Capitolo 7
Almeno, era quello che credevo.
Davanti al reparto dei noodles istantanei, infastidito dalla quantità di scelta e gli innumerevoli gusti, restai bloccato.
Era un calvario, come ogni volta che tornavo da scuola e andavo al supermercato.
Il mio mondo era semplice, ma quando una moltitudine di offerte mi si paravano davanti il mio cervello si surriscaldava.
Ad inizio anno avevo instaurato un ordine preciso: comprare ogni sera un nuovo barattolo di noodles per assaggiare tutti i gusti, partendo da in alto a sinistra, poi scorrere ripiano per ripiano. Solamente che il commesso aveva completamente cambiato l'ordine dei prodotti, ingarbugliando la mia organizzazione.
Adesso, non ero più sicuro di avere oppure no assaggiato la versione speziata dei ramen giapponesi XXL.
Merda.
— Hey!
Girai la testa verso la persona che interruppe bruscamente tutti i miei pensieri ed indietreggiai. Il vicino di fronte era qua.
Tutto sorridente, vestito in tuta, sudato, il suo viso era ancora un po' rosso e sembrava esausto.
È normale, eravamo martedì sera. Mi schiaffeggiai mentalmente per essermi ricordato di questo dettaglio. Era passata una settimana da quando non avevo più fatto attenzione a lui, purtroppo però la sua presenza mi ricordava senza sosta questo dettaglio della mia esistenza che avevo ormai voglia di dimenticare.
— Hey, risposi debolmente.
— Se ne stai cercando di buoni, ti consiglio quelli nuovi al gusto kimchi, gli ho assaggiati ieri sera...
Guardai il barattolo che mi stava indicando e non volendo stare per troppo tempo con lui lo presi, lo ringraziai e mi diressi velocemente verso la cassa.
Una volta fuori, con il mio sacchetto in plastica in mano, partii con un passo deciso verso il mio appartamento, ma sentii qualcuno corrermi dietro:
— Hey!
Chiusi gli occhi e provando ad essere simpatico, mi girai.
— Ceni da solo? Potremmo mangiare insieme, sarebbe più bello no?
La mia espressione gli diede già la risposta, perché poi aggiunse:
— A meno che tu non abbia qualcosa di già previsto...
— Studiare.
— Ah...
Sembrava quasi deluso e feci marcia indietro. La mia missione era di allontanarmi il più possibile dal mio vicino di fronte. Anche se avevo preso delle nuove decisioni la sua presenza mi dava comunque fastidio come prima.
Avevo dovuto allontanare il vicino con più strategia di prima, facile visto che conoscevo le sue abitudini, ma quando era con il ragazzo dalla pelle pallida aveva la spiacevole tendenza di non seguire le sue abitudini ed ero a volte sorpreso.
Come quella ridicola volta, la settimana scorsa, in cui avevo dovuto aspettare mille anni nell'entrata del mio edificio prima che avessero finito le loro compere per andare a mia volta al supermercato. Pensavo di essere stupido, solo che sapevo che lo facevo per delle buone ragioni.
Le mie ragioni.
Ossia, continuare la mia vita come se questo episodio di voyeurismo non avesse mai avuto luogo.
Per farlo: non socializzare con il vicino, da vicino o da lontano.
Ma dovevo essere onesto.
Mi mancava, era orribile tanto mi mancava. Morivo dalla voglia di aprire le mie tende e guardare attraverso il salotto. Sentivo come un vuoto, come una mancanza.
Con lo studio intensivo e la famosa minaccia degli esami alle porte era ancora peggio. Mi faceva stare ancora più male sapere che ero l'unico responsabile di questa dipendenza immorale.
Perché ero arrivato a questo?
Cos'ho che non va?
*******
In questo mercoledì sera, ore ventitré e mezza, ero qui, un pezzo della tenda stretto nella mia mano destra, a due passi da mandare in aria tutti i miei buoni propositi.
Il mio ultimo incontro con il vicino si era svolto il giorno prima e dovevo ammettere che aveva buon gusto in ambito di noodles istantanei. Non ce la facevo più, la nuova C scritta in rosso sul mio compito mi aveva quasi fatto perdere le staffe quella mattina.
Anche Jin hyung aveva avuto paura, perché non mi aveva mai visto in questo stato.
Quel maledetto tiranno del nostro professore, sembrava provare un piacere maligno nell'umiliarci, nello sminuirci e nel darci brutti voti.
Se ero un guardone, lui allora era sadico e non lo nascondeva nemmeno, invece io facevo di tutto per ignorare questa parte della mia personalità.
Improvvisamente cedetti e tirai le tende. La luminosità dell'appartamento di fronte mi beneficò, come una boccata d'aria fresca.
Vidi subito il vicino, era in mutande appoggiato al suo balcone, malgrado facesse un po' freschetto. Una ragazza era vicino a lui e vestiva solamente una sua maglietta, fumava ed erano vicini.
Ero arrivato dopo lo spettacolo, ero quasi deluso.
Restai a guardarli qualche secondo sentendomi contemporaneamente molto stupido e molto meglio.
Avevo veramente un problema.
Ma improvvisamente Jungkook alzò la testa e mi vide. Il sangue mi si gelò nelle vene e spalancai gli occhi prima di richiudere immediatamente le tende.
Merda.
Avevo voglia di schiaffeggiarmi a causa del mio essere uno scemo di prima categoria. Mi ero appena fatto scoprire.
Di nuovo, credetti di sentire i miei vizi ridacchiare nel mio cervello, dicendomi che me l'ero meritato.
Avevo ceduto, mandato all'aria i miei buoni propositi, stavo pagando le conseguenze. Di nuovo.
Quando questo ragazzo di fronte era entrato nella mia vita avevo visto la distanza tra i nostri due mondi ridursi al nulla, sottile come un foglio di carta e pensavo che se mi fossi tenuto a debita distanza non ci sarebbero state ripercussioni. Solo che adesso sapeva che abitavo qua. Mi guardava.
Poteva vedermi, vederlo.
Mi rinchiusi nella mia stanza e scivolai sotto le coperte, poi chiusi gli occhi come per nascondermi da qualcosa.
La vergogna forse, solo che pure qui, non voleva andarsene.
Merda.
Ero sempre un guardone.
*******
Aspettavo, con un certo stress, in un corridoio con i muri nudi. La moquette sul pavimento era ruvida e grigia, palesemente rovinata.
Fissavo le doppie porte con angoscia, aspettando che sia aprissero e ogni volta che lo facevano mi raddrizzavo dalla mia posizione a metà appoggiato al muro, poi vedendo che non era la persona che volevo vedere, tornavo nella mia posizione iniziale.
Aspettavo Jimin. Il D-Day per lui era arrivato, eravamo finalmente lì.
Era arrivato venerdì sera, non l'avevo mai visto così stressato e così pallido. Non aveva parlato molto e aveva mangiato pochissimo. Secondo me, non aveva neppure dormito bene ieri sera, io neppure. Come due fantasmi, ci eravamo incontrati nel mio salotto senza sapere cosa fare dei nostri corpi e dei nostri pensieri.
Non ci parlavamo ma ci capivamo. Poi questa mattina lo avevo accompagnato.
Aveva quattro audizioni per quattro università diverse, tra cui la mia. E ovviamente, come gran finale, la mia università era la sua ultima audizione del giorno.
Ed ero qua in questo fottuto corridoio ad aspettarlo. Alla fine delle altre tre audizioni non aveva detto niente, nemmeno una parola, a parte delle rauche onomatopee. Si era lavato, cambiato, pettinato ed eravamo subito andati alla prossima audizione
Non sapevo da dove tirava fuori la forza per fare tutto nello stesso giorno, ballare ogni volta. Tre ore di attesa per tre minuti di esibizione.
Ma qui sentivo che non era lo stesso. Era la Seoul University, la mia scuola. La scuola che Jimin sognava di frequentare, l'inizio di un sogno, quasi un fantasma.
Sembrava così estenuante però quando era entrato nella sala d'attesa, il suo numero di candidato attaccato al corpo. Nella stanza tutti gli altri si ritiravano, alcuni non si sforzavano nemmeno di nascondere la loro arroganza e le loro certezze sull'essere qua. Ce n'era anche uno che si era pure vantato di avere un lasciapassare perché il padre conosceva il preside...
In tutta la mia vita non avevo mai odiato qualcuno fino a questo punto. In più ero pessimo. Pessimo come migliore amico confortante, non sapevo cosa dire allora non dicevo niente. Restavo qua, braccia lungo i fianchi, muto come un pesce.
Da ragazzo noioso ero passato a ragazzo inutile.
La mia propria mediocrità mi dava voglia di spaccare tutto.
Ma non facevo niente, ero incapace di esprimere emozioni così forti, le contenevo all'interno perché ero convinto che se fossero uscite, il mio intero mondo sarebbe crollato a pezzi.
Improvvisamente le porte si aprono e mi raddrizzai, tutti i miei cinque sensi in allerta: Jimin era qui. Aveva sudato tanto, ero sicuro che aveva dato il meglio di sé. Non aveva un sorriso sul suo viso, ma nemmeno delle lacrime, sembrava solamente esausto.
Non pronunciammo nessuna parola e gli diedi una bottiglia d'acqua che svuotò in un nanosecondo.
— Devo farmi la doccia, ma a casa tua.
— Ve bene.
Però non si mosse, il suo respiro era irregolare e il suo torace si alzava, delle gocce di sudore scendevano lungo il suo collo e dalla maglietta che si era appiccicata alla sua pelle. Le vene dei suoi avambracci erano uscite, marcando di più i suoi muscoli.
Passò una mano nei suoi capelli prima di tirare un sospiro mormorando:
— Porca puttana, è finito...
Sentivo che si liberava di tutta la pressione accumulata e mi sentii anche io liberarmi di qualcosa, una bolla di stress. Se non fosse stato per Jimin non mi sarei mai preoccupato per il futuro di qualcuno.
— Torniamo a casa, dissi visto che sentivo che si stava emozionando.
Annuì e mi incamminai. Supponevo che non volesse piangere di fronte a me ed io non volevo che piangesse. Era complicato e non mi piaceva per niente.
Eravamo migliori amici ma c'era una distanza tra di noi, una distanza che il mondo ci imponeva.
Quella che ci diceva di essere forti, perché eravamo degli uomini, non dovevamo far vedere le nostre debolezze, né commiserarsi come delle ragazze e abbracciarsi per riconfortarsi.
Io non volevo che il mondo imponesse questo, però era difficile travalicare le regole. Già mi sentivo inutile, ma se Jimin si fosse messo a piangere mi sarei sentito ancora più insignificante.
E lui, lo sapevo, per orgoglio non si sarebbe mai lasciato andare, non in questo modo. Anche se era molto emotivo non era una questione solo di emozioni.
Avevamo fatto il tragitto tranquillamente e in religioso silenzio, ma la tensione era diminuita, Jimin era più calmo e anche più lento. Dalla fermata del bus a casa mia il suo ritmo era rallentato come se stesse perdendo autonomia, come se si stesse svuotando completamente dopo essersi impegnato al massimo. Mormorò approssimativamente la parola "doccia" una volta entrato nel mio appartamento e sprofondai nel mio divano.
Erano solo le diciotto ma avevo già fame. Esitai all'inizio, poi però urlai:
— Vado a fare la spesa.
Suppongo che Jimin stia piangendo sotto la doccia, forse per il rimorso, per la frustrazione e per il sollievo. Lo sapevo, lo conoscevo troppo bene. Allora camminai lentamente fino al supermercato, lasciandogli più tempo da solo.
Arrivai fino alla corsia dei noodles istantanei prima di mordermi le labbra. Era un giorno speciale, dovevo sforzarmi per comprare delle cose un po' più decenti.
Guardai il mio portafoglio e feci un breve calcolo prima di uscire dal negozio.
Non lontano da lì c'era un ristorante specializzato in pollo alla brace che faceva anche il take-away. Mi sentii strano mentre prendevo una decisione diversa dalle mie abitudini, ma mi rese quasi felice farlo per un'altra persona.
— Hey!
Chiusi immediatamente gli occhi.
Oh no.
Ruotai la testa e vidi il vicino, non era da solo. Il ragazzo con i capelli verdi e la ragazza minuscola con i capelli a fungo erano qui, stavano per entrare nel supermercato.
Jeon Jungkook era qui, con il suo sorriso da ragazzino carino e con la sua tuta da ginnastica rossa e nera.
Era la prima volta che incrociavo di nuovo il suo sguardo dopo lo scambio imbarazzante della settimana scorsa.
Mi aveva visto.
Un calore si diffuse sul mio viso e ringraziai l'oscurità che nascondeva il mio malessere.
— Come va?
La sua domanda mi disorientò un attimo, mi chiesi se si stesse prendendo gioco di me, ma sembrava del tutto sincero.
— Ehm...
— Hai mangiato? Stavamo andando a comprarci qualcosa e bere un po' prima di uscire se vuoi puoi...
— No.
La mia risposta così diretta lo sconcertava, allora farfuglio:
— Cioè, c'è qualcuno a casa mia, stavo... cioè stavamo per... mangiare.
Jungkook guardò il ristorante dietro di me e annuì:
— Avrei voglia anche io di pollo... aspetta. Hyung!
Aveva urlato veramente forte e il ragazzo con la pelle pallida che stava fumando la sua sigaretta si girò verso di noi.
Aveva il viso freddo e inespressivo.
Jungkook l'aveva chiamato hyung, ma a mio parere aveva un viso da bambino però poco amichevole. Tuttavia il suo stile e quello che emanava anche da lontano mi fecero capire che sembrava più anziano.
La ragazza con i capelli a fungo assomigliava invece veramente una bambina.
— Mangiamo del pollo, ti va?
— Ti sembro ricco? Disse il suo amico con una voce profonda.
— A parte gli scherzi, è sabato sera, fanno sempre delle promozioni! Non fare il tirchio!
Esclamò Jungkook.
Mi guardai attorno, infastidito da tutto il rumore e cosciente che stavamo disturbando i vicini.
— Posso pagare io se volete, poi mi rida... iniziò la ragazza.
Ma il ragazzo chiamato Yoongi la interruppe, improvvisamente infelice che lei dovesse pagare per i loro tre stomachi e sospirò pesantemente.
— Va bene.
Jungkook mi sorrise come se avesse appena vinto una partita di cui non capivo le regole.
— A parte questo come stai? Non sei troppo sopraffatto dallo studio? Appena guardo il tuo appartamento vedo che sei sempre con il naso sui libri...
Scusa?
Strabuzzai gli occhi per la sorpresa: quando guarda nel mio appartamento? Ho sentito bene?
— Ho... gli esami di fine anno che si avvicinano quindi...
— Sì, sospirò il più giovane. Lo so, è una rottura, non ho ancora iniziato a studiare. Sono allo sportivo, seriamente, perché devo seguire anche io delle lezioni... preferisco essere valutato sulle mie capacità sportive, sarei sicuro di avere il massimo dei voti!
Pazzesco come sembrava arrogante mentre diceva questo.
Gli altri due arrivarono finalmente vicino a noi e Jungkook fece le presentazioni:
— Yoongi hyung, Bongsun, vi presento il vicino di fronte, Kim Taehyung. È lui che ha chiamato la polizia per il furto.
Questo dettaglio sembrò interessare il ragazzo chiamato Yoongi i cui occhi neri fissarono i miei.
Da vicino potevo vedere i dettagli del suo viso. Aveva una pelle veramente pallida, senza imperfezioni, liscia e dei piccoli occhi scuri. I suoi capelli erano verde fluo e risaltavano a causa del vestito in pelle nera che stava indossando.
Emanava un'aura strana che mi mise subito in soggezione. Per qualcuno di così minuto e piccolo non sembrava fragile, come se nascondesse una forza colossale un po' pericolosa.
Sì, pericolosa era la parola perfetta per descriverlo. Non mi piaceva per niente quello che emanava, era quasi arrogante.
— Ah sì? Come è successo? Cosa hai visto?
Il suo tono non era aggressivo, tuttavia mi misi subito sulla difensiva.
— Ho... ho visto delle torce e...
— Quanti erano?
— Quattro... credo...
Yoongi annuì prima di schiacciare la sua sigaretta in un portacenere tascabile e soffiò il suo fumo verso l'alto, la ragazza chiamata Bongsun cacciò via il fumo con la mano, facendo una smorfia con il naso.
— Porca puttana sono sicuro che sono stati quel cretino di un Junho e la sua banda...
— Francamente non avrebbe le palle per fare questo, rispose Jungkook.
Guardai l'entrata del ristorante e mi diressi verso di essa, poco interessato alla loro conversazione. Soprattutto non avevo voglia di stare nei loro discorsi come se fossi loro amico. Era estremamente fastidioso.
Non mi piaceva. Non avevo voglia di parlare con delle persone che non conoscevo.
Mi precipitai nell'edificio ed ordinai solo che glia altri tre mi stavano incollati al culo. La ragazza minuscola in mezzo li guardava come se stesse guardando una partita di tennis.
Ma soprattutto, perché il vicino non sembrava per niente scioccato o infastidito? Dopotutto ci eravamo visti. Mi aveva visto.
E mi vedeva adesso.
Certo, lui era in mutande e lei indossava una maglietta ma in ogni caso...
— E tu hyung?
— Eh?
Tornai alla realtà mentre tutto e tre mi stavano fissando come se stessero aspettando una risposta. Io lo guardai completamente sconcertato e il vicino ridacchiò:
— Non stavi ascoltando quello che ci stavamo dicendo vero?
— No.
La mia risposta sembrò sorprenderlo ma Yoongi rispose:
— Usciamo questa sera, c'è una festa verso Itaewon, un piccolo concerto di rap underground questa volta e non è organizzato da un dipartimento dell'Università. Abbiamo dei pass, tu vieni?
— Ehm... no.
Di nuovo le sopracciglia di Jungkook si alzarono per la sorpresa prima che inizi a ridere e a sussurrare in direzione del ragazzo verde menta:
— Scusa hyung, mi sono dimenticato di avvisarti, lui è un po' strano.
Ah eccolo di nuovo.
Era da tanto che non tirava fuori questa parola. Di solito era la parola che ritornava quando le persone mi frequentavano per un momento.
« Strano. »
La ragazza lo guardò in cagnesco ma il ragazzino non sembrava aver intenzione di scusarsi, alzai semplicemente le spalle e mi rigirai prima di recuperare il mio ordine.
— Non sono interessato.
— Ah, sì, c'è qualcuno a casa tua o sbaglio? Beh portala con te, abbiamo posto nella macchi...
— Lui.
— Eh?
— Lui, precisai a tono.
— Ancora meglio! Venite tutti e due. Devi solamente aprire la tenda e farmi un segno dal tuo salotto...
Gli faceva ridere. A me no.
E poi ero io quello strano mentre lui sembrava seriamente bizzarro?
— Sinceramente è fighissimo, dovremmo inventarci dei codici o dei segnali luminosi per comunicare da un salotto a l'altro...
— Buona serata.
Tornai a casa mia, non senza averlo insultato una decina di volte, mentalmente.
Non capivo questo ragazzo e mi disturbava.
Prima, vederlo nei momenti più intimi della sua vita non mi dava fastidio ma addò che parlava, che mi parlava, non era più la stessa cosa.
Quando arrivai nel mio appartamento Jimin mi accolse non in pigiama come credevo, ma bensì vestito e vestito bene in più.
— Ce ne hai messo di tempo, stavo per chiamarti!
— Ho avuto un contrattempo... Perché sei vestito così?
E qui mi fece un sorriso che non mi diceva niente di buono.
— Sono sicuro che tu abbia già un'idea, Tae.
— Jimin, sei stanco...
— Non è vero, sto benissimo!
Effettivamente, sembrava si fosse rimesso in sesto. Poi vide la borsa e i suoi occhi si dilatarono:
— Oh mio Dio, Tae sei un amore!
— È per congratularmi per oggi, balbettai.
— Non dovevi, hai già fatto tanto per me.
— Stai scherzando vero, non ho fatto niente...
— Hai sacrificato il tuo sabato di studio intensivo per accompagnarmi e aspettarmi, so quello che significa per te.
Restai scioccato poi imbarazzato per quello che mi aveva appena detto e mi diressi in cucina per prendere la caraffa e tirare fuori i bicchieri.
— In ogni caso, riprese Jimin dopo aver tirato fuori i piatti in plastica che aveva appoggiato il tavolino, questa sera usciamo. Ci scoverai una festa bellissima e ti giuro che ci divertiremo tantissimo...
Sbuffai insoddisfatto:
— Non ho feste bellissime per...
— Manda un messaggio a Jin hyung.
Perché quando Jimin diceva una cosa riusciva sempre a convincermi?
Ripensai a quello che mi aveva detto Signor-il-vicino-di-fronte qualche minuto fa e mi rassegnai a parlare con Jimin. Quest'ultimo, che aveva già ingoiato quasi la metà del piatto, spalancò gli occhi.
Parlare di Jungkook a Jimin fu più facile di quello che mi ero immaginato, non si era nemmeno sorpreso che io "conoscessi" il vicino. Ma quando mi chiese come l'avevo incontrato, spontaneamente e senza nemmeno esitare gli parlai del furto. Non stavo mentendo eppure non stavo dicendo tutta la verità, non era possibile fare altrimenti.
Ma mi faceva stare meglio, parlare di questo a qualcuno come se avessi un peso sulla coscienza da alleggerire.
Immediatamente Jimin si alzò, accese tutte le luci del mio salotto, aprì completamente le tende, uscì sul balcone e prima che avessi il tempo di fermarlo si mise a saltare gridando a squarciagola mentre faceva dei grandi gesti con le braccia. Spaventato tentai di fermarlo fino a che, oh cazzo, vidi la finestra di Jungkook aprirsi e quest'ultimo passare sul balcone, un grande sorriso sulle labbra prima di urlare:
— Partiamo verso le ventitré e trenta, ci troviamo davanti al mio edificio!
— Ok, urlò Jimin in risposta prima di fare una O con le sue braccia.
Quando il mio migliore amico si girò verso di me, scoppiò a ridere prima di esclamare:
— Tae, sarà fantastico! È troppo figo che tu possa conversare così con il tuo vicino!
Spalancai la bocca e lo guardai sconcertato.
Una seconda collisione era appena avvenuta, non più tra il mio mondo e quello del vicino di fronte ma tra il mio migliore amico è il vicino di fronte.
Solo che il mio migliore amico faceva parte della mia vita e la collisione mi sembrò più intensa.
Avevo un brutto presentimento.
Un terribile brutto presentimento.
☆*:.。. oo .。.:*☆
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