capitolo 3

Eh già... ogni notte era fredda, senza barlumi, silenziosa e incerta, e loro erano sempre soli. Era normale che talvolta provassero tanta angoscia immaginando le insidie che potevano celarsi là fuori, in ogni dove, in un mondo simile, perciò dormivano sempre con un occhio aperto. Ma mai nulla era avvenuto prima di quella notte.

Quando il sole si era affacciato tra le lontane cime, Ten si alzò faticosamente dopo aver dormito molto poco. Si coprì molto una volta in piedi, e con un viso stanco andò di sotto; i corpi erano scomparsi, tutto il sangue si era rappreso sul pavimento e un po' sui muri, l'aria sapeva ancora di morte. Fuori trovò Renox fermo con la schiena poggiata sul muro, preoccupato. Intorno ai suoi occhi gravava la stanchezza.

"Nel letto mi son tornate in mente le parole dell'estraneo che incontrammo l'altra volta: che quel fiume li guidava, diceva", annunciò il votan, e l'uomo annuì. "Ora capisco cosa ti turbava, che in quel modo sarebbero giunti proprio qui".

"Sì, è così. Ma non credo affatto che siano stati loro".

"Lui c'era? Ti è sembrato di riconoscerlo tra i corpi?"

"Non ho controllato i loro volti. Ma ricorda che diceva anche che venivano da lontano, che la loro esplorazione era solo un tentativo di trovare qualcosa... e che dopo quel giorno se ne sarebbero tornati da dove erano venuti, perché avevano capito che non ne valeva la pena".

Ten stette un po' in silenzio guardando le grandi e delicate nuvole. "Comunque, mi vien spontaneo domandarmi con quale cuore si possa vagare di notte nella selva".

"Non diamo peso a queste cose. Ora è tutto finito, ma d'ora in poi dovremo essere molto più cauti".

Rimasero qualche tempo senza fare molto. Non avevano molte forze, e ciò che avevano passato aveva infiacchito il loro animo. Ma il calar del sole era ancora lontano quando Renox propose al piccolo di andare comunque a pesca, così da scacciare un po' di inquietudine e ritrovare un po' di serenità. E così fu. Grazie alla veduta di un cielo celeste e delle acque limpide, il loro cuore si alleggerì presto mentre tutto sembrava esser tornato come prima. E, tutto d'un tatto, ecco persino che le speranza di Ten furono a un passo dal realizzarsi: un grande pesce abboccò. Ma il piccolo era sul punto di scoppiare mentre provava a tirarlo su, le sue guance erano diventate rosse come un melograno maturo e suo padre, che nel frattempo rideva divertito con i raggi di sole sul viso, lo teneva ben stretto per evitare che venisse improvvisamente trascinato nelle profondità del grande lago.

La canna da pesca era stata ricavata da loro dal legno di un Albero Gigante, era molto possente, ma pareva un grosso arco teso quasi al limite. Tuttavia, grazie agli sforzi dei due pescatori estremi, un grande pesce coperto di scaglie blu oceano saltò fuori dall'acqua, e si emozionarono, i loro sguardi brillarono.

Balzò qua e là per qualche frangente, finché Renox non vi si tuffò addosso. Non poteva fuggire la cena!

"Ottimo lavoro, figlio mio", disse mentre teneva ben stretto per la coda il prossimo abbondante pasto.

I respiri della creatura divenivano man mano sempre più disperati nella loro ricerca d'ossigeno.

Nel giro di una sera, della deliziosa creatura del lago n'era rimasto ben poco. Senza mezzi termini, quella cena fu una soddisfacente abbuffata. Il pasto fu cotto al falò e sotto un cielo che iniziava ad annuvolarsi. Fu Renox, a malincuore e con tanta fatica, a dover togliere il vassoio dal tavolo con ciò che rimaneva, dicendo:

"Basta, sennò domani non riusciremo più ad alzarsi dal letto". Quando si era alzato dalla sedia, era gonfio come un sacco, ma era anche allegro quanto pieno. Nello stesso momento Ten fece un verso di piacere e un viso beato. Nonostante tutto era stata una giornata positiva. Ma non sempre avevano la certezza di mangiare, le battute di caccia non sempre andavano a buon fine, e non tutte le volte erano prosperosi o promettevano bene i raccolti. Perciò, giorno dopo giorno, tentavano la sorte, e non sempre la fortuna si rivelava a loro favore.

Calò presto la notte, ma presero sonno molto tardi: con gli occhi chiusi, senza accorgersi del tempo che passava, nel letto ascoltarono il sommesso fruscio di una docile pioggia, poi il turbinio dei venti che sopraggiunsero dopo un certo instante. E solo quando erano inconsci giunsero grandi piogge battenti.

Faceva molto più freddo quando si furono svegliati. Non entravano luci nelle loro camere con le finestre sprangate, ma sapevano già che là fuori vi era un giorno grigio e umido. Era arrivato l'autunno pieno. E ben sapevano pure che da allora fino alla calda stagione la loro vita sarebbe tornata ad essere più dura. Era così tutte le volte, e già da tanti anni se ne erano fatti una ragione, abituandosi anche al fatto che il periodo del caldo era sempre breve.

Non appena furono usciti di casa, da poco svegli ma col morale spento, un grande vento batté forte sul loro petto e fischiò nelle loro orecchie. Si strinsero nelle pellicce, ma il loro volto rimaneva scoperto e infreddolito; levando lo sguardo videro un cielo avvolto da una coltre di orride nubi: altre piogge incombevano mentre l'aria era pregna del sapore di quelle precedenti. E dinanzi li si parava un'umida selva colma di ombre e pozzanghere, ove risuonava solo l'eco cavernoso dei venti che scuotevano violentemente le fronde al loro passaggio. Ma dovevano incamminarsi per cacciare, altrimenti sarebbero rimasti senza mangiare. Ed erano pure consapevoli che sarebbero tornati fradici e tremolanti, e che difficilmente avrebbero dato vita ad una fiamma col legname zuppo e umido tra quei soffocanti venti. Le dure giornate erano tornare tanto in fretta, il ciclo si ripeteva. Ma senza troppi dispiaceri avevano sempre accettato la realtà in cui vivevano e perciò, con un'espressione indifferente alle fredde folate che non cessavano di investire i loro volti, si incamminarono tra le innumerevoli piante arrampicanti che tra loro si attorcigliavano rivestendo tutto il terreno arduo e sconnesso, gli enormi tronchi caduti che ingombravano la via, e i piedi degli Alberi Giganti. Guardandosi bene attorno, si furono allontanati di molti possi quando iniziarono a udire una lenta pioviggine, ma poi tutto d'un tratto precipitò un acquazzone. Fortunatamente trovarono subito riparo sotto i possenti e altissimi rami, che il più forte dei venti poteva appena far vibrare. Immobile, Renox, con il diluvio dinanzi agli occhi, con le orecchie colme del suo fragore, intravide le distinte sagome di alcuni piccoli animaletti che fluidi come un ruscello scorrevano lungo l'intrigo di rami sulla sua testa. Riuscì a colpirne due, che caddero sul letto di piante cedue e corse sotto la pioggia per raccoglierli. Li conservò in una sacca. Grondante ritornò sotto il riparo. I due poterono rimettersi in cammino molto dopo mentre cadevano le ultime sporadiche gocce; si inoltrarono ancora più in fondo lungo la difficile via, ma nel mentre si stavano assottigliando e sbiadendo le nuvole che velavano il sole e gli sprazzi di una luce smorta e grigia iniziavano a posarsi tra le ombre della selva. Allora Ten guardò per un istante la sacca per vedere che animali avesse preso il padre: vide le loro pellicce marroncine macchiate da un denso sangue nero che sgorgava dalla profonda ferita.

"Se solo fossi stato più attento, adesso ne avremmo almeno tre qui dentro! Perché non hai guardato e sparato anche tu? Perché ti ho dato quell'arma?!" La voce di Renox era pietrificante mentre, senza guardare in faccia il figlio, parlava a denti stretti e lentamente, arrabbiato. Ten, sapendo che a lui non sarebbe importato, disse, sillabando, la verità: "Qualcosa di viscido strisciava sui miei piedi, e ho abbassato lo sguardo per vedere cosa fosse".

"E ti sei distratto solo per questo? Per alcun motivo al mondo ti devi distrarre!" poi incrociò gli occhi del figlio, che gli camminava a fianco.

"Smettila di fissarmi. Guarda avanti!" Ordinò con voce priva di limpidezza e gelida. Il votan ubbidì subito, svuotando la testa da ogni altro pensiero eccetto quelli riguardanti ciò che aveva attorno. Doveva pensare solo a questo. Conosceva perfettamente quei luoghi, li attraversava ogni giorno, ma talvolta parevano diversi. Dopo poche altre centinaia di passi, anche i venti erano diminuiti, ma la luce del cielo rimaneva fioca. I loro piedi quasi scalzi cominciarono ad affondare nelle chiazze di fango formatosi su un terreno più spianato e più piano, che sembrava quasi un sentiero naturale ove vi era solo qualche roccia incastonata e molti ceppi accavallati e umidi. Ma, dopo un certo tratto, impenetrabile come un muro divenne la vegetazione e la via si assottigliò rapidamente. E fu allora che l'umano, muovendo passi difficili, vide sprofondato tra i ceffi incolti sotto i suoi piedi il corpo fradicio di una creatura cosparso da bozzoli neri e gonfi come zecche sature di sangue.

Si immobilizzò per un certo lasso di tempo cercando di capire cosa fosse, poi si chinò lentamente. Le sue ginocchia affondarono nell'erba selvaggia, zuppa e incolta. Non vi posò sopra le mani, arrivò solo quasi a sfiorare quelle escrescenze nere. Ten era fermo pochi passi avanti al padre, non si era accorto di quella cosa spaventosa che l'umano fissava sgomentato, bensì osservava innanzi a sé come un soldato di guardia.

"Papà, cos'è successo?" La sua voce fu un tenue sussurro, ma non si voltò, faceva attenzione a ciò che si muoveva davanti a lui.

"Nulla figlio mio, nulla" sillabò Renox, rimanendo ancora immobile con le mani che tremavano. Si alzò pochi secondi dopo lasciandosi quel corpo alle spalle. Non voleva che suo figlio lo vedesse.

"Perché ti eri fermato, papà?"

"Non era niente, figliolo. Torniamo a casa adesso, così proveremo ad accendere un fuoco per scaldarci e cucinare".

Infine vi riuscirono, ma non vi misero poco: una piccola fiamma si accese nel buio e lì attorno si sedettero per mangiare il pasto che si erano procurati, che purtroppo non era dei migliori, con qualche bacca selvatica che avevano trovato. Non mangiarono molto quel giorno, e le coperte furono appena sufficienti per non congelare in quella notte che trascorsero l'uno nelle braccia dell'altro, così come tutte le altre volte in cui faceva troppo freddo. Ma l'indomani mattina i nuvoloni erano già andati lontani verso est, il cielo in buona parte era tornato ad essere luminoso.

Vedendo ciò, Ten decise di andare a disegnare un po' gli stormi di Aquile Azzurre.

Si diresse verso la solita postazione, sul dorso dell'altura dalla quale si scorgevano le remote vette aguzze delle catene di montagne sia a Est e a Ovest che sovrastavano sui colli; i suoi disegni erano come delle fotografie, poiché catturavano con la medesima perfezione ogni momento: le sue mani quando avvolgevano una matita sfrecciavano sul foglio come saette viola, ma i suoi immensi occhioni blu oceano rimanevano, allo stesso tempo, fissi su ciò che in quell'istante acchiappava nelle immagini e non rivolgeva un solo sguardo al foglio, poiché le sue mani disegnavano senza la guida dell'occhio. Non era nulla di straordinario... era una naturale abilità votan.

Il vento magistrale soffiava via i grigiastri brandelli di nuvole residui delle vecchie piogge, il cielo color cenere veniva sferzato dai primi raggi di luce e le Aquile Azzurre volavano in alto con un'irreale sincronia ed eleganza come fossero un unico corpo.

In ogni giorno, certo come il sorgere di un nuovo sole, loro sorvolavano il versante occidentale della grande Foresta e la mano di Ten riuscì a catturare la loro immagine in un ritratto anche quella volta.

Alla fine scomparvero sotto la linea del sole, dirigendosi verso quella invalicabile barriera di montagne tra il nord e l'ovest ove le nuvole nere celavano le minacciose vette.

A precedere quel lontanissimo confine c'era l'altopiano e le umide praterie erbose ove nelle primavere nascevano numerose e incolte distese di fiori.

Ten guardò a lungo in quella direzione con la fredda carezza del vento sul viso, e gli nacque dentro la voglia di esplorarla. Quindi sgranchì le dita. Non gli era affatto incresciosa la lunga marcia che gli sarebbe costata.

Scese il pendio avventurandosi tra gli innumerevoli arbusti e i manti di foglie lungo tutto il fianco scosceso del piccolo colle. Ivi, sui sentieri un po' di terra e un po' di roccia, la corsa del votan rallentava e talvolta si spezzava, di tanto in tanto doveva fermarsi e ragionare su dove posare i prossimi passi mentre era molto limitata la sua vista; in un punto guardò il sole nascosto dalle fronde, poi il gioco di luci e ombre della vegetazione: ignaro era di ciò che poteva esservi più avanti, tutt'intorno aveva selvagge e impenetrabili piante cedue, alte e robuste, ed esitò a riprendere il cammino, ma lo fece con uno sguardo assai più attento.

Erano luoghi pressoché sconosciuti sia per lui sia per padre, perciò studiava bene le direzioni che gli si ponevano dinanzi, per scegliere sempre le più scorrevoli e meno insidiose.

Proseguendo su un'interminabile tappeto di foglie secche, vide un branco di Cervi non molto lontani, ove balenò tra le ombre del bosco la luce del mattino illuminando finemente i loro manti marroncini e gli occhi neri. Ten, nascondendosi cautamente, mosse qualche passo verso di loro per sbirciarli più da vicino mentre mordevano dai rami i frutti. Un padre Cervo passò un lucente frutto giallo al suo piccoletto dalle piccole corna, che non arrivava nemmeno alle sue ginocchia.

Successivamente anche Ten mangiò qualche frutto mentre si era spinto alla ricerca di funghi nascosti sotto la distesa di foglie. Aveva imparato molto bene a riconoscerli ed era molto fiducioso di trovarne assai considerando che il clima umido di quei giorni piovosi era perfetto perché crescessero.

Così camminando, incontrò poi scabrosi tratti discendenti che doveva seguire o aggirare; essi lo condussero su un piano versante ricoperto dal limitare del bosco e cosparso di grandi massi. Ma da lì, ben presto, incominciò a intravedere tra gli spiragli della vegetazione una libera distesa non lontana, e allorché accelerò e scavalcò con ansia gli ultimi ingombranti cespugli; sbucò dove cominciava un avvallamento, e con piccoli passi pieni di sollievo si allontanò da quell'intrico di alberi che alle sue spalle si ergeva come un'oscura barriera, respirando a pieni polmoni quell'aria di vastità: dinanzi aveva una distesa di colline separate da lunghi solchi e brughiere, e con tanta prudenza scrutava fino alle alture più distanti; non le avrebbe mai raggiunte, chiaramente.

Infine si spinse in avanti poco altro. L'aria sapeva ancora di pioggia e il bagnato manto d'erba era tanto alto e incolto da arrivare ad accarezzare, mosso dai pungenti aliti di vento, i suoi fianchi.

Quando finalmente scelse di incamminarsi verso casa, voltandosi indietro vide la luce del sole far brillare le fronde che celavano i grandi sentieri formatosi lungo i fianchi dei rilievi. Sì, aveva una lunghissima strada dinanzi, e un uomo avrebbe impiegato molte ore per percorrerla. Ma non un votan.

Mentre Ten si avviava verso casa, Renox si dedicava a racimolare altra legna; nel buio e freddo scantinato ve n'era già una catasta, e vi incastonò meticolosamente i nuovi pezzi come fossero i tasselli di un quadro.

Il mezzogiorno stava arrivando, e preoccupandosi per il figlio uscì fuori e si fermò; il vento soffiò sulle sue spalle, gli alberi parvero sussurrare. Con sguardo pesante di crescenti timori fissava dinanzi a sé; ma poco dopo si andò a sedere lasciando la porta aperta. E solo allora il suo occhio ricadde per la prima volta sui disegni di Ten, lasciati in disordine sul comodino. Incuriosito ne prese uno: un quadro senza colori pareva, uno di quelli che nasce solo dopo tanto tempo di lavoro, e impressionava l'occhio rappresentando così realisticamente la profondità del cielo e la vastità della terra, distorta e difficile. C'erano anche delle lontane creature nel cielo raffigurate con tratteggi sfumati, e l'uomo sentì quanto dovevano essere imponenti e selvagge. E guardò quel foglio fino al ritorno del votan. Questi era assai affamato dopo tutto quel viaggio.

"Comprendi i pericoli a cui vai in contro, allontanandoti da solo?" Renox si alzò e Ten chinò la testa al peso dei suoi gravosi occhi.

"Ma conosco bene questa terra e so bene come muovermi", tremavano le sue parole.

"Non sarà più così d'ora in poi! Non ti è ancora chiaro che molte cose sono cambiate? Hai già dimenticato tutto ciò che ci è successo ultimamente, i rischi che abbiamo corso?! Ora sono innumerevoli i pericoli che ci circondano, e non possiamo più comportarci allo stesso modo!" Si fermò, si calmò. "I pericoli ci sono sempre stati, e sono sempre stati tanti. E abbiamo sempre tentato di prevenire il peggio. Ma dopo quella notte mi sono reso conto che tutti i nostri sforzi non saranno mai sufficienti".

"A questo punto stravolgere totalmente il nostro modo di vivere è necessario? "

"Non dico questo. Dico solo che dobbiamo d'ora in avanti rinunciare ad alcune libertà: innanzitutto non dovremo più separarci, vagare di notte, allontanarci dai posti che conosciamo, e accendere fiamme troppo alte che possano attrarre estranei. Ci servono delle regole diverse per poterci sentire più al sicuro, per quanto possibile".

"Così farò". Renox voltò le spalle e tornò a sedersi senza dire nulla. "Dovremo stare sempre sulle spine?" bisbigliò Ten, poco dopo.

"Che intendi con ciò?"

"Vivere d'ora in poi con un costante timore."

L'uomo poi si rivolse in modo meno teso:

"Non si può vivere di sole paure. Non lo faremo, non avrebbe senso. Ma tentiamo almeno di essere il più possibile previdenti per evitare che il peggio accada... Sì, talvolta non è possibile farlo, come fu per quella notte. Ma basta che farai tutto ciò che ti ordino, e prevarremo sempre ogni qualvolta dovessero presentarsi situazioni simili".

Velati dalla penombra erano i disegni che Ten aveva in mano. "È lì dove vai di solito?"

"Sì".

"Le hai vedute veramente, le Aquile Azzurre?"

"Sì, ogni qualvolta che vi vado, ma solo in un certo orario passano... passano e scompaiono. Non so spiegarmi il perché di ciò... e probabilmente non potrò mai".

"Io raramente ho intravisto un loro stormo, ma anche in quelle occasioni esso sfuggiva al mio sguardo come un lampo che scompare nella volta. Tu le rappresenti appieno".

"Volano sempre verso nord, venendo da ovest. C'è un buon punto, alto e facile da raggiungere, dove riesco sempre a catturarle in questi fogli".

"Domani se la giornata sarà buona, ci muoveremo verso quella direzione per esplorare ancora".

L'alba era sommessa, l'aria umida, le loro esalazioni fredde, e il verde profumava di rugiada. Ben accorto era il passo di Ten, insieme al suo sguardo e alle sue orecchie. La particolarità di quell'inizio giornata era che, per la prima volta, era lui a guidare il padre, su quella strada che solo lui conosceva così perfettamente. Ma lo faceva pur sempre senza mai tenersi più di un passo avanti a lui. Lo portava sull'alta cresta dove trascorreva buona parte delle sue giornate.

Fu un cammino abbastanza breve. Risalirono con facilità il pendio fino alla cima sporgente sullo strapiombo e si affacciarono quindi su di una piana vallata ricoperta dalla selva ancora buia e nebbiosa. E levando gli occhi oltre l'ombra ancora inviolata dal giorno, poterono scrutare i monti che si stagliavano sulla pallida nebbia del crepuscolo schiariti dal giovane sole che si profilava dietro di essi.

Tuttavia, assai più vicino, all'ombra dell'altura, dove le prime luci ancora non giungevano, vi era un buio lago: le acque avevano il colore scuro del crepuscolo e distintamente si notavano i massi cosparsi lungo i margini.

"Papà, mi sa che è troppo presto perché passino", Ten mangiava un frutto autunnale. Era la seconda colazione.

"Siamo qui principalmente per conoscere anche questi lontani versanti, verificare quanto siano ideali per cacciare". Nella semioscurità era il suo volto, mentre il suo sguardo andava lontano.

"Questo è uno dei miei punti di riferimento, ma non conosco affatto ciò che c'è lì dove ora osserviamo".

"Adesso muoviamoci. Torneremo qui magari nel mezzogiorno".

"Sì! Le Aquile Azzurre compaiono sempre nel mezzogiorno, esattamente da lì, dove sorge il sole, poi si allontanano subito a nord, scomparendo".

Scesero un piccolo sentiero e dopo essersi fermati mangiarono due Rane di Pietra, così chiamate per il loro colore grigio. Le avevano acchiappate in uno stagno e si erano procurati persino un consistente contorno di funghi commestibili. Infine si abbeverarono al ruscello.

Le ore trascorsero serenamente e nella luce di un'autunnale mezzogiorno, con un lungo passo ripercorsero l'ascendente tratto tornando a cavallo dello strapiombo; il sole ora era poco più alto dei giganti che si stagliavano lontano, e nella cristallina acqua del lago era limpido il riflesso del sovrastante muro di roccia, assieme a quello dei massi sulla riva e dei rami degli alberi che trepidavano lievemente.

In essa un orgoglioso branco di korm vi intingeva il muso per abbeverarsi, ma di gran carriera anche i cervi giunsero sulla riva, sbucando dalla vegetazione simili a un fiume nascosto in gola che in piena sfocia a valle. Allorché due schiere si formarono lungo le due sponde opposte. Tuttavia le Aquile non tardarono ad arrivare: il loro riflesso balenò sull'acqua e ogni creature sollevò il muso verso il cielo. Ma fu solo un fuggente attimo. Le Aquile si allontanarono divenendo sempre più piccole all'orizzonte.

Il sole cominciava a tramontare mentre i due erano sulla via di casa e c'era del silenzioso stupore nel cuore di Renox.

Era subentrato l'inverno, ma si erano adattati al clima della stagione e le quotidiane battute di caccia andavano quasi sempre a buon fine. Lo stesso anche gli ultimi raccolti dell'anno, mentre le fragili piante avevano sopportato il peso delle piogge incessanti che si erano abbattute nei giorni precedenti; il sinuoso ruscello scorreva lentamente, e Ten, che vi camminava a fianco, raccoglieva in ogni respiro l'aria dal sapore montano che emanava. Di lato aveva un intrico di piante di pomoblu invernali che avvolgevano i pali conficcati nel morbido terreno mentre vi pendevano numerosi grappoli di quelli ortaggi blu. A qualche passo da lui, gli Alberi Giganti ricoprivano lo scosceso tratto di territorio come la corolla un fiore, e le fragili foglie che rimanevano aggrappate assumevano sfumature gialle come le punte di una fiamma o marroni come ghiande mature.

Renox, prestando molta attenzione a dove poggiava i piedi nell'orto, era sereno, mentre guardandosi attorno notava come quell'aspetto della loro vita stesse promettendo bene. Sì, quel lavoro riempiva loro gli occhi di incertezza e il fisico e la mente di fatica, ma in compenso c'erano grandi soddisfazione e squisiti pasti quando i fattori atmosferici erano a loro favore.

"Spero non cadano abbondanti nevicate quest'anno", disse Ten sciacquandosi il viso. "Rispetto agli altri anni fa meno freddo, e ciò mi fa ben sperare. Inoltre questa volta la calda stagione è durata più a lungo".

"I raccolti ne giovano", Renox si fermò e levò lo sguardo con un'aspra smorfia. "Ma prevedo grossi cambiamenti imminenti: finora abbiamo avuto solo un assaggio dei diluvi, e forse delle alluvioni, che presto cadranno. E temo che non ci siamo organizzati nel migliore dei modi per l'arrivo dell'inverno".

"Come potremo rimediare secondo te?" domandò. Il padre con occhi pensierosi e distaccati fissava le grigie montagne sovrastate da bianche nuvole.

"Ci mancano ancora tante cose, ma abbiamo così poco tempo a disposizione".

"Finora abbiamo lavorato e lavorato... forse più di così, con i mezzi che abbiamo, non possiamo fare".

Fianco a fianco, in silenzio camminarono per qualche minuto lungo il campo.

"In fondo abbiamo raccolto molte provviste e sapremo come conservarle e gestirle! Non sarà arduo il tempo che verrà", disse il piccolo.

"Lo so..."

"Perché sei così angustiato?" rispose Ten dopo un breve silenzio. "Perché temi così tanto i giorni che verranno? Non devi. Vedrai che staremo bene. Tu stesso me lo dicevi sempre".

"Sì, ma..."

"Ma ora sei così abbattuto... Cos'è cambiato?"

L'uomo cominciò a guardare profondamente negli occhi il figlio. "Hai ragione a dire che ne abbiamo affrontate già tante, tra inverni e momenti difficili, e che ce la siamo sempre cavata. Ma adesso c'è di diverso che col tempo la nostra dimora è divenuta fragile, forse troppo per le avversità climatiche che ci minacciano".

"Cosa significa?"

"Che forse non potremo più vivere come prima, protetti da un'ambiente più o meno riparato e sicuro. Ed è quello che ci manca, tra le altre cose".

"Troveremo una soluzione. L'abbiamo sempre trovata per tutto!" ribatté con energia Ten, nel tentativo di ravvivare le speranze dell'uomo.

"La sto cercando già da molto tempo, ci ragiono e ci ragiono su! Ma come tu stesso dicevi, in altre parole, abbiamo solo queste", mostrò le mani, "Non abbiamo da poter contare su molti attrezzi che ci facilitino il lavoro".

"Non lo abbiamo mai avuto".

"Perciò non potremo mai ottenere molto. Finora abbiamo vissuto solo di cose semplici, frutto di grande e costante fatica, come quest'orto. E le abbiamo ottenute anche grazie all'uso della ragione, oltre che alle sole mani".

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top