Capitolo 5: Menzogne
N.A. La canzone di questo capitolo è...
https://youtu.be/xhpZjpY9XVI
𝓛𝓲𝓼𝓪𝓷𝓭𝓻𝓪
Raggelo nell'istante in cui la voce di mia madre rimbomba tra gli scaffali e rimpiazza il suono del fuoco scoppiettante.
«C'è qualcuno?»ripete debolmente la voce.
Lo schienale della poltrona mi nasconde e questo mi tranquillizza un po'.
La sento emettere un sospiro di sollievo.
Una rabbia profonda cresce dentro di me. Una rabbia che non avevo mai provato. Una rabbia che allo stesso tempo mi spaventa e mi dà forza. Mi tolgo la coperta di dosso, appoggio il libro sul comodino accanto alla poltrona e mi alzo.
«Ciao, mamma», mormoro girandomi verso di lei. Si trova al centro della stanza e ha un aspetto veramente malato. Tuttavia, non mi causa compassione come farebbe in qualsiasi altro essere umano, ma solo disgusto.
Io non sono un essere umano qualunque, mi ricordo.
Indossa dei pantaloni morbidi neri, una maglietta rosa a maniche lunghe con strisce grigie e bianche, delle ciabatte rosa con il pelo. Sulle spalle ha una lunga coperta di lana che le copre il corpo, come se fosse un mantello. Vestita in questo modo rappresenta l'incarnazione del mondo magico delle fate e degli animaletti teneri.
Che schifo. Ho sempre odiato queste cose...
Rabbrividisco a tal punto che la sensazione di disgusto aumenta a livelli esponenziali: rovina l'estetica della tenuta. Anzi, è lei che la rovina.
Io non ho mai avuto gusto per l'alta moda. Al massimo ho desiderato avere degli abiti piuttosto che le semplici magliette usate di mio fratello.
Non posso permettermelo, mi diceva sempre Licano quando nei negozi gli mostravo un vestito che mi piaceva.
Mio fratello non poteva permetterselo. Proprio così! Mio fratello, non mia madre. Lei, per qualche strano motivo, raccoglieva soldi per venire qui, che, forse, è l'unica cosa decente che abbia fatto nella sua vita. Perché è voluta venire qui?
«Lisandra!»squittisce debolmente spalancando gli occhi. «Come sei vestita bene», sussurra dopo avermi guardata dall'alto al basso.
«Grazie», rispondo freddamente. «Mamma, non ci hai mai spiegato il motivo per cui hai insistito così tanto per venire qui», vado dritta al punto.
Per i primi dieci secondi rimane in silenzio e mi fissa senza sbattere le palpebre, poi apre la bocca per dire qualcosa, ma emette solo suoni senza senso.
Faccio un passo in avanti e lei ne fa uno indietro. Ha paura?
«Perché hai insistito?»esorto scandendo ogni parola. La rabbia ribolle in me sempre di più mentre lei mi guarda e inizia a tremare.
«Volevo rivedere tuo padre», sussurra abbassando lo sguardo.
«Per fare cosa?» Torturarlo?«Come?» insisto.
Lui è morto perché l'hai ucciso.
«Lisandra, tuo padre mi manca. Io lo amo», dice in tono di supplica, facendo un passo in avanti.
L'amore non giustifica un omicidio.
«Se lo avessi amato, non lo avresti ucciso». La voce che esce dalla mia bocca è assolutamente sconosciuta: suona profonda e arrabbiata.
Lei sbianca e si irrigidisce. È immobile e non respira. «Tu non puoi capire. Io lo amo», ripete debolmente. «Voleva portarvi via da me e non potevo permetterlo».
«Come hai potuto?»
«Io lo amo», continua a ripetere lei come se fosse un disco rotto.
«Parla!»urlo avvicinandomi a lei. Si allontana di scatto, incrociando le braccia al petto in segno di difesa.
«Sarebbe andato via e vi avrebbe portati con sé», balbetta abbassando la testa. «Tu non puoi capire. Io odio questi esseri e li odierò sempre, ma ho amato tuo padre. Mi sono innamorata di lui quando avevo sedici anni». Fa un grosso respiro. «Mi piaceva e così, alcuni anni dopo la morte di tuo nonno, l'ho tenuto in casa. Lui mi amava, ne sono sicura».
Sembra più un discorso a se stessa che a me. Un discorso di autoconvinzione. Il mio respiro diventa più pesante e vorrei tanto prenderla a schiaffi.
«Lui mi amava... e... poi è nato Licano», mormora e sorride.
«Licano è frutto di un abuso, così come lo sono io». Perdo la calma e mi avvicino ancor di più. Il mio petto si alza e si abbassa come mai ha fatto prima. Sono a meno di un metro da lei. Sento l'adrenalina scorrere nel corpo alla velocità della luce: è una sensazione piacevole.
«Guarda come una cosa così brutta ha portato una cosa così bella», cita mia madre.
Questa è la frase che papà diceva spesso quando eravamo tutti insieme. È la goccia che fa traboccare il vaso. Impazzisco.
«Sta' zitta!»urlo.
«Era quello che mi diceva tuo padre. Era l'unica cosa che mi diceva con amore, ma so che in fondo lui mi amava», si convince.
«Perché lo hai fatto? Perché lo hai ucciso? Perché ci hai portato qui? Forse inizi a provare un minimo di senso di colpa per quello che hai fatto? Ma ti rendi conto? Non hai mai fatto nulla per me, hai lasciato tutto sulle spalle di Licano: ha dovuto lasciare la scuola e iniziare a lavorare, mentre tu pensavi solo a te stessa. Mi sono sempre sentita fuori posto nella mia vita: all'asilo, alle scuole elementari, alle medie, ovunque. Ovunque! Ora, però, vengo a sapere che è colpa tua se mi sono sempre sentita così. Ti rendi minimamente conto del danno che hai causato? Non ti fai schifo?»
«Penso che sia abbastanza». Mi volto e mio nonno è in piedi accanto al camino, con un completo grigio nuovo di pacca e un'espressione impassibile sul viso. Il suo sguardo passa prima su mia madre e poi su di me e fa un sorrisetto compiaciuto.
Faccio un grosso respiro e mi giro, di nuovo, verso la donna che dovrebbe essere mia madre. Dietro di lei, accanto alla porta, Alexandru e l'uomo-triangolo, finalmente con gli occhi aperti, sono appoggiati alla parete. Sono troppo lontani perché io possa osservarli bene, perciò mi concentrò su mia madre.
Ha un aspetto malato e ha gli occhi tristi fissi su di me.
«Tua madre è qui per cercare la morte». Mio nonno viene al mio fianco con passo leggiadro.
«È venuta perché sapeva di andare incontro alla morte?» chiedo sorpresa.
«Tuttavia, tuo fratello ha lasciato a te la facoltà di scegliere», interviene Alexandru facendo un passo in avanti e arrivando alle spalle di mia madre.
«Dov'è Licano?»domando.
«Non può stare qui», risponde mio nonno..
«Non può stare nella mia stessa stanza», commento tra me e me.
Perché è un vampiro? mi domando.
Accanto a me, mio nonno annuisce.
Non può stare qui perché mi ucciderebbe. Ha sete di sangue. Mio nonno ha annuito perché legge nel pensiero?
«Ragazza, scegli», esorta Alexandru.
«Figliola, fa' una scelta», mi incoraggia mio nonno.
Dovrei essere un giustiziere?
Dovrei concedere la morte a mia madre?
Cerco di pensare nel modo più oggettivo possibile. Quali sono i contro? Tutto ciò che ha fatto a mio padre, Licano e me. Quali sono i pro? Nessuno a parte il fatto di avermi partorito.
«Figlia mia, ti voglio così bene», sussurra mia madre guardandomi con occhi imploranti.
Perché mi guarda in quel modo?
«Che cosa vuoi?»le chiedo avvicinandomi alla sua faccia.
«Non ce la faccio più a vivere senza di lui. Nulla ha più senso», mormora trattenendo le lacrime.
«Ma lo hai ucciso tu», sibilo a bassa voce vicino alla sua faccia.
«Lui non mi ama. Non mi ha mai amata»dice scoppiando in lacrime e coprendosi il volto con le mani.
Almeno l'hai capito. Le dico nella mente.
«Lui... Lui... Vi amava così tanto. Tu gli assomigli particolarmente. Hai i suoi capelli e Licano ha il suo carattere. Forse anche tu ce l'hai...»continua a balbettare la donna che mi ha messo al mondo.
«Questo non lo potrai mai sapere, perché non ci sei mai stata per me», concordo freddamente incrociando le braccia al petto.
Alzo lo sguardo sull'uomo-triangolo, su Alexandru, che fissa mia madre in fondo alla stanza, e su mio nonno, che ricambia il mio sguardo. «Datele quello che vuole», concordo con fermezza e inaspettata freddezza.
Fritz e Alexandru la prendono sotto le ascelle e la portano via. Dal suo viso traspare gratitudine e questo mi manda in bestia, ma non voglio più vederla. Ha fatto abbastanza danni.
«Nonno, vorrei saperne di più», affermo voltandomi verso di lui.
«Tutto a tempo debito», risponde lui sorridendo. Sbuffo, alzando gli occhi al cielo.
«Cosa succederà adesso?»domando.
«Dovrai capire chi sei veramente e qual è il tuo posto», ribatte mio nonno.
«Devo continuare l'addestramento?»chiedo.
«Non ti piace?»rimanda lui.
«No, mi piace. È solo che vorrei veramente capire cosa sta succedendo», sbuffo. «Anca Mikelaus è ancora viva?» domando.
«Sì», risponde lui.
«Dov'è ora?»chiedo.
«Ha iniziato ad addestrare tuo fratello ieri», ammette..
«Un altro addestramento?» ribatto e lui annuisce.
«Vorrei conoscerla», esorto.
«Non puoi!»esclama sorridente posandomi una mano sulla spalla.
Un urlo stridulo interrompe il discorso con mio nonno e mi distrae. È mia madre. È la sua fine. Che cosa le avranno fatto? È morta?
Perché non sono triste?
Ho qualcosa che non va?
Mio nonno tossisce, richiamando la mia attenzione su di lui, e sorride.
«Non hai nulla che non va, figliola», dichiara nonno Grigore.
«Come hai fatto...? Giusto!», mormoro ripensando a ciò che ho letto prima. Lui sa leggere la mente delle altre persone. «Quindi tu sai tutto di me?»
«So che non hai ancora trovato il tuo posto del mondo», risponde.
«Nonno, chi è Anca? Perché è con Licano?»
«Ne parleremo più tardi. Ora hai l'allenamento, Alexandru ti sta aspettando», affermo allontanandosi verso la porta.
«Nonno?»chiamo.
«Sì?»Si volta e apre la porta.
«Voi... cioè noi... insomma...» Noi siamo vampiri?
«Sì. Siamo Vampiri», afferma sorridendo ed esce chiudendo la porta.
La porta si chiude e mi ritrovo da sola in biblioteca.
Cos'è appena successo?
Ho letto un libro, quello della mia famiglia... Anzi, quello del mio clan, che è, oltretutto, un clan di vampiri. Io e mio fratello eravamo degli ibridi... Ora lo sono solo io, lui è stato trasformato. Mia madre è una cacciatrice che si è innamorata di mio padre vampiro quando aveva sedici anni. Lui non ricambiava il sentimento perché aveva già trovato la sua compagna, che si chiama Anca e che ora è la tutrice di mio fratello. Mia madre ha ucciso mio padre e ci ha portati qui perché voleva morire.
...che al mercato mio padre comprò.
Tutto molto semplice da capire, insomma! Ho il fumo che mi esce dall'orecchie!
Ci sono ancora molte cose che devo vedere e comprendere.
«Lisandra?»Qualcuno mi chiama.
Scuoto leggermente la testa e mi accorgo che la porta è aperta: Alina mi sta aspettando sulla soglia.
«Arrivo. Scusa», rispondo annuendo.
Vado in camera mia, mi cambio per l'allenamento e corro in palestra.
Non appena metto piede nella stanza, i miei occhi vengono catturati da Alexandru, che fa gli addominali alla barriera, senza maglietta.
I muscoli della schiena bianca si muovono e non riesco a fare a meno di osservarlo lì, rimanendo sulla porta, imbambolata come un cane davanti ad una ciotola piena.
«Mi chiedevo se saresti arrivata», afferma lui sorridendo.
Con un balzo scende a terra e si volta verso di me.
La parte davanti del suo corpo supera di gran lunga quella posteriore. Lo osservo attentamente: i pettorali sono ben marcati e le spalle sembrano ancor più larghe senza maglietta. Sposto lo sguardo più in basso e assaporo la vista della sua tartaruga perfetta.
Scendo ancor di più con lo sguardo, quando mi interrompe lanciandomi una palla in faccia che, non so come, afferro all'istante. «Ragazzina!»
Alina è seduta al suo posto, come al solito, e noi iniziamo l'allenamento.
Mi fa fare una serie di esercizi per riscaldarmi. «Chiudi gli occhi», mi dice all'improvviso.
Faccio come mi viene chiesto e attendo.
In palestra si è creato un silenzio fastidioso e faccio fatica a stare ferma in piedi.
Faccio un grosso respiro e provo a concentrarmi.
«Cosa senti?»È la voce di Alina.
«Solo silenzio», rispondo seccata.
«Concentrati», insiste Alexandru in tono severo.
Ci riprovo ed esamino il silenziointorno a me, ignorando la parte di me che vorrebbe ridere. Non sento nulla di nulla e questo mi fa imbestialire. Cosa dovrei sentire?
Inizio a contare cercando di darmi una calmata: uno, due, tre, quattro, cinque... centoventi, centoventidue, cento ventitré, centoventiquattro...
All'improvviso, una mano fredda mi afferra il braccio sinistro e me lo mette bruscamente dietro alla schiena. Un ginocchio, al tempo stesso, spinge contro il mio, facendomi cadere a terra. In meno di un minuto sono a terra con la schiena e un braccio sotto di essa, con qualcosa di freddo che mi sottomette. Apro gli occhi e scopro che quel qualcosa di freddo è Alexandru.
Mi si mozza il fiato: è così bello. I lineamenti sono perfetti, la bocca carnosa da cui spuntano dei denti scintillanti e gli occhi neri... Osservo più attentamente i suoi occhi e noto che non sono veri: sono lenti a contatto quelle!
«Lasciami subito!»urlo mentre cerco di divincolarmi con tutte le mie forze.
Alexandru si alza senza dire nulla, guardandomi confuso.
Mi alzo e mi pulisco. «Toglietevele! Toglietevi quelle maledette lenti! Tutti e due!»sbraito.
Si guardano e poggiano il loro sguardo su di me con sgomento. Dopo svariati secondi si tolgono le lenti colorate, svelando il loro colore naturale: rosso acceso.
«Ci è stato ordinato», si giustifica Alina con una voce timorosa.
«Mi sono stancata di essere trattata come una bambina», borbotto ad alta voce. Esco dalla palestra e mi dirigo nell'unica stanca in cui so per certo di trovare i miei nonni, quella a sinistra dell'ingresso, di cui non ricordo il nome.
Apro le due porte e i miei nonni girano la testa di scatto verso di me.
«Lisandra?»chiede mia nonna preoccupata.
So che mio nonno è già a conoscenza di cosa sto per dire, ma non mi interessa. Lo dico lo stesso, così mi sentono tutti nella tenuta, compreso mio fratello.
«Mi sono stancata di essere trattata come una bambina. Non dovete mettervi delle stupide lenti colorate per nascondere il vostro colore naturale. Non dovete atteggiarvi a nulla. Siate quello che siate. Non dovete fingere per paura che io possa rimanere traumatizzata in qualche modo. D'accordo, per l'anagrafe ho quattordici anni, ma sono più matura di quanto crediate ».
Mia nonna chiude il libro, si alza e mi si avvicina. «Lisandra...»sussurra sorridente.
«Abbiamo capito», interviene mio nonno dalla poltrona, con tono pacato. Nonna Crina sospira e si riaccomoda, mentre io faccio un grosso respiro. «Ora torna da Alexandru», continua mio nonno.
Torno in palestra e, con mia grande sorpresa, scopro che non c'è nessuno, perciò decido di andare in camera mia e riposarmi. Mi faccio una doccia bollente e mi metto dei vestiti comodi. Sistemo i libri sul comodino, quando mi accorgo della presenza di un bigliettino sul mio cuscino.
Lo prendo, lo apro e lo leggo.
Per oggi è finito l'addestramento, ma ti diamo un ultimo compito. Devi scrivere una lista con tutti i libri che desideri leggere e domani li avrai.
I tutori
I libri che desidero leggere? Dicono veramente? Ridacchio nella mente.
Prendo un blocco e una penna, mi metto sul letto a gambe incrociate e mi sbizzarrisco, scrivendo tutto ciò che mi è stato negato da mia madre: leggere i fantasy.
***
«Buongiorno». La voce squittente di Alina mi fa sobbalzare nel letto.
Non ricordo di essermi addormentata. Scuoto la testa e apro gli occhi, sbadigliando.
Nella stanza, ai piedi del letto, c'è la mia tutrice con un vestitino che le arriva al ginocchio blu cobalto e i suoi occhi rossi. Dannatamente rossi.
Non riesco a smettere di guardarli: sono bellissimi.
«Sono venuta a consegnarti il nuovo programma», afferma. Si siede con leggiadria sul letto mentre io, ancora mezza addormentata, sbatto gli occhi più volte.
«Nuovo programma?»domando.
«Sì, con i nuovi corsi e gli orari che dovrai seguire».
«Che gioia», commentosarcastica.
Mi piace molto questo addestramento, ma non digerisco il fatto che qualcuno controlli la mia vita.
«Spiega», mormoro tirandomi su a sedere, ma rimanendo sotto le coperte. «Per favore», aggiungo.
«La mattina ti sveglierò io, come sempre, e farai colazione con i tuoi nonni. Dopodiché frequenterai lezioni di bon ton e storia. Dopo pranzo continuerai l'addestramento con Alexandru fino a cena, poi sarai libera di fare quello che vuoi». Sorride mostrando i denti bianchi e perfettamente allineati. «La biblioteca è a tua disposizione, ma se vuoi leggi pure qui. I libri te li ho sistemati sulla scrivania, ma provvederò a farti installare una libreria».
Osservo la scrivania piena di libri e il cuore mi si riempie di gioia. Quando li hanno presi?
«I tuoi nonni ti aspettano, perciò vestiti!»esclama gentilmente.
«Sono vampiri, quindi mangiano?»chiedo confusamente.
«No, ma è l'unico momento che possono passare con te».
Perché?
Annuisco.«Ci sarà anche Licano?»domando.
Lei scuote la testa.
«Okay», ribatto.
Mi alzo e vado nella cabina armadio. Scelgo qualcosa di semplice: un paio di pantaloni neri con gli strappi e una maglietta elegante nera con una scollatura a V. Esco dalla cabina armadio, spengo le luci e mi dirigo in sala da pranzo, dove i miei nonni mi stanno aspettando.
***
Il tempo passa velocemente. Fin troppo velocemente.
Sono seduta sulla poltrona di camera mia davanti al camino, che scoppietta in modo buffo. Il tempo è passato così in fretta, non mi sembra vero che sia successo così tanto in poco tempo. La lista di libri che avevo chiesto tempo fa l'ho finita in circa due settimane, nelle quali ho affrontato ed esaminato tutti i tipi di vampiri descritti, confrontandoli con la mia famiglia. Per esempio, Alexandru ha la pelle bianca e dura e gli occhi rossi come Dimitri Volturi, ha la galanteria di Lucius Vladescu e molte altre qualità. Quindi, alla fine, non sono riuscita a inquadrare bene il vampirismo da cui è affetta la mia famiglia. La parola affetta, però, non rende l'idea che voglio dare, perché non è una malattia, ma un dono. Un dono spettacolare.
In questa settimana ho pensato seriamente di voler diventare un vampiro completo, ma sono arrivata alla conclusione di voler crescere ancora un po' e fare le mie esperienze umane.
Sembra strano chiedere di rimanere umana? Non proprio umana, visto che sono un ibrido, ma così come sono? Per la prima volta mi sento bene e accettata in una società. So bene che la mia famiglia non rappresenta la società, ma per ora sto bene così.
Ho superato con mio grande stupore e fierezza il test di bon ton di Alina.
Il bon ton, chiamato anche galateo, ha diverse regole e ha creato dentro di me due pensieri e sentimenti contrastanti: uno di pura adorazione e uno di odio. Ho iniziato ad amare il bon ton, perché pone delle regole secondo cui bisogna avere un minimo di contegno e galanteria, soprattutto verso le donne, ma allo stesso tempo lo detesto, perché attraverso di esso si è creato negli anni una sorta di maschilismo, con un'idea diffusa secondo cui la donna non sa fare nulla senza l'uomo. A tavola, il fumo e il cellulare sono banditi in segno di rispetto degli altri commensali, poiché l'utilizzo di smartphone e tablet quando si è in compagnia è un segno di poco rispetto. La postura corretta, anche in momenti più informali, prevede che ogni persona tenga sempre i piedi sotto il tavolo, senza incrociarli sulla sedia, i gomiti non appoggiati alla tovaglia e il busto eretto, non chino sulla pietanza. Chiedere il sale è un gesto poco carino nei confronti di chi ha preparato la pietanza che si sta consumando, poiché indica che non la stiamo apprezzando. Non si deve mai iniziare a mangiare prima degli altri e non si deve dire mai buon appetito, poiché l'inizio del pasto deve avvenire in silenzio e tranquillità, senza intavolare subito una conversazione fitta. Al termine di ciascuna portata, se pensiamo di non consumare nient'altro, bisogna posare forchetta e coltello sul piatto, parallelamente; questo sarà un segnale per l'oste. Non si parla quando si mastica ed è bene lasciare qualche residuo di cibo nel piatto, a simboleggiare che la pietanza è stata gradita.
L'ultima regola non la condivido per nulla: se il piatto è buono, bisogna mangiarlo tutto e, anzi, non si può nemmeno fare la scarpetta.
Cose da pazzi! Il cibo non va mai sprecato. Parlando di abbigliamento, le regole del vestiario seguono molto le occasioni, in base a ogni momento della giornata o ai singoli eventi. La funzione degli accessori è molto rigida: per esempio, bisogna sempre togliersi gli occhiali da sole quando si incontra una persona. Per quanto riguarda il cappello, invece, le regole del bon ton vogliono che sia tenuto in testa sempre dalle signore, in ogni occasione, anche nei luoghi chiusi, mentre gli uomini devono sempre toglierselo, soprattutto nel momento in cui incontrano una signora. Le regole del galateo, infatti, vogliono che un signore saluti una donna togliendosi brevemente il cappello afferrandolo dalla sua calotta.
Se dovessi ripensare a tutte quelle cose che il galateo comprende, e soprattutto, elencarle, diventerei vecchia.
Ho superato il test di Alina facilmente, ma non mi piacciono le persone che hanno bisogno di dimostrare le loro capacità a tutti. Mi piacciono quelle persone che sanno chi sono, cosa sanno fare e dove vanno e che lo fanno in silenzio. Io sono una di quelle persone.
Non ho ancora visto Licano. Non si fa vedere, ma ogni notte sento qualcosa di freddo che mi accarezza la guancia. Suppongo sia lui e questo mi rende leggermente più felice.
Sto leggendo La metamorfosidi Kafka, quando vengo interrotta da un colpo alla porta.
«Posso entrare?»Mio nonno sbuca.
«Sai già la risposta», rispondo sorridendo.
«Come stai?»mi chiede.
«Sto bene, grazie».
Lo vedo un po' a disagio per la prima volta e questo mi spaventa. «Cosa succede?»
«Nulla di così grave. Anzi, è una cosa positiva. Ma devi promettere di rimanere ferma dove sei»afferma.
«Lo prometto, ma per cosa?»domando confusa
La porta si apre e una figura alta, con i capelli corti, gli occhi rossi e un completo elegante nero entra nella stanza.
Licano!
I suoi occhi non si lasciano sfuggire nessun particolare. Mi scrutano con tanta insistenza che ho voglia di guardarmi anche io. Si appoggia al muro vicino alla porta, mentre mio nonno mi si posiziona accanto, come se fosse bodyguard.
«Ciao», sussurro.
Ha le mani dietro alla schiena ed è immobile, come se fosse di marmo.
«Stai bene?»mi domanda. È la sua voce, ma non lo è. Sembra diversa, cambiata. Lui è cambiato. Dannazione!È un vampiro completo adesso.
Annuisco senza distogliere lo sguardo da lui.
«Ti hanno trattata bene?»esorta.
«Benissimo. Non sono mai stata così bene... Non che tu mi abbia fatto stare male, ma... insomma... hai capito. Penso di aver trovato il mio posto, finalmente!»mormora con un sorriso imbarazzato.
Mi mancava aprirmi con mio fratello. Ricordo tutte le sere e le notti passate a piangere tra le braccia del mio fratellone, perché mi prendevano in giro per diverse cose: le mie abitudini, per i miei vestiti o perché non avevo molti amici. Odiavo stare in mezzo a tante persone proprio perché non mi capivano e adesso so il perché.
Lui sorride mostrandomi dei denti bianchi e lucenti.
«Fa male?»chiedo.
«Che cosa?»ribatte corrucciando la fronte.
«Essere qui». Con me.
«Non tanto quanto non vederti per tutto questo tempo. Anca mi tiene molto occupato», sostiene..
«Anca!»esclamo. «L'hai vista?»
Che domanda stupida...
Mio fratello abbassa lo sguardo e mio nonno si agita.
«Non penso che tu possa conoscerla. Adesso», informa mio nonno.
«Perché no?»domando.
«Perché assomigli molto a nostro padre e lei, pur di non rivederlo, ti ucciderebbe senza pensarci», sussurra Licano con un tono freddo.
«In che senso?»rimando.
«Ci vuole solo un po' di tempo...»mormora Licano.
«Ah. Va bene». Abbasso lo sguardo verso le mie mani, che giocano tra loro per l'imbarazzo.
Lui apre la porta. Se ne va di già?
«Tornerai, vero?»chiedo d'istinto con tono implorante.
So che mi ha sentito, ma la porta si chiude senza una risposta di Licano.
Perché ho la sensazione che non tornerà?
Giro la testa in attesa di una risposta da parte di mio nonno, quando mi accorgo che non c'è più.
Sbuffo. Perché tanto mistero?
Cosa dovrei fare? Insomma... Non so più cosa pensare.
Cos'è questa Anca? Chi è? Mi vuole morta perché assomiglio a mio padre? Fantastico!
Mi alzo, mi butto sul letto e, passati alcuni minuti, mi addormento. Di nuovo.
***
Le foglie assumono sempre più colori diversi.«Buongiorno». Alina mi sveglia, come ogni mattina, con la sua voce da scoiattolo che mi rimbomba nelle orecchie.
Mi gira e mi scoppia la testa. Ho una nausea pazzesca e sento caldo e freddo allo stesso tempo. Non sto bene.
«Alina, non mi sento bene. Per oggi possiamo rimandare?»sbiascico.
«No. In piedi», impone.
«Ti ho detto che non mi sento bene», borbotto arrotolandomi nelle coperte.
Lei risponde prendendo le coperte e buttandole per terra con un solo movimento felino. Mi solleva e mi porta nella cabina armadio, dove mi veste e mi trucca mentre ho ancora gli occhi chiusi.
«Devo andare in bagno», mi lamento.
Con questa frase, almeno, mi lascia da sola per qualche minuto. Frugo nella mia pochette alla ricerca di un termometro e, dopo averlo trovato, mi provo la febbre.
Chiudo gli occhi e cerco di rilassarmi per qualche istante. Non mi reggo in piedi, perciò mi siedo sul bordo della vasca.
Il bip del termometro mi riporta alla realtà. Lo prendo e controllo la mia temperatura: ho trentanove e mezzo di febbre.
Che gioia.
Esco dalla porta e trovo davanti a me Alina con la faccia seria e le braccia incrociate al petto. «Potevi dirmelo, invece di sprecare tutto questo tempo. Te l'avrei detta io la temperatura».
«Che gentile», commento sarcastica.
Mi prende per un polso e mi trascina, nonostante assomigli a uno zombie, fino alla sala da pranzo.
«Buongiorno, figliola», mi saluta mio nonno.
«Buongiorno, cara», rimanda mia nonna.
«Buongiorno», rispondo lentamente. Non mi sono mai sentita così debole. Non mi ricordo quando mi sono ammalata per la prima volta. Io non mi sono mai ammalata, ecco perché!
«Stai bene, cara?»mi domanda.
«Perché fate domande di cui sapete già la risposta?»ribatto giocando con la tazza di latte che ho davanti.
«Devo per forza mangiare?»chiedo ad Alina con uno sguardo da cane bastonato. È in piedi accanto alla porta in fondo alla stanza.
«Sì, ti servono energie», commenta la mia tutrice annuendo.
«Va bene», sospiro.
Finito di fare colazione, che per la prima volta sembra essere durata un'eternità, mi dirigo in biblioteca per iniziare le lezioni di storia.
Apro la porta e mi accorgo immediatamente di una nuova poltrona vicino alla solita accanto al camino, dalla quale si intravedono delle gambe fini.
Chiudo la porta e all'improvviso rabbrividisco. Sono bloccata, ma non per cause di forza maggiore, bensì da me stessa, poiché dalla poltrona ho intravisto una chioma dorata, la stessa che avevo visto nel libro della mia famiglia, sul capo di...
Anca!
È Anca!
Ce la posso fare?
Ho paura che mi uccida? No.
Ho paura di quello che potrebbe dirmi.
Faccio un grosso respiro e mi incammino verso la mia poltrona. Mi siedo lentamente, mantenendo gli occhi sempre su di lei.
Ha i capelli mossi color oro raccolti in una coda appoggiata sulla spalla sinistra e ha lo sguardo purpureo fisso nel vuoto. Indossa una maglietta nera in pizzo che, però, non lascia vedere nulla sotto, e dei pantaloni neri larghi ed eleganti.
«Benvenuta», dice mentre i suoi occhi iniziano a scrutarmi. Ha il corpo rigido e si vede che si sta trattenendo.
«Grazie», bisbiglio.
«Sarò la tua insegnante di storia, ma non è la storia che hai studiato finora. Sai già come gli esseri umani hanno rovinato il mondo fino a oggi, ma con me si studierà la storia oscura. Hai capito?»
«Sì», rispondo.
Mi sento uno zombie.
«Come hai letto nel libro del nostro clan, la storia oscura ha orgini remote, ma tutto viene ricondotto alla nascita del clan Romanov. Queste lezioni, però, non saranno passive, bensì sarai tu a farmi delle domande e io risponderò», spiega mentre guarda il fuoco.
«Va bene». Respiro lentamente.
Si crea un silenzio imbarazzante. Mentre lei guarda il fuoco, io mi guardo intorno.
«Hai qualche domanda?»chiede.
«Te»sussurro. «Parlami di te», oso.
Accavalla le gambe e si irrigidisce ancor di più, con lo sguardo fisso sui mattoni del camino..
«Cosa vuoi sapere?»domanda con un sibilo.
«Tutto ciò che non è scritto sul libro», rispondo.
«Da dove vuoi partire?»chiede.
«Da te e mio padre», mormoro in imbarazzo.
Lei emette un sospiro, ma non perché ha bisogno d'aria. «Sai già come ci siamo conosciuti. Tuo padre era tutto per me. Tu gli assomigli molto», sorride
Rimango stupita dalle sue parole. Come sa che sono brava a combattere?
«È un male?» esorto.
«Che c'è? Io ti osservo», sorride.
Improvvisamente un capogiro forte mi colpisce e non ci capisco più nulla.
«Per oggi può bastare. Va' a riposarti!»esclama. Se ne va alla velocità della luce, generando del vento freddo, senza sbattere la porta.
Mi alzo ed esco dalla biblioteca. Faccio fatica a tenere gli occhi aperti e a trascinare le gambe, una dopo l'altra, fino in camera mia, quando un vento freddo mi passa accanto lasciandomi la strana sensazione che sia Licano.
Licano.Non si è fatto più vedere da quella volta. Mi manca! Mi mancano i suoi abbracci. Mi ha promesso di rimanermi sempre accanto, ma ora dov'è?
Inizio a piangere. «Licano!», urlo.
«Perché mi hai abbandonato? Non hai forse detto che ci saresti stato? So che mi senti, brutto idiota. Ti odio», singhiozzo. Mi cingo con le braccia in segno di difesa e continuo a piangere, finché non sento più nulla e tutto diventa buio nel corridoio della tenuta Mikelaus.
***
«È solo stanca, Licano. Devi calmarti». È la voce di mio nonno.
«Non posso calmarmi. È svenuta nel corridoio. L'ho delusa e io non le sono stato accanto». È Licano a parlare.
Ho gli occhi chiusi, ma cerco di capire dove mi trovo attraverso il tatto: mi sembra di essere sul letto e di avere la coperta sopra di me. Intorno a me ci sono tante persone, ma per ora ho sentito solo le voci di mio nonno Grigore e di Licano.
«Cosa sta pensando?»chiede Licano a mio nonno, molto probabilmente.
«È sveglia, ma è solo triste. Devi capire che entrambi avete affrontato cambiamenti nella vostra vita e che tu hai già superato tutto, mentre lei è lì da sola e ignara di tutto ciò che la circonda».
Ricado in un sonno profondo.
Sono in un corridoio della tenuta che non conosco, illuminato dalle lanterne. Mi giro, vedo Alexandru e Fritz che trascinano mia madre per le spalle in fondo al corridoio sconosciuto e li seguo per un corridoio lunghissimo, freddo e di pietra, fino a una grande porta nera. La aprono e li seguo per una scala a chiocciola di pietra che ci porta sotto la tenuta, fino ad arrivare a un grosso portone rosso in legno con accanto due lanterne accese con il fuoco, appese alla parete con due cerchi di metallo nero.
Il portone si apre, rivelando la presenza di altri sette vampiri nella stanza, oltre al mio tutore e all'uomo-triangolo, tra i quali mio nonno, mia nonna, Anca, Licano e altri tre uomini che non ho mai visto. Mia madre viene posizionata al centro dalla stanza, cade in ginocchio con la testa china e le figure le si dispongono intorno: a sinistra si trova la mia famiglia e a destra i tre uomini sconosciuti.
Mio nonno e mio fratello indossano un completo nero e rosso, molto simile a quello con cui mio nonno è stato rappresentato nel disegno nel libro del clan, e mia nonna porta in modo elegante un vestito nero lungo e dritto, così come Anca. Sposto lo sguardo sul primo uomo: indossa delle scarpe nere eleganti, dei pantaloni neri, una camicia nera coperta da una giacca nera con i bordi rossi e un grosso e pesante mantello aperto nero pece, le cui cuciture interne, però, sono dello stesso colore degli occhi. Ha la pelle pallida, gli occhi rossi e i capelli castani lunghi e folti, legati da un nastro rosso. L'uomo accanto a lui è vestito nello stesso modo, ha la pelle pallida, i capelli biondi raccolti con un nastro rosso con un fiocco e gli occhi rossi. L'ultimo elemento ha qualcosa di diverso: il mantello è chiuso con una grossa spilla d'oro romboidale. Ha la pelle bianco pallido, gli occhi rossi e i capelli sciolti lunghi e neri, che gli ricadono morbidamente sulle spalle. Mi concentro sulla faccia di quest'ultimo. Mi attira, come se ci fosse qualcosa in lui che...
All'improvviso non riesco a respirare e l'unica cosa che mi resto è la speranza che qualcuno senta il mio urlo strozzato.
Mi sveglio in preda al panico, per terra in una sala buia, con le gambe tremanti su un terreno freddo e umido. Mi alzo e cerco di capire dove mi trovo esattamente.
Si alza un forte vento freddo, che mi costringe a mettermi le mani sulla faccia, e le lanterne si accendono, rivelando la mia posizione.
Tolgo le mani dal viso e mi accorgo di essere nella stanza del sogno.
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