13. Hero

Londra, 1925

La morte di Silvye era ancora vivida nella mia mente nonostante fossero passati alcuni anni. Non avevo trovato i responsabili e questa cosa mi martoriava.

Avevo messo quanti più kilometri possibile tra me e Parigi, tra me e qualsiasi persona mi avesse mai conosciuto. L'Inghilterra era una terra per ricominciare, stavo lì da un po' ormai. Ero in uno dei tanti parchi della città, il sole era ormai calato e cercavo un po' di quiete, ma i miei pensieri furono disturbati da uno strano vociare.

«Non credo sia opportuno che facciate tutto questo rumore. Siate più discreto con quell'affare», mormorò una ragazza con un parasole merlettato, bianca come un cadavere, dai capelli mori e gli occhi scuri. Era vestita più come una dama ottocentesca che come la moda del periodo conveniva.

«L'arte è cosa molto preziosa e non fa mai rumore. Il soave suono che produco scalda il cuore», rispose in maniera poetica il tizio con cui parlava la giovane, un tale smilzo che indossava uno smoking scuro.

Non lo vidi bene in faccia, ma notai che aveva un violino in mano e sembrava volesse intrattenere la sua amica con la sua melodia. Capii la situazione e mi alzai scocciato, per poi andarmene mentre quella donna, con toni gentili e in maniera educata, lo voleva far desistere e quell'altro continuava a risponderle in rima.

Mi sistemai l'impermeabile grigio e misi le mani nei pantaloni scuri, mentre i miei stivali calpestavano il pavimento che sembrava lucido, visto che poche ore prima aveva piovuto. L'atmosfera notturna di Londra era tra quelle più suggestive che avessi visto in vita mia, e io spesso mi perdevo a osservare quella città magica e unica nel suo genere.

I miei pensieri furono interrotti da qualcosa che impattò contro di me. Abbassando la testa mi resi conto che si trattava di una bambina. Era vestita per bene, anche se aveva gli abiti rovinati e un po' sporchi, portava le trecce e aveva i capelli neri come il carbone. Per pochi attimi osservai i suoi grandi occhi marroni, tristi e malinconici.
La piccola farfugliò una scusa e poi riprese a correre, scomparendo in un vicolo.

«Dobbiamo prendere quella mocciosa, vale un casino di soldi!» sentii dire a un uomo col fiatone che veniva seguito a ruota da altri due tizi.

Aveva capelli e barba rossi, era vestito con una coppola verde, così come la sua giacca usurata, indossava una maglia chiara e calzoni beige. I suoi amici gli assomigliavano sia nei colori fulvi e anche nel vestiario.

Notai i tre raggiungere la stradina dove prima era fuggita quella bambina, mi incamminai di qualche passo per farmi gli affari miei, ma il mio udito potenziato mi impedì di non sentire.

«Sei stata stupida a fuggire di casa! Se i tuoi ti rivogliono, dovranno pagarci o inizieremo a spedir loro parti del tuo corpicino», gracchiò con un fastidioso accento quello che sembrava il capo del trio.

«Ehi, irlandese del cazzo, perché non lasci che io porti quella ragazzina a casa dei suoi genitori e faccio finta di non averti mai visto?» esordii con la testa china nell'oscurità del vicolo, tenendo le mani in tasca in un atteggiamento difensivo.

«Vuoi finire accoltellato in questo postaccio? Perché non ti fai i cazzi tuoi?» rispose uno dei due sgherri, tirando fuori un coltello a scatto dalla sua giacca logora.

«Ai Lucky Greens non piace che qualcuno si intrometta nei loro affari, quindi se fai un altro passo finisci sbudellato sul pavimento», sputò il capo nella mia direzione.

«Ti staccherò quella fottuta testa rossa dal collo se non lasci quella bambina, non ti farò un terzo avvertimento», reagii alzando di poco il capo, ma lasciando le mani dalle tasche del cappotto.

«Ci penso io, non scomodarti, non ne vale la pena», affermò risoluto quello con il coltello in mano.

«No, ragazzi. Questo bastardo è mio, ogni tanto bisogna fare il lavoro sporco», grugnì Barbarossa.

«Salirà a quindici con questa uccisione», mormorò lo sgherro disarmato all'altro.

«Piccola, metti la schiena contro al muro e chiudi gli occhi forte, tappati le orecchie e conta fino a cento. Ti prometto che quando avrai finito sarai via di qui. Fidati di me», mi rivolsi alla ragazzina che, per i primi secondi, sembrò non volermi ascoltare.

Poco dopo eseguì i miei ordini mentre Barbarossa era ormai vicino a me. Il criminale irlandese cercò di trafiggermi con la sua lama, ma schivai i suoi affondi a destra e sinistra con le mani ancora nelle tasche del mio impermeabile. Lui mi insultò e smise di imprecare solo quando feci saettare le dita attorno al suo collo tozzo.

«A differenza tua, sono tanti anni che ho perso il conto», sibilai a Barbarossa e agli irlandesi dietro di lui.

Rafforzai la presa sulla sua gola fino a quando il capo non si staccò e il suo corpo decapitato non cadde con un tonfo sordo. A quel punto lasciai cadere la testa e feci la mia mossa successiva. In pochi attimi fui sul secondo irlandese e con la mano trapassai il suo torace lasciandovi un buco evidente; il terzo se la diede a gambe levate, ma non arrivò lontano.

«Tu sei un mostro!» gridò l'uomo prima di trovarsi la mia presa ferrea attorno al cuore che successivamente schiacciai in pugno nel suo petto.

«Credo che demonio sia il termine più adatto», risposi al suo cadavere.

Tirai fuori un fazzoletto dall'interno del cappotto e mi levai velocemente il sangue dalle mani e dal viso per poi precipitarmi dalla ragazzina.

«Tieni ancora gli occhi chiusi per un po'. Ti dico io quando aprirli», le sussurrai prendendola in braccio e usando la mia velocità per portarla lontana dal luogo del massacro.

«Sei il mio angelo custode?» mi chiese la piccola nel momento in cui la posai a terra e mi venne contro abbracciandomi.

«Se ti piace pensarla così, va bene. Sarò per te ciò che vuoi. Come ti chiami?» le domandai cercando di divincolarmi lestamente dalla sua presa mortale, mentre mi abbassavo per parlare con lei.

«Mi chiamo Katy, e tu?» rispose la bimba.

«Sono Henry, piacere di conoscerti. Dove abiti?» mi informai sperando di poterla portare dai suoi genitori e salvarla dai pericoli notturni di Londra.

«Abito a Carnaby Street! Ma Henry non è un nome da angelo custode!» sbuffò poi Katy divertita.

«Lo credo anche io! Ti accompagno a casa, vieni con me dai», mormorai accarezzandole la testolina dai capelli neri.

«Non voglio rientrare! I miei sono cattivi con me!» gridò lei imbronciata, sbattendo i piedini a terra.

«Anche io ho avuto problemi con il mio papà tanti anni fa, ma poi le cose si sistemano, sai? Non ti fidi del tuo angelo custode?» le domandai con un sorriso.

«Va bene, ma solo se prometti che torni a trovarmi», brontolò lei dopo un po' tendendomi la manina.

«Te lo prometto. Ora andiamo, i tuoi saranno preoccupati. Non scappare mai più», conclusi infine prendendola per mano e andando con lei verso Carnaby Street.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top