Bugie
Si sente solo l'incidere degli anfibi di John sul marmo del pavimento, é continuo e frenetico. Non trova pace da quando ha saputo che Eric ha lasciato l'ospedale.
Sono le 04:00 di notte e di Eric neanche l'ombra : neanche una chiamata o un messaggio.
Sembra essersi volatilizzato.
<< Adesso calmati John >>, l'unica cosa che riesce a dirgli, mia madre. Io sono seduta sul lungo divano in pelle bianca del salotto. Sul tavolino bianco in stile inglese ci sono tisane e valeriana che John ha preso poco fa per calmarsi. Non l'ho mai visto così agitato.
La vetrinetta di vetro è vuota, mentre di solito presenta i bicchieri di cristallo da usare per offrire dei superalcolici agli ospiti. John li ha usati per versarsi in ogni bicchiere un superalcolico diverso, nonostante l'opposizione della mamma. Io sto osservando inerme, perché non posso fare nulla a parte muovere freneticamente le mie scarpe sul tappeto shaggy bianco. John si lascia cadere sul divano, mentre si massaggia la fronte con una mano. Il suono del campanello ci fa sobbalzare, io mi tiro su istantaneamente.
<< Vado io, state pure seduti! >> avverto mentre mi affretto a raggiungere il portone. Apro velocemente e mi trovo di fronte l'ultima persona che avrei mai creduto di incontrare.
Riconosco i suoi occhi nocciola così caldi e calorosi che mi osservano e sembra quasi mi sorridano, è proprio Martin. Io resto interdetta.
<< Martin, ma cosa ci fai qui? >>
Lui mi risponde nella più assoluta tranquillità:
<< Beh... mi avevi detto che era successo qualcosa, quindi beh-beh... io... >> si incarta con le parole grattandosi la nuca.
<< Ti sei preoccupato? >> gli domando.
<< Beh... sì, ovvio >> mi dice spontaneamente e le mie labbra si incurvano all'insù per poi abbassare lo sguardo.
-Che tenero che sei Martin-
<< Sara, ma chi c'è lì ? >>, la voce di mia madre mi riporta alla realtà.
<< M-mamma, è Martin >>
Mi volto verso di lui e spalanco la porta per farlo entrare. Arrivati in salotto, lui si perde ad osservare il mio patrigno accigliato.
<< Eric, sembra che abbia lasciato l'ospedale e non si sa dove sia >> gli racconto bisbigliando, per paura di far agitare John.
<< John io dovrei dirti una cosa... >> gli annuncio mentre deglutisco. Lui mi scruta in attesa che io continui il discorso, ma il coraggio sembra mancarmi. Il mio battito accellera, sfreco le mani le une nelle altre ed iniziano a sudare.
<< E-ecco... v-ve-vedi... >> cerco di farmi coraggio, ma il rumore di qualcosa che sbatte mi fa trasalire. Dei passi lenti e condensati ottengono la nostra attenzione. I lineamenti di John si rilassano a causa della persona che ha di fronte: Eric è tornato. Lui ci rivolge un'occhiata e con nonchalance va via, come se niente fosse accaduto.
<< Eric, non ci dici nulla! Ti sembra questa l'ora di tornare e mi spieghi perché diavolo hai lasciato l'ospedale? Noi siamo la tua famiglia! >> gli dice indignato suo padre e posso notare la vena pulsare sulla sua fronte. Si sta trattenendo ma vorrebbe sbottare. Eric dal suo canto si mantiene impassibile scrutandolo quasi spavaldo.
<< Credo che dovresti rivalutare la tua definizione di famiglia perché ti posso assicurare che questa non lo è >> afferma, sprezzante.
<< Ti sbagli! Questa, che ti piaccia o no, è la tua famiglia! Non puoi fare tutto quello che ti pare! IO SONO TUO PADRE ED ESIGO CHE TU MI PORTI RISPETTO! >>.
Lui gli lancia un'occhiata di fuoco per poi scoppiare a ridere sguaiatamente, dopo il suo sguardo si indurisce.
<< È un po' tardi per definirti mio padre! Quante volte ho cercato queste tue ramanzine? Non arrivavano mai, non c'era il minimo gesto di affetto da parte tua, perché eri troppo impegnato con questa donna! >> alza i toni Eric, sempre più furioso.
<< Eric, tua madre... lei... >> John cerca di parlare ma lui scaglia il bicchiere sul pavimento, il rumore prodotto ci fa sobbalzare.
<< Non... non... azzardarti... a... nomina-are mia madre!! Non ne hai diritto!! Non dopo tutto quello che le hai fatto e non dopo tutto quello che hai fatto a lei! >> strilla scandendo le parole.
Non l'ho mai visto in quello stato e mi fa paura. John sembra pietrificato di fronte alle sue parole, come se fosse stato catapultato in un mondo in un cui solo lui ed Eric hanno vissuto. Prova a proferire parole affannosamente : << Lo so, hai ragione riguardo tua madre, ma quello che è successo a-a... lei... >>
<< Quello che è successo a lei ormai è acqua passata, ormai sta bene e, per fortuna, è lontana da te! >> conclude Eric frettolosamente, deciso a troncare questa difficile discussione. Non capisco di chi stiano parlano.
-Chi è lei? La madre di Eric? No, lei è morta-
Mister simpatia pare abbia ripreso il controllo della situazione e di se stesso. Il suo viso è rilassato ora e anche la sua voce lo è.
<< Quella che tu chiami famiglia è solo un teatro. Arriverà il giorno... il giorno in cui calerà il sipario >> gracchia, per poi salire le scale con alterigia. John va di sopra a dormire, io sono ancora scossa e il mio sguardo è fermo al punto delle scale in cui è scomparso Eric. Martin mi lascia delle carezze sulle spalle, quasi a volermi rassicurare.
<< Non mi aspettavo che Eric fosse così, lo conosco al college, ma non pensavo avesse tutto questo rancore >> mi dice preoccupato
<< Già... >> mormoro.
Le sue mani premono sul mio braccio, ciò mi porta ad alzare lo sguardo.
<< Sara, ascoltami... stai lontana da quel ragazzo. Non so, però non mi piace, è pericoloso >> mi avverte.
<< Grazie per essere venuto Martin >> lo ringrazio per poi depositargli un tenero bacio sulla guancia. Dopo aver chiuso il portone mi appoggio su di esso, i miei occhi si chiudono per un attimo esausti dalla giornata.
Vado di di sopra velocemente, ma non riesco a dimenticare i suoi occhi pieni di odio, mi mettono i brividi. Mi addormento subito sperando di dimenticare almeno per un paio di ore questa terribile giornata.
***
<< Biiiiiipppp! >, il suono della sveglia è inconfondibile e massacrante.
La luce, proveniente dalle vetrate, illumina tutta la camera. Al centro della stanza è situato il mio letto a due piazze su cui ho dormito. Mi sollevo facendo forza sui gomiti per appoggiare il capo e la schiena sulla testiera del letto, ma provo un leggero fastidio al collo, a causa della testiera in ferro battuto che, con le sue sinuosità, sembra riproduca la forma di due vortici che si incontrano. Tuttavia, la bellezza della stanza non si ferma solo a questo: il letto è ricoperto da lenzuola dal tessuto pregiato, copriletto bianco e un orsacchiotto con in mano un cuore su cui è scritto "Miss you". Sulle pareti, colorate di un rosa pallido, sono affissi quadri sureali, l'urlo di Edvard Munch e tante foto che mi ritraggono con le trecce e l'apparecchio dall'infanzia sino all'adolescenza. Lateralmente al letto ci sono due comodini in legno bianco: su uno di questi è riposta la brocca di vetro contenente l'acqua, sull'altro è posato il libro. "Il Tulipano che fiorí tra la neve". Distante di qualche metro si trova un piccolo salottino costituito da 2 poltrone e un lungo divano a mezza isola, entrambi rivestiti di pelle bianca. Tra di essi, su un tappeto bianco e beige, si trova un tavolino di legno, la cui gamba presenta, attorcigliata a sé, una seconda gamba che incrocia la prima. Poco più avanti si nota la mia scrivania, anch'essa in legno bianco, su cui sono poggiati alcuni miei libri, avezzi della mia cultura, anche se la maggior parte risiedono sulla mensola, inchiodata al muro di fronte la scrivania.
Mi alzo controvoglia e mi svesto velocemente.
Tiro su i miei jeans che sembra non ne vogliono sapere e oppongono resistenza.
-Accidenti! Ma si sono ristretti o sono io ad essere ingrassata?- penso, saltellando per farli entrare.
-Ma vedi cosa devo fare per indossare un paio di pantaloni!-
Avrei preferito dei pantacolant, ma visto il gelo leggendario che c'è questa mattina a New York, sarebbe un autentico suicidio.
Guardo allo specchio il mio reggiseno in pizzo rosa, che copre interamente il mio seno,dato che madre natura non mi ha tanto fornita.
Indosso un maglione color salmone e degli scarponcini neri. Sopra mi copro con un giubbotto di pelle nero, imbottito internamente,i miei capelli restano impigliati.
-Accidenti!! Mi devo sbrigare altrimenti mister simpatia non mi aspetta!-
Velocemente li tiro fuori, mi fiondo nel mio angoletto personale, in fondo alla stanza, una sorta di zona trucco. Lo specchio barocco è in legno, lavorato a foglia d'argento. Decreta il verdetto: sono orribile. I miei capelli, pur non sapendo come sia possibile, sono gonfi come una nuvola, la mia pelle è cadaverica, sembro uno zombie. Metto velocemente un filo di eyeliner nero sopra l'occhio, un po' di matita nera dentro.
<< Sara sbrigati!! John vuole parlarti! >> le urla di mia madre dal piano di sotto mi fanno saltare.
<< Ahhhhhh accidenti!! E adesso?! Devo muovermi! I capelli! >> impreco contro i miei capelli come se loro potessero rispondermi.
<< Sei impazzita? >>
Riconosco la voce di Eric. Mi volto e lo vedo. Se ne sta sullo stipite della porta a braccia conserte ad osservarmi. Aggrotta le sopppracciglia sicuramente perché non comprende cosa io stia combinando e io ridacchio imbarazzata.
<< No, è che io e i miei capelli ci odiamo da secoli, guarda! Sono orribili >>, gli indico una ciocca.
<< Non so dove la trovi quest'energia per imprecare di prima mattina, io a quest'ora ho solo tanto sonno >> mi dice mentre non riesce a trattenere uno sbadiglio.
<< Ad ogni modo sbrigati, ti aspetto in macchina >> mi informa con tono piatto per poi uscire. Cerco di pettinarli anche se si elettrizzano sempre di più.
Prendo la piastra e decido di fare l'unica cosa sensata che attendo da minuti: iniziare a piastrarli.
Afferro il mio zainetto rosa e mi affretto a scendere la scalinata in marmo, ma John mi sbarra la strada.
<< Sara, dovrei dirti una cosa prima > proferisce parola rivolgendomi un sorriso gentile e io lo guardo accigliata. Io mi sistemo sul divano e lui continua il discorso :
< Vedi Sara... come hai ben capito, il mio rapporto con Eric non è idiliaco, negli ultimi tempi sono successe un bel po' di cose e... >>
Io aspetto che lui termini il discorso: << Credo che lui avrebbe bisogno di una persona che lo controlli, che scopra quello che fa, che gli impedisca di cacciarsi nei guai >>.
Io concordo con lui : << Hai ragione John, credo che dovresti cercare di recuperare il tuo rapporto con lui >>.
<< Lo sto facendo, comunque non ho il tempo di far una cosa simile, credo che dovresti farlo tu >> mi dice e mi alzo di colpo.
<< Cosa? No, senti John, tuo figlio non ha molta simpatia per me, non mi permetterebbe mai di sapere cosa fa >>
<< Ci sono molti mezzi per scoprire determinate cose >> insinua lui.
<< Mi stai chiedendo di fare la spia e ficcanaso? >> gli domando sconvolta
<< Sì, ti prego Sara! Ti prego, fallo per me! >>
Le sue mani prendono le mie e il suo viso è supplichevole.
<< E va bene, lo farò >>, mi arrendo, lui mi stringe in un abbraccio così caloroso da essere soffocante.
<< Grazie grazie! >> mi urla, ma io sono già fuori di casa.
Attraverso il vialetto in pietra e raggiungo la Range Rover nera di Eric che sta picchiettando le dita sullo sterzo.
Non appena mi siedo sulla pelle del sedile, mi fulmina con lo sguardo, ma stranamente tace.
<< Come è finita la lotta con i tuoi capelli ? >> mi chiede inaspettatamente.
-Gli interessa?-
<< Ho vinto, ho preso la piastra ed è andata! >> lo informo con il sorriso di una bambina.
<< Beh... visto che non ho dovuto aspettare i secoli rischiando di farmi spuntare i capelli bianchi, direi proprio di sì >> mormora ironicamente con un sorriso.
Io aggrotto le sopracciglia e lui se ne accorge.
<< Perché hai quello sguardo? >>
<< Mi stupisce la tua allegria di prima mattina >> sibillo seriamente, ma lui non la prende sul serio e ridacchia.
<< Come dovrei essere di prima mattina? Un orco? >> mi domanda col suo immancabile sarcasmo, che questa volta mi suscita ilarità.
<< Di mattina sembra che ti abbia morso una vipera, anzi è sempre così >> gli confesso con tono giocoso, ma so che c'è un fondo di verità.
Questa è la prima conversazione normale e pacata con lui.
<< Ti sbagli, non mi conosci, io sono un tipo scherzoso e loquace >>, mi spiega, io lo scruto sbattendo le ciglia, sono allibita.
<< Semplicemente non lo sono con tutti >>, aggiunge.
<< Mi ha detto tuo padre che oggi hai un esame importante >>, alludo.
<< Sì, psicologia, ma definirlo importante è un eufemismo, perché è un esame a scelta >>, asserisce con tono piatto e totalmente disinteressato. Sicuramente non gli interessa il campo della psicologia, a me sì, leggo molti articoli, ovviamente non sono un'esperta.
Non me ce lo vedo a leggere articoli o libri di questo tipo.
Il silenzio in auto viene sostituito da una melodia, quasi dolce, che riconosco.
<< Ma questo è Mike Oldfield! >> esclamo, elettrizzata.
<< Non mi aspettavo che tu lo conoscessi... >> mormora aggrottando le sopracciglia.
<< Certo che lo conosco! The song of the sun, una canzone sinfonica che va dal progressive rock al folk irlandese >> faccio sfoggio della mia cultura musicale.
La musica mi inebria le orecchie, con i suoi suoi suoni così caldi. L'oscillare, lieve, dell'auto sembra che mi culli.
Trattengo a stento uno sbadiglio, mentre i miei occhi si chiudono e sento solo sulla mia fronte il calore dello schienale su cui ho poggiato la schiena in precedenza. Ricevo uno scossone dall'auto che mi fa sbattere leggermente la testa contro il vetro.
<< Ahia!! Ma che succede! >> mi lamento messaggiandomi la parte lesa. Eric sogghigna ovviamente e ci tiene a farmi notare la mia goffaggine: << Sei proprio imbranata, non avresti dovuto addormentarti. In questa strada secondaria ci sono le buche e lo sai >>.
<< Ho un bernocolo ora, vero? >>.
Lui mi scruta seriamente, soffermandosi su ogni parte del mio viso, io mi sento stranamente a disagio e abbasso lo sguardo.
<< Miss mondo ti fa un baffo >>, mi risponde e avverto un tono scherzoso. Io gli do' dei leggeri colpetti, ma mi spunta un sorriso a fior di labbra.
Lui, non riuscendo più a trattenersi, ride di me.
-Questo ragazzo è tutto strano! Mi sta meno antipatico quando è giocoso, diventa quasi piacevole!-
Si scorge l'immagine del college che è sempre più vicina e la sua macchina inchioda. Non mi si farà, per mia fortuna, un secondo bernocolo.
Prendo il mio zaino e mi accingo ad aprire la portiera, ma...
Mi volto verso di lui e gli sorrido. Lui mi guarda accigliato.
<< Gra-grazie per il passaggio e in bocca al lupo per l'esame >>, sussurro, lui è intento a chiudere l'auto con la chiave. Si gira e mi osserva.
<< Dovere >>, proferisce parola con tono serioso.
-Dovere? Dovere cosa? Accompagnarmi?-
<< Ci vediamo. Ciao >>, conclude per poi darmi le spalle e allontanarsi. Inizio a fare lo stesso, mentre sto percorrendo il viale per raggiungere la mia facoltà, una mano sulla mia spalla mi fa fermare.
<< Sara >>
Martin mi sorride, ci salutiamo con un abbraccio.
<< Ciao Martin, facciamo la strada insieme per arrivare in facoltà? > gli propongo con serenità.
< Proprio quello che volevo chiederti! >> afferma allegramente.
La sua allegria mi mette di buon umore. Stiamo attraversando un porticato parallelo ad alcune aule della facoltà di economia.
<< Oggi si terrà un esame qui, quindi probabilmente avremo problemi per passare > mi spiega.
<< Già, lo so, Er... >> mi interrompo, quando constato che Eric non c'è.
-Non c'è?! Ma cosa diavolo... come è possibile!-
<< Martin, sapresti dirmi dove si trova l'ufficio del professore di questo esame? >> gli domano di colpo, lui mi guarda sconvolto.
<< Va bene, ora ti accompagno, seguimi >> mi ammonisce dolcemente. Salendo la grande scalinata in pietra, ci troviamo di fronte ad un lungo corridoio, in fondo al quale c'è una porta bianca.
La targetta d'oro porta il nome in grande di Agnes Nicholson.
A quanto pare è una professoressa.
Bussiamo, ma non si sente alcun suono dall'altra parte.
La spalanco, faccio per entrare, ma Martin mi cinge il polso.
<< Sara, cosa vuoi fare? Perché siamo qui? >>, mi domanda accigliat
<< Eric doveva fare l'esame eppure non è qui, John ha paura che si cacci nei guai >> gli racconto.
<< Sara, lascia perdere >>, mi avverte. I lineamenti del suo viso sono in tensione.
<< Martin, devo farlo, ti prego potresti controllare se arriva la professoressa, ho deciso di vedere la lista dei prenotati all'esame e le presenze. A quest'ora deve averli già presi >>
Lui mi scruta contrariato, ma mi accontenta.
Entro nell'ufficio di soppiatto, stando ben attenta a non farmi udire. La scrivania bianca è al centro, sulla quale ci sono una grande borsa nera e una 24 ore.
-Eccolo! Il registro e il foglio! Sono proprio lì sopra!-
Leggo le presenze.
Le mie mani si spostano verso il foglio, ma tremano come se avessero paura di una verità scomoda. Come sospettavo, non è presente, risulta assente.
-Quale senso ha prenotarsi, dire al proprio padre di dover fare l'esame e poi non presentarsi?-, questo dubbio mi arrovella.
Non ha senso tutto ciò. Un tacchettìo sempre più vicino mi fa sussultare e di istinto i miei occhi sono sulla porta. Inizio ad arretrare in punta di piedi, il display del mio telefono si illumina e compare il nome di Martin. Lo spengo e mi nascondo nello studio adiacente per evitare di essere scoperta.
Vedo entrare una donna dal fisico sinuoso avvolto in un Thayer nero, ha i capelli lisci e castani, due enormi occhi azzurri e le labbra carnose. Lei è seguita proprio da Eric.
-Quindi si é presentato! Vorrà prendere le presenze!-
<< Come da programma devo andare >>, le dice lui come se niente fosse. La donna ghigna per poi scuotere il capo.
<< Sei un cattivo studente, sai! Per tua fortuna sono magnanima >>, insinua con un tono confidenziale.
-Cosa? Ma è impazzata?-
Gli cinge le spalle, cominciando ad accarezzargliele, per poi depositargli un bacio sulle labbra che cominciano a muoversi in modo sempre più frenetico. Lui le stringe i capelli per avvicinarla ancora di più a sé e rendere il contatto ancora più passionale.
-Non posso crederci! Eric, ha una relazione con l'insegnante!-
Un rumore li ferma, qualcosa è caduto a terra, è una cartella. Realizzo di essere stata io e nei miei pensieri inizia ad albergare il solo desiderio di scomparire.
Il mio cuore inizia a galoppare perché avverto i loro sguardi sulla porta di questo studio. Dietro di essa mi trovo io che, spiaccicata sul muro, aspetto la mia ora.
<< Hai sentito? Qualcosa è caduto a terra... >> esclama Agnes.
<< Sì, l'ho sentito, ma c'è l'assistente? >> le domanda e posso notare una sfumatura di preoccupazione nella sua voce.
Uno dei due si avvicina nella mia direzione, i passi sono sempre più vicini. Lenti e condensati. A giudicare dal rumore, non indossa i tacchi, quindi sicuramente è lui.
-E adesso? Se mi becca qui, sono finita! Quello mi fa fuori!-
Il mio respiro sembra venire meno, mentre il mio cuore pare voglia uscire dal petto.
Socchiudo gli occhi e mi stringo le spalle. La stretta è così forte da procurarmi dolore. Vorrei non essere qui, vorrei scomparire.
Sento il suo respiro dall'altra parte della porta. Sta per aprirla, ma...
Una voce lo fa desistere dai suoi propositi :
<< Professoressa, i ragazzi attendono di essere esaminati, sono tutti in aula >>
Deve essere un alunno. La porta si chiude.
Eric le dice : << C'è mancato poco. Sai che quello di cui mi sto occupando non può aspettare , non ho il tempo di studiare questo esame > >
<< Lo so, ci tieni alla tua preparazione universitaria. Sei un bravo studente >>, gli risponde con tono suadente, mentre gli accarezza il viso per poi stampargli un altro bacio che ha ben poco di casto.
Sento la camminata di Eric sempre più distante da me, si sta allontanando. Tiro un sospiro di solievo, per fortuna non mi ha scoperta. Se fosse successo, ciò avrebbe compromesso gli equilibri, già precari, della nostra famiglia.
Non sento più nulla, devono essersene andati.
Mi allontano velocemente, ma una mano sulla spalla mi fa sobbalzare.
L'espressione accigliata di Martin mi tranquillizza.
<< Vieni, ti accompagno >> mi dice serenamente.
Entro in aula, Maria mi sorride, io ricambio o almeno ci provo. Mi siedo, il professore dai capelli ricci e disordinati inizia a spiegare, ma la mia mente è altrove. Nelle ore successive non riesco a concentrarmi, la frase di Eric si ripete ossessivamente.
"Sai benissimo che quello di cui mi sto occupando non può aspettare"
-Cosa avrà voluto dire? Quello cosa? Che si stia cacciando davvero nei guai? Devo dirlo a John?-
Sono le 18:00.
Afferro il mio zaino, ma non riesco a trattenere uno sbadiglio. Esco dall'aula, ma inevitabilmente mi scontro con qualcuno o meglio qualcosa: la chitarra di Martin.
-Ma cosa diavolo?!-
<< Martin ! >> esclamo, sorpresa di trovarlo ancora qui.
mi dice, sembra che anche lui non si aspettasse che seguissi fino ad ora.
<< Dove vai ora? >> mi domanda, mentre si gratta la nuca e mi sorride a disagio.
-Che tenero!-
<< A casa, dove vuoi che vada con questo zaino? >> gli chiedo retoricamente
<< Ah... vero! Era una domanda stupida la mia >> biascica, imbarazzato. Ed entrambi scoppiamo a ridere.
Martin è molto strano in questo momento,è un ragazzo timido, ma non ha mai fatto così.
<< Devo raccontarti del nuovo pezzo a cui sto lavorando, spero che tu lo apprezzi >>.
Inizia un lungo racconto della sua giornata, dei suoi professori stravaganti e degli alunni.
Non riesco ad evitare di ridere sguaiatamente mentre sto attaccando la cintura al sedile della sua macchina.
<< Q-Quindi... >>, farfuglio, ma non riesco a terminare la frase a causa delle risate.
<< Non credo di aver capito cosa tu voglia dire >>, mi dice, io sospiro per poi pronunciare parola:
<< Quindi anche i tuoi professori sono delle persone particolari >>
Lui fa segno col capo di sì, ma si adombra,i lineamenti del suo viso si contraggono.
<< Comunque Sara... beh... ecco... non è stata proprio una coincidenza che io mi trovassi qui, ora... >>
Io aggrotto le sopracciglia, aspettando che lui continui, mentre usciamo entrambi dall'auto perché sono arrivata.
<< Ho finito un'ora fa, ma mi sono informato sui tuoi orari, per beh... ecco... accompagnarti! >>
Questa sua confessione mi intenerisce e senza che neanche io stessa abbia il tempo di realizzarlo, lo abbraccio.
<< Grazie Martin, sei tenerissimo. Mi fa molto piacere >>
Mi accarezza i capelli e ciò mi rilassa.
<< Ho scritto una canzone, spero che ti piaccia, perché... >>
Il rumore di una porta che si apre, ci fa allontanare l'uno dall'altro. Io mi volto e vedo mia madre a braccia conserte, con un vestito aderente color petrolio. Mi aspetta sulla porta con espressione arrabbiata.
<< Sara! Era ora che tornassi! Qui si sta discutendo di una cosa importante e tu vai in giro a perdere tempo >>.
Saluto Martin con un bacio sulla guancia ed entro velocemente.
<< Di cosa discutete? >>
-Già so di cosa vuole parlarmi, di Eric, non ha fatto l'esame!-
<< Eric ha fatto l'esame, ha preso 30! >> mi informa.
-Cosa?-
Resto a bocca aperta, al centro del salotto. Lui è seduto tranquillamente sul divano. Mi sta scrutando in modo strano, intanto mia madre si allontana.
<< Vado un attimo di sopra >>, pronuncia, mentre mi stendo sul divano, ma...
Qualcosa attira la mia attenzione: il suo zaino nero della comics.
Mi tiro su e istintivamente le mie mani prendono il suo libretto e...
-NON CI CREDO!-
Una mano mi cinge il polso duramente e mi fa sussultare. Una forza inaudita mi spinge contro qualcosa di duro e i miei occhi si serrano. Quando li riapro, riconosco il suo petto ben definito e i suoi occhi, che mi guardano furiosi.
Eric mi ha beccata, ovviamente ho una sfiga che rasenta il mitologico.
-Per me è finita ora!-
<< Mi spieghi cosa stavi facendo? >>
<< Sta-stavo... >>, deglutisco.
<< Non sforzarti di trovare scuse credibili, perché nessuna lo sarà, giacché hai il mio libretto in mano >> scandisce le parole lentamente con tono acido.
<< Va bene, te lo spiego, ma lasciami il polso! >> lo avverto agitata e finalmente sono libera.
<< Tuo padre mi ha chiesto di badare a te e... >> inizio, ma lui mi impedisce di terminare il discorso: << Non ho bisogno della balia, ho 25 anni. Sei tu forse quella che ne ha bisogno visto che ti cacci nei guai, sempre >>.
<< Cosa stai dicendo? >>
Lui mi osserva con l'aria di chi la sa lunga, di chi ha capito tutto. Estrae dalla tasca un orecchino a cerchio d'oro.
-Ma quello è...-
<< Questo ti dice niente? >>
Lui avanza, mentre io arretro e me lo ritrovo ad una spanna da me.
<< Se-senti posso spie-spiegartii... >> mormoro nel più assoluto imbarazzo.
<< Spiegarmi cosa? Che mi spii e sai che non ho fatto l'esame e questo orecchino lo hai perso proprio lì? >>
<< Ti ho spiato, perché tuo padre... >>
<< Lo so lo so, me lo hai già detto >>, mi sibilla ad un millimetro di distanza, io abbasso lo sguardo sul pavimento.
-Lo sapevo che sarebbe successo! Sara sei una stupida! -
il suo viso si avvicina al mio orecchio e mi sussurra : << Forse ho capito cosa sta accadendo qui... non sarà che volevi esserci tu al posto della professoressa? >>.
I suoi occhi sono di nuovo di fronte ai miei, sono così azzurri che mi perdo in essi. Ci guardiamo come se volessimo scoprire ciascuno i segreti dell'altro o non lo so.
Quando sento il suo sguardo su di me avverto qualcosa di strano, mi fa irrigidire.
Le mie mani premono sul suo petto per spingerlo lontano e ci riesco anche se di pochi centimetri.
<< Ma come ti permetti, io non sono il tipo! >>
<< Come vuoi, sappi solo una cosa... non ti permetterò di insinuarti nei miei segreti ! Se non stai nel tuo, renderò questa tua "permanenza" qui per nulla "piacevole" >> mi minaccia virgolettando sulle parole permanenza e piacevole.
Dopo avermi rivolto un'ultima occhiata intimiditoria, va via come se niente fosse.
-E adesso?-
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top