Capitolo 6


Era arrivato il momento di smettere.

Jimin era tornato a casa domenica pomeriggio, l'avevo accompagnato alla stazione. Avevamo passato la giornata chiacchierando nel mio appartamento, fino alla sua partenza. Eravamo stanchi, visto che eravamo tornati a casa tardi la sera prima, ma ero contento.

Contento che sia venuto. Mi aveva parlato un po' dei suoi affari di cuore, niente di speciale era capitato in questi mesi, e della sua ansia sulle sue audizioni di danza.

Lavorava duramente, lo sapevo, lo percepivo, era perfezionista. Era dimagrito dall'ultima volta che l'avevo visto. Ero sicuro che stesse lavorando più del dovuto ma non avevo detto niente. Anche io ero un malato del lavoro, a tal punto che mi rinchiudevo in casa e non uscivo più, e lui non mi aveva mai detto niente.

Durante il giorno avevo guardato solamente una volta l'appartamento del vicino di fronte. Avevo capito quindi che avevo bisogno di Jimin nella mia vita, avevamo discusso su un affitto condiviso se fosse venuto ad abitare a Seoul e l'idea mi era quasi piaciuta.

Forse se rimanesse qui con me questa perversione che macchiava la mia esistenza se ne sarebbe andata.

Ma dopo la sua partenza, tornando nel mio appartamento vuoto, mi ero sentito solo e stupidamente avevo alzato gli occhi verso il salotto di fronte.

C'era ancora una ragazza ma questa qui giocava ai videogiochi con lui. Non veniva spesso.

Non era come le altre, è troppo bassa per il suo standard, aveva i capelli tagliati a fungo, da lontano sembrava adorabile. Gesticolava continuamente e lo colpiva continuamente.
Non veniva spesso ma non era tutto uguale quando era lì. Era una sua amica.

Chiusi gli occhi, giuro che tirai le tende prendendo un grande respiro, dovevo ripassare.

Stavo per smettere.

Stavo per smettere tutto questo, lo stalking, il voyeurismo, purtroppo però un abitudine è difficile da cancellare.

Il voyeurismo, lo stalking, erano abitudini ancorate a me ed erano molto faticose da dimenticare.

Tuttavia avevo l'impressione che stessi guarendo con il passare del tempo. Anche Jin hyung, dieci giorni dopo la mia decisione, notò che il mio ritmo era un po' diverso, si era pure preoccupato, chiedendomi se fossi malato.

Ero così prevedibile, prima?

Pensavo che mano a mano che il tempo passava la situazione si sarebbe attenuata, ero sulla buona strada. Veramente. Cominciavo a guardare di meno, a calmarmi, a chiudere le mie tende più spesso.

Veramente.

E poi ci fu quella sera, in cui tutto ad un tratto la mia vita aveva preso una curva a centottanta gradi.

*******

Quel giorno avevo ripassato fino a tardi.

Il nostro professore di medicina generale, Mr Do, un tiranno dei giorni nostri, aveva chiesto un fascicolo completo sulle malattie neurodegenerative con tanto di schema, spiegazioni e articoli internazionali recenti. La classe era stata bocciata quasi del tutto quando aveva riconsegnato i compiti e avevamo ottenuto un giorno in più per ricominciare queste "immondizie" come le aveva chiamate lui.

Ero quindi frustrato, arrabbiato e stressato all'idea di ricevere un altro C, scritto in rosso quasi con sarcasmo sul mio compito.

Certo, nessuno in classe aveva ricevuto più di C ma io avevo o in gioco la mia borsa di studio e il mio appartamento.

Non potevo permettermi voti al di sotto di una B.

Erano più o meno le tre del mattino quando mi ero stiracchiato, la testa mi pulsava, mi ero alzato nel mio scuro appartamento illuminato solamente da una lampada, per prendere un bicchiere d'acqua.

Il mio compito era finito, mi ero impegnato al massimo. Un'ora prima Jin hyung mi aveva detto delle informazioni via messaggio, indicandomi che aveva anche lui lavorato duramente al suo compito.

I miei occhi si erano allora spostati, inconsciamente, verso il salotto di fronte immerso nell'oscurità. Fin qua nulla di nuovo, ero in fase di guarigione ma avevo ancora dei riflessi. Diminuivano mano a mano ma quando perdevo la concentrazione, tornavano.

Come se stessero aspettando in un angolo il momento migliore per uscire e ricordarmi i miei peccati.

Ovviamente, vista l'ora, non c'era nulla di interessante, era sabato sera e Signor-il-vicino-di-fronte era uscito.

Ma una luce strana mi aveva fatto aggrottare le sopracciglia e mi ero strofinato gli occhi.

Delle lampade andavano in giro per il suo appartamento, come delle piccole stelle. Oppure era tutto un sogno?

Non avevo capito subito. Cos'era, un delirio? Una barzelletta? Delle lucciole? Era saltata la corrente?

La mia mente era stanca e il mio cervello non ce la faceva più, ero quindi incapace di pensare correttamente.

Però mi ero concentrato e avevo quindi capito che c'era qualcuno a casa sua, con delle torce e quando iniziarono a prendere la televisione capii tutto.

Era un furto.

Ero caduto dalla mia sedia e avevo brancolato in preda al panico verso il mio telefono, avevo chiamato la polizia e quando la voce maschile aveva messo giù, avevo balbettato l'indirizzo dell'edificio.

Subito dopo che la voce maschile mi rassicurasse dicendo che avrebbe mandato qualcuno, avevo osservato il mio vicino di fronte venir derubato dei suoi beni.

La sua televisione ultimo modello, i suoi vestiti,
i suoi videogiochi e altro ancora...

Ero rimasto pietrificato, la mano stretta attorno al mio telefono e quando finalmente la macchina della polizia arrivò, i ladri erano già partiti.

Avevo messo una mano sulla mia bocca e dopo un po' ero uscito dalla mia contemplazione, avevo preso la mia giacca ed ero sceso all'entrata del mio edificio. Avevo attraversato la strada e mi ero avvicinato alla macchina della polizia.

— Sono... sono la persona che vi ha chiamato.

Avevo risposto alle domande, mi avevano chiesto di venire in centrale domani per fare il verbale ed ero solamente riuscito ad annuire.

Quando ero tornato a casa mia era stato impossibile addormentarsi. Il mio cervello era surriscaldato e alternavo i sensi di colpa con lo sgomento.

Se avessi guardato prima avrei potuto vederli venire e non avrebbero avuto il tempo di scappare.

Se mi fossi addormentato non avrei potuto, ma se... se...

E con tutti questi se non sarei riuscito a chiudere occhio.

Il voyeurismo mi era stato sbattuto in faccia, come per punirmi

Volevi vedere, hai visto.

*******

Il giorno dopo mi alzai presto, gli occhi pesanti e dovetti fare una doccia bollente per svegliarmi del tutto. Avevo appena finito di fare colazione, avevo la nausea e mi sentivo terribilmente in colpa, ovviamente non ero riuscito a guardare il vicino.

Avevo tenuto le tende chiuse ed ero uscito da casa mia per andare alla centrale di polizia più vicina. Aspettavo nervosamente nella sala d'attesa prima che un'agente in divisa venisse a prendere il mio verbale.

Mi aveva fatto molte domande e avevo provato a non sembrare troppo nervoso quando mi chiese come e perché avevo visto queste luci.

Avevo l'impressione di custodire un segreto.

Un segreto pronto a lasciare le mie labbra in qualsiasi momento. Un segreto che diceva "Stalkero regolarmente il mio vicino, visto che guardo sempre da lui, ho l'abitudine di verificare se è lì, è in questo modo che ho visto la scena".

Il poliziotto sospettava? Può essere che attraverso le mie risposte sospettasse del mio voyeurismo?

Quante ragazze e ragazzi a Seoul denunciavano il voyeurismo dei loro vicini, degli stalker dei giorni nostri?

Tanti.

E la cosa peggiore era dirmi che io facevo parte di queste persone.

E c'era stato bisogno di constatare un furto dal mio vicino per rendermene conto.

Se sapevano, lui, l'ufficiale, gli altri, mi avrebbero messo dietro alle sbarre.

L'agente mi ringraziò e mi indicò che il suo lavoro era terminato, mi alzai precipitosamente. Mi sentivo così tanto colpevole e vergognoso che avevo un solo desiderio: scappare dalla centrale di polizia prima che la mia colpevolezza si veda sul mio viso.

Ma quando attraversai la stanza per andare all'uscita, era lì.

Lui.

Signor-il-vicino-di-fronte, era lì. A un metro da me, guardava nella mia direzione quando un ufficiale aveva teso la mano per indicarmi, da lontano.

Entrai nel panico, avevo voglia di piangere.

Lo sapeva, sapeva tutto.

Il vicino di fronte si precipitò verso di me mentre ero incapace di muovermi e attesi il verdetto, il mio processo.

Meritavo di essere punito.

Si fermò davanti a me, non era mai stato così vicino e sentii il mio cuore battere all'impazzata.

La realtà mi colpì violentemente. Non potevo più scappare, non potevo più trovare scuse, non potevo più arrendermi.

La distanza tra i nostri due appartamenti, i nostri due mondi, era ridotta a nulla. Questo ragazzo entrava nel mio spazio vitale. Non potevo più trovare una scorciatoia, mi sarei sentito colpevole per sempre per averlo visto nelle situazioni più intime.

Però la sua espressione cambiò una volta davanti a me e disse:

— Sei il vicino di fronte che avvisò la polizia, non è vero?

— Sì.

La mia bocca era secca e si mise a sorridere. Aveva i denti davanti adorabili e un sorriso veramente bellissimo.

— Grazie! Grazie mille per averlo fatto!

Sentii le mie guance diventare porpora.

— Ma... io. — Farfugliai — Non... non ho fatto niente! Ho reagito troppo tardi, erano già partiti quando la polizia è...

— Sì ma comunque! Grazie!

Avevo voglia di urlargli che non meritavo i suoi ringraziamenti, non dopo aver spiato la sua vita negli ultimi mesi. Ma non potevo ammetterlo. E stupidamente mi rimisi a trovare scuse.

Il mio intervento presso le forze della polizia sul furto eliminava un po' i miei precedenti peccati?

In ogni caso era presto, troppo presto. C'erano dei dettagli su di lui che non avevo visto perché prima ero troppo lontano, ma adesso si percepivano benissimo. Ora capivo tutte le ragazze che andavano a casa sua e anche il complimento di Jimin. Era un bel ragazzo.

Veramente.

— Devo finire di parlare con l'agente, per le mie carte dell'assicurazione, aspettami nella sala d'attesa!

Spalancai gli occhi e stupidamente feci quello che mi diceva.

Come potevo rifiutare? Mi sentivo troppo colpevole per farlo.

Aspettavo nervosamente che tornasse. I miei pensieri erano divisi in due, da una parte la colpa e dall'altro il sollievo.

Dopotutto avevo fatto il mio dovere da cittadino, avevo chiamato la polizia. Se non fossi stato un guardone non mi sarei mai reso conto di un...

Mi facevo schifo quasi, a causa del mio cervello che cercava in qualsiasi modo di giustificare le mie azioni.

Quando fu di ritorno e che si fermò alla mia altezza, sembrava un po' irritato ma non troppo sconvolto da quello che gli era appena successo. Eppure era stato derubato, no?

Invece io, tutto il mio mondo era sconvolto ma speravo che non si notasse, se mi fossi rilassato i miei sensi di colpa si sarebbero visti, ne ero convinto.

Mi resi conto che il vicino ed io eravamo sto uguali. Ma le sue spalle e il suo corpo erano più muscolosi dei miei. Lo sapevo già, ma ora che lo vedevo da più vicino era ancora più evidente. I suoi occhi erano rotondi e le sue labbra carnose. Aveva un viso sia da bambino che da uomo, era abbastanza strano.

— Quindi abiti di fronte?

Sbattei le palpebre sorpreso da questa domanda:

— Euh... sì

— Mi chiamo Jeon Jungkook.

Signor-il-vicino-di-fronte aveva ora un nome.

— Kim Taehyung.

Quindi chiaramente questo ragazzo non mi aveva mai calcolato. Ero sia confino che sollevato. Sollevato per non essermi fatto beccare e confuso senza capire il perché.

— Quanti anni hai?

— Sono nato nel 1995.

Jungkook spalancò gli occhi, facendoli diventare più grandi di quanto già erano:

— Allora sei il mio hyung!

— Ah, in che anno sei nato tu?

— 1997. Posso chiamarti hyung?

— Se vuoi...

Adesso aveva un'età.

— Sei anche tu all'università di Seoul, hyung?

— Sì.

— Quale indirizzo?

— Medicina.

— Wow, io sono nell'indirizzo sportivo.

Non ero per niente sorpreso.

— Quale sport?

— Tutti.

— Tutti?

— Non ho ancora deciso, quindi li sto provando un po' tutti.

— Intendi dire che sei bravo in tutti gli sport?

Il più piccolo sorrise, un sorriso che rispondeva già alla mia domanda:

— Un po', si.

Adesso aveva anche una personalità.

Io Kim Taehyung, persona noiosa, stavo conversando tranquillamente con la persona che stalkeravo.

Come se tutto fosse perfettamente normale.

Merda.

— E tu hyung, vuoi diventare un medico?

Stavamo andando via dalla centrale di polizia e ci stavamo dirigendo verso la fermata dell'autobus.

Non potevo sottrarmi a questo discorso perché andavamo nella stessa direzione. Cercavo solamente di mantenere le apparenze mentre all'interno del mio corpo i miei pensieri erano sottosopra.

— Voglio diventare pediatra.

— Wow, è una cosa bellissima.

— Bellissima? Non penso che sia la parola giusta...

— È un modo di dire, tutta l'università sa che quelli che studiano medicina sono dei geni.

Non mi piaceva molto questo termine, ma preferii non dire niente. La sua presenza mi dava fastidio, la sua voce mi dava fastidio, la sua apparenza mi dava fastidio.

Tutto mi dava fastidio in pratica.

Era troppo vicino a me.

Troppo reale.

Mano a mano che i minuti passavano il mio senso di colpa diventava insopportabile.

Era una sofferenza ed era probabilmente il karma che si vendicava.

Ne ero sicuro.

Avevamo preso lo stesso autobus e durante tutto il tragitto continuò a parlare, continuava a farmi domande a cui rispondevo distrattamente. La sua personalità mi schizzava, se prima avevo potuto immaginare solamente a distanza adesso era qui sotto i miei occhi.

Volevo rinchiudermi a casa mia, non aprire più le mie tende e dimenticare questa storia. Dimenticare che avevo passato dei mesi interi a stalkerare Jeon Jungkook, venti anni più o meno, studente nel dibattimento di sport, nel suo appartamento.

Adesso che avevo delle informazioni su di lui era ancora peggio.

— Hey hyung, puoi venire a casa mia?

— Eh?

La mia reazione leggermente non proporzionata lo sorprese e mi schiaffeggiai mentalmente. Dovevo mantenere la mia apparenza.

— Credo che mi servirà una mano per sistemare delle cose e la maggior parte dei miei amici sono occupati quindi mi...

Il mio cervello si scollegò istantaneamente. Mi immaginavo io, a casa sua. In quello spazio che avevo continuato a vedere dal mio salotto.

Era completamente stupido pensare a questo, ma purtroppo...

— Va bene.

Eh? Cosa avevo appena detto?

Aspettate...

— Grande! Grazie sei veramente simpatico come hyung!

Mi ringraziò troppo, mi galvanizzavo con il suo sorriso e con i suoi ringraziamenti come se stessi sotterrando i miei sensi di colpa.

Ci fermammo alla nostra fermata e le seguii. Il suo condominio era uguale al mio. Stesse porte, stesso codice di sicurezza, stesse cassette della posta, stessi colori sui muri, stesso materiale, stesse decorazioni.

Era lo stesso mondo, solo che non era lo stesso nello stesso tempo, come se ci fosse stato un problema nella matrice.

Mi misi a ridere nervosamente nella mia testa pensando a questo. Il mio cervello andava totalmente in malora.

Arrivati al settimo piano Jungkook aveva semplicemente spinto la porta. La polizia aveva messo un nastro ed eravamo dovuti passare sotto. Il sole illuminava il salotto, a tal punto che dovetti socchiudere gli occhi. Prima di riaprirli, stupefatto dalla scena.

Era come se un tornado fosse appena passato per di lì.

Jungkook sospirò togliendosi la giacca che lanciò sul suo bancone. Non lo usava mai, invece era il mio mobile preferito nel mio appartamento.

— Francamente, mi dispiace se ti faccio fare tutto questo hyung, ma non vedevo come sarei riuscito a fare tutto da solo...

Lo capivo. Mi faceva pena.

Avevo semplicemente annuito senza sapere cosa dire e avevamo tutti e due alzato il divano, i cuscini erano sventrati senza che capissi il perché.

A cosa serviva aprirli in due?

Il vicino non sembrava essere troppo scosso dallo stato del suo appartamento, solamente infastidito. Mi spiegò che la sua assicurazione si sarebbe occupata di tutto, pure di cambiare il codice di sicurezza. La sua nonchalance mi scioccava. Se questa cosa fosse successa a me non sarei riuscito a reagire in questo modo.

Ma sistemando diedi un'occhiata al mio appartamento. Di fronte. Sembrava così vuoto e vicino. Guardarlo da questo punto di vista era strano.

E mi spaventava.

Avrebbe potuto vedermi, tutte quelle volte. Si vedeva bene dal mio appartamento come dal suo, riuscivo anche a vedere il mio orsacchiotto a forma di cuore sul divano. Ero stato fortunato a non farmi mai beccare.

— Vuoi che ti dica una cosa?

Trasalii c'è mi girai verso di lui, sembrò sorpreso dalla mia reazione ma non disse nulla a riguardo:

— Credo di essermi fatto derubare da gente che mi conosce...

— Eh?

— È quello che ho detto alla polizia. Solamente il mio appartamento è stato derubato nell'edificio la sera in cui io non ero presente.
Non hanno nemmeno hackerato il codice di sicurezza della porta al piano terra e nemmeno quello della porta d'entrata. In poche parole lo sapevano.

Fissai la porta d'entrata, scioccato, poi mi girai di nuovo verso di lui:

— Perché qualcuno farebbe una cosa simile?

— Perché non mi vogliono bene.

— Chi non ti vuole bene?

Mi sembrava una cosa impossibile che questo ragazzo non sia amato. Poi pensai a tutte queste ragazze e immaginai che una ex gelosa poteva benissimo...

No. Non esageriamo!

Non si deruba mica il suo ex per cose del genere!

— Non lo so, ci sono dei ragazzi con cui non ho un buon rapporto nel mio dipartimento... è un'idea di Yoongi hyung ma ti confesso che questa idea inizia ad avere senso.

— Yoongi hyung?

— È il mio migliore amico, frequenta il dipartimento delle Arti...

Sono sicuro che sia il ragazzo con la pelle pallida, vedevo solo lui. Il mio studio mi aspettava e avevo dormito poco la sera prima.

Ma soprattutto questa maledetta idea di aiutare, perché mi sentivo male, si era rivelata essere una brutta cosa. Il suo appartamento mi soffocava, la sua presenza mi disturbava.

— Penso che adesso vado a casa mia...

— Oh di già? Aspetta, non vuoi prima bere qualcosa?

— Non preoccuparti, grazie comunque.

Avevo chiamato la polizia, l'avevo aiutato a sistemare il suo appartamento. Avevo già fatto tanto per lui. Avevo smesso di torturarmi il cervello, le mie azioni avevo eliminato la mia storia da guardone. Questa sera, giurai a me stesso, questa storia sarebbe finita e non lo avrebbe mai scoperto.

Questo episodio deve essere d'esempio.

— È ancora presto, potremmo mangia...

— Devo finire di studiare argomenti importanti per domani. Buona serata.

Lo salutai rapidamente e mi eclissai, non sentii quasi per niente la sua risposta, attraversai la strada in senso inverso, per tornare a casa mia. Una volta, finalmente, nel mio salotto sospirai pesantemente. Era tutto finito, finalmente. Tutto si cancellava, tutto si dimenticava. Questi ultimi mesi erano stati un momento di smarrimento per me, ma non sarebbe più accaduto di nuovo.

Quella giornata segnava la fine di una storia.

Mi avvicinai al mio tavolo e ripresi a studiare, rispondendo distrattamente ai messaggi di Jin hyung. La sera, appena la notte arrivò, senza nemmeno dare un'occhiata chiusi le mie tende, mi lavai e andai a dormire. Domani tutto sarebbe andato meglio.

Almeno, era quello che credevo.

☆*:.。. oo .。.:*☆

Spazio traduttrice 🦋

Mi dispiace terribilmente per non aver aggiornato per due settimane intere. 🙇‍♀️

Questo capitolo descrive il primo incontro tra i nostri due protagonisti, come vi è sembrato?

A presto <3

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