Fragilità repressa

DOVE ERAVAMO RIMASTI... (Angoletto autrice)
LARA, ex amica di ISABEL che ha compartito con lei una fetta del suo passato misero, che ha rapito SARA il giorno delle nozze, uccisa da un uomo coperto in volto. Stesso uomo che aveva mandato un suo scagnozzo a minacciare Eric di vita per fargli tenere la bocca chiusa, dato che il ragazzo era venuto a conoscenza che i responsabili erano proprio Isabel e il killer dal volto coperto.
JARRED, ex amante di ISABEL, con cui la donna era in attrito date le minacce dell'uomo di raccontare dei loro trascorsi in cambio di soldi.
KATE, ex di JARRED, a conoscenza di alcune chiamate pericolose ricevute da lui poco prima di morire.
Sono morti in modo brutale e perfetto da non lasciare tracce.

ERIC, instigato da MARINA, confessa di aver sedotto SARA solo per distruggere il matrimonio falso dei loro genitori che, però, come ben sappiamo dalla chiamata del killer misterioso, è realmente implicata. Ciononostante, è tesa... SENSI DI COLPA O TIMORE DI ESSERE SCOPERTA?
SARA, travolta da un vortice di disperazione, trova un po' di pace nell'abbraccio sicuro di MARTIN.
ERIC, trovatosi in un agghiacciante sogno, in cui le parole DURE di SARA, l'immagine di sè medesimo lacrimevole davanti al cadavere di sua madre rievocano qualcosa nel suo animo apparentemente arido, spingendolo ad assumere una sostanza per... trovare sollievo? Curiosissima di sapere i vostri commenti riguardo questo capitolo. Buona lettura :D!





Fragilità

Pov Eric:

Sono passate cinque notti.

Notti insonni, frenetiche e asfissianti, in cui ho fatto tutto fuorché riposare.

"Solamente" ieri quell'annebbiamento soave ha avuto la meglio su quella strana inquietudine che mi logora ogni istante, quando tento, invano, di dormire come tutti gli altri comuni mortali. Il farmaco, il diazepam per la precisione, ancora una volta ha avuto un effetto momentaneo e debole. Non so cosa dovrei assumere per rilassarmi.

Una sensazione che, strana e terrificante allo stesso tempo, mi sta logorando.

In quel momento, tra i battiti incessanti del mio cuore che, come impazzito, desidera uscire dal petto, la sudorazione elevata, il senso di stordimento, sono pietrificato.

L'assurdo è che in quel momento tu sei lì, su quel letto ad implorare un briciolo del tuo prezioso tempo, anche breve e misero, per poter socchiudere quei maledetti occhi. Ma non possono sigillarsi, o meglio non riescono. Rammenti quel materasso: con la sua morbidezza, ti tenta, dal momento che il sonno ti intontisce, ma ciò non è abbastanza. Non è abbastanza per poterti abbandonare. E ora, su questa sedia bianca, preda di una strana impotenza, sei imbalsamato, con il battito a centoventi, il petto soffocante e privo di ossigeno, ansimante, con una sudorazione a freddo. Un malore ti aggroviglia lo stomaco, la schiena e i polmoni. Il braccio è intorpidito; ti riesce difficile muoverlo, ci provi, ma... si solleva in un movimento più lento di quello che avevi programmato. Tutto si sussegue tremendamente a rilento; anche gli arti inferiori non sono esenti da questo, come se tardassero nel compiere anche la più piccola azione.

Ogni secondo, ogni istante, preghi Dio affinché finisca, pensi che stia giungendo la tua ora, pensi che da un momento all'altro un attacco cardiaco giungerà e non potrai più nulla.

Inspiri ed espiri.

Inspiri ed espriri.

Inspiri ed espiri.

Un'azione che si ripete incessantemente, che cerca di scuoterti, nel mentre respiri freneticamente con il fiato corto, sempre più assente, sempre meno tuo.

Non sei in grado di controllare quanto ossigeno stiano risucchiando i tuoi polmoni, ma viene meno, lo avverti.

Non sei in grado di controllare il pompare smodato del tuo cuore.

Non sei in grado di respirare con tranquillità.

Non sei in grado di porre un freno al dolore che incombe sul tuo stomaco sino ai reni e alla schiena.

È questo che ti tormenta in quei quarantacinque minuti di inferno, che segnano anche i minuti e le ore successive con il vibrare della paura, la paura che quanto successo possa verificarsi nuovamente.

Sebbene io sappia che questi malesseri organici non abbiano un'origine patologica, nonostante io li conosca bene purtroppo, in quel momento, nel pieno di un attacco, la paura irrazionale, che possano essere manifestazione di un attacco cardiaco, ritorna a farmi visita. Era da allora, da circa quattro anni, che si erano attenuati.

-Non posso andare avanti così! -

Dei solchi, estesi sulla candida pelle sottostante alle mie pupille, rendono il ghiacciaio dei miei occhi ancora più vivido nel suo gelo penetrante; incavati, sono persi nel vuoto, privi della loro vitalità, completamente spenti.

La cute è caratterizzata da un pallore innaturale e da una sudorazione eccessiva.

Affondo nervosamente una mano nei miei ricci, oggi ancora più ribelli e ridotti ad una massa informe. Passo la lingua sulle labbra secche e carnose, bagnandole. La mia mascella, solitamente squadrata, ora porta il peso della mia stanchezza. La cute del mio viso è consumata dai solchi, espressione del torpore che ora mi è padrone. I miei occhi battono velocemente e le pareti bianche della sala di attesa, in cui mi trovo ora, scompaiono. Forse il farmaco continua ed esplicare i suoi effetti, d'altronde è un sedativo ipnotico, anche se l'ho assunto cinque giorni fa.

Non succede nulla, finalmente è tutto tranquillo. La frescura di una superficie mi accarezza la testa, ma un leggero scossone mi fa sobbalzare. Un uomo, nel suo lungo camice bianco, mi scruta inarcando le sopracciglia. Io trasalisco, nel frattempo il mio sguardo, totalmente disorientato, si adagia velocemente sulle sedioline bianche accanto a me.

Un colpo di tosse mi rammenta dove io mi trovi: l'ospedale.

< Eric, prego, entra > mi invita, il dottor Lance. Ed io tirandomi su, mi trascino, dormiente, dentro il suo studio che è asettico: le pareti sono bianche, i mobili, tra cui la scrivania e le due sedie di fronte, sono in bianco e nero. Distante di pochi metri, come sempre, è situato il lettino. Mi lascio cadere su una sedia nel più assoluto mutismo, seguito a ruota da lui che si accomoda dietro la scrivania.

< Allora, a cosa devo la tua visita qui, ancora una volta, nel reparto di psichiatria? > esordisce seriamente, lui.

< Sono tornati a farmi visita > proferisco in modo criptico, con una bassa nota di malinconia e sconfitta.

Lui tira un profondo sospiro.

< Dalle occhiaie immagino che siano gli attacchi di panico > deduce con tono fermo < Mi dispiace, Eric, ma dovresti ormai esserne abituato. I primi si sono presentati da che avevi 18 anni, probabilmente come aveva dedotto il tuo psicologo, la ragione era il trauma subito per la morte di tua madre >.

< Certe cicatrici non vanno via > asserisco con aria pensierosa e cupa.

< E non andranno mai via, ma ciò non significa che tu non possa imparare a conviverci, non significa che tu non possa vivere il presente. Sei così giovane, hai un futuro luminoso davanti a te > tenta di incoraggiarmi con leggerezza e ottimismo.

< Non è così facile, dottore. La mia famiglia è un disastro, il rapporto con mio padre è inesistente, e quando ci parliamo, litighiamo. Mia sorella ha ancora i suoi problemi, e ho una perenne pressione addosso! Tutto grava sulle mie spalle! A volte vorrei solo urlare, ma... > gracchio su ogni singola sillaba con rabbia e risentimento.

< Ma non lo fai mai > conclude per me con quella che ormai è un'ovvietà, ma... d'altronde, è parte del mio carattere, io sono fatto così: non mi piace esternare le mie emozioni, non mi piace frignare come un poppante.

< C'è dell'altro dottore... con ricorrenza si ripete un incubo assurdo e terrificante > lo informo, tremante. Lui mi fa un cenno con la testa per invogliarmi a continuare. Con voce flebile, insicura e quasi balbettante, come se stessi soppesando su ogni singola parola...

< Sono sull'amaca, sto leggendo. All'improvviso arriva lei, Sara che mi osserva con quell'aria accusatrice, carica di un gelo agghiacciante e quasi crudele. Io mi sollevo e le chiedo spiegazioni, lei mi ripete sempre le stesse parole "Farla pagare a coloro che ti hanno fatto soffrire in passato, non riporterà indietro tua madre, non colmerà il vuoto che senti". E poi... ve-do me stesso, quindicenne, a terra, di fronte al corpo senza vita di mia madre. Il me ragazzino urla, la scuote, proprio come allora. >, mi interrompo, perché noto le sue sopracciglia inarcarsi.

-Probabilmente si starà chiedendo chi sia Sara! -

< Lei è la figlia della mia matrigna e io.. no-non mi sono com-portato bene nei suoi confronti, anche se noi non eravamo una coppia e probabilmente ora lei avrà già dimenticato questa nostra parentesi > gli racconto tutto con assoluta sincerità, con il capo chino, inchiodato al pavimento.

Lui dà peso a tutto ciò, considerando che resta in silenzio per secondi interminabili.

< A questo punto è chiaro. Molto probabilmente la ragione di questi tuoi incubi è la tua ansia, la pressione accumulata, quelle emozioni che sopprimi per tuo padre, il dolore che provi, il senso di colpa che provi per questa ragazza >.

La sua frase, o meglio il significato che cela, ha un suono surreale per me; infatti scoppio in una fragorosa risata.

< Sarebbe qualcosa di molto controverso, dottore. Io e il mio vecchio non andiamo d'accordo, per quello che ha fatto a mia madre e per l'egoismo con cui continua a rapportarsi a mia sorella. Odio quella donna per essere un'arrampicatrice sociale fredda e calcolatrice, per aver distrutto il matrimonio dei miei genitori. Dottore, a causa di quella donna, mia madre forse ha tentato il suicidio per depressione! Non riesco a cancellare tutto questo, non adesso che vedo quell'uomo, che si definisce mio padre, crogiolarsi in un dolore a causa sua! > lascio libero sfogo alla mia bocca, ma i miei toni, dapprima accesi, crollano sull'ultima frase < In quanto a Sara, lei è sua figlia. Ma... è una bella ragazza, forse è migliore di sua madre, migliore di me, può trovare di meglio. Mi dimenticherà facilmente! >.

Un sorriso canzonatorio increspa le sue labbra scuotendo il capo.

< Dici questo, eppure le tue emozioni dicono altro. Eric, ti conosco da dieci anni, circa sette anni fa hai avuto i primi attacchi di panico. L'attacco di panico è uno sfogo di tutte le emozioni che sopprimiamo dentro di noi, delle paure che ci inquietano. Ma esse, durante la fase onirica, quando la ragione si offusca, ritornano a farci visita prepotentemente e non possiamo fermarle, perché esse sono parte di noi. Non appena ci destiamo, esse si scaricano in quei malesseri interiori, fisici, nonostante persista esternamente, e solo esternamente, uno stato di quiete e tranquillità. Esternamente siamo calmi, ma nel profondo la situazione, in cui riversa l'organismo, è ben diversa > mi spiega lentamente < Devi imparare ad accettarle, accettare che, per quanto tu ti sforzi di fare il duro, sei umano, provi amore per quel padre che non riesci a perdonare, provi pena e senso di colpa per quella ragazza, forse anche qualcosa in più. Devi accettare che, anche i più forti, se messi di fronte a situazioni più grandi di loro, volendo affrontarle da soli, crollano >.

Inizio a ridere cinicamente, mentre lo canzono con il mio abituale sarcasmo: < E cosa dovrei fare? Dovrei risolvere tutto a tarallucci e vino con il mio vecchio? >.

< Non intendo questo. Tuttavia, non è rifugiandoti dietro questo falso cinismo, questa falsa aridità, il modo giusto per risolvere i tuoi problemi familiari. Parlaci con tuo padre, ascoltalo, ascoltatevi, per un nuovo inizio, il perdono verrà da sé con il tempo. Se continui a fare il generale rigido, la tua ansia non scomparirà, e lo sai. Sai che non puoi controllarla quando si scatena sul tuo subconscio. Però, in qualche modo, puoi evitare indirettamente che ciò accada, puoi ridurla, alleggerendo questo clima di tensione che ti circonda e che ti sta pressando. Devi liberarti. >

Una lacrima di consapevolezza, silenziosa, inonda le mie guance tremolanti, realizzando che c'è un fondo di verità in quello che mi sta dicendo. In fondo l'ho sempre saputo, ma non so se ora sono in grado di accettarlo.

Scrive qualcosa sulla ricetta e me la consegna.

< Ti ho prescritto nuovi ansiolitici, nuove benzodiazepine. Tenteremo con Xanax, una benzodiazepina molto forte > mi spiega e io sussulto, concedendomi un intenso respiro.

I miei palmi afferrano la ricetta, ripiegandola su se stessa, per poi sollevarmi. Gli volgo le spalle con l'intento di allontanarmi, proseguendo di qualche passo, ma lui...

< Eric, segui in modo minuzioso il dosaggio. Non ti ho prescritto le compresse a rilascio prolungato; quindi il giorno successivo potrai fare le tue faccende. Non più di 0,25 mg, ricordalo! > mi raccomanda in un tono grave. Io mi volto verso di lui, sorridendogli ironicamente.

< Dottore, stia tranquillo non è nei miei programmi fare villeggiatura in una clinica di disintossicazione, può stare tranquillo >.

Lui deglutisce, senza mai smettere di osservarmi, e in seguito mi chiarisce: < Ha un alto grado di dipendenza psico-fisica, molte volte ci si afferra al farmaco per sconfiggere l'ansia e senza rendersene conto, si diventa dipendente. Inoltre, a lungo andare, sono in dovere di informarti che può indurre problemi amnesici, alzheimer in età avanzata, regressione, suicidio >.

< Ah... quindi se non schiatto di overdose, ho tanti altri modi per morire, interessante prospettiva di vita! Davvero paradisiaca! > ribatto con il mio immancabile sarcasmo pungente, suscitando l'ilarità del dottore.

< Adesso sparisci! E ricorda... > inizia la solita canzone, ma io non lo lascio proseguire: < 0,25 mg, ho capito. Ti si è impallato il disco? Tranquillo, non ho ancora problemi di udito! >.

Ridacchiando, gli faccio un cenno di saluto ed esco, ritrovandomi nuovamente nella sala d'attesa. Riconosco le sedie bianche di plastica in fila e le pareti, anch'esse bianche, ovviamente. Mi arresto quando incontro l'ultima persona che avrei mai creduto di trovare qui.

Jason, il commissario.

Nel suo completo nero opaco, mi scruta. I capelli perfettamente rasati, che gli conferiscono la solita autorevolezza, mettono in luce la sua mascella squadrata e le pozze nere che mi studiano. Il naso presenta una conformazione sporgente sul dorso e pare quasi faccia ombra alle sue labbra sottili che si stanno schiudendo.

Dopo un lasso di tempo, che è parso infinito, quando la mia saliva viene sospinta lungo la gola, per l'ennesima volta, lui proferisce parola:

< L'ho raggiunta qui per il nostro appuntamento, sa, ho fretta. La sua cameriera mi ha detto che era qui. È quasi ora di pranzo. E si consideri fortunato, perché la sua ultima dichiarazione mi ha lasciato basito! Come ha potuto omettere la verità sull'uomo che aveva cercato di ucciderlo, che in seguito lo aveva minacciato in ospedale! > esclama con sdegno, ancora incattivito. Io, in un tacito assenso, annuisco.

< Gliel'ho detto. Quell'uomo aveva minacciato di fare del male a mia sorella se avessi parlato delle minacce, se avessi detto di quella conversazione tra la mia matrigna e il suo capo > mi giustifico ancora, come se non lo avessi già fatto ieri. Gli ho detto la verità sulla conversazione tra Isabel e il killer del mistero, sul suo scagnozzo che tentò di uccidermi, sulle minacce di quest'ultimo concernenti la vita di Rossella. Tutto quello che è avvenuto più di un mese fa.

< Inoltre, devo informarla che le indagini hanno portato i loro frutti. Per quanto riguarda l'uomo, che l'ha minacciata e che abbiamo identificato dalle sue descrizioni estetiche, James Finley, abbiamo delle informazioni. 35 anni, finito dentro in passato per narcotraffici, ora non si sa cosa faccia... il computer non ha riportato nulla. Ma è un assiduo frequentatore di casinò clandestini. Abbiamo tutta l'intenzione di infiltrarci stasera, perché non ci sarà e potremmo raccogliere informazioni su quel giro, per poter aprire nuove piste sul killer, suo capo > mi racconta.

< Voglio partecipare, con me susciterete meno sospetti, dal momento che non sono un poliziotto! >, come avevo immaginato, lui reagisce con assoluta negatività: < Lei è completamente pazzo! Non farò rischiare un ragazzo, che non è un poliziotto! >.

Io schiocco la lingua, tediato da queste osservazioni.

< Sa benissimo che se si portasse dietro uno dei suoi uomini, potrebbero riconoscervi. Lì dentro ci sono tutti pezzi grossi, tutte persone potenti, ricche, viziate come me. Persone che non sanno cosa fare della loro vita e dei loro soldi. Io sarò una perfetta copertura, tutti mi conoscono per essere il figlio del magnate di un impero di moda > espongo con lentezza. Il mio tentativo di persuasione sembra andare a segno, a giudicare dalla sua espressione.

< E va bene! Ma dovrà fare quello che le dirò, e serve una donna che ci faccia passare inosservati! E... che sia la prima e ultima volta! > sentenzia, perentorio.

< Mh... forse ho la donna che fa al caso nostro > gli lascio intendere con esuberanza, frattanto entrambi ci incamminiamo verso l'uscio per pranzare insieme.

Pov Rossella:

La dolce e fredda carezza del vento sul mio collo, mi accappona la pelle e, istintivamente, incrocio le braccia sfregando i palmi su di esse. È un vano tantativo di generare calore, il mio. La mia lunga e ondulata chioma corvina svolazza al richiamo di questo soffio. Le pietre, che rischiarano nel mio sguardo non dissimili da due smeraldi, intrattengono una conversazione silenziosa con il cielo. Il mio capo resta delicatamente piegato verso l'alto, verso il firmamento. In seguito si abbassa con l'intento di concentrare tutta la sua attenzione sul disegno, o meglio lo schizzo che sto cercando di fare. Ma non sono brava. Mi dondolo sull'amaca, inducendo il mio vestito bianco in pizzo a rialzarsi leggermente, mettendo in bella mostra le mie ginocchia. Mordo le labbra sottili a causa del freddo. Sono una bella ragazza: alta 1,75, con un fisico longilineo e formoso al punto giusto, ho un naso affusolato e raffinato che comunemente viene caratterizzato da sinuosità francesi, la cute è nivea.

Sembra che io sia in grado di discernere soltanto il mio aspetto esteriore da tutto l'ignoto che attornia la mia persona.

Il mio passato seguita ad essere contornato da ombre scure e sinistre, ma una cosa è certa: non ero una disegnatrice. Purtroppo la mia mente ha cancellato ogni ricordo della mia vita passata, come se fossi una mina vagante che girovaga da una parte all'altra, accompagnata dalla speranza sterile di poter recuperare la propria vita. Mi hanno detto che ho avuto un incidente con il mio ex fidanzato e da allora ho perso la memoria. Sono cose che accadono oggigiorno a tante ragazze, eppure quando le vivi, sono terrificanti. Terrificante non sapere neanche il proprio nome, non sapere chi sei. Poche persone mi hanno aiutato in tutto ciò, hanno rappresentato un punto fermo, un'ancora di salvezza: Eric, Amanda quella anziana donna che mi accudiva nelle precedente casa, e lui, Samuel. Eric, dicono che sia mio fratello e l'anziana signora dicono che sia mia nonna. È stato alquanto assurdo dover vivere con queste persone, ben conscia che fossero la mia famiglia. All'inizio era agghiacciante non sentire nulla nei loro confronti, vedere il loro sguardo inumidirsi. Successivamente, con la loro presenza costante, mi ci sono affezionata, anche se vorrei tanto ricordare il posto che occupavano nella mia vita.

Samuel è il mio psichiatra, si occupa della mia terapia da sei mesi. Inizialmente non mi fidavo di lui, ma con il passare del tempo, ricevendo i miei continui rifiuti, è riuscito a conquistarsi la mia fiducia più assoluta. Si è fatto spazio nella mia vita con una dolcezza rassicurante, con una calma surreale, con un modo di fare posato, gentile e controllato. Credo sia l'uomo più calmo e maturo che ho mai conosciuto in questi mesi: di fronte alle mie passate reazioni incontrollate, conseguenza della sfiducia, lui ha sempre mantenuto il controllo, ha sempre mostrato quel sorriso così genuino, rassicurante e caldo. D'altronde credo che la sua età giochi un ruolo importante sul suo carattere e modo di fare: lui ha ben dieci anni più di me, io ne ho venti, lui ne ha trenta. Con lui, Eric e mia nonna, mi sento al sicuro e nutro la speranza di poter, un giorno, riprendere in mano la mia vita. Assopita da questi mille pensieri, il disegno dell'albero ne risente. Notando quanto io sia incapace, sorrido, sbuffando. Il rumore dell'incidere di una scarpa su un ramo rotto nell'erba, mi fa sobbalzare. In posizione eretta, con impetuosa paura, mi giro verso il prato verde. Tra gli alberi, che, in tutta la loro immensa e prorompente altezza, torreggiano dietro di me, la mia vista non individua nessuno. Seppur io abbia dilatato le pupille per mettere a fuoco, non scorgo nessuno.

Eppure ho sentito dei passi...

Arretro con lo sguardo fisso sullo stesso punto, ma le mie spalle colpiscono un addome ben definito. Un brivido di terrore mi attraversa nel momento in cui, ad una velocità incalcolabile, mi discosto dall'essere. E ancor prima di capire chi sia, un urlo sgraziato e stridulo rieccheggia. Le mie mani si posano sui miei occhi in un moto di protezione. Ma vengo bloccata dalla sua voce.

< Tranquilla, sono io. Samuel >, lo riconosco, il suo tono è dolce, calmo, ponderato.

È proprio lui: i suoi ricci, dal colore del grano, incorniciano i suoi lineamenti aggraziati e i suoi profondi occhi azzurri. Mi rilasso immediatamente.

< Scusa, ho sentito dei passi e mi sono spaventata >, senza pensarci mi fiondo tra le sue braccia grandi e robuste. Da un po' di tempo a questa parte sono il mio scudo, la mia sicurezza, la mia tranquillità. Lui mi accoglie e al medesimo tempo non mi incoraggia.

-Come riesce ad essere così controllato e dolce? -

< Ora grazie a te sto meglio. Spero di riuscire a dormire questa notte > gli rivelo dolcemente. Delle fossette incorniciano gli angoli accanto alla sua bocca, perché sta sorridendo.

< Ci riuscirai, vedrai! Devi solo applicare i consigli che ti ho detto e leggere questo libro. I sonniferi, che ti ho prescritto, faranno la loro parte > mi rassicura.

< Certo-o. Leggere "L'i-so-o-la del tesoro" mi aiuterà tantissimo a conciliare il sonno >, mi prendo beffa di lui lievemente.

< Ehy! Leggere un genere di avventura, da te adorato, stimolerà la tua assoluta immersività e ciò ti aiuterà a non pensare a brutte vicende. Inoltre, ciò che impegna la mente, viene rielaborato nei sogni. Stimolerà il tuo equilibrio > indugia nelle sue spiegazioni.

< Sognerò un pirata che mi infilza > ci scherzo su e lui ride a crepapelle.

< Vedo che stai meglio > constata ritornando serio.

< Sì, grazie a te. Non so come tu faccia. Sono mesi che mi sopporti. Mi hai fatto aprire. Hai fatto in modo che io ti confidassi i miei più oscuri segreti, le mie paure. Sei il mio confidente e amico e hai sempre la parola giusta da dirmi per tranquillizzarmi >, comprendo che forse sono un po' troppo sdolcinata, ma non mi importa, io sono fatta così: dico quello che penso senza filtri quando entro in confidenza, non provo tanta timidezza, e lui per me è davvero importante.

< Sono il tuo psichiatra, hai subito un trauma che ti ha fatto perdere la memoria. Memoria che stiamo cercando di ricomporre. È mio compito aiutarti a superare le tue paure, perché solo una mente stabile può recuperare quella fetta importante della vita che è andata perduta. Ora, però, se vuoi scusarmi devo andare >, lo trattengo dal braccio.

< Ho-ho paura. Po-potresti restare qui questa notte? Dormiresti nella camera degli ospiti, giuro! Però l'idea che tu sia qui, mi tranquillizza. Tu hai un'aria così rassicurante che mi aiuta a tenere lontana l'ansia e l'angoscia >, mi aggrappo alla sua camicia. So che posso sembrare una bambina, ma ne sono convinta, c'era qualcuno qui, e ho paura. Con lui mi sento al sicuro e non voglio che vada via. Comunque, tutto sommato, non gli crea alcun fastidio mentre mi deposita delle carezze così lente e tenere.

< A-ad una ragazza come me serve un angelo custode che la protegga. Ti pre-e-go non la-lasciarmi sola! >, quasi lo imploro con le lacrime che minacciano di uscire dal mio sguardo così vitreo, incatenato al suo, così ceruleo e puro.

Un suo bacio delicato sulla fronte trascende ogni mio timore, inebriandomi.

Socchiudo gli occhi e il suono delle sue parole mi confonde: < Resterò, per te >, chiarisce < Se può aiutarti a stare tranquilla >. Di slancio, intensifico la stretta intorno alle sue spalle. Ci avviamo insieme dentro e la giornata trascorre accantonando ogni preoccupazione. Velocemente, senza che io lo realizzi sono le 23:00 di notte. Io sono supina su questo letto, con la trapunta bianca a coprirmi interamente all'altezza degli zigomi. Lui veglia su di me, appoggiato allo stipite della porta in legno, a braccia conserte. Fissa la stanza: il materasso, le rotondità della testiera in ferro battuto, il pavimento in marmo bianco, i mobili, i due comodini e la scrivania in un legno bianco lucido, e il tappeto beige. Dopo va via, ma la quiete non mi abbandona.

***

Pov Eric:

L'orologio segna le 23:00 pm.

Riservo un'ennesima occhiata al mio aspetto: la mia chioma riccia e voluminosa casca sulla mia fronte, poco sopra le sopracciglia, ai lati i miei capelli sono molto più corti. Ho ripreso colorito, le mie gote sono ben visibili, di un lieve rosato; le occhiaie sono scomparse, non ci sono più linee che solcano il mio viso. La barbetta a linea sottile ricopre una linea immaginaria sul mio volto e ripercorre parte della mia mascella, pur dando bella mostra delle mie labbra carnose. Indosso un completo armani rigorosamente nero e un papillon del medismo colore. La camicia bianca, che si intravede parzialmente dalla mia giaccia, spezza l'oscurità dei miei indumenti. Gli scarpini sono rigorosamente di cuoio.

Questo modo di vestire accentua ancora di più la mia altezza, di 1,80. Sbircio per l'ennesima volta il display del cellulare, trattenendo a stendo uno sbuffo. Un tacchettio cattura la mia attenzione su di sé. La figura che, con eleganza e sensualità, encheggia verso di me, risplende. Sbatto le ciglia quasi a voler realmente capire se sia reale o meno.

Jennifer.

I suoi capelli, solitamente ricci, sono tirati e sistemati in un raffinato chignon, ma un solo ciuffo imperla sul suo viso delicato. L'eyeliner e un sottile linea di matita nera evidenziano la grandezza dei suoi occhi a mandorla e le sue ciglia, che sembrano essere stati disegnati. Il suo viso non è eccessivamente tondo, bensì è leggermente ovale, ciò pronuncia i suoi zigomi e le sue labbra carnose, piene di un rosso fuoco. Un vestito, del medesimo colore del rossetto, fascia interamente la sua silhouette di 1,75, longilinea e magra. Sgrano gli occhi nel vedere uno spacco che arriva a metà coscia, da cui si possono notare le sue gambe affusolate.

< Eccomi >, mi affianca e accetta il mio braccio.

Proseguiamo verso la grande struttura che si estende di fronte a noi, dalla forma rettangolare.

< Sei sicura di volerlo fare? > le domando per la terza volta.

< Sì, ti ho già detto che, quando saranno arrestati, farò una soffiata ai giornalisti su questo posto, sono o non sono un avvocato che è alla ricerca della verità? > mi chiede retoricamente, divertita.

Io scuoto il capo con dei risolini.

< Suppongo di sì, anche se quel che stiamo facendo non è che sia proprio legale > ironizzo, ma lei ribatte: < Tranquillo Sherlock, c'è dentro uno dei nostri >.

Ben piazzato davanti la porta, un uomo robusto, interamente in nero, ci perquisisce, per poi aprirci la porta. A braccetto camminiamo cautamente, e le luci soffuse, che conferiscono un'atmosfera psichedelica ai muri blu, appaiono nella nostra ottica visiva. La sala è spaziosa, da essa si estendono altri corridoi più stretti. Lo spazio immenso è gremito di gente, tanti tavolini da biliardo, tavolini rotondi da bisca, intorno ai quali la gente si accinge a giocare. I lampadari sono sfarzosi e ricchi di cristalli pendenti. Uomini sono comodamente spalmati sui divanetti blu, soffusi, in una coltre di fumo molto fitta, intenti a fumare sigari, filtri di canne, sniffare droga. Ci dirigiamo lungo il corridoio, ma altri omoni sono proprio lì, a fare le sentinelle. Di sfuggita ci guardano.

-Devo fare qualcosa! -

Cingo il braccio di Jennifer, spintonandola verso il muro. Mi accosto a lei, soffiandole sul viso: < Ci stanno osservando. Ho un piano, assecondami >.

Le mie labbra si spingono sulle sue, lambendole con ardore in una danza sensuale e intensa. La mia lingua accarezza e successivamente gioca con la sua, che vorticosamente corrisponde. Le sue braccia abbrancano le mie spalle tentando di prendere il controllo sulla mia bocca. Spinto dalla passione del bacio, incurvo il capo, inducendo lei ad aderire completamente alla parete. Le mie nocche dispongono la sua gamba intorno al mio piede.

Un colpo di tosse ci fa smettere all'istante.

-Proprio quello che volevo! -

Ci fingiamo imbarazzati.

< Per fare altro ci sono le stanze, ma il corridoio... >, io mi affretto a rispondere: < Ci scusi, ci siamo lasciati prendere la mano >.

Jason sopraggiunge e interviene in nostro aiuto.

< Eric, vieni con me, devo discutere con te di un affare, vogliate scusarci... >, e io mi congedo con lui.

La distanza ci permette di tenere sotto controllo la situazione. Jennifer fa cadere la sua pochette nera e dorata, e lui si precipita ad aiutarla. Lei, sorridendo giuliva e ammiccante, scopre il suo seno generoso. A giudicare dall'espressione languida del tipo, ha funzionato.

< Mi scu-si. So-no co-sì malde-stra. Mi aiuterebbe a gio-care in attesa che E-ric finisca la sua con-versa-zione > pronuncia con una melliflua gentilezza e tanta seduttività. Lui ovviamente accetta circondandole la vita. Rimasti soli, Jason lascia scivolare, sulle mie mani dietro la mia schiena, una pistola. Prontamente la incastro nella cintura, coperta dalla giacca che aggancio. Dopo un occhiolino, va via. Io varco la soglia dell'ufficio spoglio. Apro il cassetto e trovo l'elenco dei giocatori, il nome dello scagnozzo del killer e tanti altri. Uno in particolare causa un intenso sbigottimento: un marchio con una grande W.

-Ma questo è... non può essere! Questo marchio è... -

Non ho il tempo di riflettere, perché lo stesso uomo di prima arriva, portando con sé una Jennifer intrappolata al suo petto.

< Sapevo che non dovevo fidarmi! >, un rumore alle sue spalle mi permette di afferrare la pistola e puntargliela.

< Lasciala. Ora. Altrimenti premo il grilletto! > lo minaccio. Ma una terza persona entra, ottenendo il mio interessamento. Interessamento che può rivelarsi fatale, perché il maledetto, che teneva stretta a sé Jennifer, indirizza la pistola verso di lei che mi raggiunge.

-Accidenti le sparerà! -

Mi frappongo tra loro, e un colpo secco e lacerante mi trapassa la pancia, accompagnando un suono che si propaga impetuosamente nell'aria. Cado rovinosamente sulla moquette, in ginocchio. Annaspo alla disperata ricerca di aria, ma tutto intorno a me sembra voler scomparire e l'unica cosa, che riesco a scorgere, è solo il sangue che sgorga via da me.

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