capitolo 2
L'ora della partenza giunse in fretta. Non appena il sole si affacciò tra le montagne, l'uomo si diede una mossa ad alzarsi.
Teneva sempre la sua arma di origine olana sul comodino mentre dormiva, e non appena si mise in piedi la impugnò. Nel frattempo Ten era sveglio già da un po', e aspettava di partire seduto su una roccia a pochi metri dalla porta di casa assaporando la frescura, mentre l'umidità mattutina impregnava l'aria e le foglie e l'erba erano bagnate di rugiada.
I viaggiatori presero ad attraversare esattamente quella stessa strada che risaliva il fiume che avevano fatto il giorno prima. La solitaria via era rimasta incisa nella lucida mente di Renox che, adesso e non come l'altra volta, guidava e costringeva Ten al suo passo.
Nel pomeriggio erano ancora fuori.
Vicino alla piccola cascata che rumoreggiava forte tra le rocce, i due, giocosamente, si erano cimentati in un corpo a corpo: nel bel mezzo della lotta, Renox prese Ten alle spalle e questi si sentì sollevare irruentemente da terra dalle sue enormi braccia. Successivamente sentì farsi il solletico da due mani che sembravano di pietra, e ridendo e strillando tentò di sfuggire scalciando selvaggiamente mentre l'uomo lo dondolava in modo tanto manesco: stridule e sguainate erano le risate del piccolo orsetto, che si dimenava mentre veniva dondolato bruscamente dallo spaventoso orso nero.
"Fermo!" Renox provava a placcare il figlio, senza riuscire a trattenere le risate a sua volta. "Tranquillo, lasciami parlare. Fermo, non mi colpire in testa con le tue scalciate da korm matto! Stai crescendo bene e stai diventando sempre più forte, e sono immensamente felice di ciò".
Passarono diverse ore, e dato che il territorio era ancora sconosciuto e inesplorato, i due decisero di rimanere con l'intento di verificare se quella zona fosse ideale per la caccia o meno. Ma si smarrirono. E già, questa non ci voleva, pensò l'umano col broncio mentre non riusciva a ritrovare la via del ritorno. E intanto si stava facendo persino buio.
"Rischiamo di complicare troppo la situazione brancolando nel buio. Domani, con la luce, troveremo facilmente la via del ritorno. Ma ci toccherà passare qui la notte". Disse il votan. Renox, pieno di frustrazione, sapeva che aveva ragione.
Ma fortunatamente, poco prima che le luci fossero svanite del tutto, un ancoe passò vicino a loro muovendosi sugli alberi. Ci rimase secco mentre provò a passare da un robusto ramo all'altro con le sue lunghissime braccia pelose e cadde a terra come un sacco di patate. La cena era pronta per essere servita. Ma i due esploratori erano riluttanti all'idea di consumare il loro pasto proprio lì, sebbene non vi fosse altra scelta.
"Dobbiamo rischiare" sussurrò Ten mentre il padre si grattava la barba.
"Qua fuori basta un solo sbaglio, uno solo, e sei morto" rispose, continuando a guardare in avanti. Ma poi sospirò seccato e disse:
"Mentre io accendo e gestisco il fuoco, provando a tenerlo il più basso possibile, tu inizia a spellare quella bestia" senza guardarlo negli occhi, pose al figlio l'impugnatura della lama.
Tuttavia, in pochissimo tempo, Ten era riuscito a fare un ottimo lavoro: tolse tutta la folta pelliccia nera e le succose fettine erano pronte per essere tagliate. E nel frattempo, il falò, come già promesso da Renox, era molto piccolo e debole. L'uomo mise la porzione a cuocere e già dopo pochi minuti l'odore del pasto che si cucinava impregnava l'aria in quel piccolo spazio.
Ma alle loro spalle, oltre la fioca luce, vi era qualcos'altro che assaporava l'aria. Renox non poteva vedere dietro di sé, ma poté vedere gli occhi del figlio che d'un tratto cominciarono a ringhiare mentre erano fissi sulla selva alle sue spalle.
Tuttavia si trattava solo di un uomo. Un uomo che celava il suo viso e le sue intenzioni nell'ombra.
"Non mangio da giorni, ne è rimasto un po' anche per me?" Domandò costui. Renox lo invitò a sedersi con un cenno del capo e questi si fece avanti lentamente, con insicurezza, forse persino terrore. E una volta seduto, avido di calore si curvò verso il fuoco e dalle lunghe maniche sbucarono due mani sudice e grezze. Alla luce si mostrarono due occhi infreddoliti e un volto non giovane, tanto sporco e poco amichevole; levò poi un differente sguardo sugli estranei, anch'essi persone ombrose e imprevedibili a primo acchito, ma incerti almeno quanto lui. Si protese un inquieto silenzio col sottofondo dello scricchiolio del fuoco.
"Da quanto ci seguivi?" domandò Renox.
"Camminavo, poi ho intravisto questa piccola luce."
"Sei solo?"
"Adesso sì".
"Come sono morti?"
"Non sono morti... o almeno spero. Mi sono smarrito nella selva".
"Avete un accampamento?" domandò Ten, ma l'estraneo lo guardò con occhi mutati, che gettavano silenziose minacce. Il piccolo non poteva comprendere il motivo di quello sguardo, al contrario del padre.
"Voltati" disse Renox con freddezza. "Hai mai affrontato una notte da solo e senza riparo qui?"
"No" si mostrava distaccato. Nel frattempo la carne si era cotta e Renox tagliò due grandi fette che iniziò subito a ingozzare insieme al figlio.
"Io pure ho molta fame..."
"Sarebbe meglio farselo amico, altrimenti come potremo dormire tranquilli?" pensò Ten, masticando.
Renox impugnò nuovamente il coltello. "A patto che mi dirai di più".
Nell'aria era inebriante l'odore della brace, e una fitta più intensa nacque dallo stomaco dello sconosciuto, oramai stremato. Così incrociò lo sguardo con l'uomo che aveva dinanzi.
"Siete soliti spostarvi?"
"Siamo fermi allo tesso punto da anni".
"Siete accampati lontano da qui?"
"Assai. Ci siamo spinti così lontani per cercare vestiti, coperte, o semplici stracci da portare a casa."
"E saresti disposto a fare di tutto, pur di possedere anche solo una di quelle cose..."
L'altro sospirò chinando il capo, poi disse con voce sommessa:
"Sarei disposto a fare veramente tanto. Come chiunque altro. Ma non farei mai gesti spregevoli; non ho cattive intenzioni, ho solo fame". Gli fu data una porzione, che ingozzò immediatamente.
"Oramai è difficile mangiare. Ed è difficile anche rimediare vestiti, stracci, coperte o trovare soprattutto riparo dopo tutti questi anni... e soprattutto qui."
"Me ne rendo conto. Il tempo passa... e tutto nell'abbandono invecchia velocemente. Molte cose sono troppo logore o ridotte persino a brandelli."
"Sì, poche cose dei tempi andati sono sopravvissute fino a questi giorni. Ma di queste noi viviamo, e ce le teniamo ben strette perché non abbiamo nient'altro e ce le facciamo persino bastare, sebbene siano così esigue e malconce".
"E' così oramai. Tuttavia, da qualche parte, abbandonata e impolverata, deve pur esservi qualcosa ancora integra".
"Forse. Ma per trovarla dovresti camminare e camminare, frugare e frugare chissà quanto lontano da qui. Probabilmente assai. Qui non è rimasto granché. Ora camminiamo sulle ceneri del passato, sepolte sotto i nostri piedi".
"Lo so. Ho camminato per tutto il giorno, invano. Non c'è nulla. Ma adesso voglio solo superare questa notte, così da poter tornare a casa domani, alle prime luci".
"Cosa ti riporterà sulla strada di casa?"
Lo sconosciuto tardò a rispondere. "Ritroverò il grande fiume e lo risalirò. O almeno spero".
"Esso si estende per numerose miglia. E' un buon punto di riferimento, oltre a essere uno dei pochi".
"Vedo che conosci bene questo vasto e incontaminato territorio..."
"Come il palmo della mia mano; sembri sorpreso. Vedo che vieni veramente da molto lontano e che mai ti saresti aspettato di trovare uomini, o addirittura votan, qui".
L'estraneo stette nuovamente in silenzio.
"Per quante miglia avevate seguito il fiume, prima che ti smarristi?" gli occhi sibillini di Renox turbarono l'estraneo, che fissava con sguardo imperscrutabile il fuoco morente. Fece attendere la sua risposta.
"Tanto".
Cattivi presagi iniziarono a inquietare il cuore di Renox. Ma non accennò a nulla.
Infine sia l'uno che l'altro quella notte dormirono con un occhio aperto e l'indomani, ancor prima che fosse sorta l'alba, le loro strade si divisero.
Sulla semioscurità del crepuscolo si levò un'alba rossa e distante. Durante il viaggio di ritorno, i due approfittarono del capiente e voluminoso lago intingendo le facce in quell'acqua fredda quanto inebriante. Ten rimase per un po' accovacciato su quella sponda scrutando la distante e offuscata riva opposta, ove gli alberi sovrastavano la densa foschia mentre sulle loro nobili chiome risplendeva il pallido chiarore del mattino. Quando ripartirono, scalare e destreggiarsi su quel terreno scosceso e pieno di rocce fu per loro un buon modo per attivare e riscaldare le gambe.
"Non ho dormito bene questa notte... non tanto perché ero senza un tetto e un letto", disse Ten
"Io non ho dormito affatto invece".
"Questa è stata la prima volta in vita mia che incrocio un'altra persona" turbato si guardava i piedi.
"Se non erro, non ne vedevo una da quasi dieci anni", disse Renox.
"In fin dei conti aveva detto di non avere cattive intenzioni, e difatti non ci ha torto un capello. Ma la sua presenza mi incuteva incertezza e timore".
"Perché non lo conoscevamo. E noi anche siamo stati scostanti e chiusi nei suoi confronti; si è sempre incerti dinanzi agli sconosciuti, che potrebbero nascondere le loro vere intenzioni dietro una maschera".
"In effetti, d'un tratto, mi rivolse per pochi secondi uno sguardo diverso, e nei suoi occhi percepii qualcosa... qualcosa che mi lascia ancora perplesso".
"Dimentica".
Talvolta le fronde su di loro si scuotevano e molto in alto sugli alberi si muovevano piccole ombre.
"Tutte le persone sono così?"
"Tutte le persone hanno un brutto e lungo passato alle spalle" Renox raramente parlava del passato, e in quelle occasioni era sempre freddo e scostante.
"Lo immagino. Comunque, forse trovare altre persone, se sono quelle giuste, potrebbe rivelarsi un bene: potremmo proteggersi a vicenda più efficacemente essendo di più, lavorare meglio i campi".
Renox non rispose. Guardava da tutt'altra parte con viso grave e impensierito.
"L'ultima cosa che aveva detto, ti ha preoccupato molto. Perché?"
"Uh? No, lascia stare".
Prima del mezzogiorno scelsero di andare a controllare le loro coltivazioni. Ma esse erano abbastanza distanti dalla loro dimora e per raggiungerle ogni giorno attraversavano un certo impegnativo tratto: seguendo le forti correnti di un torrente percorrevano discendenti passaggi di pietra nascosti tra due scoscesi muri di roccia, larghi abbastanza perché potessero scrutare appieno il sole e il cielo levando lo sguardo, e col mormorio dell'acqua che sferzava le rocce che seguiva passo dopo passo, attraversavano tortuosi sentieri sbucando all'inizio di una piccola pianura dell'ovest, più precisamente sul limitare della fitta foresta che occultava la vista. Infine raggiungevano un piccolo pezzo di terra fertile, morbido e verde, affiancato da un lato da docili collinette e dall'altro dalla vastità della pianura percorsa dal ruscello, il quale scompariva al di là di un'altura, e racchiusa nei monti. Nella vasta distesa di nessuno, quel pezzo di terra apparteneva a Renox e Ten. E in ogni stagione erano sempre presenti e fresche le loro impronte sui morbidi sentieri tracciati tra le bizzarre coltivazioni. Pochi giorni prima avevano estirpato tutte le erbacce che copiose infestavano il campo e le piante morte della vecchia stagione estiva, ma altrettanto lungo e arduo fu il lavoro successivo di arare il terreno per far sì che potesse ospitare le nuove coltivazioni di stagione. E in quel mattino invece dovettero mandare via i vermi che assediavano i cavoli rossi ed estirpare ancora erbacce, le quali sbucavano sempre qua e là da un giorno all'altro.
Tuttavia nel primo pomeriggio avevano frettolosamente già portato a termine il lavoro ed era quindi giunto il momento di riposare, mentre i raggi del fresco sole d'autunno si posavano sulle coltivazioni come un brillante velo luminoso e si immergevano nelle cristalline acque del ruscello, che erano increspate da un sottile venticello, lo stesso che faceva vibrare anche le foglie delle piante colme di ortaggi.
Ten si stendeva sul margine e assaporava l'aria inebriante che veniva dalle montagne, non troppo lontane a nord. Disegnava il paesaggio delle coltivazioni ai piedi della collina a est, molto vicina e verde.
Il vento lieve non lo infastidiva, la pelliccia di ancoe che indossava era abbastanza pesante. Ma fu distratto dal tuffo bomba del padre.
Gli schizzi che gettò per fortuna non colpirono il foglio e il piccolo poté tirare un piccolo sospiro di sollievo.
Renox riemerse con calma e dopo aver nuotato un po' per scaldarsi, si appoggiò sulla riva.
"L'acqua è di una freschezza inebriante", disse stuzzicando il figlio, così concentrato sul suo lavoro che ancora gli dava le spalle. Ma dopo che lo schizzò qualche volta sulla schiena, questi rispose continuando a fissare il foglio:
"Pungente sarà questo vento una volta che uscirai di lì", ma di certo non si aspettava che il padre lo avrebbe trascinato via con sé.
"Avanti, l'acqua è ancora calda, anche se è molto insolito che lo sia persino dopo la stagione estiva", disse l'uomo. "Sono certo però che questo clima influirà negativamente sul nostro raccolto, oltretutto perché prevedo un acquazzone alle porte", aggiunse quasi sottovoce.
Il votan sorrise. I suoi lunghi capelli neri, lisci e sciolti erano appiccicati l'un l'altro.
"Dovevi pur sempre lavarti, stavi incominciando a puzzare" Renox così giustificò il suo gesto.
Dopo un po' Ten chiuse gli occhioni, si rilassò e respirò profondamente quell'aria così pura e intensa Iniziando a pensare un po'...
"Cosa vi può essere oltre la selva e quelle montagne, un mondo diverso?".
"Papà..." Renox aveva ripreso a nuotare di dorso, ma come si sentì chiamare annuì. "Volevo chiederti, come sei arrivato fin qui?".
"Camminando" sul suo viso nacque un lieve sorriso. "Camminando e camminando in abbondanza. Perché? ".
"Non era questo che volevo sapere..."
"Cosa mi vorresti chiedere allora?"
"Ciò che mi domandavo era... ehm... quali ostacoli incontrasti lungo il viaggio?"
"Eh, assai..."
"Va bene".
"Comunque, perché me l'hai domandato?"
"Mi chiedevo cosa vi fosse altrove nel mondo, tutto qui".
"Nulla che ti piacerebbe vedere", rispose e riprese dopo un bel po':
"Ti ho portato in braccio e curato durante tutto il mio cammino. Forse quella è stata la cosa più dura che ho dovuto affrontare". Ten rialzò la testa "Non ricordi nulla di quello che abbiamo passato, né del mondo, eri troppo piccolo".
"Immagino quanto siano stati duri quei giorni... tuttavia, chissà se non sia cambiato qualcosa nel mondo, da qualche parte, dopo tutto questo tempo".
"Così rapidamente? Dieci anni sono troppo pochi. E sinceramente non vorrei mettere nuovamente piede in quel posto per verificarlo nemmeno fra un milione di anni, se gli avessi da vivere". Richiuse gli occhi e riprese a pensare ad altre cose.
"Usciamo fuori", disse poi, "Molto presto non ci sarà più abbastanza sole per asciugarci. Anche se un po' sembra ancora estate, le giornate iniziano a farsi pian piano sempre più corte, per fortuna", uscì fuori e si stiracchiò mentre veniva investito dal venticello, ma si coprì subito con una delle pellicce che aveva ricavato da qualche animale. Iniziò successivamente a fischiettare avvicinandosi agli alberi ai margini del terreno coltivato, e alcuni uccellini, tra gli innumerevoli cespugli e chiome nascosti, gli risposero.
"Ah sì, è vero" interruppe il suo canto e si rivolse al figlio. "Ricordami di lavare al ruscello le coperte, domani".
"Andiamo anche a cercare qualche altro foglio, se ti va?" Domandò il votan.
"Gli hai già finiti tutti? Però non credo che ce n'è siano altri dentro i resti di quel magazzino, probabilmente dovremo cercare da qualche altra parte".
Una volta tornati a casa, l'uomo, per prima cosa, andò a raccogliere alcune Mele Viola che erano maturate al punto giusto. Quando le vide così fresche come il mattino di una primavera, luccicanti come gocce di rugiada e tinte di un intenso colore viola, venne colto da una piacevole sensazione e i suoi nervi tesi si sciolsero. L'albero da cui nascevano quelle delizie era robusto e straripante di frutti. L'ombra attorno era in armonia con la luce, e un po' l'una e un po' l'altra, si posavano in piccoli sprazzi ricoprendo i bizzarri fiori sparsi qua e là.
Non seppe resistere dal dare il primo grandissimo morso, era succosa e rinfrescante. Ma la sera scendeva molto più rapidamente rispetto ai giorni precedenti, portando con sé anche umidità, quindi si promise che avrebbe dedicato poi un intero mattino per raccogliere tutti i frutti di ogni albero nei paraggi.
L'ora di cena giunse in fretta e il buon pasto caldo fu ingozzato avidamente.
Ten voleva andare a letto presto considerando che la mattina successiva avrebbe dovuto svegliarsi all'alba per andare a pesca, come promesso dal padre. Non vedeva l'ora.
Entrato nella cameretta poggiò la candela sul comodino. L'ombra gravava dall'alto sulla soffusa luce, la fiamma vacillava tra gli spifferi. E lui, dopo essersi avvolto tra le pesanti coperte, la spense con un soffio.
Prese sonno osservando il buio della notte che colmava la stanza e chiudendo gli occhi immaginò di tirare su quel pesce, lo stesso di cui parlavano quel mattino, in un giorno celeste mentre i raggi di luce risplendono sulle sue scaglie azzurre.
Renox anche lui si addormentò comodamente sul suo scomodo materasso, che aveva lavato pochi giorni prima, affondando la testa nel cuscino e stringendosi tra le pellicce.
Come ogni volta, con il calare della notte fonda, i rumori del Bosco si spegnevano e molti esseri notturni uscivano di soppiatto dalle loro oscure buche vagando qua e là silenziosi come le dorate foglie dell'autunno che accompagnate dal vento cadevano sul terreno. L'umano a volte gli immaginava quando era ora di dormire, ciò lo aiutava a prendere sonno.
Tutto d'un tratto il sommesso fischio della vecchia porta risuonò nel silenzio e Renox, confuso, si svegliò. Sapeva che non l'aveva immaginato, e stette qualche attimo immobile, impietrito. I vecchi assi di sotto scricchiolavano, un passo e poi l'altro, ancora e ancora... nelle sue orecchie c'era solo quel vago rumore che si faceva man mano sempre più vicino e chiaro, tutto il resto era silenzio. Quindi si mise seduto con l'arma, che teneva sempre vicino, poggiata sulle mani e con lo sguardo fisso nel vuoto. Poi la impugnò stretta e si mise silenziosamente in piedi. Non temeva nulla, sapeva cosa doveva fare. Si incamminò verso il letto del figlio con un passo che sembrava non esercitasse pressione, freddo e silenzioso.
Ten percepì la presenza di qualcuno, inizialmente non sapeva che fosse il padre, e aprendo gli occhi osservò quell'ombra impenetrabile che gli si ergeva in piedi dinanzi. Non capì, il suo cuore era pieno di confusione, ma immediatamente Renox gli bisbigliò nell'orecchio.
Si alzò lentamente, con ancora tanta paura e perplessità addosso. Dall'uomo ebbe subito un'arma in mano.
Camminando fianco a fianco, si fermarono a sbirciare il piano inferiore dall'uscio delle scale: videro solo ombre tra le ombre che si muovevano con passi scricchiolanti. Il votan doveva fidarsi ciecamente del padre. E poco dopo gli fu sussurrato da lui di restare fermo e immobile dietro le sue spalle. Con ciò si voltò dall'altra parte, e nelle sue orecchie esplose il malvagio rimbombo dei colpi d'arma da fuoco.
Solo paura cominciò a provare mentre rimaneva immobile assordato da quel frastuono incessante: credeva che non sarebbe mai finita o che non avrebbero superato la notte.
Ma infine furono solo pochi, interminabili, e terribili secondi, poi tutto sembrò fermarsi, ogni rumore estinguersi. Allorché si tolse lentamente le mani dalle orecchie, poi accese una candela e volse lo sguardo: tremò dinanzi a quel poco che a malapena riusciva a scorgere da sopra, nell'oscurità. Ma mentre scendeva le scale angustiato, con la luce in mano, l'oscurità iniziava a diramarsi ad ogni suo passo dallo scempio appena compiuto: e si rivelarono i corpi dilaniati distesi sulle pozze del loro sangue che continuavano lentamente a espandersi.
Altri morti erano nascosti nel buio a pochi passi, ove la luce non giungeva: Renox li perquisiva tutti freddamente, con i piedi scalzi bagnati nel sangue.
"Forse c'è qualcuno che ha sentito questi spari, e che forse si sta avvicinando", bisbigliò il votan. Ma l'uomo non lo guardò nemmeno, bensì volse solo un lungo sguardo alla notte. Poi chiuse lentamente la porta che era rimasta spalancata lasciandola fuori.
"No, non c'è nessuno. Ora torna a dormire", disse in modo gelido.
"No". Non poteva più riuscirci.
"Non stare qui..."
Ten ispirò a testa bassa. Sul rosso e viscido sangue c'era il riflesso della luce che teneva in mano. Ed era inorridito da quello scenario ai suoi piedi.
"Forza, Sali", la sua voce era ferma.
"Perché?"
"Ubbidisci!" gridò.
Il resto della notte Renox lo passò seduto sui gradini con una semplice coperta sulle spalle, e l'indomani all'alba trascinò i corpi verso la riva. Il fiume se li portò via.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top