Capitolo 2: La tenuta nel bosco

N.A. La canzone di questo capitolo è...

https://youtu.be/7HG7X188sdU

𝓛𝓲𝓼𝓪𝓷𝓭𝓻𝓪

Subito dopo essere sbarcati in un porto della Spagna, scendiamo con l'auto dalla nave. Il mare è stato piuttosto calmo rendendo gradevole la nostra permanenza a bordo e superata la frontiera francese, Licano parcheggia l'auto in una stazione di servizio. Mia madre scende sbattendo la portiera, lasciandoci da soli per prendere dei panini per pranzo, mentre Licano chiude gli occhi, sospirando.

«Pensi che andare lì l'aiuterà?» sussurro appoggiando la testa al finestrino.

«Non lo so, ma oggi l'ho vista sorridere per la prima volta da anni». Si gira verso di me sorridendo.

Mia madre torna. «Forza! Andiamo!»esclama sbattendo una mano contro il parabrezza.

Chiudo gli occhi, faccio un grande respiro e mi addormento.

«Lis, svegliati!» dice mia madre scuotendomi.

«Sono sveglia», balbetto sbattendo le palpebre ripetutamente, cercando di mettere a fuoco la figura di mia madre sul sedile davanti.

«Siamo quasi arrivati», mormora mia madre con un sorriso tirato sulla faccia.

Annuisco e osservo i paesaggi all'esterno del veicolo: è notte e non si vede nulla, se non ombre scure di alberi molti alti e fitti

«Dove siamo?»chiedo.

«Siamo quasi arrivati», ripete seria mia madre.

La osservo da dietro: si strofina i palmi delle mani contro i pantaloni e fa dei respiri profondi. È nervosa.

«Licano, fermati qui e fammi guidare», afferma con voce incrinata ma allo stesso tempo decisa. Mio fratello si ferma, scende e risale accanto a me. Mia madre prende il posto del guidatore, fa un grosso respiro e accende il motore. Cerco gli occhi di Licano e lo abbraccio.

Mi tiene incollata al suo petto, che si alza e si abbassa, mentre mia madre guida senza dire una parola, con le mani rigide sul volante.

«Lic, perché è cosi nervosa? Ho l'ansia», sussurro.

«Andiamo dai genitori di papà», risponde dopo alcuni secondi mio fratello.

«Come?»

Mette un dito sulla bocca. «È già nervosa. Non peggiorare la situazione», dice accarezzandomi il capo.

«Licano?»chiamo sciogliendo l'abbraccio e guardandolo negli occhi.

«Sì?»sussurra.

«Tu non mi abbandonerai mai, vero?»esorto con le lacrime agli occhi.

«Mai». Mi prende e riporta la mia testa su di sé, stringendomi forte contro il suo petto.

Rimaniamo così per un tempo indefinito: il suo petto si alza e si abbassa mentre il cuore batte lentamente, cullandomi.

«Siamo arrivati», afferma Licano.

Alzo la testa e guardo fuori dal finestrino. Ci troviamo davanti a un grandissimo cancello, che ai miei occhi appare nero, con al centro lo stemma di un leone in piedi, con la bocca aperta, e con una grande M incisa in un carattere corsivo particolare.

Mikelaus ?

Mia madre apre la portiera, scende dalla macchina, e si dirige verso un piccolo altoparlante alla sinistra del cancello, quasi nascosto tra dei piccoli cespugli. Dopo alcuni minuti di attesa, vedo che si mette a parlare, ma non riesco a capire cosa stia dicendo. Risale in macchina e il grande cancello si apre lentamente, creando un'atmosfera piuttosto inquietante. Percorriamo un lungo vialetto in mezzo al fitto e scuro bosco quando, finalmente, riusciamo a scorgere una grossa tenuta, la cui strada si allarga in una rotonda piccola, che ci permette di portare la macchina direttamente davanti alla grande porta d'ingresso.

Tutto intorno a noi tace. Mio fratello e mia madre scendono dalla macchina e discutono di qualcosa, come sempre, mentre io decido di rimanere a bordo in macchina, dietro i vetri scuri, e osservo il territorio circostante. La tenuta è grande quasi quanto un castello: avrà almeno cento finestre solo sulla facciata che vedo. Non riesco a distinguere i colori, perché è notte fonda, ma in alto, sul tetto, ci sono delle statue, ciascuna diversa dall'altra.

A un certo punto, la grande porta si apre dall'interno e compare un uomo minuto, con la faccia a punta e una divisa da maggiordomo. È immobile davanti alla porta, tiene la testa all'insù con gli occhi chiusi e il braccio, sopra al quale si trova un pezzo di stoffa bianca, forma un angolo di novanta gradi vicino al petto. All'interno si intravede una luce arancione e calda.

Mia madre e mio fratello smettono di parlare e si voltano verso di lui, ostruendomi la visuale. Apro leggermente il finestrino per cercare di sentire.

«Benvenuti. Vi stavamo aspettando», dice l'uomo con un tono formale e pacato, senza aprire gli occhi. «Ragazza, puoi uscire dalla macchina. Non mordo», commenta facendo due passi in avanti.

Come ha fatto a vedermi con i vetri oscurati?

Sapeva della mia presenza, ovviamente. Deve essere il maggiordomo di mio nonno... Quindi è normale, no?

Come ha fatto a capire che stavo ascoltando?

Apro la portiera e scendo lentamente, scrutando la figura in cima alle scale. Ha ancora gli occhi chiusi, con la testa all'insù, e il braccio non si è mosso dalla sua posizione iniziale.

«I signori vi stanno aspettando. Seguitemi»Senza aspettare la minima risposta, si volta e inizia a camminare con una certa velocità, mantenendo però la sua compostezza.

«La macchina la lasciamo qui?»chiede bruscamente Licano, mentre lo seguiamo all'interno.

L'ingresso è molto ampio: al centro ci sono delle grandi scale sopra alle quali si trovano enormi finestre coperte da spesse, e apparentemente pesanti, tende rosse, che si dividono in due parti, una destra e una sinistra, in direzione del piano superiore.

Che cosa ci sarà?

Accanto alle scale si ergono, a destra e a sinistra, due busti maschili in marmo che non conosco e che non ho mai visto. Il pavimento è decorato con piastrelle a rombi bianche, mentre le pareti sono di color marrone scuro e sul soffitto è presente un grosso lampadario bianco cristallino. L'uomo ci conduce davanti a una porta marrone scuro, chiusa, a due ante, sulla sinistra dell'ingresso. Poggia delicatamente le mani sulle due maniglie grigie e la spalanca. È una stanza gigantesca: ci sono due poltrone, una nera e una rossa, rivolte verso il camino di mattoni rossi acceso e scoppiettante.

Whoah! Questo è il mio primo pensiero...

Tra il camino e le poltrone si trova un grande tappeto con motivi arabeschi marrone e grigio, le pareti hanno una carta da parati color caffè e, anche qui, il pavimento ha le piastrelle bianche. Mia madre entra silenziosamente per prima, seguita da Licano e poi da me. Avverto la presenza di due persone sedute sulle poltrone, che ci danno le spalle, grazie alla loro ombra. L'uomo vestito da maggiordomo va davanti al camino, fa un inchino e ci lascia soli nella stanza, chiudendo la porta dietro di noi. Gli unici rumori udibili in questo momento sono i grilli del bosco e le pagine del libro di una delle due persone sedute su quelle poltrone: regna il silenzio imbarazzante.

«Buonasera. Grazie per averci accolti, soprattutto a quest'ora», mormora mia madre con una vocina che la fa sembrare piccola di fronte a quelle grandi poltrone.

La pagina viene girata con più forza e questo raffredda ancor di più l'atmosfera. Mia madre tossisce, mio fratello la guarda intensamente, mentre io mi fisso i piedi.

Dopo svariati minuti, il libro si chiude con un rumore pesante che rimbomba per tutta la stanza. «Ci fa un immenso piacere», risponde una voce maschile proveniente dalla possente poltrona nera.

Nell'aria è palpabile dell'imbarazzo mescolato alla paura e all'ansia. Alzo leggermente la testa e cerco di vedere oltre i braccioli della poltrona, ma non riesco a identificare la persona che parla. In meno di un secondo compare un'altra figura: è molto alta, con spalle alte e larghe e mani incrociate dietro la schiena. È un uomo vestito con un completo blu scuro, con i capelli corti, forse neri, e gli occhi fissi su di me.

È solo una mia impressione! Non sta guardando solo me, ma tutti noi!

Non riesco a definire il colore dei suoi occhi: sembrano neri, ma allo stesso ambrati.

«Benvenuti», dice aprendo le braccia come simbolo di accoglienza. «Sarete stanchi. Vi facciamo accomodare nelle vostre stanze. Domani parleremo meglio. Fritz!»continua schioccando le dita. In men che non si dica, le porte si aprono e sulla soglia appare l'uomo minuto di prima.

Così l'uomo-triangolo si chiama Fritz! Rido.

Fa un passo all'interno della stanza. «Seguitemi, prego», mormora in modo serio, ma elegante.

Mi volto verso le poltrone e vedo che l'uomo di prima tornare al suo posto sulla poltrona nera, così seguiamo l'uomo-triangolo fuori dalla stanza, il quale, usciti tutti, chiude le porte in modo delicato, senza fare alcun rumore e ci fa cenno di non toccare nulla.

Lo seguiamo su per le scale, mentre ci spiega che i nostri bagagli sono già nelle stanze a noi assegnate, e giriamo a sinistra. Nell'ala sinistra della tenuta, ci spiega, ci sono le stanze di mio fratello e di mia madre, mentre la mia si trova nell'ala destra.

«Perché io nell'ala destra?»domando contrariata.

«Non avevamo altre stanze disponibili, signorina», risponde in modo calmo, senza guardarmi negli occhi.

Dopo aver accompagnato mia madre e mio fratello nelle loro stanze, l'uomo-triangolo e io ci dirigiamo nell'ala destra scendendo per una piccola rampa di scale e risalendo verso la parte opposta.

«Ecco a lei! Questa è la sua stanza!»Parla tenendo gli occhi chiusi. Che poi perché li tiene chiusi?

«Grazie», mormoro mentre poggio la mano sulla maniglia grigia, ma, alzando gli occhi, mi accorgo che non è più qui.

Entro e rimango stupita: la stanza è grande quasi quanto l'ingresso: a est si trova un grande letto alla francese con lenzuola rosse e al suo fianco un comodino in legno scuro su cui sono appoggiati due quaderni, una sveglia e una penna, affiancata da un block notes.

Dove sono le mie valigie?

A nord ci sono delle grandi finestre coperte dalle stesse tende rosse presenti al piano inferiore.

Dov'è l'armadio?

A ovest c'è un piccolo camino di mattoni rossi con davanti una piccola poltrona purpurea di pelle, che all'apparenza sembra comoda.

L'uomo-triangolo non mi ha spiegato dov'è il bagno. Come faccio?

Mi avvicino al letto e vi poggio una mano per testare la sua morbidezza, quando all'improvviso mi accorgo di una piccola porta sul lato nord-est della stanza. Mi avvicino ed entro con cautela. Gli occhi si spalancano non appena oltrepasso la soglia : è una cabina armadio – oltretutto con vestiti che non mi appartengono, forse due o tre - e l'ammiro in tutto il suo splendore. Ci sono tre scaffali bianchi completi di borse e scarpe e vestiti di ogni genere appesi dappertutto.

È cosi tardi che mi si chiudono gli occhi.

Domani esplorerò bene la stanza e la casa. Ridacchio tra me e me.

Ritorno in camera e mi sdraio, addormentandomi all'istante.

Il rumore di un pugno che bussa alla porta mi sveglia.

«Avanti», borbotto sfregandomi gli occhi.

L'uomo triangolo entra con eleganza nella mia stanza e si avvicina al letto, pur mantenendo due metri di distanza.

«Buongiorno, signorina. I signori la vogliono incontrare in sala da pranzo immediatamente», dice portandosi le mani al petto.

«Chi?»domando.

«I suoi nonni», risponde il maggiordomo.

Ha ancora gli occhi chiusi, tiene, come ieri, la testa all'insù e indossa gli stessi vestiti.

I miei nonni? Quello era mio nonno? Non era troppo giovane?

«Che ore sono?»chiedo togliendomi la coperta da dosso.

«È l'ora di andare a mangiare. Sono le diciannove. Se si sta domandando il perché lei abbia dormito così tanto, glielo spiego subito: è il jetlag», spiega posizionandosi a destra della porta.

«Va bene. Vado a vestirmi. Arrivo», dico alzandomi da letto.

Entro nella cabina armadio e cerco uno dei miei vestiti. Scorrendo le grucce, noto che sono tutti stupendi, ma, immediatamente, il mio cervello pensa di non essere in grado di portarli in modo decente. Prendo una maglietta nera a maniche lunghe, dei jeans e le mie scarpe nere.

Esco dall'armadio e Fritz, l'uomo-triangolo, è ancora lì, accanto alla porta, che mi aspetta ad occhi chiusi.

«Sono pronta», comunico.

«Mi segua», afferma annuendo l'uomo triangolo.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top