Capitolo 7: L'istituto Romanov
N.A. La canzone di questo capitolo è...
https://youtu.be/1__GdAWvXDY
𝓛𝓲𝓼𝓪𝓷𝓭𝓻𝓪
Entriamo in una sala circolare gigantesca, mentre Pollux e Alucard si posizionano agli estremi della porta, chiudendola dietro di noi. Mio nonno, mia nonna e mio fratello entrano con naturalezza, mentre io scruto ogni particolare della stanza in cui sono finita, facendo attenzione ai dettagli che la compongono.
Il pavimento è fatto di piastrelle piccole bianche e grigie a forma di rombo, anche se in alcuni punti ne sono state utilizzate altre più particolari di color grigio scuro e nero, che formano dei cerchi di diversa grandezza. Il muro è di marmo bianco e vi sono appese, con sostegni in metallo scuro, delle torce e dei quadri che non riesco a descrivere.
Sono strani. Quasi inquietanti.
Tra un quadro e l'altro sono presenti quattro porte di legno nere, che portano chissà dove.
Questo posto è enorme!
Sebbene la presenza degli uomini davanti a quelle porte mi metta curiosità, i miei occhi vengono rapiti dalla parte centrale della sala, dove è presente un rialzo bianco su cui si ergono tre possenti troni, due neri e uno rosso sangue, uno più avanti rispetto all'altro.
Ci dirigiamo al centro della sala mentre rimango estasiata e sussulto quando mio fratello mi tira la mantella, posizionandosi dietro di me.
«Non ti abbiamo detto che Lucius Romanov non sarà presente», bisbiglia nel mio orecchio.
«Perché?»chiedo.
«Perché mio fratello ha deciso di prendersi un po' di riposo», dice una voce morbida ma tagliente.
Davanti a noi, sul piano rialzato, si è materializzata una figura alta e possente: indossa scarpe nere, pantaloni neri eleganti e una camicia nera coperta da una giacca nera con i bordi rossi. Ha la pelle pallida, gli occhi rossi e i capelli biondi raccolti con un nastro rosso. Lo riconoscerei da lontano: è Sebastian Romanov.
«Benvenuta». Un'altra figura con i capelli lunghi castani legati dietro alla nuca e vestito esattamente come Sebastian compare seduta sul trono nero a sinistra. È Nicolae Romanov. «Grigore, vecchio mio, come stai?»
«Non potrebbe andare meglio», risponde mio nonno con un cenno del capo. «Mia nipote sta diventando grande».
«Crina, sei splendida», commenta l'uomo con i capelli castani.
Mia nonna sorride e annuisce con eleganza.
«Tu devi essere Lisandra!»esclama il biondo. Sebastian viene verso di me scendendo dal piano rialzato e il mio respiro si blocca.
Annuisco.
«Assomigli molto a tuo padre», commenta Nicolae. Mi osserva con occhio attento. Inizio a sentirmi sempre più a disagio. Abbasso gli occhi in imbarazzo e sussurro: «Grazie».
«Spero che ci darai le stesse soddisfazioni», commenta Sebastian voltandosi e sedendosi sull'altro trono nero con un movimento rapido.
Osservo il trono rosso centrale: sembra essere dipinto con il sangue. È il trono di Lucius?
«Licano, sai già la strada per il tuo addestramento», afferma Nicolae con tono serio.
Mio fratello annuisce, mi lancia uno sguardo fiero e se ne va imboccando una delle porte nere sulla destra.
«Kurt!»esclama Sebastian con voce neutra.
Dopo meno di un secondo si apre una porta sulla sinistra: appare una figura alta con spalle larghe, capelli corti castani, pelle pallida, occhi rossi e un completo grigio chiaro elegante, senza cravatta.
«Signore?»L'uomo si posiziona davanti al gradino del rialzo e fa un inchino di trentacinque gradi, portandosi una mano sul cuore in segno di rispetto.
«Presentati», ordina Nicolae con tono severo.
L'uomo si volta e si rivolge a me, facendo un inchino con la testa. «Mi chiamo Kurt Luther. Sono il responsabile della scuola speciale dei Romanov. Tu devi essere Lisandra Mikelaus. È un onore conoscerti».
«Piacere», mormoro con voce fioca.
Mi sembra tutto così strano, ma mi piace.
Mi viene chiesto di seguire il responsabile, perciò saluto i miei nonni con un cenno debole della mano e inizio a seguire Kurt.
Imbocchiamo una porta nera sulla destra, diversa da quella da cui è entrato Licano, e percorriamo un lungo corridoio, arredato in modo molto simile a quelli precedenti. Giriamo a destra, poi a sinistra, infine di nuovo a destra.
Mi sono già persa.
In più, durante il percorso si è creato un orribile silenzio, che non sopporto più. Entriamo in una stanza nella quale, finalmente, troviamo altre persone.
«Aspetta qui», mi indica freddamente Kurt. Se ne va chiudendo la porta dietro di sé e inizio a guardarmi intorno.
La stanza è arredata con uno stile molto simile a quello visto fin ora, ma è più spoglia: ci sono un grosso divano nero di pelle e un tavolo con delle sedie intorno. Scruto le persone nella stanza: hanno gli occhi rossi, sono vampiri o ibridi come me?
Mi siedo in un angolo del divano e cerco di calmarmi, controllando il respiro e togliendomi la mantella.
«Ciao, tu sei nuova?»È la persona accanto a me a parlarmi. È minuta, ha i capelli color caramello lunghi fino alle spalle e gli occhi rossi. Indossa una maglietta nera a maniche corte con il simbolo della famiglia Romanov cucito sulla destra e dei pantaloni neri semplici.
«Sì...»rispondo. Qualcun altro, però, si intromette con un colpo di tosse brusco.
«Non parlarle. Lei è Lisandra Mikelaus», ringhia con tono acido e scortese una ragazza con i capelli castani lunghi fino al seno, prendendo per il braccio la ragazza con i capelli color caramello. A quell'affermazione tutti si voltano nella mia direzione, stupiti, e iniziano a bisbigliare tra loro.
«Sì, e con ciò?»ribatto a tono. Alzo un sopracciglio e incrocio le braccia al petto.
«Perché Kurt ti ha portato qui? Non avrebbe dovuto portarti con gli eletti?»chiede con timore un ragazzo in fondo alla stanza alzandosi dalla sua sedia e venendo nella mia direzione. Tutti presenti annuiscono e si sente sì... sì... in sottofondo.
«Gli eletti?»domando.
«I migliori», ribadisce la ragazza con i capelli castani.
«E voi cosa siete?» chiedo.
«La Feccia», mormora la ragazza con i capelli caramello con lo sguardo chino.
«Gli incapaci», commenta un'altra persona dal fondo della stanza.
«In che senso?»esorto.
«Principessa, veniamo catalogati qui in base alle nostre capacità, ma non vogliamo farle perdere tempo con le nostre futili chiacchiere da Feccia», mi prende in giro la ragazza con i capelli castani.
«Io non vi definisco Feccia», ribatto. «E poi cosa significa?» insisto.
«Lo farai», sussurra la ragazza con i capelli color caramello, abbassando la testa e alzando le spalle sconsolata.
La porta si apre e Kurt entra nella stanza. Lancia uno sguardo di disgusto ai ragazzi presenti, i quali si disperdono subito, e fa un sorriso nella mia direzione.
Ricambio per educazione, ma il mio sguardo ritorna ai ragazzi, che tentano di nascondersi dagli occhi del responsabile.
Perché fanno così?
«Andiamo», afferma Kurt. «È il momento».
Nessuno si muove, finché non mi alzo ed esco dalla stanza. Inizio a provare dispiacere per questi ragazzi, ma non voglio deludere la mia famiglia.
Seguo il responsabile per diversi corridoi e raggiungiamo un'altra stanza circolare diversa dal punto di vista architettonico, ma simile in fatto di design da quella vista in precedenza con i miei nonni.
Vengo posizionata al centro della stanza, mentre tutti si dispongono ai lati, vicino al muro.
I presenti sono suddivisi in quattro gruppi: le guardie a destra, i Romanov al centro, dei ragazzi vestiti di tutto punto a sinistra e altri che si identificano come Feccia sul fondo, accanto alla porta. Tutti loro hanno sguardi differenti: le guardie hanno le braccia incrociate dietro alla schiena e guardano un punto fisso davanti a loro, i Romanov mi guardano con intensità, gli Eletti, tra cui scorgo Licano, con impazienza e il gruppo della Feccia fissa un punto sul pavimento.
Non guardano nemmeno davanti a loro? Si sentono così esclusi? Perché poi?
So come ci si sente. Era così anche per me in Canada... Ora che mi sento più forte, potrei aiutarli?
Il senso di colpa si impadronisce di me.
«Lisandra Mikelaus», annuncia a gran voce Nicolae. «Dovrai dare prova delle tue abilità».
Aiutare quei ragazzi a far uscire le loro abilità, o rendere fiera la mia famiglia?
Decido di girarmi un'ultima volta verso il gruppo dei ragazzi che ho conosciuto prima e chiudo gli occhi, facendo un gran bel respiro.
Apro gli occhi e il fuoco delle lanterne si spegne nell'esatto momento in cui uno degli eletti allarga le braccia. Intanto, una luce sconosciuta circonda l'area di combattimento.
Pollux viene davanti a me con fare minaccioso, mentre io metto le braccia in posizione di difesa. Sferra un colpo, ma lo schivo. Osservo i ragazzi e una strana sensazione invade il mio stomaco. Così decido...
Potrebbe cambiare tutto con questa mia decisione, ma non importa... Questa vita a Vatra Dornei significa nuovo inizio per me, perciò è necessario porre dei cambiamenti affinché tutto inizi a essere come voglio io.
Non rimango ferma davanti a questa ingiustizia e mi faccio colpire sulla faccia. È un controsenso, ma allo stesso tempo è una forma di protesta: rimango ferma davanti ai loro colpi.
Un ugh di sottofondo si diffonde nell'aria. La guardia mi tira un altro colpo, questa volta nello stomaco, e mi fa vomitare sangue.
Sono a quattro zampe per terra, quando Pollux si ferma.
Alzo lo sguardo verso i Romanov e vedo Nicolae scuro in volto e con una mano alzata. La guardia si allontana e Kurt si avvicina, con le braccia dietro alla schiena e uno sguardo turbato. Mi alzo tenendo una mano sullo stomaco e pulendomi la bocca.
Respira, Lisandra.
«Ti farò domande», spiega con distacco. «Chi fa parte del Clan Romanov?»
«Non lo so», sussurro. Dalla folla inizia ad alzarsi un certo stupore.
«Come è nato il tuo clan?»chiede Kurt tossendo.
«Non lo so», rispondo.
Il brusio di sconcerto aumenta.
«Che cosa significa il tuo stemma?» Questa non la so davvero... Sorrido tra me e me.
«Non lo so», ribatto.
Il brusio della folla è ormai alto: gli Eletti – i ragazzi con i vestiti eleganti – mi guardano con disgusto, mio fratello è tra loro e mi osserva con sgomento e delusione, la Feccia, invece, con stupore.
Mi viene da piangere, ma devo essere forte. Ho ancora la nausea. Tutto inizia a girare e a diventare sfocato.
All'improvviso vedo tutto buio e mi rendo conto di essere svenuta.
***
La testa mi gira. Mi pulsa per il dolore. Apro gli occhi e, con sorpresa, mi trovo nel mio letto.
«Ti sei svegliata...»mormora Alexandru avvicinandosi al letto dalla sua abituale posizione, accanto alla porta.
«Quanto ho dormito?»chiedo alzandomi.
«Tre giorni», risponde porgendomi un bicchiere d'acqua. «Che cosa è successo? Vuoi spiegarmelo?» mi esorta il tutore.
«Io... non lo so». Non posso dirtelo...
«Va bene», sospira mostrandosi contrario. «Alzati, tuo nonno vuole vederti». Si volta e torna vicino alla porta.
Non capisco. Perché si comporta così? Ieri aveva detto di...?
«Sei sveglia!»La porta si apre e compare Alina, arrabbiata. «Puoi dirmi cosa avevi intenzione di fare? Sai in che guaio ci hai fatto finire?»
Mi prende per un polso, mi trascina nella cabina armadio, mi passa una maglietta verde scuro a maniche lunghe, dei pantaloni semplici e delle scarpe da ginnastica, che mi metto velocemente, e mi trucco.
Usciamo dalla mia stanza. I miei tutori camminano lentamente e io li seguo.
Sembra una marcia funebre...
Stiamo andando da mio nonno, che legge nel pensiero e verrà a sapere perché non ho reagito.
Il mio respiro si fa più pesante quando Alina apre la porta della sala da pranzo. Mio nonno siede al solito posto, con un completo nero dai bordi rossi e il viso scuro. Mia nonna, al suo fianco, tiene la testa bassa e indossa un vestito nero lungo, con decorazioni bianche. Mio fratello ha lo stesso vestito che ho visto quando eravamo a casa Romanov e sul suo viso è dipinta la delusione allo stato puro.
Alexandru mi sposta la sedia, mi accomodo e lui si posiziona vicino al muro.
Abbasso la testa e cerco di concentrami sul dolore avvertito durante la prova dei Romanov in modo tale da sviare la lettura mentale di mio nonno.
«Perché?»sbotta Licano battendo una mano sul tavolo.
Mio nonno mi fissa in modo torvo e so per certo che sta cercando di leggermi nella mente con tutte le sue forze, perché avverto una sorta di pressione nella mia testa.
Ce la sto mettendo tutta: non pensare.
Si crea un silenzio pungente. Di nuovo.
«Erano dei colpi semplici. Alexandru te ne ha fatti di peggiori. E le domande? Erano facili e tu le sapevi benissimo! Perché non hai risposto?»domando mio nonno, irritato.
Silenzio. Respiro lentamente. Concentrati, Lisandra. Credi nella tua scelta.
Non dirlo a nessuno. Il tuo piano deve funzionare.
Sii forte.
«Ci hai deluso», ringhia mio nonno con freddezza. «Farai parte della Feccia», aggiunge enfatizzando la parola Feccia.
Non rispondo e mantengo la testa china, trattenendo dentro di me tutto quello che avrei voluto dire.
«Rispondi!»urla Licano.
«Va' nella tua stanza e rifletti sull'accaduto», mi ordina a denti stretti mio nonno Grigore.
Mi alzo, seguita da Alina e Alexandru, e vado in camera mia. Il mio tutore apre la porta e, invece di varcarla come sempre, la richiude, lasciandomi sola.
Sono ferita da questo comportamento da parte della mia famiglia, ma soprattutto da quello di mio fratello. Mi butto sul letto, poggio la testa sul cuscino e inizio a piangere, addormentandomi tra una lacrima e l'altra.
La sveglia sul comodino suona. Apro gli occhi di scatto e cerco di capire da dove arrivi il suono.
Da quando ho la sveglia che funziona? Dov'è Alina? Perché non mi sveglia lei?
La spengo, mi strofino gli occhi e mi guardo intorno. Non c'è nessuno. Mi alzo sospirando e mi dirigo nella cabina armadio, dove trovo dei vestiti uguali a quelli che ho visto addosso alla ragazza con i capelli color caramello. Li indosso, mi trucco leggermente e acconcio i miei lunghi capelli corvini con una coda alta.
Vado verso la sala da pranzo e quando apro la porta la vedo deserta.
Fantastico.
Procedo verso l'ingresso, anch'esso vuoto, prendo la giacca ed esco. Alla fine delle scale della tenuta Mikelaus mi aspetta l'uomo-triangolo davanti alla macchina. Scendo, mi apre la portiera e salgo in macchina.
Il viaggio dura poco rispetto all'ultima volta.
Fritz mi apre la portiera e scendo dall'auto. Osservo il grande castello davanti a me e faccio un grosso respiro.
Non so la strada. Mi perderò di sicuro.
«Lisandra!»esclama qualcuno.
Mi volto e vedo la ragazza con i capelli color caramello correre verso di me, agitando la mano in aria. «Ciao!»
«Ciao», ricambio.
«Non mi sono presentata l'altra volta. Mi chiamo Abel Creighton». Tende una mano verso di me con il sorriso sulle labbra.
«Conosci già il mio nome», mormoro accennando un sorriso.
«Andiamo». Mi prende sotto braccio e saliamo le scale.
Attraversiamo una serie di porte e di corridoi e arriviamo alla sala della Feccia.
«Ciao a tutti», saluta con entusiasmo Abel.
«Una Mikelaus nella Feccia», commenta, ridendo con acidità, la ragazza con i capelli marroni dell'altra volta.
«Sta' zitta, Ruxandra», borbotta Abel alzando gli occhi al cielo.
La porta si apre e tutti si zittiscono. Mi volto e vedo sulla soglia una donna alta. Ha i capelli biondi lunghi, legati in una bellissima acconciatura poggiata delicatamente sulla spalla destra, gli occhi rossi, la pelle pallida e un magnifico vestito nero aderente che le accarezza le curve perfette.
«Tu devi essere Lisandra Mikelaus», afferma, mentre gli altri si siedono in un angolo della stanza.
«Sì, signora», concordo.
Mi scruta e sorride. «Come sei finita qui?» chiede sorridendo.
«Non lo so», rispondo facendo spallucce.
«Stai mentendo, ma ne riparliamo dopo», ridacchia facendomi l'occhiolino.
Sa che mento? Avrà qualche potere anche lei?
«Mi chiamo Kristina Cross e sono l'insegnante di questa... categoria. La regola è che quando entro, voglio trovarvi seduti».
Vado a sedermi vicino ad Abel, che mi ha tenuto un posto sul divano, e la sfido alzando le sopracciglia.
«Che cosa faremo oggi?»chiede una ragazza con i capelli corti biondi alzando la mano.
«Ci sono le interrogazioni», risponde l'insegnante sogghignando.
«Tutto il tempo?»domanda qualcuno con la voce tremolante.
Tutti borbottano e si nascondono in qualche modo.
«Abel Creighton», chiama l'insegnante dopo aver passato lo sguardo su tutti.
La ragazza dai capelli color caramello fa un bel respiro, si alza e va accanto a Kristina Cross.
«Mi chiamo Abel Creighton e sono una secondogenita ibrido. Mio sorella si chiama Lussy Creighton e faceva parte dell'Élite. La famiglia Creighton è sempre stata nell'Élite e l'ho delusa. Sono morti ed io faccio parte della Feccia. Io non sono degna di essere una Creighton», mormora a capo chino.
Cosa sta dicendo?
«Bene. Ruxandra Barlow!»
Ruxandra si alza e si mette al posto di Abel.
«Mi chiamo Ruxandra Barlow, sono la secondogenita ibrido della famiglia Barlow. Questa famiglia è sempre stata parte dell'Élite. Io non sono degna di essere una Barlow. Contenta?», ribatte con tono aggressivo, tenendo le braccia conserte per tutto il tempo.
Mentre Ruxandra parla, la osservo più attentamente: ha i capelli castani lunghi fino al seno, la pelle pallida e gli occhi rossi.
Dalla faccia della Cross traspare felicità. Si vede che gongola a sentire tutto questo. O magari, finge? Non so... Sembra tutto una montatura...
«Sì, contenta. Tocca a te, Dragos Gavril!»dice Kristina Cross.
Un ragazzo in fondo alla sala, lo stesso che l'altra volta mi ha chiesto il motivo per cui Kurt non mi avesse portata nella stanza degli Eletti, si alza e prende il posto di Ruxandra. È molto alto, ha la pelle pallida, gli occhi rossi e i capelli corti castani chiari. Tiene un nastro rosso sul polso...
Cosa significa? Ha già la sua compagna?
«Mi chiamo Dragos Gavril e sono un vampiro. La mia famiglia mi ha trasformato all'età di diciotto anni, ora ne ho quasi cento. I membri della famiglia Gavril sono appartenuti tutti all'Élite, mentre io sono qui. Io non sono degno di essere un Gavril», mormora a testa alta, come se stesse recitando una poesia a memoria.
«Bene. Vuoi provare, Lisandra?», dice, anche se dal tono capisco che non è una richiesta, ma un ordine.
Mi alzo e mi metto nella stessa posizione in cui si trovavano gli altri.
«Mi chiamo Lisandra Mikelaus»sbuffo. Faccio una pausa e osservo tutti coloro che mi stanno ascoltando.
Non è giusto! Obbligare le persone a gettarsi ingiurie addosso, senza alcun motivo, è orribile!
«Sì?»incalza la Cross.
«Mi chiamo Lisandra Mikelaus e sono la secondogenita ibrido della famiglia Mikelaus. Mio fratello si chiama Licano Mikelaus e fa parte dell'Élite. La famiglia Mikelaus è sempre stata nell'Élite. Io non sono degna di essere una Mikelaus», borbotto guardandola dritta negli occhi.
«Bene. Ci vediamo in palestra», dichiara applaudendo.
Tutti si alzano ed escono. Vado al divano, prendo la mia mantella e sto per uscire dalla porta, quando davanti a me compare la Cross con un sorriso compiaciuto sulle labbra.
«Allora?»incalza alzando un sopracciglio.
«Perché sei qui?»mi chiede l'insegnante Cross bloccandomi il passaggio.
«Non lo so. Era destino?»ribatto alzando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto.
«Menzogna», rimanda Kristina assumendo il mio stesso atteggiamento.
«No»rispondo scuotendo la testa.
«Sì», mi corregge aggressivamente.
«Ti consiglio di dirle la verità. Lei ha il potere del giudice», dice qualcuno all'improvviso.
Potere del giudice corrisponde a scoprire la verità immediatamente?
Mi volto e vedo Ruxandra, che mi attende davanti alla porta appoggiandosi allo stipite. «Pensavo non sapessi la strada», borbotta alzando le spalle e gli occhi al cielo.
Guardo l'insegnante e le rispondo con onestà, visto che non ho altra scelta.
«Era la cosa giusta da fare», affermo.
«Aspetta, cosa?»chiede Ruxandra con sgomento, avvicinandosi. «L'hai fatto di proposito?»
«Sì», ammetto.
Il suo sguardo passa prima da me e poi alla Cross. «Dice la verità?»insiste Ruxandra.
«Sì», risponde lei.
«Perché l'hai fatto?»mi domanda Ruxandra con la furia negli occhi.
«Ognuno di noi ha qualcosa di speciale e questa faccenda dell'Élite non è giusta. Volevo intervenire», ribatto borbottando.
«Che cosa hai intenzione di fare?»chiede con acidità la ragazza con i capelli castani. «Se vuoi essere di aiuto, devi prima difendere te stessa!»
Sbuffo aggressivamente e se ne va, lasciandomi sola con la Cross.
Alzo le spalle, rassegnata, e mi dirigo in palestra. Da sola.
Le giornate sono sempre più corte, ma soprattutto monotone: mi alzo, mi vesto, vado dai Romanov, ripetiamo le frasi svalutative, facciamo finta di allenarci, torno alla tenuta, mi alleno con Alexandru, ceno con qualcosa che cucino da sola, leggo nella mia camera, mi addormento e mi sveglio con il mal di testa. Solita roba.
«Concentrati», ribadisce Alexandru mentre tiene il sacco rosso fermo.
Sferro un calcio dopo l'altro, fino ad avere il fiatone.
«Perché ti ostini ad allenarmi ancora, se mio nonno ti ha tolto l'incarico?»domando.
«So che nella Feccia l'allenamento fa schifo», risponde fingendosi indifferente.
«Come lo sai?»chiedo incuriosita.
Lui abbassa la testa, nascondendosi dietro al sacco, e non risponde.
«Quando mi racconterai la tua storia?»sbuffo.
Tiro un altro calcio più forte, mentre lui rimane in silenzio. Ormai rassegnata, lo assecondo, facendo scendere il gelo nella stanza.
Finito l'allenamento, vado alla panchina dove ho lasciato una bottiglietta d'acqua e un asciugamano. Mi siedo e bevo.
«Sono nato in Scozia nel 1805. Ero il settimo figlio di una famiglia borghese», esordisce a bassa voce dall'altro lato della palestra.
«Non sei costretto a dirmi nulla...»mormoro in imbarazzo.
Mi sembra di averlo costretto...
«Eravamo venditori di zucchero. Un giorno mio padre si ammalò. Tutti i miei fratelli avevano ormai messo su famiglia, perciò presi io il suo posto. Mentre stavo tornando a casa, incontrai un gruppo di vampiri nomadi che si nutrirono di me». Si avvicina alla panchina e si siede accanto a me. «Mi avevano lasciato così poco sangue nelle vene che pensavano fossi morto, ma mi trasformai comunque. Vagai per l'Europa, cercando di non richiamare l'attenzione su di me, finché, durante la Prima guerra mondiale, non incontrai tuo padre. Era un grande uomo. Da quel giorno seguo i Mikelaus e loro mi hanno sempre considerato parte della famiglia. Mi iscrissero loro all'istituto dei Romanov, ma rimasero delusi quando venni classificato come Feccia. Quel giorno persi la facoltà di portare il loro cognome. Tuttavia... Col tempo sono riuscito a riscattarmi», spiega.
«In che senso?»domando curiosa.
«Questo lo vedrai più avanti» risponde ridacchiando.
«Dai!»insisto.
«Non te lo dirò tanto facilmente», ribatte lui ridendo.
«Se ti sei riscattato, significa che hai di nuovo il nostro cognome?»chiedo.
«Sì», risponde annuendo.
«Allora, perché non c'eri sul libro del clan?» domando confusa.
«Perché ho accettato l'offerta di tuo nonno poco dopo», spiega Alexandru.
«Quindi, adesso, sei sul libro? Senza che nessuno lo abbia riscritto?» insisto.
«Esatto». Sorride.
Non mi accorgo di essere così vicina a lui fino a quando non smette di parlare. Si volta. I nostri visi distano meno di un centimetro l'uno dall'altro. Mi mette una mano sulla guancia e mi accarezza dolcemente il viso.
Non può provare qualcosa per me, giusto? Lui deve trovare la sua compagna nella vita. Sobbalzo sul posto.
«Non puoi!» esclamo. Gli prendo la mano, la respingo e mi alzo velocemente.
«Insomma, tu devi cercare la tua compagna nella vita, che non sono io, e vivere felice e contento», balbetto velocemente, mentre lui rimane sbigottito per qualche secondo.
A un certo punto sorride e dice: «Va bene».
Si alza e mi apre la porta.
Vado in camera mia, mi faccio una doccia e mi metto davanti al camino, che scoppietta vivacemente.
Devo fare qualcosa per quei ragazzi.
Chiudo gli occhi un attimo per riflettere, ma mi addormento.
La sveglia suona con foga e la spengo con un pugno. Mi alzo, mi lavo, mi vesto, esco e mi dirigo in macchina dai Romanov insieme a Fritz.
Ho imparato, finalmente, la strada per la stanza della Feccia, perciò ci vado da sola, senza aspettare nessuno fuori dal grande portone. Prendo il primo corridoio, poi il secondo e vedo Licano insieme ad altri membri dell'Élite.
Mi guarda mentre sorride amaramente a qualche battuta dei compagni. Agito la mano, ma ottengo solo un'alzata di mento.
Mio fratello mi ha voltato le spalle? È così?
Mi sento ferita...
Perché mi tratta così?
Prendo un altro corridoio e arrivo a destinazione. Apro la porta e mi siedo in un angolo del divano.
Nella stanza c'è solo Ruxandra, ancora arrabbiata per quello che è venuta a sapere l'ultima volta. È seduta sul tavolo, lontana dal divano, e osserva lo scoppiettio del fuoco con rabbia.
Dopo alcuni minuti, la stanza si riempie. Abel arriva e si siede accanto a me, come al solito. La porta si apre e la Cross appare con un vestito nero con una gonna larga e lunga.
«Tutti in piedi e seguitemi in silenzio», ordina senza aspettare risposta.
Ci alziamo e la seguiamo fuori dal grande portone.
Perché siamo qui?
«Ora vi dividerò in coppie. A ciascuna verrà dato un GPS che si spegnerà nell'esatto momento in cui arriverete alla destinazione assegnata e una lettera che aprirete lì. È tutto chiaro?»spiega ad alta voce l'insegnante.
Nessuno risponde.
«Ho detto: è tutto chiaro?»ripete minacciosamente.
Un Sì corale si alza dal gruppo.
Mentre lei inizia a elencare una serie di nomi, al suo fianco compare Alucard, che dopo avermi fatto un occhiolino, dà alle coppie un piccolo GPS grigio e una lettera gialla sigillata con un timbro di cera rossa.
«Ruxandra Barlow e Lisandra Mikelaus», annuncia la Cross.
Ruxandra fa un passo avanti lanciandomi un'occhiataccia, mentre io prendo il GPS e la lettera.
Accendo il piccolo oggettino grigio nelle mie mani e inizio a seguire le indicazioni addentrandomi nel bosco, seguita da Ruxandra che, imbronciata, non proferisce parola.
Siamo tra la vegetazione fitta e selvaggia ormai da circa mezz'ora, quando Ruxandra si decide a parlare.
«Quanto manca?»borbotta dando un calcio a un sasso, come se fosse una pallina di carta.
«Qui dice che mancano pochi passi. Uno... due... tre... Siamo arrivati», mormoro tenendo la testa bassa sull'aggeggio grigio nelle mie mani.
All'improvviso lo schermo diventa tutto nero: siamo in cima a una collina senza alcun aiuto dal mondo esterno.
«Dammi qua», ringhia Ruxandra prendendo dalle mie mani la lettera gialla con una fluidità innaturale.
La apre e io suoi occhi vanno da destra a sinistra così velocemente che non capisco le sue reazioni. «Cosa dice?»chiedo impaziente.
«Infami!»urla buttando la lettera per terra.
Raccolgo la lettera e cerco di leggerla, mentre lei tira dei pugni a un tronco.
Benvenuta, nostra giovane coppia,
Nei pressi della vostra posizione c'è un piccolo accampamento di cacciatori, ritenuto pericoloso per la nostra società.
Il vostro compito è di sterminarlo nel miglior modo possibile, con l'aiuto dei tuoi compagni in altre posizioni.
Ricorda, soldato: o torni vittorioso, o muori perdente.
R.
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