4. Prima il piacere e poi il dovere
Sapevo benissimo cosa fare e come muovermi per pianificare il ritorno del mio caro amico dal mondo dei morti.
Dovevo pensare a ogni singolo dettaglio e non sarebbe stato per niente semplice gestire tutto. Per fortuna Giuly era rimasta a lavorare alle mie dipendenze, anche se prendevo sempre meno casi e quasi non lavoravo più da quando Rob era morto.
Il bussare alla porta mi riportò alla realtà e la ragazza entrò con il suo solito fare scocciato, masticando una gomma rosa.
«Ho archiviato altri cinque casi oggi, siamo quasi a quaranta. Quando avrai intenzione di accettare questi incarichi?» mi chiese la vampira rassettandosi la gonna corta e nera, per poi sistemarsi la giacca dello stesso colore che fasciava perfettamente le sue curve.
«Ho diverse priorità al momento, hai altre novità importanti?» domandai poggiando le mani sulla scrivania e fissandola intensamente.
Osservai interessato la mia impiegata. Aveva un fisico ordinario: non tanto alta, capelli castani di media lunghezza e occhi color cioccolato. Eppure ti rimaneva impressa, proprio per il suo fascino particolare che scaturiva dal suo modo di parlare e muoversi. Io e il mio amico la avevamo assunta per quello diversi anni prima, senza dimenticare che portava sempre i tacchi.
La vampira roteò gli occhi contrariata nell'udire la mia richiesta, per poi camminare fino alla sedia di fronte a me e mettersi seduta.
«Ho trovato l'ennesimo nuovo numero di Luke, te lo scrivo. Vuoi minacciarlo di morte ancora una volta? Devo chiamare di nuovo Alexei per farlo cagare addosso come al solito?» interpellò lei facendo una bolla con la gomma da masticare. Successivamente scrisse il recapito telefonico del mio vecchio amico traditore.
Volevo passasse tutta la vita a scappare da un tizio russo che gli avevo messo alle calcagna. Ogni tanto, infatti, lo facevo rintracciare per farlo vivere nel terrore, un'agonia peggio della morte.
«No, tranquilla, ci penso io a lui», mormorai osservando il numero e rigirandomi il foglio tra le mani.
«Credo tu sia troppo teso... Vuoi il mio aiuto per rilassarti un po'?» propose la giovane per poi sputare la gomma nel cestino e venire verso di me.
«Credo sia opportuno a questo punto», replicai con un mezzo sorriso sghembo.
Osservai attentamente i suoi movimenti dalla mia postazione dietro la scrivania: Giuly arrivò al mio fianco, si chinò a baciarmi e a toccarmi lentamente tra le gambe, ricevendo subito la reazione che si aspettava. Le nostre labbra si scontrarono, e le nostre lingue guizzarono una nella bocca dell'altro senza sosta, finché lei non si inginocchiò davanti a me.
Le parole tra di noi in quel momento erano superflue, oramai i nostri corpi si capivano senza bisogno di parlare. In pochi attimi, mi liberò l'erezione e iniziò a maneggiarla con movimenti lenti del polso, stringendola gentilmente in pugno.
Chiusi gli occhi e divaricai leggermente le gambe abbandonandomi con la schiena sulla poltrona. Adagiai il capo all'indietro sul comodo poggiatesta, accompagnando la sua testa con le mie mani tra i suoi capelli.
La lingua umida della vampira percorse suadente tutta la mia lunghezza, portandomi ad ansimare non appena inglobò totalmente il mio sesso nella sua bocca calda e invitante.
Le sue dita delicate ma allo stesso tempo decise, intanto, accarezzavano i miei testicoli gonfi, aumentando quel piacere che già mi stava donando con l'uso delle labbra.
Giuly sapeva proprio come farmi rilassare.
Poco dopo, le sue dita furono sostituite dalla sua bocca e dalla sua lingua che peccaminose non mi davano tregua, mentre con una mano sfiorava la mia pelle nuda sotto la camicia e con l'altra, continuava a muoversi sul mio membro.
La segretaria scese audace verso la parte più sensibile leccandola, per poi risalire e accogliermi nuovamente nella sua gola insaziabile.
Quel suo modo così intenso e deciso, mi fece scattare una voglia irrefrenabile di possederla sul momento senza indugiare oltre.
In pochi istanti mi misi in piedi, sollevando anche lei, e subito dopo la girai ponendola prona sulla scrivania. Poi le alzai la gonna esponendo così alla mia vista le sue natiche tondeggianti.
Scostai le sue mutandine e la preparai con le dita alla mia prossima intrusione, intanto che lei mugolava e farfugliava qualcosa, ma, intento com'ero, non le prestai ascolto.
Dopo averla esplorata a sufficienza, entrai prepotente dentro di lei, afferrandola per i capelli stretti in un pugno, e iniziai a muovere il bacino per possederla con fermezza.
A ogni stoccata il mobile vibrava, facendo cadere a terra qualche oggetto che prima era sulla superficie di legno, mentre le mie orecchie udivano i suoi gemiti provocati dalle spinte secche a cui la sottoponevo.
Sentivo ogni centimetro della mia erezione farsi spazio dentro la sua femminilità calda e bagnata e i testicoli impattare contro le sue natiche sode. La mia presa sui suoi capelli si fece più ferrea e decisa, mentre emettevo versi di piacere, rispondendo quasi istintivamente in risposta ai suoi.
Improvvisamente il citofono dello studio suonò interrompendoci.
Sbuffando, feci per uscire da lei, ma subito mi bloccò stringendomi dietro la coscia con una mano.
«Non vorrai lasciarmi così?» sbottò seccata la ragazza fulminandomi con lo sguardo.
La osservai divertito, sinceramente indeciso sul da farsi, ma lei scelse per entrambi allontanandosi in malo modo.
«Abbiamo un conto in sospeso, ricordatelo!» mi ammonì puntandomi il dito contro, mentre si risistemava.
Poi camminò lentamente, ancheggiando magistralmente sui tacchi e consapevole dei miei occhi che seguivano ogni suo movimento, fino ad arrivare alla sua postazione per osservare le immagini della telecamera di sicurezza posta fuori.
«Caspita, è quel detective! Ancora collaborate voi due?» domandò indispettita la mia segretaria.
Poco dopo tirò fuori dal cassetto il necessario per ritoccare il trucco e iniziò a farlo velocemente, mentre aspettava la mia risposta.
Io, intanto, cercai di rendermi presentabile cercando di ignorare il sottofondo del citofono che lo sbirro continuava a suonare imperterrito.
Nonostante tutto, il sergente Gabriel J. Lewis era un buon detective; a sua insaputa, era finito coinvolto nel sovrannaturale, così io gli avevo dato una mano per risolvere alcune faccende. Da quel momento era al corrente della realtà che si celava dietro la bella facciata di Miami.
Feci cenno a Giuly di farlo entrare e mi sistemai alla mia postazione, facendo finta di nulla, ma, in verità, ero piuttosto irritato anche io per la brusca interruzione.
Gabriel salutò appena la vampira con un cenno, e poi venne subito nel mio studio. L'uomo si sedette di fronte a me e mi fissò preoccupato.
«Ma che diavolo è successo qui dentro? C'è un tale casino!» mormorò notando il disastro che io e Giuly avevamo combinato.
«Ho avuto un attacco di... ehm... rabbia, insomma, e ho buttato tutto per terra», gli spiegai incerto e ancora un po' disorientato.
Aveva indosso un giubbotto sportivo marrone, una t-shirt chiara e jeans classici.
I suoi capelli erano di media lunghezza, di un color miele, e i suoi occhi azzurri, ma di una tonalità scura. Non portava la barba e sembrava più giovane della sua vera età.
«Henry, abbiamo un problema. Il tuo amico è scappato di prigione!» affermò di botto allarmato, poggiando le mani sulla scrivania e chinandosi in avanti.
Solo qualche minuto prima su quella stessa superficie vi era la mia segretaria prona totalmente alla mia mercé, l'immagine occupava ancora piacevolmente la mia mente, facendomi sorridere.
"Se solo sapesse..." pensai.
«Potevi liberarlo quando te l'ho chiesto, non sarebbe successo niente di tutto questo», gli risposi freddamente, concentrandomi su di lui.
«Sai bene che ha fatto incazzare troppe persone, tanto da escludere categoricamente una cauzione o una riduzione della pena», ribatté lui serrando i denti.
«Potevamo farlo uscire lo stesso... con i miei metodi», contestai a mia volta stizzito.
«Quell'uomo ti odia! Non ha mai voluto vederti quando era in prigione, di conseguenza non sarebbe stato possibile coinvolgerlo in un piano. E non dimenticarti che sa tutto di te. Se non ha parlato con la polizia è perché vuole fare le cose a modo suo, vendicarsi!» disse Gabriel puntandomi il dito.
«Sai... anche io una volta sono scappato da una cella. Quanto mi mancano gli anni ottanta», esclamai di botto cambiando argomento.
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