1.
Le luci psichedeliche del locale rimbalzarono nei suoi occhi. Si sentì subito a suo agio in quel buio intermittente, piuttosto che nel fastidio della luce di tutti i giorni.
Vivienne era sicura di non poter dire ad alta voce quello che aveva sperimentato prima del Disastro. Le avrebbe creato problemi, altrimenti. Forse la Natura se ne sarebbe accorta, o forse se ne sarebbe accorta Iris. In ogni caso non doveva uscire – doveva rimanere dentro di lei, nelle profondità del suo corpo scheletrico e troppo piccolo per contenere quel ciclone nero.
Chiuse gli occhi. Al Bleu era nel suo mondo. Poteva pensare a soddisfare quella voglia che aveva di sentire qualcuno in pugno. Lì tutti sapevano che qualcuno sarebbe morto ogni sera. Era accettato, era legale.
In molti non ci andavano più proprio per quel motivo. Vivienne aveva visto una ragazza fuori dal locale più di una volta, che guardava l'ammasso di persone muoversi a tempo di musica. Indossava sempre un vestito nero anche se era inverno, i piedi nudi e sporchi di terra. Ma non entrava mai.
Riportò lo sguardo sul tizio con cui Odile, intanto, stava parlando. Lo aveva già conquistato con il suo viso dolce e gli occhi allungati, Vivienne lo aveva già capito. Odile aveva un fascino innocente che lei non possedeva. Lei, a confronto con Odile, era un fantasma. Aveva l'espressione troppo gelida per attrarre qualcuno, i capelli sempre troppo crespi, gli occhi troppo vuoti. Non avrebbe mai potuto fare come lei, che pungolava l'inconscio desiderio di avere qualcuno da proteggere caratteristico di ogni essere umano.
Odile amava giocare con la preda, questo doveva riconoscerglielo. Ma a lei sembrava sempre tutto troppo inutile. Fosse stato per lei avrebbe piantato le unghie nel collo di quel ragazzo, troppo consapevole di sé per poter realizzare che stava per morire.
Era in momenti come quello che Vivienne si sentiva davvero come se avesse una forma. Adesso aveva dei contorni, vibrava di elettricità lampeggiando delle luci rosse e blu che danzavano scoordinate in quella marea umana.
Tanto nella loro società era permesso, la Natura aveva bisogno di cibo e dovevano essere loro a procurarglielo.
Anche se Vivienne non sempre si atteneva alle regole.
*
Vivienne era il diavolo, e lei lo aveva sempre saputo sin da quando l'aveva conosciuta.
Dal primo istante in cui l'aveva vista aveva capito che non si sarebbe più scollata dalla sua testa, come una maledizione che ti perseguiterà tutta la vita. Nessun'altra persona le avrebbe suscitato quello che le suscitava Vivienne. Nessuno le avrebbe mai provocato quella paura atavica e strisciante che le vibrava sottopelle non appena guardava lei. Non provava lo stesso per Iris, anche se avrebbe dovuto. Iris rappresentava la più alta autorità tra di loro, era lei a decidere chi sarebbe morto e chi no. Iris era l'interprete primaria della Natura e colei che più spesso si connetteva a essa. Nessuna di loro intendeva rimescolare quella gerarchia, andava bene così.
Ma Vivienne aveva qualcosa in più, anche se Odile non sapeva dire con esattezza che cosa. Aveva qualcosa che affondava negli abissi della sua mente, scavava e tagliava fino a creare un solco profondo. Un solco di cui non conosceva l'origine. Una piaga che bruciava come se qualcuno ci gettasse sopra benzina in modo costante. Toccava la carne viva solleticandola, ridendo del suo dolore.
Quando i tentacoli della Natura le avevano sfiorate con il loro tocco leggero e caldo Odile aveva capito che niente avrebbe potuto spezzare il legame che si era creato tra loro tre. Nessuna legge della fisica comunemente conosciuta avrebbe potuto interrompere quella scossa calda e liquida che la pervadeva non appena una delle due era nelle vicinanze. Era come se il suo corpo risplendesse di una luce nuova e intensa. La Natura aveva deciso così. Odile faticava a realizzarlo davvero.
Il cuore le batteva sempre forte, come fosse un uccellino in una gabbia troppo stretta, quando Vivienne faceva quello che faceva.
Non avrebbe dovuto. Vivienne metteva le mani in qualcosa di proibito e lei lo sapeva. Ma se avesse detto qualcosa a Iris il loro mondo sarebbe crollato. Vivienne non era una persona che potevi contraddire e allora la lasciava fare e guardava la sua bocca che si macchiava di rosso e i rivoli che colavano e la sua mente si stracciava in tanti piccoli brandelli. Il suo cervello si desquamava e si rigenerava, implodeva e rimuoveva fotogrammi dai contorni bruciati. Si sforzava così tanto a rimuovere che poi le veniva un'emicrania martellante e alla fine Odile avrebbe voluto avere la testa vuota.
Un tempo aveva una famiglia, prima che qualcuno sospettasse qualcosa del Grande Evento. Quello che aveva diviso – letteralmente – il mondo in due. Non erano bastate pandemie, catastrofi naturali, guerre. No, il peggio doveva ancora venire.
Ed era arrivato.
*
Iris aveva la netta sensazione che Vivienne e Odile le nascondessero qualcosa. Lo percepiva nelle loro parole sussurrate, negli sguardi che si scambiavano. Sapeva che erano al Bleu in quel momento. Sapeva che stavano scegliendo la prossima persona che sarebbe morta. Riusciva già a immaginare le urla che avrebbero pervaso quel posto, la distesa umana che lo abitava dividersi in due fazioni – quelli che fuggivano e quelli che restavano a guardare la fine di una vita. C'era sempre qualcuno che restava a guardare. L'essere umano aveva naturalmente una pulsione verso ciò che era orrendo, oscuro e nascosto e nella loro società non c'erano perbenismi a coprire quel tratto. Iris piantò i suoi occhi viola nel vuoto; immaginò le luci che lampeggiavano, i rivoli scarlatti che colavano su un corpo bianco reso lucido dalle lampade al neon. I volti di Vivienne e Odile che lo contemplavano indifferenti.
Fu quando si soffermò su quel pensiero che avvertì la chiave girare nella toppa e la porta aprirsi. Vivienne era coperta di sangue, ma non era una novità. Entrò nell'appartamento a passo deciso, afferrò un asciugamano dal cassetto della cucina e cominciò a pulirsi il volto pallido senza dire una parola. Iris la squadrò, poi posò gli occhi su Odile; la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato non la abbandonava, era un sottofondo fatto di vetro. Un timore che non riusciva a collocare – a cui non riusciva a dare un senso.
«Avete fatto quello che dovevate?»
Gli occhi di Odile erano intrisi di quel senso di pietà caratteristico di quando doveva uccidere. Odile non si sarebbe mai abituata a quella routine, Iris lo sapeva. Tutte e tre lo sapevano, anche se facevano finta di non vedere.
«Sì», rispose, la voce inerte. Non la guardava, però.
«Vivienne?» Iris spostò gli occhi su Vivienne. Fissava un punto vuoto, i capelli color miele scompigliati. Erano un groviglio di ciocche crespe, come a rispecchiare l'essenza della loro proprietaria. A Iris Vivienne faceva paura, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Era una di quelle persone che è bene mantenere sotto controllo – una di quelle che hanno le capacità per essere leader ma che non possono esserlo, perché altrimenti tutto scivolerebbe nel caos.
Vivienne era fuori controllo. Lo sapevano tutti.
«Vivienne, sto parlando con te» il tono di Iris si indurì.
Gli occhi di Vivienne la squadrarono muti, ciechi. Violenti come un pugno ben assestato.
Non disse niente, ripiegò l'asciugamano ormai di un rosso intenso, e andò di sopra.
Fu la voce di Odile a frammentare il silenzio.
«È andato tutto bene.»
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