendo durante la penetrazione. Anche appena desto, con la riccia e scompigliata chioma, adombrato da uno sguardo stanco, è bellissimo. Istintivamente mi alzo e, con una mano premuta al petto, mantengo ben saldo il lenzuolo intorno al mio corpo. Prima che lo realizzi io stessa, le mie braccia sono intorno alla sua vita, alla ricerca del calore che ormai sentono come proprio.
< Quando mi sono svegliata, ci ho messo molto tempo a capire dove mi trovassi, poi ho compreso che era tutto reale, che tu sei reale, che tutto ciò che è successo è stato reale > farfuglio dolcemente, mentre le mie labbra cercano le sue, ma non riescono nel loro obbiettivo: le sue braccia si articolano intorno alle mie braccia e mi spintonano delicatamente lontano da lui. Il movimento repentino fa cadere il lenzuolo a terra, ma ciò non mi preoccupa, perché qualcos'altro ottiene la mia attenzione. I suoi polpastrelli mi trattengono senza stringermi. La sua stretta non è dolce, non è intensa, trasuda la più assoluta apatia. Le sue dita si limitano a sfiorare il mio esile braccio, la cui pelle inizia ad accapponarsi. Mi scruta con...
-Indifferenza? -
Il suo sguardo è diverso, solo ora lo posso vedere: i suoi occhi blu sono gelidi come il ghiaccio. Le sue labbra carnose si schiudono, e io trasalisco. Il mio cuore incomincia a galoppare, in preda all'agitazione e alla speranza che lui possa dirmi le parole desiderate. Quelle stesse parole che ho tanto bramato, quelle due paroline magiche che possono sancire un legame indissolubile.
< Dovresti vestirti ora, fa freddo. Potrebbero tornare i nostri genitori e non sarebbe conveniente se ti trovassero in questo stato >, freddo, indifferente e apatico. Parla in modo lento e preciso, come se mi stesse riferendo le condizioni atmosferiche, mi guarda come se fossi un'estranea. È ancora impresso nella mente il calore dei nostri corpi, dei suoi affondi dentro di me, dei suoi baci roventi. Adesso è presente solo un gelo che mi paralizza.
Non riesco a realizzare ciò che sta accadendo.
Lui...
Avverto un rifiuto da parte sua. Come se le mie attenzioni lo infastidissero. All'improvviso, rendendomi conto che il mio corpo è completamente nudo, le mie gote si arrossano e le mie mani frettolosamente sistemano il lenzuolo, nuovamente, intorno al seno. Mi sento in imbarazzo, ma lui sembra essere completamente...
-Apatico!! Possibile che, da quando mi sono svegliata, riesca a percepire in lui solo apatia?-
Mi osserva con espressione atona.
< Ehm... sì... hai ragione, mi-mi ve-vesto ora >, i miei occhi, rivolti a terra, sono impegnati nella ricerca di un qualcosa, di un qualsiasi cosa che possa distogliere la mia attenzione dalla causa dello strano malessere che mi attraversa adesso: lui. Con nonchalance, mi sorpassa e si incammina verso l'uscio della porta. Tuttavia, arrivato lì, proprio nel momento in cui sta per aprirla, esita. I battiti del mio cuore continuano, incessantemente, la loro galoppata sfrenata. Nel frattempo, in una frazione di secondo, il caramello dei miei occhi viene gelato dal ghiaccio dei suoi.
< Sbrigati >, mi rammenta, sbrigativo, ma non percepisco la minima sfumatura di impazienza, non percepisco nulla. In questo momento è come se lui fosse privo di emozioni, agisce e dà aria alla bocca in modo meccanico, innaturale e vuoto.
Il suono della porta, che si chiude, mi fa trasalire. Mi vesto con la stessa meccanicità, senza neanche far caso a cosa sto indossando o ai capelli che, caoticamente, infastidiscono il mio viso. Ma la percepisco, l'ombra di una sensazione terribile mi si stringe al petto e mi opprime: il mio diaframma si muove affannosamente alla ricerca forsennata di quell'ossigeno che adesso sembra venire meno.
Si udiscono alcuni rumori provenire dal piano di sotto.
Sistemo le ciocche caotiche in un disordinato chignon e corro giù, rischiando di scivolare mentre il bianco delle pareti e il legno delle porte scorre velocemente. Metto quasi a repentaglio il mio equilibrio già precario, quando mi ritrovo in cima alla scala, sul punto di capitolare giù. Ma per fortuna il mio attuale stato emotivo non mi ha ancora privata del controllo degli arti inferiori. Raggiungo la cucina, ma...
< Sara, sei scesa, hai un aspetto... >, la voce sprezzante di mia madre si infrange in questo mio silenzio carico di tensione e mi fa rabbrividire. Lei e John sono tornati e mi stanno scrutando. Mi sento sotto esame.
< Ma-mamma siete tornati! > esclamo, agitata.
-Calma Sara,non balbettare!-
< Sara, cara, ciao! > mi dice John, stringendomi in un affettuoso abbraccio a cui io ricambio malamente. Mi lascia un tenero bacio sulla fronte.
< Hai un aspetto terribile. Si può sapere cosa hai fatto? > mi rivolge, mia madre, pungente.
Io guardo con la coda dell'occhio Eric, che ci scruta come se l'insinuazione non lo riguardasse.
Io non riesco a nascondere la tensione e l'ansia che mi divorano, spingendomi a muovere le mani in uno strofinio frenetico e quasi convulsivo.
< Nono! COSA... dovrei aver fatto? >
< Non lo so, hai quell'orribile pettinatura, una faccia stanca come se non avessi dormito questa notte; perciò ti chiedo cosa hai fatto > mi spiega. Le sue sopracciglia, tese verso il basso, permettono ai suoi occhi verdi, ridotti in due fessure, di restare inchiodati ad ogni centimetro del mio corpo
< Io... ho... studiato. Sì, proprio così. Studiato! > farfuglio. Mi sento così inadeguata, mi sembra che tutto il mio corpo urli il contrario di quello che gli ho detto: ho I muscoli molto tesi, gli occhi sbarrati dalla paura e sento mancarmi il respiro.
Mia madre mi guarda con disappunto e in parte sconsolata; infatti non tarda a manifestare il suo dissenso: < Sei fissata con questo studio, sempre la solita! >.
Incrocio lo sguardo divertito di Eric che mi fa un occhiolino.
-È impazzito! Vuole farsi scoprire? -
John rivolge parola ad Eric : < Noto con piacere che è tutto perfettamente in ordine! >, senza mancare di indirizzare la sua attenzione anche a me: < E tu cosa fai lì impalata? Vieni qui! Siediti >. Mi indica proprio il posto al fianco di suo figlio che si è già comodamente seduto. Con passi esitanti mi avvicino, ma, nel tentativo di piegarmi sullo sgabello, un dolore intenso proprio lì mi fa strabuzzare gli occhi. Il mio volto, seppur si sforzi di mantenere un'espressione distesa, è contratto in una smorfia di dolore di cui tutti si accorgono. Aggrottano le sopracciglia e schiudono le labbra, ma l'unica che effettivamente mi dice qualcosa è mia madre: < Cos'hai? Stai male? >.
< Ah, beh, sì... ho un leggero dolore, perché... ieri ho fatto palestra >, invento su due piedi.
Lei sbatte le ciglia per poi ridacchiare e borbottare tra sé e sé: < Tu che fai palestra, questa è bella! >.
< Noto con piacere che hai preparato la colazione a Sara! Finalmente andate d'accordo! > esclama con felicità a suo figlio che mi si avvicina, non riuscendo a trattenere un sogghigno mentre mi cinge la vita. Nella sua stretta delicata, io resto rigida e tesa come una corda di violino, come se fossi fatta di ghiaccio. Con l'aria di chi la sa lunga, informa suo padre: < Sì... io e Sara siamo diventati molto amici. Non è vero, sorellina? >, rimarca sull'ultima parola con enfasi, con sarcasmo e malizia.
Il suo braccio circonda le mie spalle e io non riesco ad evitare di guardarlo, del tutto sconvolta da questa sua rivelazione, di fronte alle espressioni sorridenti dei nostri genitori che credono realmente alle sue parole.
-Ma è possibile che non si accorgano che si sta prendendo gioco di loro? Possibile che non si accorgano che quel "sorellina" trasuda falsità da tutti i pori? Possibile che io sia l'unica a percepire la sua malizia? -
Fin dal primo giorno ha sempre negato completamente la possibilità che io e lui potessimo arrivare a considerarci come fratelli veri. Non capisco il motivo per cui abbia dovuto definirci tale, seppur l'abbia fatto con tono di beffa. Non capisco il perché abbia dovuto dirlo proprio ora, dopo che abbiamo fatto l'amore. Questo ragazzo è un mistero. Io sto tremando come una foglia e sento anche del leggero senso di colpa per quello che abbiamo fatto, lui invece...
Nulla lo smuove. Mentre i nostri genitori intavolano una conversazione sul loro viaggio, una strana e terribile consapevolezza si fa strada in me e scombussola il mio stomaco: la possibilità che questa situazione lo diverta.
-Accidenti! Se solo i nostri genitori sapessero! Altro che sorridere! Ci manderebbero in Asia, anzi costruirebbero, di nuovo e appositamente, i campi di sterminio del 1944 per noi, per torturarci! Questo ragazzo cambia umore continuamente: in precedenza era freddo e glaciale come un iceberg, ora è caloroso, dopo aver visto che i nostri genitori ci vedono come due fratellini!! Ha qualche serio problema! Quanto darei per sapere quello che pensa in questo momento...-
Come se nulla fosse, conclude la sua colazione e va via, senza dare la benché minima spiegazione. Le ore successive le trascorro disegnando, o almeno ci provo, perché il suo corpo, che incombeva sul mio, domina la mia testa.
Pov Eric:
Appoggio il gomito all'alto tavolino in ferro e, dopo aver guardato per l'ennesima volta l'orologio, mi sistemo meglio sullo sgabello.
-Kevin è in ritardo, come sempre!- mi sfugge un sogghigno, pensando che quel ragazzo non cambierà mai.
Non sapendo cos'altro fare nell'attesa, mi concentro sugli altri tavoli intorno a me e le persone che conversano e, di tanto in tanto, ridono tra di loro bevendo un buon caffè o mangiando dei pezzi di torta.
Una camminata frenetica cattura la mia attenzione: Kevin, a qualche passo da me, sorride a delle ragazze cinesi, distanti di qualche tavolo.
< Ma Salve-eee!> squittisce nella loro direzione con aria da pagliaccio.
Io simulo un colpo di tosse.
< Kev, è mai possibile che, ovunque tu vada, tu sia preso sempre da quell'ossessivo e perverso desiderio? > mi lamento con tono fintamente arrabbiato e, allo stesso tempo, rassegnato.
< Senti chi parla! Come se tu quando hai fatto quelle fantasie su Sara sognassi i suoi occhi >, scoppiamo a ridere sguaiatamente.
< Di fantasie ora resta ben poco > mi lascio andare ad un ghigno malizioso e...
-Non lo avessi mai fatto... -
< Cosaaa? Tu e la piccola... oddio! >, non gli dò il tempo di realizzare il tutto, perché mi alzo repentinamente e mi avvio verso il barista per prendere il caffè ordinato.
< Allora? > mi domanda con impazienza e un sorriso da bambino dopo avermi seguito fin lì.
< Allora cosa, Kevin? > faccio il finto tonto, perché so già dove vuole arrivare.
< Che mi dici? > domanda, esuberante, felice come una pasqua.
< Sto prendendo un caffè > lo informo, senza che l'ombra di un sorriso mi abbandoni. Mentre lui sbuffa roteando gli occhi al cielo.
< Oh andiamo! Sono sconvolto, allucinato, pietrificato! >
< Non c'è nulla di cui essere sconvolti. Siamo andati a letto insieme, punto. > concludo, impassibile.
< Sì, però... tra amici, sai come vanno queste cose... > mi rammenta ridacchiando.
< Ceerto. I dettagli! >, sogghigno per poi simulare un risolino falso con tono di beffa.
< Scordatelo! Parlare di una donna a letto è un atto vile e meschino > aggiungo successivamente, ritornando serio.
< E dai Eric! Non puoi lasciarmi così! Delle scopate si parla tra amici >, Bob lo guarda accigliato, non potendo evitare di sbattere le ciglia.
< Kevin! Abbassa la voce > gli ammonisco severamente, come se fossi suo padre.
< Oh, andiamo! Quello sarà in astinenza da sesso! > sentenzia senza pudore con un tono di voce così elevato che anche Dio, dall'alto dei cieli, sentirebbe il nostro discorso.
< Scusami? > non manca di rispondergli il malcapitato mentre io scuoto il capo.
< Lo scusi, sa Kevin ha problemi mentali! > ci scherzo su per spezzare questo momento di tensione e stranamente l'uomo sghignazza.
-Avrà capito che Kevin è un essere particolare? -
< E dai! Che stronzo! > si lamenta in modo infantile nel momento in cui ci disponiamo, nuovamente, al nostro tavolo.
Tiro fuori delle carte e il mio amico ritorna finalmente serio.
< Ecco i bilanci modificati. Potrai notare che Edward, il contabile, li ha cambiati. Creeranno l'illusione momentanea in mio padre di poter coprire i costi di produzione, anche i più elevati, ed è in quel momento che noi colpiremo, perché... > proferisco parola, ma lui mi interrompe sospirando: < Perché non sarà in grado di coprirli e, allora, la mia compagnia gli chiederà un approvvigionamento economico, alternativo >. Il tempo scorre, parlando di bilanci e di queste costose forniture che serviranno per la nuova collezione. Collezione che non ci sarà mai, anche se un pensiero si insinua nella mia mente, torturandola in modo martellante e continuo: il ricordo di quel sogno. Quell'immagine vivida e ricorrente che in queste notti mi ha accompagnato: il suo sorriso accennato, parte di un grande disegno che, nel pieno della mia fanciullezza, non ero in grado di comprendere a pieno. Quel sorriso che occultava tante verità agghiaccianti e che, al medesimo tempo, intendeva rassicurarmi, accompagnando le sue parole: < Vivremo una vita lontano dalle pressioni mediatiche e dalle umiliazioni pubbliche di tuo padre con la sua amante. Questo fardello non graverà più sulle nostre spalle, vedrai! >. Tutto questo mi ha riportato alla mente il dubbio che mi ha attanagliato per dieci lunghi anni.
- Come è possibile che mia madre, desiderosa di vivere felice con me e Rossella, si sia tolta la vita? Cosa può mai essere successo ad indurla a fare ciò? Cosa può aver minato le sue certezze? Possibile che sia arrivata alla conclusione che l'unica via di scampo fosse la morte, incurante del dolore che ci avrebbe consumati giorno dopo giorno? Eppure quelle maledette pillole... le ha prese, o almeno così ha rilevato la scientifica, ma siamo sicuri che le abbia prese volontariamente e non sia stata avvelenata? La cosa più assurda è che tutta la mia famiglia, compreso mio padre, hanno voluto chiudere il caso subito, confermando che lei fosse vittima di depressione! A volte penso che la grande famiglia Wilson sia una maledizione, sia la tana dei leoni. Leoni pronti a sbranarti! Leoni travestiti da agnelli! L'apoteosi dell'ipocrisia! -
***
Pov Sara:
Le lancette dell'orologio contro il muro segnano le 19:00.
Chiudo il portone di legno alle mie spalle, producendo un cigolio assordante. Il salotto è perfettamente uguale a come l'avevo lasciato: i divani e le poltrone in pelle situati in ordine nei salottini, i tavolini bianchi al centro, le vetrinette bianche in foglia d'argento situate lateralmente, i lampadari sfarzosi costituiti da cristalli pendenti. Mamma e John sono andati via, io ho fatto una passeggiata con Maria. Ma qualcosa di diverso richiama la mia attenzione: le vetrate, che danno sulla parte esterna della villa, sono spalancate. Proseguo nella loro direzione e, con un colpo secco, le chiudo in un tonfo.
-Perché le hanno lasciate aperte? Non sarà che... noo! Ma cosa vado a pensare! Sono paranoica! Sara azzera il cervello ansiogeno! -
Mi avvio verso la scalinata, ma un rumore, proveniente dalla porta sul retro, mi fa trasalire.
< C'è qualcuno? Mamma? John? Eric? Se ci sei, fatti vedere! > esclamo, ma non ricevo alcuna risposta. All'improvviso, come se ciò non bastasse, la luce salta, e il buio mi cattura completamente. Un brivido percorre interamente il mio corpo e mi fa accapponare la pelle, mentre mi dirigo verso il sottoscala della cucina.
L'incidere delle mie ciabatte sul pavimento scricchiolante di questa parte della casa mi infastidisce. Ho il cuore in gola dalla paura non appena mi ritrovo di fronte ad una porta in legno antico, consumata dal tempo, che dà un aspetto lugubre a questa zona nascosta della casa. La spalanco con una velocità così bassa da esprimere il mio attuale stato emotivo: il timore che ci sia qualcuno e che, da un momento all'altro, appaia e mi uccida. Le tenebre della stanza sono qui, di fronte a me, pare vogliano risucchiarmi; mi tolgono ogni respiro. Imbraccio la lanterna con il terrore nel cuore e le mani tremolanti. Questa piccola sorgente luminosa crea un contrasto di luci e ombre che mi consente di riconoscere le scale. Scendo con una lentezza inquietante, nel mentre il mio sguardo, come se fosse preda delle convulsioni, saetta da una parte all'altra. Le scale appaiono diroccate, maltrattate dal tempo: sicuramente questa zona della casa non è mai stata di grande interesse da parte dei Wilson. Infine, arrivata al fondo, sposto la lanterna, cercando di capire dove si trovi il contatore.
-Eccolo! Finalmente!- esulto mentalmente, ma la mia esuberanza viene sostituita immediatamente dallo sconcerto, constatando che non c'è alcun blackout: il riquadro riporta una situazione regolare.
-Ma come è possibile?-, un brivido intenso mi annebbia la vista nel momento in cui un'agghiacciante verità si infrange su tutto il mio essere...
I fili sono stati staccati.
-Oh mio Dio! C'è davvero qualcuno qui! -
Prima ancora che io possa realizzarlo, le gambe agiscono da sole e corro a perdifiato su. Nel pieno della corsa, una vibrazione sulla gamba mi fa sobbalzare. Un messaggio di Kate sul cellulare:
"Ho deciso di raccontare la verità alla polizia. Cosa ne diresti di venire con me domani? Ti aspetto a casa mia"
-Sì, ci andrò! Ma ora devo... de-devo...-
I bianchi corridoi del piano di sopra scorrono con grande rapidità, e mi fiondo letteralmente nella mia stanza. Ma qualcosa, che non mi aspettavo, ha cambiato irrimediabilmente la mia camera e, di conseguenza, anche me.
Una scritta misteriosa, avvolta nel colore agghiacciante del sangue, domina quasi interamente il rosa della parete solitamente spoglia di quadri, ritratti e foto. Questa terribile incisione richiama ai miei occhi lo sgorgare del sangue e della morte più crudele.
La lanterna inizia ad accendersi e spegnersi, per poi fare quest'ultima, definitivamente.
Afferro una candela dal mobiletto più vicino, e... con un accendino, dopo tre vani tentativi , finalmente infiamma. La fiamma è fioca e temo che da un momento all'altro mi abbandoni come la lanterna, ma ciononostante riesco a discernere la scritta che quasi lampeggia nel buio.
"Nessuno deve sapere"
Un urlo esce dalla mia bocca, privandomi della linfa vitale e di ogni energia. Nel frattempo il mio petto fa su e giù, oppresso da un movimento involontario, frenetico, ossessivo e incontrollabile. Le mie gambe pare siano fatte di gelatina, tremolano e io non sono in grado di fermarle.
Cedono.
La mia schiena aderisce bruscamente al muro, provocandomi non poco dolore, e il mio corpo grava rovinosamente a terra. Il marmo è così gelido. Le pareti oscillano in modo spasmodico, i miei occhi si chiudono da soli e in un secondo ...
Il buio.
ANGOLETTO AUTRICE:
Eccomi qui! Come vediamo in questo capitolo, nulla è risolto: se per Sara tutto è cambiato, per Eric tutto è rimasto invariato, o almeno apparentemente; lui è il solito ragazzo gelido. Nel frattempo la persona misteriosa, che perseguita Sara, seguita a minacciarla. "Nessuno deve sapere". È evidente che si riferisca alla morte di Jared e a quel che Sara ha visto. Quale credete sia il suo obbiettivo?
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