L'omicida parte 2


Pov Sara: (Flashback)

**Ci sono situazioni che sei capace di resettare, ma alcune restano sempre lì, nei meandri più nascosti della tua testa. Una di queste è sicuramente il modo in cui Eric sgrana gli occhi dando una completa visione del ghiaccio che li caratterizza, mentre delle rughe attraversano la sua fronte costituita da un insolito pallore. Lui, stranamente, non proferisce parola, è come se stentasse a credere a tutto quello che sta accadendo. Se ne sta qui, nel salotto, a qualche metro di distanza dalla vetrinetta bianca in fiore d'argento. Noi, di fronte ai divani bianchi, guardiamo la scena, inermi. L'unico che, giustamente, sembra sia del tutto indifferente alla vicenda è Jason che se ne sta di fronte a lui, intento ad assicurarsi che la presa intorno ai suoi polsi non consenta ad Eric anche la più piccola via di fuga, desideroso di intrappolarlo in una cella sudicia e fredda. John, come svegliatosi da un terribile incubo, dopo aver sbattuto le ciglia nere per l'ennesima volta, digrigna i denti, riduce i suoi grandi occhi scuri in due fessure e una ruga solca le spazio che intercorre tra le sue sopracciglia, ora ricurve. Morde le sue labbra carnose mentre la sua mascella, ricoperta da una leggera linea di barba, si contrae, rendendo i lineamenti del suo viso molto più marcati. Stringe le sue nocche con una forza tale che temo si faccia del male, avanzando lentamente verso l'uomo che sta togliendo la libertà a suo figlio. Un figlio che lui ha tanto faticato per avere a fianco a sé oggi, un figlio che lui stesso ha distrutto e annientato in passato, un ragazzo che è pur sempre suo figlio e lo sarà sempre, qualunque cosa sia accaduta in passato. In un attimo é come se io sentissi che l'ossigeno è venuto meno. Il tavolino bianco in vetro di fronte, le gambe, che lo reggono, attorcigliate l'una all'altra... a me sembrano oscillare e... in preda ad un forte giramento di testa, prosciugata di ogni energia, lascio che il mio dolce peso gravi sul divano. Il freddo della pelle mi fa trasalire per un attimo, ma non è abbastanza fredda per indurmi a trovare la forza di sorreggermi sulle mie stesse gambe.

< Sta scherzando, spero! Mentre lei ammanettava mio figlio come se fosse un assassino, ho rimurginato sulle sue parole e per un secondo ho creduto che lei stesse vivamente scherzando, ma ora noto che è fottutamente serio! Quello che ha detto non ha senso! Noi siamo una famiglia, Eric e Sara sono... loro è come se fossero fratelli! Quel che lei dice, è assurdo! Non si permetta di offendere ancora una volta questa famiglia. Inoltre come si permette di accusare un ragazzo, pur non avendo uno straccio di prova! > strilla John, con una vena pulsante sulla fronte, il viso in fiamme e il petto all'infuori, proteso nella direzione di Jason che lo osserva impassibile. Fa un altro passo verso il commissario e, dal modo in cui ha stretto le mani a pugno, lo vedo... vuole colpirlo, ma le dita di mia madre, intorno al suo polso, bloccano ogni sua intenzione. Lui, dal suo canto, tira un profondo respiro senza distogliere, neanche per un attimo, lo sguardo da lui.

< Io sto facendo il mio lavoro. Suo figlio è il primo indiziato e, in quanto padrone della pistola, è in stato di fermo. Tuttavia ci sono delle indagini; perciò, stia tranquillo, se suo figlio è innocente, le indagini lo

dimostreranno > gli risponde pacatamente, per poi portare via Eric.

Lo sbattere del portone principale mi fa sobbalzare e mi ricorda che tutto questo è realtà. Gli occhi di John, che infiammano sulla mia figura goffamente seduta, mi fanno rabbrividere. A grosse falcate si avvicina a me.

< Adesso mi spieghi cos'è questa storia tra te e mio figlio! > mi intima con tono perentorio.

< Sara, tutto questo sarebbe uno scandalo per la nostra famiglia! > interviene mia madre, ma il suo timbro di voce è controllato e indifferente a differenza di John.

< Tra me ed Eric non c'è nulla. C'è il rapporto di sempre, ci punzecchiamo continuamente e non ci sopportiamo, tutto qui! >. I loro sguardi, dapprima sospettosi, in seguito distesi e rilassati al suono delle mie parole, sono indelebili nella mia mente.** (Fine flashaback)

Da quel momento nulla è più stato come prima e, nonostante siano passati 5 giorni, non riesco a smettere di pensare a lui. L'immagine del suo arresto è indelebile nella mia mente, in qualsiasi istante. Anche ora... è come se l'avessi vissuta di nuovo. So che non dovrei, so che dovrei odiarlo per quello che mi ha fatto, ma non ci riesco. Penso a lui poco prima di addormentarmi ogni sera, quando leggo, quando disegno, quando mangio e anche adesso, intenta a bere questo cocktail analcolico. Riservo un'occhiata fugace a Maria che mi ha letteralmente trascinata a questa festa e ora se ne sta qui, davanti a me, nel suo vestito nero che cade morbido sino alle ginocchia. Lei è vestita nella sua solita semplicità, i capelli castani sono legati in una treccia e lasciano spazio ai suoi lineamenti aggraziati. Mi soffermo a fissare le ragazze che, scalmanate, ballano in pista senza preoccuparsi che si veda gran parte del loro corpo a causa dei vestiti striminziti che indossano. Le luci sono soffuse e, insieme alla musica disco, mi causano un leggero mal di testa. Il mio vestito è lo stesso modello di Maria, unica differenza è nel colore, blu notte. I miei occhi nocciola sono liberi da qualsiasi trucco e la mia lunga chioma, dal colore del grano, scende delicata, con delle leggere onde, sulle mie spalle. Gioco con la mia cannuccia sul fondo del bicchiere, mentre lei si ostina a parlare di non so cosa.

< Scusa Maria, vado in bagno >, mi alzo lentamente, quasi controvoglia, e percorro il corridoio sino ad intravedere, finalmente, la porta con l'immagine della toilette femminile. Una volta entrata, qualcosa di agghiacciante mi paralizza: una grande scritta in rosso riporta una frase raccapricciante.

"Attenta a quel che dici riguardo quella notte nella serra... il tempo scorre... questi giorni potrebbero essere gli ultimi per te... "

-Serra... che sia... ma come è possibile! Non può essere, lui è qui!-

Realizzo questa terribile conclusione mentre, correndo a perdifiato, tento di sfuggire da lui, ovunque sia ora. I brividi trapassano il mio corpo ripetutamente.

< Sta' calma! > cerca di tranquillizzarmi Maria, ma io, muovendo le braccia convulsivamente, non le dò ascolto: < Lui è qui!! Tu non capisci! Lui... lu-lui è venuto a prendermi! Lui... lu-lui non può essere qui, no-non può essere >.

Le parole escono in modo incontrollato e mi impediscono di esprimere un periodo di senso compiuto.

Maria mi scuote con forza dalle spalle.

< Vuoi calmarti adesso? Sembri pazza! Mi spieghi cosa stai dicendo? >

Io seguito a volgere lo sguardo d'ovunque: dai ragazzi scatenati in pista al piano bar, è come se aspettassi che da un momento all'altro lui esca e mi uccida, come ha ucciso l'uomo. Magari lo farebbe con lo stesso coltello insanguinato di quella notte, trapasserebbe il mio petto ripetutamente senza alcuna pietà. Afferro il braccio di una Maria alquanto sconvolta e, con la morte nel cuore, ci allontaniamo.

< Do-dobbiamo andarcene, lui è qui! Andiamo via! > usciamo e il buttafuori ci osserva, allibito. Camminiamo per un paio di metri, sino a trovarci alla fermata degli autobus. Volto il capo da una parte all'altra mentre Maria si siede sulla panchina, la luce è fioca e illumina solo lo spazio dove ci troviamo noi. L'atmosfera circostante è degna del peggiore film horror: non vola neanche una mosca, non ci sono né passanti né ragazzi, la regione che ci circonda è avvolta nel buio. Quel buio, in questo istante, mi fa paura più che mai, perché è capace di occultare i segreti e le azioni più immonde. Questo silenzio mi opprime, mi porta ancora più ansia e l'orario non migliora la situazione.

02:00.

Al tatto di una mano grande e affusolata sulla mia spalla salto letteralmente sul posto e un urlo incontrollato esce dalla mia bocca, ancora prima che io possa realizzare chi sia.

E infatti...

La persona, per mia fortuna, si è posta di fronte a me contro la mia volontà, mostrandomi la sua identità.

I suoi occhi nocciola con una striatura verde sono ancora più caldi e rassicuranti di quanto ricordassi, ma in questo istante sono spalacati, le sue pupille sono dilatate. I suoi dolci e, quasi, infantili lineamenti si irrigidiscono nel vedere la mia reazione completamente folle. I suoi capelli biondi sono scarmigliati probabilmente a causa della tensione.

Martin.

Prima ancora che lui possa dirmi qualcosa, mi fiondo tra le sue braccia, felice di averlo incontrato.

Il suo abbraccio ha lo stesso potere di allora: mi riporta in quella stessa bolla in cui, da bambina, mi rifugiavo aspettando che la pioggia finisse.

< Tranquilla, adesso ti accompagno a casa e mi raccontate tutto! > mi dice con voce dolce, lasciandomi delle tenere carezze tra i miei capelli. Il modo in cui mi sfiora mi trasporta in una dimensione in cui il cielo è blu, gli uccelli cinguettano e scompare tutto ciò che mi fa paura. Solo Martin ha questo potere e sempre lo avrà. Le sue carezze sono così diverse da quelle di Eric, dall'irruenza e la violenza con cui mi stringeva a sé su quella scrivania, contro la mia volontà.

-Come sono potuta cadere così in basso con un ragazzo come Eric? Lui non mi ama e non mi darà mai il genere di relazione che cerco!-

Martin è così tenero, trasparente, anche quando tace si capisce quello che pensa, quello che prova. Eric invece ha sempre quello sguardo enigmatico, i suoi occhi sembra siano capaci di racchiudere i più terribili segreti, quelli di Martin non sono capaci di celare nulla. Ricordo ancora il peso di Eric incombere sul mio corpo, tremante e fragile, era così ingombrante, indesiderato e ripugnante. Le sue labbra, che in precedenza avevano lambito il mio collo, facendomi provare emozioni indicibili, in quel momento marchiavano il mio collo e il mio seno. Ho provato un dolore immenso, un dolore che mi ha distrutto dentro. Martin teme di farmi del male anche con un semplice tocco, come se io fossi un cristallo. Eric in quel momento voleva piegarmi a sé con violenza e prepotenza come se io fossi l'oggetto del suo desiderio.

In macchina mi soffermo a guardare il suo profilo, le sue labbra sottili, il suo naso delicato, i suoi capelli biondi e il modo in cui i suoi occhi, delicatamente, si posano, almeno per una frazione di secondo, sulla mia figura. Mi basta quella frazione di secondo per scorgere in essi l'istinto di protezione, la dolcezza e quella galanteria quasi cavalleresca che oggi è obsoleta.

Quando l'ho rivisto, ho provato di nuovo la stessa magia che c'era tra di noi a 15 anni, quando mi ritagliavo del tempo da trascorrere in sua compagnia. Nessuno riesce a capirmi come lui, nessuno riesce a darmi la stessa tranquillità, avrei voluto cullarmi in uno dei suoi abbracci così rassicuranti e caldi. In tutti questi anni mi è mancato il suo sorriso così dolce, le nostre lunghe chiacchierate e le nostre pazzie. Riusciva sempre a farmi spuntare il sorriso, a dirmi le parole giuste per infondermi la sicurezza che mi è sempre mancata. Con lui mi sento al sicuro, protetta, coccolata e tranquilla. Trovare una mano sicura, una mano amica, nel buio, ti fa trarre un sospiro di solievo.

-Mi chiedo come sarebbe stata la mia vita con lui, se lui non si fosse fidanzato... sarebbe stata molto più serena. Ma mi avrebbe fatto provare le emozioni che solo Eric è capace di farmi sentire? Frequentandolo, le avrei conosciute?-

Questi pensieri mi attanagliano mentre l'oscillare della sua auto sembra quasi che mi culli.

-Cos'è l'amore? Quella passione impetuosa che ti spinge a desiderare con tutta te stessa l'altra persona, che ti stravolge mentalmente e fisicamente oppure l'abbraccio sicuro, la tranquillità, la comprensione, la sicurezza? È questo quello che provo per entrambi!-

Se ripenso al modo in cui mi ha trattata, un magone allo stomaco mi assale.

Temo di non voler sapere la risposta, temo di non poterla accettare.

Se mi trovo di fronte ad Eric, ai suoi occhi blu che penetrano dentro di me o alle sue mani che mi sfiorano, infiammando il mio corpo... se sento il suo respiro audace confondersi col mio... nel momento in cui lui mi provoca con audacia, ironia e intelligenza, è come se una scossa mi attraversasse, come se per un attimo dimenticassi chi sono, so solo che voglio controbatterlo, so solo che voglio dimostrargli che non mi lascio sopraffare da lui e, pur balbettando con le guance in fiamme e il desiderio irrazionale di fondermi con il pavimento, mi ritrovo a controbatterlo. Lui, con la sua sola presenza, con i suoi sorrisi, con i suoi sguardi, con le sue provocazioni ironiche e audaci, è capace di farmi sentire viva. Martin mi fa sentire sicura, mi tranquillizza e mi protegge.

Eric mi travolge con impeto, è capace di intrigarmi anche quando la mia volontà oppone resistenza. Con questi pensieri e questa strana inquietudine, mista a malinconia, la macchina inchioda e il castello dei Wilson è di fronte a me in tutta la sua immensità.

< Grazie Martin > lo saluto. Dopo aver chiuso il portone in legno, Maria mi ricorda la sua presenza.

< Sara, adesso mi spieghi cosa è successo? > mi domanda nel buio più assoluto che caratterizza il salone di casa. Mi precipito ad accendere la luce.

< Maria, non è stato Eric ad uccidere Jarred >, mi limito a dirle.

Lei aggrotta le sopracciglia e spalanca le labbra.

< Cosa? Ma era la sua pistola! E poi... tu come lo sai? >

< Lo so, perché, quella notte, Eric era con me. Ecco, noi due... be-beh... noi due abbiamo una specie di rapporto > le confesso rivolgendo, dapprima, le mie attenzioni al marmo del pavimento e, in seguito, ai divani in pelle bianchi, al tavolino di vetro, alle vetrinette bianche in foglia d'argento, ai lampadari.

Mi sento così colpevole.

Il nostro rapporto è così isterico, anomalo e ambiguo. Non ci sto capendo niente, sono confusa da lui e da me stessa, è tutto così sbagliato.

< Mio Dio! Ma... quindi state insieme? >

< Non proprio! Ma non è questo il punto! Devo confessare la verità! Io quella notte ho visto quell'uomo, un uomo con un passamontagna e quell'uomo non era Eric. Stasera, mentre andavo in bagno, ho trovato una scritta, erano delle chiare minacce. Vuole farmi tacere! Capisci? Ma se non dico cosa ho visto, Eric rimarrà in prigione! Maria, domani mi accompagneresti? Voglio andare in commissariato e dire quel che ho visto! Maria, dimmi una cosa... chi ha trovato Eric, ubriaco sul pavimento? >

< Ora che ci penso... è stata Eres! >

< Deve venire a testimoniare! Ti prego diglielo! >

-Voglio che la verità venga a galla e che Eric sia libero, dopodiché non voglio più avere nulla a che fare con lui!-

Con la consapevolezza di star facendo quel che è giusto, sbatto malamente, con euforia, la porta della mia stanza e indosso velocemente il pigiama. In seguito mi stendo sul materasso morbido del mio letto. Con le braccia incrociate sotto la testa, il corpo supino, mi perdo a fissare la stanza: il soffitto, le pareti rosa, i divanetti e le poltrone in pelle distanti di qualche metro, le tende bianche, la scrivania in legno bianco, la mensola anch'essa del medesimo materiale. Il tic tac della sveglia, su uno dei comodini in legno al mio fianco, segna lo scandire del tempo. Questo rumore continuo, ripetitivo, lo avverto sempre più lontano, sempre più flebile, quasi delicato. Le pareti assumono un'immagine sempre meno nitida mentre i miei occhi si socchiudono sino a chiudersi del tutto.

***

Il filtrare delle prime luci dell'alba segna l'inizio di una nuova ed estenuante giornata. Sposto l'orsacchiotto e le coperte gialle, e abbasso i pantaloni blu del pigiama, per indossare dei Jeans chiari, una maglia bianca e i mocassini bianchi. Il bianco dei muri del corridoio e il legno delle porte scorrono velocemente dalla mia vista, mentre accorro al piano di sotto. In fondo alle scale Maria e Eres mi aspettano e con loro anche il taxi.

In una mezz'ora giungiamo finalmente a destinazione. Una donna in divisa ci esorta ad entrare nella sala d'attesa e, fortunamentamente, non passa molto tempo affinché ci faccia passare.

Jason è seduto dietro la sua scrivania, nella sua postazione.

Non sembra sorpreso di vedermi.

-Si aspettava di vedermi?-

< Dunque? Avete da fare una testimonianza? > inizia l'interrogatorio.

< Sì, la notte del delitto, dopo aver discusso con Eric, mi sono fermata a leggere sulla maca in giardino >

< Un passatempo insolito per l'orario > constata con aria pensierosa, lui.

< Sì, ero molto tesa e nervosa. Quando mi sento così, necessito di leggere, disegnare o ascoltare musica per rilassarmi >

< Ok. Continui > mi incita.

< Ad un certo punto ho sentito un rumore provenire dalla serra. Senza farmi vedere, di soppiatto mi sono avvicinata e li ho

visti > affermo con aria sofferente e assorta, fissando il vuoto, ma in realtà sto visualizzando quella terrificante scena.

< Lui... lui era lì, Jarred era lì, a terra inerme in un mare di sangue e un uomo era chinato a terra. A-ave-veva il coltello insanguinato. I-i suoi occhi erano spalancati, i-il suo sguardo e-era privo di vita, i-il suo corp-po im-mobile in-in u-un ma-mare di sa-sangue >, le lacrime sgorgano sul mio viso.

< I suoi occhi... i suoi occhi erano così scuri, penetranti. Mi hanno messo i

brividi > seguito a raccontare singhiozzando.

< Saprebbe identificarlo? >

< No. Indossava un parka scuro, ma aveva una corporatura più tozza ed è più basso di Eric. I suoi occhi sono neri, non sono azzurri >

< Questo non basta. C'è qualcuno che può confermare? >

< Io > interviene Eres, sino ad ora silenziosa.

< Io ho trovato Eric ubriaco. Dormiva sul pavimento dello studio >

< A che ora? >

< Erano le 00:00 >

< 00:00... questa è l'ora del decesso, rilevata dall'autopsia del medico legale. Ora dovrebbero arrivare i risultati delle analisi sull'arma del delitto. Vedremo le impronte > ci informa con tono piatto. Udiamo un bussare della porta che si spalanca successivamente e un uomo in divisa entra. Poggia dei fogli sulla scrivania di Jason che afferra immediatamente.

< Non sono state rilevate impronte sulla pistola > conclude e noi ci concediamo un respiro profondo.

< Ryan va' dal ragazzo. È libero. Sono subentrante delle testimonianze che accreditano l'alibi del ragazzo, inoltre non c'è una singola impronta sull'arma. L'inchiesta farà il suo corso, voglio che restiate tutti nelle vicinanze, perché siete indiziati > sentenzia. Sbatto il piede convulsivamente contro il pavimento della centrale. La poliziotta se ne sta al suo posto a 2 metri di distanza da quello di Jason e, con la macchina, ha trascritto ogni mia singola dichiarazione. Dei passi lenti e condensati catturano tutto il mio interesse, e anticipano l'avvicinarsi di due persone. Una di queste attraversa la soglia della porta e, ancor prima che io mi volti, so già chi è.

Eric.

Il suo viso è provato: i suoi lineamenti perfetti sono rigidi, i suoi occhi sono incavati. I suoi ricci, per la prima volta, cadono, disordinatamente, sulla sua fronte e non presentano rasatura ai lati. Lui tace, si limita a fissarmi, per poi sedersi sulla sedia di fianco a noi. La camicia bianca è sgualcita e leggermente sbottonata lasciando in bella vista una parte del suo collo e del suo petto, ma lui non sembra curarsene minimamente.

Jason prende parola: < La signorina qui presente e la signora Eres hanno presentato una testimonianza che le ha costruito un alibi, inoltre non sono state rilevate delle impronte sull'arma e l'ora in cui lei è stato trovato ubriaco nello studio coincide con l'ora del decesso nella serra >.

Noi ci tiriamo su e, esausti da tutto questo, dopo aver percorso il corridoio, siamo finalmente fuori dalla centrale, trasognanti e felici di poter assaporare la libertà.

Tuttavia qualcosa mi mette a disagio mentre me ne sto rigidamente seduta con le mani intrecciate l'una nell'altra sul grembo, mentre la macchina inchioda e il conducente va via, mentre Eres e Maria vanno via lasciandoci soli nel soggiorno di casa. Eric osserva l'atrio del soggiorno e, senza articolare una sillaba, cammina lentamente nella direzione dei solottini. I suoi passi sono così misurati, cauti e impercettibili che non segnano alcuno spostamento d'aria: tutto resta perfettamente uguale al suo passaggio, anche lo sfarzoso lampadario, poco più in alto di lui, non produce nessuna oscillazione, resta inchiodato al soffitto. Oltrepassati i divanetti e le poltrone bianche, si dirige verso la vetrinetta bianca in foglia d'argento per prendere un bicchiere di cristallo e versarsi un goccio di Bourbon dalla bottiglia, situata precedentemente sul tavolino di vetro accanto a sè. Inaspettatamente si gira verso di me, schiude le labbra carnose, ma... stranamente, non dice nulla. Sorseggia tranquillamente l'alcolico lasciando che l'alcol infiammi la sua gola, nel mentre mi rivolge un'occhiata penetrante e decisa. Mi studia in silenzio, deciso a non perdersi anche il mio più piccolo respiro.

Quando ho perso ormai le speranze di poter conversare, la sua voce decisa, roca, incredula, con una piccola sfumatura di insicurezza ed esitazione, si infrange sul silenzio opprimente:

< Perché? >

Io sistemo, nervosamente, una ciocca bionda dietro l'orecchio per poi deglutire.

< Perché me lo chiedi? > gli domando di rimando e, con la coda dell'occhio, noto che, con lentezza quasi disarmante, si accosta a me, al mio fianco.

< Potevi lasciarmi marcire in prigione, sarebbe stata una punizione per quello che ti ho quasi fatto >

< Non sarebbe stato giusto, non sei stato tu > gli faccio notare indirizzando lo sguardo al vetro del tavolino e tentando di ristabilire una distanza fisica tra di noi, perché la sua vicinanza mi rende tesa. Lui non ci fa caso o finge e non se ne preoccupa, dal momento che mi segue senza paura.

< Avresti potuto approfittarne. Tutto accade sempre per una ragione, anche se, talvolta, ci si avvale di mezzi sbagliati e ingiusti. Anche se sono innocente, avresti potuto. Sarebbe stato ingiusto per la legge, ma sarebbe stato giusto per te: me l'avresti fatta pagare per quello che ti ho quasi fatto > mi rammenta seriamente.

< Beh... eri ubriaco, non capivi quel che stava accadendo, quella notte tu... > tento di spiegargli, ma la sua risatina mi interrompe. Lui ridacchia scuotendo il capo.

< Sono passati un paio di giorni eppure... mi hai già trovato un alibi? Che io fossi ubriaco o meno... non cambia la realtà delle cose... ho tentato di stuprarti >, solleva le mani e io faccio un passo indietro, < Queste mani sudice ti hanno stretta a sè contro la tua volontà e tu... mi vorresti giustificare? Non c'è giustificazione che tenga per me! Sono stato ripugnante! > conclude con tono risoluto e duro.

< Ciò che conta è la-la volontà, tu... no-non volevi, no-non capivi >.

Scoppia in una fragorosa risata, una di quelle ciniche. < Sara, a volte resto interdetto ascoltandoti. Non comprendo se giochi a fare l'ingenua o se lo sei realmente. Ogni uomo ha un lato animale, un lato oscuro, lato che viene fuori con l'alcol. In questo momento non lo voglio, ma in quel momento lo volevo, ti desideravo e non mi importava del resto, non mi ero accorto che tu non volevi, credevo che tu fingessi di respingermi. Credi che questo faccia di me un essere meno ripugnante? No, non lo fa! Non devi mai giustificare il tuo aggressore, mai! Anche se ci sono delle attenuanti! >. Io apro la bocca nel tentativo di controbattere, ma lui non me lo permette: < Ad ogni modo, è stato meglio così in un certo senso, sai. Forse aver capito chi io sia realmente... ti ha aperto gli occhi sulla natura di questo rapporto controverso, isterico e distruttivo. Questa spaccatura, che c'è tra di noi adesso, era inevitabile. Io non sono in grado di avere relazioni d'amore con le donne e non è perchè io ami divertirmi e usarle, no! Semplicemente non ne sono capace, perchè l'esperienza vissuta dai miei genitori mi ha segnato >.

Questa frase ha l'effetto di tante lame che si insinuano sottopelle mentre una lacrima silenziosa sfugge alla mia volontà, bagnando il mio viso, e una sensazione di malessere si impossessa di me.

-E' davvero la fine di tutto?-



ANGOLO AUTRICE:
Sara, nonostante tutto quel che è accaduto e le minacce dell'omicida misterioso, ha detto la verità scagionando un incredulo Eric che si sente sempre più incomodo e colpevole per quello che le ha fatto e, infatti, pone fine a questa loro difficile e tormentata relazione confessandole di non essere in grado di amare. Avrà deciso di perseguire la vendetta? E Sara? Cosa prova per lui? ODIO ? PASSIONE? RISENTIMENTO? Vedendo Martin, ha compreso di provare ancora qualcosa per lui, sarà lui l'uomo giusto? Indubbiamente lui sarebbe in grado di darle quel genere di relazione che cerca. Eric, su sua stessa ammissione, non ne sarebbe in grado. E l'omicida? CHI SARA' MAI?
Spero abbiate apprezzato alcuni accorgimenti estetici e che abbiate identificato la parte iniziale come un flashback. D'ora in poi lo evidenzierò in grassetto, in blu e con un asterisco. Avrete notato che ho ridotto la dimensione. Secondo voi è meglio questa dimensione o quella del precedente? Sono indecisa; perciò chiedo a voi (14, 16 o 18?) Spero che la storia via stia piacendo, un bacio! A PRESTO!

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