Minacce
Siamo qui, in questa sala di attesa da tante ore, da ben quattro giorni. Non riesco a quantificare il tempo, sembra che scorra inesorabilmente qui dentro. Noi siamo seduti su questa sedia impolverata ad attendere notizie di Eric.
Dopo che è svenuto, ho ritenuto necessario portarlo in ospedale. Sembra che non abbia contratto nessuna infezione al braccio. I muri dell'ospedale sono bianchi e inespressivi come questo silenzio. Tutto tace. John sembra abbia perso facoltà di parola, se ne sta a pochi passi da me con il viso pallido e lo sguardo pensieroso. Mia madre gli lascia delle carezze per confortarlo. Mi chiedo come debba sentirsi ora...
Tuttavia, non riesco a comprendere cosa lui provi: avvolto nel più ambiguo silenzio, la sua figura è immobile, senza che qualsiasi tipo di emozione possa tradire quell'imperscrutabilità che mi auguro sia apparente. Non capisco come lui possa mantenere la calma.
- Come riesce a non cadere vittima dell'ansia più logorante? Non dovrebbe sprofondare in un pianto isterico? -
I suoi occhi neri fissano, come pozze scure e impenetrabili, la parete dinnanzi a sè e la superficie leccata in bianco della porta, quasi desiderassero scoprire cosa si cela dietro di essa. La sua mascella, contratta in una linea dura, pare sia fatta di marmo. Le ciglia, le arcate sopraccigliari, la bocca serrata, la sua chioma brizzolata, la fronte priva di solchi... restano inchiodate nella più assoluta immobilità e staticità.
Nessuno sbattimento di ciglia, nessun tic nervoso di gambe e mani, niente di niente.
Apatia più assoluta.
Il suo rapporto con Eric era conflittuale, ma il dolore, che sta vivendo ora, annulla ogni cosa, eppure non sembra sia in grado di esternarlo.
L'atmosfera in questa stanza cambia quando giunge il dottore.
John, preso da uno strano impeto, si tira su, rivolgendo tutta l'attenzione al nuovo arrivato.
<< La ferita al braccio si è rivelata superficiale e siamo riusciti ad evitare infezioni al braccio, come le avevo in precedenza spiegato. Il coltello lo ha colpito solo di striscio. Dopo aver disinfettato con prontezza, gli anelgesici antiinfiammatori- somministrati nei giorni precedenti - hanno continuato - anche se in entità minore - ad esplicare la loro azione anelgesica e antiinfiammatoria, perchè hanno raggiunto l'emivita. Ora, a seguito ad una riduzione della concentrazione del farmaco in circolo, la situazione è sgtabile, il ragazzo sta bene, è sveglio e può concedersi un minimo di motilità, prestando attenzione. Il peggio è passato; ora vado a controllare che sia sveglio e vi dirò se potete vederlo >> ci informa. Subito dopo, con il camice svolazzante a causa dell'andatura veloce, rientra in stanza, socchiudendo leggermente la porta.
Poso la mia mano sulla spalla di John, cercando di infondergli un po' della mia speranza.
<< Si rimetterà, vedrai >> gli dico, mentre - avvolta da una flebile luce di speranza - accenno un sorriso nella sua direzione, al fine di rassicurarlo.
<< Vorrei andare in quella stanza, abbracciarlo e non lasciarlo più andare come quando era piccolo >>, mi confessa con rammarico. E finalmente, avverto la parvenza di una pallida emozione.
<< Lo farai >>, gli dice mia madre, quieta fino ad ora.
<< I tempi, in cui lui era un bambino in cerca di protezione, sono finiti. Sono successe troppe cose, e mio figlio mi odia. Ho commesso molti errori >> confessa - mesto - in un timbro di voce flebile.
<< Lo so, ma ora hai tutto il tempo per porvi rimedio >> lo rassicuro.
Una terza voce ci interrompe : << Signori, avete il mio lasciapassare, il paziente si è appena svegliato >>.
Il dottore ci lascia entrare. Il bianco delle pareti sembra esprima gli stessi sentimenti che trasmette l'espressione di Eric : indifferenza.
Non capisco come quel ragazzo riesca ad essere apparentemente privo di sentimenti. Se ne sta seduto su quel letto con l'espressione persa nel vuoto, le gambe piegate, le braccia sulle ginocchia. La maglia é bianca e i capelli ricci sono in disordine. Suo padre, straripante di un'improvvisa agitazione, con passo felpato, tenta di avvicinarglisi.
<< Sono... sono così contento che tu stia bene e sia vivo, Eric! >> non riesce a trattenere felicità nelle sue parole.
Il diretto interessato, sentendo tutto ciò, volge lo sguardo imperturbabile verso il suo vecchio.
<< Il dottore ha de-detto che stai bene, sa-sai ti ho portato que-questa maglia >> pronuncia senza evitare di balbettare, e in un attimo si fionda tra la sue braccia stringendolo forte a sè. Stranamente non oppone resistenza, quasi inerme tra di esse.
Ed eccolo. Si avverte un cambiamento: le sue labbra assumono una linea curva, impercettibile, quasi trattenuta. Io, in disparte, scruto la scena. John ha sicuramente capito la gravità dei suoi errori ed è disposto a tutto pur di porvi rimedio. L'abbraccio viene spezzato da Eric che sembra un bambino smarrito di fronte all'affetto sincero di suo padre. Solo ora si è reso conto di quello che sta accadendo: ha uno sguardo così vulnerabile. < Sto... bene... puoi andartene >, un suono incerto e vibrante pone fine al silenzio, trasmette una tacita domanda che tanto attanaglia tutti in questo momento.
- Un padre assente come John può diventare apprensivo e affettuoso? -
<< Eric, devi mangiare... sono venuto qui per assicurarmi che tu mangi, accetta dai! Non puoi morire di fame >>, obietta, il suo interlocutore, con una prorompente decisione.
Comincia ad imboccarlo.
Tra un boccone e l'altro, la sua voce giunge a noi : << Non credere che questo basti a farmi dimenticare >>, essa è forte e chiara, desiderosa di esprimere il suo diniego per quanto concerne il perdono.
<< So di aver commesso tanti errori, ma... non puoi capire quanto io mi sia pentito, ci sono molte cose che non sai di me e tua madre, tu... >>, ma l'accusato non demorde e prova a riaprire una questione archiviata, senza concedersi una sospensione vocale, espressione dell'ansia.
Il rumore del piatto in frantumi sul pavimento interrompe il discorso. Io sobbalzo a quel rumore. Eric lo ha scagliato a terra.
<< Ti ho permesso di darmi da mangiare, perché non ho ancora completa mobilità degli arti, ma non permetterti di nominare mia madre! Tu non sai niente, non sai la sofferenza che ho visto e vissuto! Tutto quello che stai facendo ora per me non è nulla, perché - quando lo necessitavamo - tu non c'eri, eri con quella donna! >>, scatta, velenoso e graffiante.
<< Non sai cosa vuol dire amare, non sai cosa vuol dire provare un sentimento travolgente, esso può spingerti a commettere molti errori, soprattutto se si è combattuti tra l'amore e la moralità >>
<< Intendi dire che stare con mia madre, la tua vera moglie, per te fosse un dovere? >>, l'imponenza furiosa dei suoi toni crolla su quest'ultima frase, quasi sussurrata e straripante di risentimento.
Un risentimento così grande, incontenibile e lacerante che non può essere espresso ed esternato. Unico mezzo per manifestarsi è un suono debole, tremante, quasi sordo.
<< Io volevo molto bene a tua madre, ma non ne ero innamorato, io... >>
<< Non. Dire. Un'altra. Parola. >> gracchia, digrignando i denti.
E' chiaro che sta ansimando nel tentativo di nascondere la rabbia. La verità per lui è inaccettabile. Il ghiaccio delle sue pupille, così piene di ira, si infrange su di me.
<< Cos'hai da guardare tu? Sarai contenta nel sentire queste rivelazioni! Il loro amore è nato distruggendo la vita di mia madre! Gioiscine, ma non pensare che con la tua aria da santarellina io ti permetta di prendere ciò che mi appartiene! >>, strilla, ansante e rabbioso.
La sua espressione, la sua alterigia, tutto è la mutua dimostrazione di una minaccia, diretta e impetuosa. Non volendo infierire dopo queste rivelazioni, apro la porta ed esco dalla camera. Sono esausta da tutto quello che è accaduto, da questa situazione spinosa con Eric. Mi appoggio al muro serrando - almeno per un attimo - gli occhi, e un sospiro di frustrazione preme per vibrare via da me.
Mangio un panino al volo, comprato al bar.
Sembra che tutto trasmetta tristezza in questo luogo asettico tra pareti bianche e sedie di plastica. Attraversato il corridoio, arrivo in un cortile dove alleggia un'aria più viva e spensierata: ci sono tanti bambini sorridenti, pieni di una felicità che contagia anche me per un breve arco di tempo. Poco distanti da loro, si trovano tavolini e panchine in ferro, su una delle quali scorgo proprio l'ultima persona che avrei voluto incontrare.
Eric.
Triste e malinconico, il giovane è intento a fissare qualcosa o meglio qualcuno: un bambino avvilito e solitario. Gli occhi del piccolo si illuminano di una nuova luce, vedendo arrivare un uomo che lo stringe forte a sé.
Mi siedo accanto a lui che sembra non accorgersi della mia presenza, preso com'è da quella vista. Il vento mi solletica il viso. Sembra quasi che mi culli, mentre mi rilassa.
<< Cosa ci fai qui? >>, stancamente, riflette decisione.
<< Sono venuta qui a prendere una boccata d'aria >> gli spiego.
Si volta a guardarmi in modo analitico.
<< E devi farlo proprio di fianco a me? >>
Le sue pupille sono fisse nelle mie, ciò mi fa sentire a disagio e abbasso lo sguardo.
<< Ehm... è vietato per caso? >> affermo, quasi titubante mentre contemplo il terreno.
-Non gli posso di certo dire che volevo fargli compagnia perché avevo capito il suo dolore nel vedere quel bambino-
<< Se si tratta di te, sì >> ribatte con una punta di leggera acidità.
Non so neanche il perché io provi ad aiutarlo, questo ragazzo non vuole che io lo faccia.
<< Sei sempre così aggressivo nei miei confronti >> esclamo sulla difensiva, chiaramente risentita.
<< Lo sono perché ti impicci di faccende che non ti riguardano >> mi rinfaccia, apro.
<< Io... io... non è vero, sto provando a tenderti la mano >>
<< Non voglio la tua mano, Sara >> rimarca.
<< Già la mia mano ti repelle vero, tutto di me ti repelle. Mi spieghi perché mi odi così tanto? >> alzo I toni, non ne posso più di questo suo atteggiamento. I nostri genitori si sono sposati e non dico che debba volermi bene, ma può provare ad andare d'accordo con me.
<< Io non ti odio, mi infastidisce la tua presenza costante, mi infastidisce che tu cerchi di essermi amica, quando sai benissimo che ciò non avverrà mai e lo hai capito perfettamente prima, ma stai facendo la finta tonta e nel frattempo ti insinui nella mia casa, nella mia famiglia, nella mia vita >> mi illustra, come se mi stesse parlando di una cosa di scarsa importanza.
<< IO. NON. STO. CERCANDO. DI RUBARTI NULLA! È così difficile per te accettare che qualcuno faccia qualcosa senza un secondo fine? Perché devi essere sempre così cinico? >> strillo, esasperata.
<< Perché è l'unico modo che ho per non farmi trovare impreparato di fronte a potenziali nemici, l'unico modo che ho di psicoanalizzarli senza lasciarmi ingannare dalle apparenze >>
<< Io sarei un potenziale nemico? >> gli domando.
Aggrotto le bionde sopracciglia, totalmente allibita dai suoi discorsi assurdi e deliranti.
<< Tua madre è stata l'amante di mio padre per anni, ha distrutto il matrimonio dei miei genitori e la mia famiglia, siete venute a vivere in casa mia, quindi, per quanto ne so, sì, potresti esserlo >>
Questo suo modo di pensare crea in me una sensazione all'altezza dello stomaco, perché so che questo ragazzo, per quanto irritante e indisponente sia, ha ragione. Non so veramente cosa dirgli, mi limito a rispondere quello che penso: < Hai ragione, però io non sono mia madre, non mi conosci, non puoi giudicarmi, io non c'entro nulla con il passato dei nostri genitori >.
Il ghiacciaio, racchiuso tra le sue palpebre, è fisso nel caramello dei miei occhi, alla ricerca della verità.
<< Sì, è vero, ma proprio perché non ti conosco, non posso fidarmi di te, per quanto ne so potresti essere un'arrampicatrice sociale e gatta morta come lei >> mi risponde con diffidenza. Quando parlo con questo ragazzo ho sempre la sensazione di andare in guerra, di dover alzare la bandiera bianca.
<< Va bene va bene, però possiamo provare a stipulare un armistizio? >>
Ridacchia scuotendo la testa, sicuramente a causa dell'assurdità delle mie parole. Io rincaro la dose: << Proprio così! Armistizio! Ogni volta che parlo con te mi sembra di star facendo la guerra e non ridere >>.
Replica con ironia: << E cosa ti aspetti che facciamo? Andiamo, non ti aspetterai che giochiamo a fare i bravi fratellini... IMPOSSIBILE >>.
<< Secondo me una sorella come me ti piacerebbe, ti farei dei dolci per addolcire il tuo carattere, ci guadagneresti eh >>, insinuo scherzosamente mentre sghignazza.
<< No perché, semplicemente, non sei mia sorella. La faccenda delle famiglie allargate è da sempre una pagliacciata. In una famiglia vera neanche i legami di sangue servono a volte per creare un rapporto idilliaco, figuriamoci quelli che non sono di sangue... >>
Mi soffermo nel pesare queste parole e in parte concordo, ma ne sta facendo un discorso troppo generico.
<< Hai ragione, ma non è detto. Sei troppo cinico >>
<< Ognuno è fatto a suo modo >> mi risponde semplicemente.
-È vero! Eppure sono convinta che ci sia altro sotto! Lui non è come vuole dare a vedere! Sono convinta che nel profondo racchiuda molto- penso, mentre mi soffermo un po' troppo ad osservare il suo sguardo rivolto ai bambini che giocano.
<< Io so che è solo una corazza, so che qui dentro c'è un cuore che batte e che soffre, l'ho visto dal modo in cui guardavi quel bambino >>, il mio dito indica il suo cuore. Lui seguita nel fissare un punto indefinito del parco, al contempo - con voce atona- proferisce: < Lui non c'era mai per me, per mia madre, ero come quel bambino, ero così patetico che credevo che prima o poi mio padre mi avrebbe mostrato anche un piccolo gesto di affetto, quel gesto non è arrivato mai >.
<< Beh... ora tuo padre è un altro uomo e siete ancora in tempo >>
<< Già, peccato che quel bambino non esista più >> tronca il discorso e, senza darmi il tempo di replicare, si alza lasciandomi sola, persa nei miei pensieri..
Cammino, cammino e cammino. Le parole di Eric eccheggiano nella mente mentre percorro il cortile per rientrare.
Ha perso ogni speranza. Se solo si lasciasse andare, potrebbe stare meglio. Sono convinta che quel bambino sia ancora vivo dentro di lui. C'è qualcosa nel suo sguardo: un amore trattenuto e tanta paura di lasciarsi andare ad esso.
Capisco il suo desiderio di essere amato da suo padre, la stessa volontà che ho io da sempre verso mia madre. Deve riconciliarsi con lui, solo così potrà ritrovare la pace.
Percorro il parco e rientro dentro.
Non ne comprendo neanche io la ragione, ma... eccomi di nuovo qui, di fronte a questa porta, la porta della sua stanza.
Un respiro affannoso, quasi ansioso esce dalla mia bocca. Una voce che conosco fin troppo bene ormai, mi fa sobbalzare.
<< So che ho corso rischi, ma sai che dovevo! Ho tutto sotto controllo! >>
Eric sta parlando con qualcuno e rimarca le ultime parole come se volesse convincere questo qualcuno di quel che afferma.
<< Ti ha quasi fatto fuori.Fai quel vuoi,ci rinuncio! >> risponde lui esasperato
<< Bravo, ora pensa a quello che ti ho detto e non parlarne con nessuno >>
<< Farò come vuoi, anche se rischi la vita >>
Il mio cuore prende a battere più velocemente al suono di quelle parole.
-In quale guaio si sta cacciando Eric? -
Lui non sembra minimamente percepire il pericolo, perché scoppia in una fragorosa risata.
<< Sei il solito melodrammatico! Sta' tranquillo! >>
<< E tu sei il solito incosciente, troppo sicuro di te stesso, non ti basta quello che ti hanno fatto! Ma fa' quel che vuoi! Ora vado, prima che il mio cervello esploda per convincere un testardo come te! >>
Non appena è uscito, entro senza neanche chiedere il permesso.
Lui si volta verso di me, sorpreso di trovarmi qui.
Il suo sguardo ritorna imperscrutabile mentre mi chiede :
<< Cosa ci fai ancora qui? Credevo te ne fossi andata >>
Sospiro cercando di farmi coraggio e gli confesso la verità con voce decisa e agitata:
<< Ho ascoltato quel che hai detto a quel ragazzo che è appena uscito. Ho capito che questo te lo hanno fatto delle persone, dei delinquenti, mi spieghi perché non sei andato dalla polizia, mi spieghi perché... >> le mie dita indicano la cicatrice sul suo braccio.
Le sue mani, che premono velocemente sulle mie labbra, arrestano il mio straparlare agitato. Le sento sulle mie spalle, mi spingono contro la porta. Infine, per concludere in bellezza il film horror della mia testa, si posano sulle mie braccia allo scopo di braccarmi.
Sento il suo respiro.
Non siamo mai stati così vicini.
<< Se ti azzardi a dire un'altra parola te ne faccio pentire, nessuno lo sa e deve continuare ad essere così >> il suo tono, calmo e minaccioso, interrompe quella tensione che si era creata tra noi.
Inizio a respirare in modo agitato.
<< La-lasciami... ho capito... mi spieghi in quale guaio ti-ti sei cacciato? >> biascico. Lui risponde velocemente:
<< Non sono affari tuoi! >>
Stringe le mie braccia in modo eccessivo causandomi non poco dolore.
<< La-lasciami! Mi-mi fai male! >> mi lamento sofferente.
<< Non ti lascio, se prima non mi prometti che non lo dirai a nessuno! >>
<< Sì... ma.. mi... stai facendo male! >>
In quel momento I suoi occhi finalmente abbandonano i miei sofferenti e si posano sulle mie braccia; leggo in essi un'emozione diversa. Mi lascia rapidamente e si allontana come se fosse scottato da me.
Sembra sorpreso dalle sue stesse azioni, come se non si fosse reso conto in quel momento di quel che stava facendo. Io inizio a messaggiare le parti lese cercando di far passare il dolore, che la sua presa mi ha procurato.
<< Non c'è nulla da sapere, ma non ti è dato saperlo, sono questioni personali >>
Io, senza dire nulla, gli dò le spalle. Voglio andarmene ma la sua voce...
<< Sara... >>
Trae un profondo sospiro e sembra che stia per dirmi qualcosa che pesa un macigno.
<< Non volevo farti del male o alzare le mani su di te >>
Non riesco ad evitare di nascondere un sorriso divertito.
<< Ti stai scusando per caso? >> gli chiedo ironicamente
<< Non le chiamerei proprio scuse, ma se ti fa piacere definirle tale, fa' pure. Sto solo cercando di dirti che non voglio farti del male, ma non metterti in mezzo alle mie faccende ficcanasando, perché in quel caso sì, potrei farti male sul serio e non parlo di dolore fisico >>
Di fronte alle sue parole minacciose e il suo sguardo arrabbiato, vado via lasciandolo solo.
Per oggi ne ho abbastanza di Eric e dei suoi misteri.
POV Eric:
Quella ficcanaso se n'è andata, finalmente posso sospirare e pensare a quello che devo fare, è veramente ficcanaso e inopportuna. Domani verrà il commissario, Jason e gli dirò quel che ho scoperto. Non riesco ad aspettare, vorrei vedere ora la faccia della mia matrigna di fronte al commissario quando muoverà l'accusa contro di lei.
Mi fa ancora un po' male il braccio, ma inizio a sentire sempre meno dolore, come se fossi in una campana di vetro. La vista é offuscata. I miei occhi stanno per chiudersi da soli. In questo stato di trance tra la veglia e il sonno che mi accoglie tra le sue braccia, si udisce un rumore.
Una porta si apre, la mia.
Alle mie orecchie giunge il suono dell'incidere delle scarpe sul pavimento della mia stanza, lento e condensato. Riconosco quelle scarpe : appartengono a...
<< Come te la passi ragazzo? Ti è piaciuto il mio avvertimento? >> la sua voce beffarda mi ricorda qualcuno, è lui, l'uomo che mi ha fatto questa ferita al braccio, lo scagnozzo dell'assassino misterioso. La sua immagine è confusa, ma la sua voce posso ricoboscerla, non potrei mai dimenticarla.
Cerco di alzarmi, ma le forze vengono meno, è come se fossi anarcotizzato.
-Che sia stata l'infermiera? -
L'immagine del suo ghigno è offuscata, la vedo avvicinarsi a me, vorrei allontanarmi, difendermi, ma non riesco a muovermi.
Il mio cuore sembra voglia esplodermi nel petto, il mio corpo è scosso da brividi.
Lui è sempre più vicino, alza una mano, istintivamente serro gli occhi non potendo fare nient'altro in questo momento. Inaspettatamente posa il suo palmo così ruvido sulla mia testa e la accarezza.
<< Ritieniti fortunato bamboccio, non è arrivata la tua ora, ordini del capo >>
<< Co-cosaah? >> farfuglio sofferente.
<< Proprio così, hai salva la vita, tuttavia dovrai tacere. Se non lo farai, a pagarne le conseguenze sarai prima tu e in seguito lei, la ragazza che accudisci segretamente in quella casa >>
Il suono delle sue parole fa nascere in me una sensazione che mi annienta.
-NON POSSONO TOCCARE LEI! NON POSSONO! -
<< Vo-voi... come? >> mi agito tentando di muovermi ma il mio corpo è paralizzato.
<< Ricorda che lui sa tutto, ogni tuo spostamento, non sfidarlo, perché è capace di tutto >> mi sussurra per poi andare via e io mi abbandono completamente ad un altro mondo, quello dei sogni.
Non so neanche quante ore siano passate. Mi sembra ne siano trascorse poche, quando apro lentamente gli occhi. Avverto un senso di spossatezza, come se mi fosse passato un tram sopra. Non riesco a dimenticare quanto successo quella notte al molo. Stavo tornando a casa a piedi. Era una stradina scura e non volava neanche una mosca. Le sue mani mi afferrarono, cercando di strangolarmi ma, facendo pressioni sulle braccia, riuscii a respingerlo. Capii subito che era lui, che non ero riuscito ad intimorirlo, gli assestai un sonoro pugno, ma in un attimo mi ritrovai per terra, con la schiena adiacente ad essa. Quel maledetto mi puntò una pistola alla tempia, assestandogli un calcio nelle parti basse, mi permise di avere la meglio. Aveva commesso l'errore di distrarsi. Inevitabilmente venni ferito al braccio sinistro, ricordo ancora il dolore lancinante che provai. Lui non poté continuare l'opera, perché si sentí un rumore provenire da lontano. Mi intimò:
<< Sei fortunato, che ti serva di lezione! >>.
Contrariamente a quanto ho detto a Kevin, l'immagine di quella notte nella testa mi trasmette paura e ansia, ma non posso.
-Non devo arrendermi! Devo trovare un modo per...-
Il bussare alla porta mi fa trasalire.
<< Avanti >>
Jason, il commissario entra.
<< Buon giorno Eric, ho saputo di quello che le è successo, come sta? >>
<< Tutto bene commissario, l'erba cattiva non muore mai >> ironizzo. Si udisce la leggera risata dell'uomo. Mi risponde : < Adesso veniamo a noi, cosa voleva dirmi, quando mi ha chiesto un appuntamento giorni fa? >
<< Ah... sì, ricordo bene, intendevo dirle che sospetto che l'uomo che mi ha aggredito sia lo stesso uomo che ha ucciso Luana, quella donna >>
<< Come ha tratto questa conclusione? >>
<< La notte dell'omicidio di Luana vidi una persona aggirarsi nel giardino, la parte più distante dalla villa >>
<< Cosa stava facendo? >>
Ricordo ancora...
-Isabel stava discutendo animatamente con quell'uomo incappucciato! Ma...-
<< No, non ho idea di cosa facesse, è stato un attimo. Mi è sembrato sospetto perché indossava un cappuccio, nonostante quella notte facesse molto caldo, sembrava che ci stesse tenendo d'occhio, non so... >>
<< Saprebbe identificarlo? >>
La sua corporatura robusta è ben impressa nella mia mente.
<< No, il cappuccio copriva interamente il suo capo ed era di spalle >>
<< Altezza? >>
<< 1,80 direi >>
<< Come possono essere collegate le due vicende? >>
<< Credo che quella notte l'uomo mi abbia visto e quando mi ha attaccato, mi ha detto chiaramente di tacere >>
<< Lei crede che potesse avere una qualche relazione con qualcuno della sua famiglia? Potrebbe aver voluto aiutare la sua matrigna ad uscire da una situazione difficile con una donna che l'aveva minacciata il giorno delle nozze >>
<< Non lo so, forse si, ma è un'ipotesi >>
<< Lei crede a quanto detto da quella donna, la vittima intendo? >>
<< In parte sì , ma non la conoscevo quindi non so quanto ci fosse di vero in quello che aveva detto, non si sa se perseguitasse Sara per farla pagare a sua madre o per avere denaro in cambio, successivamente >>
<< Sara non ci ha detto la ragione dei dissapori tra le due donne, lei sa qualcosa? >>
<< Si, Sara me ne ha parlato..quella donna ha detto che sua madre e lei sono state delle prostitute in passato e Isabel la mia matrigna le aveva rubato l'uomo >>
<< Ah... quindi sarebbe stato un ottimo movente per Luana tentare di uccidere la signorina Sara. Se l'uomo quella notte era a casa sua per parlare con qualcuno, la prima indiziata è proprio la sua matrigna. Dovrò interrogare la servitù e nuovamente la signorina Sara e la signora Isabel >> conclude lui con aria pensierosa.
<< Bene, se non c'è altro... >>
<< Aspetti Eric, la richiamerò di nuovo a deporre, dovrà darmi altri particolari. È sicuro per ora di avermi detto tutto? >> la sua voce è sospettosa, come se avesse capito che non ho detto tutta la verità.
- Ma non posso, non posso dirgli la verità,devo proteggere lei!-
<< Sicuro >>
Jason mi saluta e poi va via, ciò mi permette di tirare un sospiro di sollievo e fare quel che devo.
FLASHBACK:
Sono le 05:00 del mattino,mentre percorro il viale di casa mia sento solo il silenzio. Mi accingo ad inserire le chiavi di casa nella toppa,ma un vociare mi distoglie dal mio obbiettivo. Sono dei bisbigli,come se questo qualcuno non voglia farsi sentire.Cerco di avvicinarmi di soppiatto al luogo da cui sento provenire queste voci.
Nel buio della notte vedo due figure...
In uno scatto mi sposto dietro il muretto distante qualche metro dai due. Ora posso scorgere qualcosa o meglio qualcuno...
-È Isabel! Sta parlando con un individuo incappucciato! Ma cosa... -
A giudicare dall'agitazione con cui gesticola sembra essere una conversazione abbastanza animata. Posso sentire chiaramente cosa dicono a questa distanza.
Isabel prosegue il suo discorso: < Ti rendi conto? Non ti ho mai chiesto di ucciderla,non avresti dovuto,se qualcuno dovesse averti visto... >
<< Mi assicurerò che chiunque abbia visto,non abbia più lingua per parlarne,sta' tranquilla e poi ora questi scrupoli di coscienza li reputo patetici,sai benissimo che se quella avesse parlato, avrebbe potuto distruggere tutti i nostri piani >> la voce della persona di spalle è maschile e viscida, da questa distanza non riesco a capire chi sia.
<< Lo so! Ma se qualcuno ti ha visto... >>
Queste parole suonano come un campanello d'allarme e mi fanno capire che si riferiscono proprio a lei,quella donna che aveva rapito Sara.
L'ha uccisa lui.
L'uomo misterioso le ammonisce con tono duro:
Non credevo che quella donna potesse arrivare ad uccidere pur di perseguire i suoi obbiettivi, mi chiedo quale sia il suo piano,però ora so cosa devo fare. Dopo essermi assicurato che sono andati via,varco la soglia di casa e con il sorriso stampato in volto raggiungo la mia camera,con un'unica consapevolezza: questa notte farò sogni tranquilli.
FINE FLASHABACK
Il ricordo di quella notte è un incentivo a perseguire il mio obbiettivo: questa registrazione può incastrare Isabel e l'uomo del mistero, ma non posso mostrarla ora, altrimenti quel maledetto farà del male a Rossella.
-Non possono! Non possono farle del male! Devo impedirglielo! Sono disposto a non incolparlo, pur di proteggerla! Loro sanno tutto! Devo agire al più presto, altrimenti questa volta è veramente finita!-
Pov Sara :
Sono stranamente tranquilla : sono seduta sul divano con il mio pigiamone a fiori, i capelli sono raccolti in uno chignon, mentre sono intenta a leggere un libro. Il mio adorato libro.
"Il Tulipano che fiorí tra la neve".
La vibrazione del divano in pelle mi distoglie dalla lettura. Ho ricevuto un messaggio: è Martin. Mi ha scritto un tenero messaggio. Le mie labbra si incurvano all'insù. Mi soffermo a guardare ciò che mi circonda e ancora non mi sembra possibile vivere in questo castello. Cerco di memorizzare ogni particolare per appurare che tutto sia rimasto come i giorni precedenti: l'atrio è sempre molto ampio e si intravedono una serie di salottini a sinistra in cui mi trovo io adesso. Ci sono dei mobili in legno che danno a questa casa un'aria rustica, i voluminosi lampadari sono sfarzosi, e presentano cristalli pendenti che le conferiscono un aspetto anche classico, le pareti sono bianche. I divani sono in pelle bianca con al centro un tavolino interamente in vetro che poggia sul tappeto shaggy bianco. Quest'ultimo insieme ai lampadari conferisce al salotto uno stile inglese. Le vetrate sono coperte da grandi tende, bianche anch'esse. Ci sono altre portrone e divanetti, del medesimo colore. Poco distante dal tavolino ci sono 3 credenze in vetro, massello, anch'esse del medesimo colore, nella parte inferiore sono caratterizzate da delle decorazioni in foglia d'argento. Se dovessi descrivere i colori predominanti in questa villa, direi bianco e marrone. Il marrone appartiene al legno degli infissi delle finestre e il legno delle porte. La camminata agitata di John fa non poco rumore e mi distrae, lo vedo, è agitato. Il suo sguardo è pensieroso mentre, a grosse falcate, percorre continuamente la distanza tra il divano e il tavolino su cui sono disposti gli alcolici. Il suo passo è frenetico, la sua mascella è rigida, gli occhi scuri sono ridotti in due fessure. Le sopracciglia si incurvano verso il basso, mentre lo spazio, che intercorre tra di esse, è solcato da una ruga. I suoi zigomi sono accentuati nonostante la presenza della barba palesemente incolta. La sua pelle presenta un pallore innaturale. Le sue labbra carnose si schiudono, quasi a voler dire qualcosa, ma... finiscono col mordicchiarsi le une con le altre, mentre stringe le nocche con un'intensità tale che temo si faccia male. Una mano si dispone sul pantalone nero classico che indossa per fare lo stesso movimento, e temo che possa ridurlo in brandelli. I suoi polpastrelli si posano sui bottoni della sua camicia bianca, snodano la gravatta grigia, per poi gettare quest'ultima sul divano in cui sono seduta. L'impeto di questo suo gesto mi fa sobbalzare per un attimo, ma sospirando, mi ostino a far finta di nulla. Il suono del suo telefono lo fa sobbalzare. Si precipita immediatamente a rispondere. La sua espressione cambia: si rabbuia.
<< Che succede caro? >> gli chiede mia madre.
<< Eric... lui... >> annaspa mentre ripone lentamente il telefono sul tavolino di legno. Il suo sguardo è perso nel vuoto.
<< Lui... cosa? >> incalzo.
Lui si volta verso di noi e finalmente proferisce parola: < Lui ha lasciato l'ospedale contro il parere dei medici e non si sa dove sia!! >
Questa notizia ci lascia tutti attoniti in un perenne stato di ansia.
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