6. Da nemici ad amici

Io e Gabriel eravamo nella sua auto, vagavamo nei posti in cui sapevamo potesse essere Simon. L'ispettore guidava una berlina blu notte a cinque porte, che usava per fare le sue stronzate da sbirro in borghese.

«Quel postaccio nascosto dove vi ritrovavate voi esseri strani non c'è più, vero?» mi domandò lui mentre io guardavo fuori dal finestrino.

Il cielo era arancione e il sole stava scomparendo, le strade piano piano si svuotavano, tutti tornavano a casa dal lavoro e da lì a breve sarebbe giunta la sera. Quel misterioso confine tra notte e giorno mi affascinava da quasi due secoli, tutto sembrava magico e in modo particolare durante il tramonto.

«Markoos ha ucciso Doyle e distrutto tutto qualche anno fa, quando mi dava la caccia. Simon ci andava spesso, l'ho conosciuto lì, sai?» gli raccontai, mentre osservavo l'asfalto prendere i colori del crepuscolo e le case che facevano apparire e scomparire il sole, intanto che la macchina sfrecciava accanto a esse.

«Ecco perché era introvabile quel piccolo bastardo! Una volta non era un delinquente...» mi disse lui fermandosi a un semaforo.

«Questa non me l'aspettavo. Sapevo che eravate amici da ragazzini, quindi ti credo», risposi con un mezzo sorriso, togliendomi gli occhiali da sole.

«Lui si prendeva sempre le colpe delle stronzate che facevamo, mi diceva che tanto nessuno si sarebbe stupito se fosse stato lui, mentre i miei erano più facoltosi e avrei macchiato il loro onore. Insomma, stronzate da ceto sociale e cose così», sentenziò Gabriel alzando le spalle per poi inserire la marcia e ripartire quando era scattato il verde.

«Ho vissuto una storia simile più di un secolo fa», mormorai perdendomi come di mio consueto nei ricordi.

Firenze, Italia 1873

Ero su uno dei tetti della città mentre osservavo metà della luna e pensavo a quanto fossero odiosi a volte i miei genitori. Ero scappato dalla finestra, come facevo quando non volevo più sentirli parlare.
Respirai la brezza notturna e chiusi gli occhi cercando di immaginare come sarebbe stato bello poter essere altrove, e finalmente libero da questa inutile nobiltà soffocante.

I miei pensieri furono interrotti da qualcuno che imprecava a bassa voce e che, poco dopo, fece capolino dall'oscurità.

«Oggi ci mancavi solo tu!» ringhiò il giovane che avevo di fronte.

Era Roberto, l'altro fidanzato di quella puttana viziata di Lucrezia.

Indossava una maglia scura strappata sul bordo e dei pantaloni dello stesso colore usurati, solo i suoi stivaletti sembravano nuovi.

«Ciao, bifolco, cosa ci fai qui?» brontolai sbuffando annoiato.

«Ho rubato queste calzature a uno dei tuoi amici ricchi e me la sono data a gambe!» ridacchiò lui, sedendosi senza permesso accanto a me.

«Dovrei chiamare le guardie, ma non voglio farmi trovare. Per questa volta lascerò che la feccia la passi franca», affermai alzando un sopracciglio e guardandolo di sottecchi.

«Anche tu nei guai? Cosa hai combinato? Hai sbagliato a mangiare il dolce o non hai usato il cucchiaino adatto?» mormorò lui canzonatorio.

Finsi di ridere e poi feci una smorfia.

«Non sono cose che ti riguardano, i tuoi lo sanno che rubi?» domandai intrecciando le mani dietro la nuca e poggiando la schiena contro un muretto alle mie spalle.

La città di notte vista dall'alto era affascinante e spaventosa al tempo stesso, infatti stavo pensando di rincasare invece di stare lì a perdere tempo con quel delinquente.

«Loro sono andati via da questa città e io non ho voluto seguirli, così mi hanno lasciato qui da solo a Firenze», mi confessò tristemente con tono duro.

«E dove vivi? Come fai da solo?» gli chiesi, forse anche troppo preoccupato per lui, senza una vera motivazione.

«Sono con altri ragazzi come me, stiamo in un grande magazzino abbandonato alla periferia di questo quartiere», mi riferì con semplicità e alzando le spalle.

Rimasi in silenzio per un lungo momento, prima di mettermi in piedi lentamente e sospirare fissando il cielo nero illuminato da poche stelle.

«Mi dispiace molto, non sapevo fosse così dura per te», gli dissi mordendomi un labbro.

«Ho scelto io di restare qui e non seguire i miei genitori, quando si fa qualcosa si pagano le conseguenze, belle o brutte che siano», affermò saccente Roberto.

Io non mi ero mai soffermato a pensarla così, alla fine avevo un posto dove tornare e le ragazzate mi venivano sempre perdonate, non avevo idea di cosa fossero le conseguenze, non veramente.

«Senti, per questa sera vuoi venire da me? Non ho voglia di stare da solo. Mio padre mi ha raccontato certe assurdità su dei mostri che escono di notte. In due potremmo difenderci meglio», gli chiesi con entusiasmo.

«Sarebbe interessante incontrarne uno. Ma i tuoi genitori non mi farebbero rimanere. Sei pazzo?!» rise di gusto lui alzandosi a sua volta.

«Invece sì, si vanterebbero di aver accolto un povero ragazzo di strada per misericordia e cavolate da politica di facciata», mormorai furbamente.

«Solo per questa notte. Non accetto la carità dei riccastri viziati e senza palle!» concluse lui dandomi una pacca sulla spalla e ridacchiando.

«Solo per questa notte, ovviamente. Io di solito non ospito bifolchi ignoranti in casa mia» tagliai corto, infine, invitandolo a seguirmi.

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