Le ombre del passato parte 1
_DOVE ERAVAMO RIMASTI...
-Lara, ex amica di Isabel;
-Jarred, giardiniere dei Wilson, ex amante di Isabel (dopo varie minacce ricevute al telefono);
-Kate, ex fidanzata di Jarred (dopo aver confessato a Sara delle minacce e della sua intenzione di parlarne con la polizia);
Sono stati uccisi da un uomo coperto da un passamontagna, in combutta con Isabel; lo stesso uomo che ha minacciato Sara con la lugubre scritta "Nessuno deve sapere", in quanto testimone oculare dell'omicidio di Jarred.
Isabel, messa al corrente di queste scritte da una ignara Sara, si oppone al Killer che, però, suo malgrado, la tiene in pugno insieme ad altre persone coinvolte in questo giro.
Chi è in realtà?
Eric, infiltratosi con Jennifer e Jason ad una brisca clandestina dove di solito gioca lo scagnozzo del Killer che mesi fa aveva minacciato di attentare alla sua vita e a quella di Rossella, entra a contatto - con uno stratagemma - alla lista dei membri.
Una firma lampeggia, "W" che è il timrbro dei membri dell'azienda, la Wilson Group; l'uomo potrebbe essere uno di loro!
Rossella prosegue la sua farmacoterapia e le sue sedute di regressione ipnotiche con l'amato psichiatra.
Eric, accompagnato Samuel a casa di un'amica di quest'ultimo, incontra proprio Sara.
Pov Eric:
_"When I look into your eyes
I can see a love restrained
Quando guardo i tuoi occhi, riesco a scorgere un amore trattenuto
Cause nothin' lasts forever
And we both know hearts can change
And it's hard to hold a candle
In the cold November rain
Perché niente dura per sempre
Ed entrambi sappiamo che i cuori
Possono cambiare la rotta
Ed è difficile portare una candela
Nella fredda pioggia di Novembre"_
***
Così citava una canzone nel fitto e intenso scrosciare di una torbida pioggia, accompagnata da un tuono che squarciava il suolo. L'aria lugubre, malinconica e nostalgica di questo testo risuona al delicato tocco dei tasti di un pianoforte impolverato, congiunto ai violini dell'orchestra .
Il battere delle percussioni è lento, e - quasi ripetitivo - scandisce lo scorrere lento e incessante del tempo.
In quel momento, nei dieci minuti di quel video musicale, la musica rock e quella classica si incastrano in una perfetta armonia, in un connubio perfetto e tutto diventa arte.
Il caos diventa ordine.
Sebbene io non ne comprenda la ragione, adesso... con lo sguardo inchiodato alle sue pupille dal colore del caramello, non riesco a far a meno di pensare a quel testo che si intitola "November Rain".
- Perchè ho come il sentore che questa ragazzina, nonostante tutto ciò che ci attornia, è sincera? -
< Cosa? Mi prendi in giro? >, il suo timbro basso e impercettibile esita, ma mi riporta lontano dai pensieri sempre più contorti che la coinvolgono.
Una sua gamba - arretrata di un passo - la sospinge all'indietro, ma il braccio è rattrappito nella ferrea e prepotente morsa delle mie dita; ormai è impossibilitata dal fare ogni tipo di movimento.
Anche il suo respiro lo è.
E tutto ciò mi conferisce una sensazione di potere e dominio sulla situazione, su di lei e su quello che cerca di esercitare in me.
< Affatto! Non ti sto prendendo in giro. Ti sto dicendo la verità > affermo con sicurezza e tracotanza.
< Non capisco cosa te ne importi! > ribatte - fulminea - lei, con un marcato livore.
< Mi importa eccome! > mi trovo a controbattere.
< Perché? > mi pone un quesito di difficile risoluzione e - per un istante - boccheggio.
< Il perché non lo so. L'ho detto senza pensarci particolarmente! Non pondero tutto quel che dico! So solo che mi preme conoscere la verità > biascico con un velo di incertezza e rabbia.
Rabbia che, come sempre, questa ragazza col suo fare apparentemente innocente, col suo viso di bambina e con la sua lingua timida e a volte tagliente, è capace di suscitarmi, mettendomi in difficoltà.
< Io, invece, so solo che vorrei darti uno schiaffo, Eric. Pensa un po' > mi provoca con sarcasmo pungente. E non è da lei, o perlomeno non in condizioni normali.
E' arrabbiata, lo so.
< Bene. Avanti! Schiaffeggiami! > la incito, imperscrutabile e temerario. Giro il volto in modo tale da porre la mia guancia in prossimità del suo viso e delle sue mani.
La invito a seguire il suo istinto, d'altronde me lo merito.
< Cosa? Sei impazzito >, latita nel portare a termine i suoi propositi. Si allontana, ma io la agguanto dai polsi, in una stretta delicata e decisa.
La spintono leggermente verso di me.
< No. È quello che vuoi e me lo merito, no? Allora schiaffeggiami! Ti sfogherai >, la accosto ad un millimetro di distanza da me.
< Preferisco gli schiaffi alle lacrime. Non voglio vederti piangere, mi fai sentire un miserabile, Sara > aggiungo, al fine di esortarla, con una nota di malinconia ed esasperazione. Intanto lei sgrana gli occhi, ma nessuna parola esce dalla sua bocca, fatta eccezione per un suono strozzato, flebile e ansante.
< Nessun uomo merita queste lacrime, ancor meno uno come me. Non ne vale la pena > termino, sperando che capisca.
< Ma... > vacilla, senza smettere di fissarmi.
Il calpestio delle scarpe di Samuel sui mattoncini della casa ci fa trasalire.
< Scusate il ritardo, ragazzi, c'era un disordine che veramente... > prorompe, Samuel. Ma interrompe il suo discorso quando ci vede in questo stato, o meglio nota Sara. Immediatamente la raggiunge.
< Sara. Ma che succede qui? > le chiede.
< Niente, non è successo niente > minimizza. Con la coda dell'occhio, non mi sfugge la sua figura minuta, contrita, insicura e disorientata. Le sue labbra restano protese verso l'alto.
< Sono contenta che hai trovato il libro, scusami ma devo andare, le chiavi sono queste > aggiunge per poi andare in stanza di tutta fretta.
Mentre stiamo uscendo di casa, sento lo sguardo insistente di Samuel pungermi la schiena. Finalmente proferisce parola: < Adesso mi puoi spiegare cosa è successo? >.
< Niente, abbiamo discusso, roba da nulla > tronco il discorso.
< Sara stava piangendo, non mi sembra roba da nulla > insiste con consapevolezza.
< Io e lei siamo stati insieme > confesso, privo di qualsiasi inclinazione nella voce, totalmente imperturbabile, o almeno in apparenza.
< Beh... logico, vivevate nella stessa casa, normale che stavate nello stesso luogo > esordisce lui dopo alcuni minuti di silenzio.
< Non hai capito, siamo stati a letto insieme > chiarisco schiettamente.
Lui palesa il suo stupore battendo le ciglia bionde, mentre i ricci dal colore dell'oro a contatto con i raggi del sole fanno ombra ai suoi occhi cerulei. Esclama:
< Cosa? Ma tu non avevi detto che... ah, aspetta! Ora ho capito! Ti sei innamorato di lei, ma tra voi due è difficile, perché i vostri genitori sono sposati! >.
< Proprio così, è difficile, sarebbe uno scandalo, ma io non sono innamorato di lei, sono stato con lei per ripicca contro mio padre e sua madre >, l'intensità dei miei toni crolla in un sussurro, quasi come se me ne vergognassi e stentassi - io per primo - a crederci.
< Cosa? Ma come hai potuto... tu - una persona così sensibile al dolore altrui - fare una cosa simile? > mi rimprovera, stringendo le labbra in un cipiglio di sdegno.
< LO SO. OK? LO SO! Ma non puoi capire cosa provavo nel vedere quella donna avvinghiata a mio padre ogni giorno mentre mia madre... Non puoi capire cosa significasse per me accettare quella donna e sua figlia nella mia casa, mentre prendevano possesso di tutto ciò che è mio e che era appartenuto a mia madre e Ros. Lei è sua figlia! Scorre nelle sue vene lo stesso sangue di quella donna e, considerata la facilità con cui si è concessa a me, la mela non cade mai troppo lontana dall'albero! Questo mi ripetevo continuamente, questo credevo, anche se negli ultimi tempi... > gracchio con una frustrazione che - rabbiosamente - permea nelle mie parole; esse straripano come un fiume in pena < Adesso basta parlare di queste faccende, devo andare, sbrighiamoci! >.
Sull'uscio della porta in legno, posso finalmente respirare l'aria fresca della natura nel porticato che è speculare a tutte le case giallo canarino coperchiate da un tetto spiovente.
Il vibrare del cellulare nella tasca dei pantaloni preme per farsi udire...
_"Purtroppo dopo quella nostra soffiata sono tutti in allerta, e non possiamo abbassare la guardia. Ho dovuto giustificarmi col mio capo per quanto concerne il perché, in una missione, ho permesso ad un ragazzo che non è un poliziotto di infiltrarsi!"_
E' Jason.
Gli scrivo la mia risposta:
_" Lo so e le sono eternamente grato. Sono in debito, se non fosse intervenuto, ora non sarei qui. Io e Jennifer non saremmo vivi! Il suo intervento e quello della polizia è stato provvidenziale e lungimirante! La ringrazio commissario!"_ premo invio, riponendolo - successivamente - nella tasca.
Io e Samuel ci avviamo nella sua macchina rosso fiammante per pranzare insieme e discutere, ne abbiamo per tutta la giornata che volge al termine in men che non si dica.
Pov Rossella:
I miei passi lenti e cadenzati si infrangono sulla strada diroccata in una viottola scura.
Le mie gambe, seppur siano tremolanti, si muovono in una deambulazione frenetica.
L'aria fredda, che ha accompagnato l'imbrunire di alcune ore fa, mi entra sin nelle vene, pungente e paralizzante.
A tentoni, ansimante, proseguo e - al contempo - lo sguardo saetta da una parte all'altra.
Le case fatiscenti in un bianco sporco e gli infissi in un legno consumato dal tempo mi inducono a rabbrividire.
La luminosità fioca dei lampioni, che si oppone al buio della notte, crea un contrasto di luci e ombre.
-Devo sbrigarmi! Altrimenti mi troverà! - penso, ma proprio qualcosa, o meglio qualcuno, dietro di me, fa sentire la sua presenza prorompente e indesiderata.
-È lui! Oh no! -
Aumento l'andamento in una corsa forsennata e disperata, rischiando di strappare i miei jeans e la mia maglia gialla, svolazzante a causa degli spostamenti d'aria. Il cuore pulsa sin in gola. Essa brucia e un senso di oppressione al petto mi fa compagnia.
Continui e terrificanti brividi si scaricano sulla schiena al pensiero che possa essere lui, che possa raggiungermi, che possa braccarmi, che possa farmi del male ancora.
Mi sento afferrare, le sue unghie mi si conficcano nella pelle per non lasciarmi fuggire.
E infatti, non scorgo alcuna via di fuga, mentre lui- con la sua corporatura muscolosa, ricoperta interamente da tatuaggi alle braccia, in una maglia nera che raffigura un teschio - toreggia, forte e rabbioso, di fronte a me.
Raul.
I suoi occhi grigi sono sgranati e le iridi pare siano perse nel vuoto, come se non mi stesse realmente osservando.
I capelli lunghi all'altezza delle spalle sono scompigliati per via della corsa.
Le sue labbra si contraggono in un'espressione corrucciata.
< No-non vo-levo andarm-ene. Ti pr-rego, so-no stanca >, dei tremolii incontrollabili mi pervadono, ma lui resta indifferente; infatti l'angolo della bocca si solleva lievemente in un sorriso sinistro.
Ad un tratto, senza neanche darmene il tempo, una mano scatta cingendo rudemente il mio collo.
L'ossigeno viene meno e in una sequenza veloce sbatte la mia testa contro il muro, mantenendomi, però, ben inchiodata ad esso.
Annaspo per poter respirare, ma la stretta furiosa non me lo consente.
< Te lo avevo detto di non suonare, non davanti ai miei amici, non in quel momento! >, mi intima con voce graffiante che dopo diviene melliflua e serpentina < Mi dispiace, ho perso il controllo, ma vedi, io ti amo, Rossy. L'ho fatto perché ti amo. E per amore si fa di tutto >.
< Tu, tu mi hai picchiata, non mi piace che vi fate di quella roba e... ne ho abbastanza, lasciami andare Raul, ti prego! Come ci ritornerò a casa, adesso? > lo prego, singhiozzando.
< Potresti dire che sei caduta dalle scale. Loro non capirebbero il perché l'ho fatto. Ricorda che io sono l'unico, l'unico che c'è stato per te > indugia nel rendermi partecipe dei suoi deliri.
< I-io... ti-ti prego, Raul! La-lasciami, ti sco-ngiuro > Mi sbatte ripetutamente contro il muro, e un rivolo di sangue lampeggia sul mio viso, congiuntamente alle mie lacrime. Iracondo, digrignando i denti, sovrasta la mia voce e le mie intenzioni: < Non devi mai più disobbedirmi suonando e interrompendoci! Mi hai capito? Altrimenti sai cosa accade!! Non costringermi ad usare le maniere forti, di nuovo! >.
Annuisco, del tutto pietrificata e un dolore lancinante alla testa mi assale. La vista mi si offusca, anche la sua immagine assume contorni confusi e poco lineari.
Orbene lui possa constatare il mio attuale stato fisico, seguita a sogghignare, come se tutto ciò fosse normale. < Tu puoi non farti, ma noi sì, lo sai che la rivendiamo anche! È un metodo di guadagno! Chi ce la vende è un pezzo forte! E no-non capisci, no-non sai, noi ne abbiamo bisogno! BI-SO-GNO! Come aria. Aria, proprio così! Come ossigeno! Se no-non ci facciamo, rischiamo di impazzire! Tu-tu non sei nel giro e non lo sai! Che ne sai! Sei solo una bambina viziata! > strepita, graffiante, vomitando parole su parole che si contrappongono - le une alle altre - ad un ritmo accellerato, euforico, rabbioso.
Mi ghermisce dai capelli e una minaccia velenosa, in un tono stridulo, rieccheggia nelle mie orecchie sanguinanti:
< Non mi intralciare altrimenti te ne faccio pentire! >, molla la presa e i miei arti inferiori cedono.
Il mio sedere grava sul terreno.
Ma all'improvviso, tutto ciò che mi circonda si otembra.
Mi sollevo rapidamente, ritrovando il mio corpo seduto sulla maca.
-Era solo un sogno, o meglio ricordo! Da quando ho ricordato questo aneddoto, mi perseguita anche nei sogni! -
Percorso l'immenso giardino che si estende tra i tanti alberi, oltrepasso la soglia del portone principale.
Intenta ad attraversare a grandi falcate i salottini adornati da divani in pelle bianca, tavolini in vetro e credenze in foglia d'argento, ho la mente sgombra.
Al mio passaggio, i cristalli pendenti dei lampadari oscillano di poco.
Mi precipito sull'enorme scalinata in marmo, situata centralmente.
Le pareti, altrettanto bianche, dei corridoi e il legno delle porte del piano di sopra scorrono in un istante.
Varcando l'uscio della mia stanza, mi blocco.
Mi tranquillizza scoprire chi se ne sta comodamente seduto sul mio letto a due piazze, con il capo poggiato sul ferro battuto della testiera e le braccia conserte.
Samuel, sempre bello, rigido e gentile, anche se queste circostanze non sono proprio dimostrazione di grande professionalità.
Ciononostante, lui mantiene sempre il controllo, non si scompone mai, quasi fosse fatto di cera o marmo.
Una cosa mi preme sapere, più di tutte che riporta a galla una conversazione precedente: < Come fai a sapere cosa è successo quella notte? Tu lo sai? >
< No, io non so niente. È solo una tua sensazione, fallace >, si ferma, perso in chissà quali pensieri. Sta ponderando le parole successive.
< Adesso hai ricordato quanto è accaduto, ma manca un tassello, ossia quanto successo qualche ora dopo, poco prima dell'incidente, cosa lo ha causato. Ci arriveremo! > mi rassicura in una lieve carezza.
< Ora dormi > mi intima, per poi alzarsi.
***
Pov Sara:
23:00 pm, riporta lo schermo del mio cellulare.
Corrucciata, in un tacito dissenso lascio che l'oscillazione dell'auto mi culli, fin quando non inchioda.
Mia madre si volta con sdegno.
< La smetti di fare i capricci? Hai 18 anni, tra 4 mesi ne avrai 19, non 5 > interrompe il silenzio carico di elettricità.
Esce dall'auto, encheggia mostrando il suo corpo sinuoso fasciato da un vestito celeste.
La seguo a ruota.
La sua espressione muta: il suo labbro roseo si incurva in un ghigno malizioso.
< Non vuoi venire in questa nuova casa di fianco alla loro, perché non vuoi vedere Eric. Beh...sappi che dovrai farlo lo stesso, chissà... magari io conquisto il padre e tu il figlio > insinua.
< Eric non è John, Eric mi odia! Eric ci odia! > gracchio.
< Saretta mia, ma devo insegnarti tutto? Devi sedurlo lentamente! Fagli due moine ed è fatta >
< Eric, non si lascia sedurre da due moine! Neanche se gli facessi la casa di cioccolato di Hensel e Gretel, lui mi noterebbe! E lui adora i dolci! > le faccio presente con veemenza. La mia vista si focalizza sulla villetta, non dissimile a quella di papà: ha il tetto spiovente come la sua e i portoni in legno. Ubica proprio di fronte quella dei Wilson, ma non c'è alcun metro di paragone con la loro, perché è molto più piccola, non presenta due piani, non è fornita di un grande giardino, però in compenso ha una piccola piscina.
-Ma le fanno con lo stampino? - appuro in una conversazione silenziosa con me stessa.
Tuttavia - non posso far a meno di constatarlo - il colore si presenta diverso, di un rosa antico.
I mobili sono gli stessi, perché - a quanto pare - papà li ha trasferiti da un'altra sua precedente casa a questa, che - con l'ausilio della pensione dei nonni - aveva comprato già da un po' di tempo, in vista del nostro imminente trasferimento.
Mia madre ride sguaiatamente
< E tu, per conquistarlo, gli regaleresti un dolce? Ma non ti ho insegnato nulla? È mai possibile che tu sia una stupida come tuo padre? Vi fidate sempre degli altri, fin troppo! E non ci sapete fare! > mi attacca, e io mi concedo profondi respiri per non sbottare, anche se vorrei.
-Dio solo sa quanto vorrei! -
< Ad ogni modo, sai che non potevamo restare con lui, siamo separati da anni e non possiamo di certo giocare a fare la famiglia del mulino bianco, ora > mi rammenta cinicqmente e io sbuffo.
< Questo, però, non ti autorizza a costringermi a venire a vivere con te, mamma. Potevo restare con papà > contrattacco in quella che ormai è una guerra.
< E lasciarmi sola? Io sono tua madre, e tuo padre è sempre in viaggio per quel suo insulso lavoro di fotografo! >, dal modo in cui lo dice, anche un sordo capirebbe quanta antipatia nutre per mio padre.
Sta dicendo il falso, perché - anche quando viaggiava - mi portava con sé.
Non mi ha mai abbandonato, lui. E' stato sempre una figura costante nella mia vita.
-Bene! Signore e signori la partita è in pareggio, palla al centro! -
< E comunque, è stato un errore! Tra me e John le cose non andavano bene, ma adesso ho capito che è lui l'uomo che amo! > conclude, sognante.
< Certo, come no! E quando lo avresti capito? Prima o dopo essere andata a letto con un altro uomo? > le canzono con una punta di sarcasmo pungente.
< NON FARE LA SANTARELLINA! TU NON MI PARE CHE ABBIA GIOCATO A CARTE CON SUO FIGLIO IN CAMERA ! Scommetto che sono bastate due paroline per sedurti > strilla.
Stufa di questo acceso e logorante diverbio, caccio con poca grazia le valigie dal bagagliaio della sua auto.
Questa verità per me è terribile e anche se una parte di me sa che corrisponde alla realtà, non posso accettarla.
Cammino, senza neanche sapere dove, pur di non ascoltare il veleno che sputa dalla bocca. Lei mi segue mentre ghigna.
- Se non fosse mia madre, non so cosa le farei, se solo potessi, vorrei darle uno schiaffo! -
< Questa forse è l'occasione giusta per conquistarlo una volta per tutte >
Mi volto verso di lei, mentre le le lacrime scendono copiosamente sul mio viso.
La mia voce è flebile, mentre pronuncio a stento: < Io non voglio conquistarlo! Non sono come te! So rinunciare! >.
Come da programma, gli interni sono identici: papà ha l'ossessione per i doppioni.
Le pareti sono investite da una luce biancastra, ma non portano alcun quadretto o foto affisse su di esse.
I mobili in legno massello sono posizionati nel salotto ben più spazioso del precedente.
Ad occhio direi che sono 120 metri quadrati.
I divani marroni, rivestiti di un tessuto sfoderabile, occupano gran parte dell'umile soggiorno. Di tavolino ce n'è solo uno, del medesimo materiale dei mobili.
Trascino le valigie lungo il corridoio sino a giungere nella mia stanza: piccola, calda e accogliente nel suo giallo limone.
Mi soffermo su questo nuovo luogo: un letto ad una piazza senza testiera, due comodini - del medesimo materiale dei mobili in soggiorno- posizionati ai lati, un tappeto marrone a coprire parte del parquet.
Lascio i bagagli a stagnare, perché ci penserò domani.
Il sonno annebbia ogni mia capacità cognitiva e meccanicamente indosso un pigiama arancione, permettendo che la trapunta mi copra interamente.
***
L'indomani il rumore della sveglia, così intenso e massacrante, mi tortura. Alla terza volta che mi perfora le orecchie, mi decido ad alzarmi e spegnere quell'aggeggio infernale.
-Accidenti! Perché diavolo vi hanno inventate?! Per distruggere l'apparato uditivo della gente?-
Mi vesto di tutta fretta con un costume due pezzi, un maglione il doppio della mia taglia che è lungo sino alle cosce, ha un'allegra immagine di scooby doo, ho sempre adorato quel cartone, forse perché trovavo troppo divertente il cane che in un modo più buffo dell'altro riusciva sempre a svelare i casi peggiori. Al di sotto della maglia indosso dei jeans. Mentre penso a quanto io faccia pena a livello di vestuario e che, quindi, un giorno sarò la stilista dei mendicanti, mi sistemo i capelli biondi in uno chignon disordinato. La mia immagine allo specchio è, come direbbe mia madre, orribile: le mie occhiaie solcano la pelle cadaverica, sottosatante ai miei occhi nocciola che sono incavati.
Potrei essere la perfetta moglie di Dracula.
Esco in giardino, ho bisogno di prendere una boccata d'aria fresca e di respirare.
-Almeno una cosa positiva da questo trasferimento c'è- penso, denudandomi.
La mia pelle nivea, sotto l'irraggiamento del sole, risplende, venendo ricoperta solo nelle parti intime dal costume blu.
Mi rilasso a mollo nella piccola piscina.
Uscita da essa, friziono i miei lunghi capelli biondi, grondanti di acqua.
Il costume, essendo gremito di acqua, aderisce pienamente al mio esile seno e al mio piccolo sedere.
Mi copro immediatamente con un telo da spiaggia, lasciando - comunque - in bella vista le mie spalle, le mie braccia e le mie ginocchia dalla cute lattea.
Il caramello nelle mie pupille, intriso di alcune striature rossastre a causa del bagno, esplicita lo sguardo che si perde, completamente estasiato dall'immensità del prato circostante.
< Non pensavo avessimo dei nuovi vicini... > una voce, che conosco fin troppo bene, interrompe la mia quiete. Per un attimo vorrei non voltarmi, chiudere gli occhi e sperare che non si tratti di lui. Ma so che ciò non servirebbe, lui non scomparirebbe con un colpo di bacchetta magica, purtroppo.
< Ciao > rispondo in modo criptico, nel frattempo indietreggio instintivamente.
< Noto che ti sei ambientata perfettamente qui > mentre il suo sguardo penetrante e malizioso vaga su tutto il mio corpo e si sofferma un po' troppo sulle mie gambe parzialmente in bella vista.
Incurva un angolo della bocca in un sogghigno quasi trattenuto.
Per mia somma sfortuna mi rende partecipe dei suoi pensieri perversi:
< Un abbigliamento davvero in.te.re.ssa.nte >, il timbro della sua voce è caldo, e ciò la rende soave, soprattutto sull'ultima parola soffiata con palese malizia.
Le mie gote infiammano; chino il capo, rivolgendo ogni mia attenzione ai mattoncini grigi.
< Cosa te ne... importa? E smettila di guardarmi, alt-rimenti ti ca-vo gli occhi > biascico, vibrante e pulsante di palese agitazione, ma non farei paura neanche ad un bambino. Con il fiato corto proseguo: < Adesso, se vuoi scusarmi, devo andare! >.
Cerco di sgusciare via da lui, che ha messo radici di fianco a me. Ma lui non è della mia stessa idea, dal momento che distende un braccio dinnanzi a me, poggiando il palmo della mano proprio sul muretto.
Tento la fuga girandomi verso la parte di strada che non mi ha sbarrato. Le mie gambe si affrettano, ma... l'altro suo braccio, precedentemente lasciato a penzoloni, si inchioda a quel maledetto muretto.
< Non così in fretta, io e te abbiamo qualcosa di cui parlare >
Sono intrappolata tra quella superficie fredda e il suo corpo, così pericolosamente vicino.
Il suo sguardo brucia su tutta la mia figura, senza alcun pudore o timidezza.
Brama ogni centimetro del mio corpo con desiderio.
< Non c'è necessità di questo eccessivo pudore, ho già visto tutto > mi rammenta, ammiccante.
< Cosa vuoi, Eric? > gracchio sulla difensiva, incrociando le braccia al petto. Non sono in vena della sue provocazioni, non dopo tutto quello che ci siamo detti.
< Dicevo... avete pensato bene di ambientarvi in una casa di fianco la nostra. Proprio quelle che si definiscono le coincidenze della vita >
Riconosco la sua usuale ironia caustica e il suo sorriso di scherno.
< Già... proprio una coincidenza > abbasso lo sguardo, perché non riesco a reggere il suo. Non sono in grado di mentire con maestria, lo si percepisce dal mio imbarazzo. Lui continua a guardarmi in modo intenso. Vorrei sprofondare, perché so che ha capito.
-Chissà quale idea si è fatto di me...-
< So anche il perché, lo sappiamo entrambi cosa vuole tua madre. Quello che si dice il grande amore... > insinua malignamente con ironia.
< Si, lei non si arrende, glielo ho detto più volte > confesso ad un soffio dal suo viso.
< E così, è ritornata all'ovile, ma guarda che ironia la vita >
< Già... > cerco di concludere questo discorso imbarazzante.
Questa situazione è troppo scomoda per me, non posso dirgli nulla, perché so che è la verità. Devo andare via, non voglio più trovarmi di fronte a lui e il suo sguardo inquisitorio, ancor meno, ora svestita così, è troppo per me.
< E tu? Cosa vuoi tu? > le sue pupille di giaccio mi penetrano, come se volessero leggere ogni mio pensiero.
La mia voce e la mia espressione di apparente calma vacillano: < Nulla >.
< Ma lo so cosa pensi di me, risparmiatelo! > mi affretto a dirgli, tagliente. Ed è più forte di me, non riesco ad evitare di guardare il terreno, tutto pur di non scrutarlo in questo istante. Lui mi studia, pensieroso, come se stesse valutando se credermi o no.
Le mie gambe prendono vita desiderose di allontanarsi da lui, ma...
Il suo braccio circonda il mio polso. Sento una forza che mi spinge verso di lui, e mi scontro con il suo petto, mio malgrado. Mi scruta con una tale intensità che...
Infine, proferisce parola: < Stranamente non ho pensato nulla, la nostra ultima conversazione mi ha permesso di rivalutarti. Mi odi, vero? >
Il mio cuore accellera.
< Questo non ha più alcuna importanza, ora > farfuglio, agitata.
Le sue labbra ricurvano all'insù.
< Voglio saperlo, invece >
Il suo cipiglio diventa accigliato. Deve essere sorpreso da quanto gli ho detto e da quanto ha pronunciato lui in questo istante.
Approfittando del suo disorientamento, mi divincolo da lui.
-Ho bisogno di aria! -
< La realtà è che non ho alcun interesse verso di te e non ti odio, mi fai pena! > enfatizzo su ogni sillaba, completamente adirata.
Un sorriso canzonatorio minaccia di spuntare sui miei lineamenti.
Avanzo lentamente verso di lui, che se ne sta lì, immobile, intento a fissarmi.
Lo posso notare: aggrotta la fronte.
A pochi centimetri di distanza, lo sfido.
Eyes to eyes.
Muro contro muro.
La mia volontà contro la sua.
Le mie labbra accostano alla sua guancia, e lui trattiene il fiato per un istante.
Le mie dita si articolano intorno alla sua camicia bianca, stringendola con forza tale da provocargli una scossa.
La sento.
Il petto inizia a fare su e giù freneticamente.
La mia bocca si sposta a pochi millimetri di fronte alla sua, così carnosa.
< Non eri tu quello disinteressato a me? Cos'è? Vuoi che ti baci? >, lo provoco, per poi strofinare dolcemente il mio naso con il suo. Il suo fiato soffia sulle mie, sempre più vicine, ma...
Proprio nell'istante in cui i suoi occhi si socchiudono.
La mia bocca si accosta al suo orecchio:
< Peccato per te che io non sia interessata, a baciarti >, e lo respingo, per poi allontanarmi.
Pov Rossella:
Un cerotto aderisce alla mia fronte per coprire il rivolo di sangue che mi ha provocato quella bestia di Raul qualche ora fa.
La stessa bestia che, denudata, sta incombendo sul mio corpo.
Penetra la fessura della mia intimità con violenza.
Urla, schiamazzi, suppliche, lacrime non servono a nulla, non lo frenano.
Assesto dei pugni sul petto per far in modo che si stacchi, ma anche questo è inutile.
Il mio respiro è tremante, affaticato, come se si stesse spegnendo ad ogni suo terribile e spietato affondo.
Il dolore è lancinante.
Lacera proprio lì, come se un martello pneumatico si stesse abbattendo. Un dolore così viscerale che offusca tutto ciò che mi circonda, come una spada che mi trafigge sino alla colonna vertebrale. Tutto perde colore: lo spazio in questa macchina assume tonalità in un chiaro-scuro, in un contrasto di luci e ombre, in bianco e nero.
Credo che sia arrivata la mia ora, non può esistere un dolore peggiore di questo.
Dopo tanto strillare, giungo ad un'unica conclusione: nulla può fermarlo, lui è più forte.
Entra ed esce incessantemente ed è come se mi tagliasse in due.
Ad un tratto, finalmente, la tortura ha una fine.
In questo istante, sui sedili scuri, completamente nudo mi fissa.
Io, raggomitolata e tremante, con l'intimità pulsante, mi dondolo.
Stringo sempre più le gambe al petto, imbrattate di sangue, il mio.
Successivamente, l'auto in cui mi trovo, l'aperta campagna in cui abbiamo stazionato, scompaiono.
Il mio corpo, imperlato di una moltitudine di goccioline di sudore, fasciato da una camicia da notte in seta, si tira su a sedere, poggiando la testa contro la spalliera del letto.
E l'immagine vivida di quanto è accaduto quella notte, poco prima dell'incidente, tortura la mia mente, di nuovo, come allora.
Rammento ancora le sue mani ripugnanti e indesiderate sul mio corpo, la mia voce sgraziata implorarlo di lasciarmi e quel dolore nauseabondo. Al ricordo un coniato di vomito mi pervade, così intenso e terrificante, e ora ne ho piena consapevolezza: non potrò mai dimenticare lui, l'essere che mi ha distrutto la vita.
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