capitolo 1: Battuta Di Caccia

Anni dopo...

Il viso di Renox era inespressivo. In esso non vi era alcun sentimento, e con scarpe consunte trascinava i suoi passi su una distesa di macerie. Le sue narici si riempivano di cenere dal nauseante sapore. Contornati da piaghe, i suoi occhi castani incastonati in un viso sciupato e pieno di cicatrici, erano spettrali e sembravano vetri infranti.

I mali che aveva patito negli anni avevano reso profondamente diverso il suo sguardo da quello del bambino che fu quando tutto ebbe inizio. Troppo a lungo aveva retto l'insostenibile, e il suo intero corpo martoriato lo testimoniava.

Il cielo grigio e triste piangeva lentamente, ed esisteva solo il rumore della pioggia che pian piano cessava sulle rimanenze e il fruscio dei passi di quell'ultimo uomo rimasto in vita, che indossava i brandelli della sua divisa.

Ma dopo un tempo indefinibile nel vuoto iniziò a risuonare, non lontano, un flebile pianto; pareva irreale, perché prima c'era solo un silenzio gelido e sordo. Ma fu abbastanza per accendere un piccolo fuoco, sommesso dalle impenetrabili tenebre, nella coscienza del vagante, le cui orecchie iniziavano a traboccare di quel vago suono pian piano che vi si avvicinava.

La sua provenienza era così chiara e distinta.

Dopo pochi passi altri, Renox sollevò le macerie dalla fonte del pianto: era un bambino avvolto in un manto di polvere, con molte lacerazioni sulla carne.

Come potesse essere vivo si domandò, non riuscendo a credere che ciò che vedeva potesse essere reale.

Ma era un bambino votan. E Renox se ne accorse quando quella creatura aprì gli occhioni sferici e profondi contornati da sangue. E dopo averlo raccolto tra le braccia, l'umano, il soldato, rimase immobile davanti al riflesso in quei grandi occhi del suo viso sfigurato da profonde cicatrici. Ma in quello specchio vedeva soprattutto l'agonia di una creatura tanto piccola, nella sua disperata ricerca di calore. Renox l'abbracciò subito per provare a darglielo.

Tentò... ma persino lui ne era privo.

Quello fu uno degli ultimi sanguinosi atti commessi dagli olani. La Grande Guerra finì in quei giorni, e con essa ogni cosa. Nessuna delle tre specie conobbe più ordine.

9 anni dopo...

Nella Foresta degli Alberi Giganti, dove Renox e suo figlio votan, il neonato che aveva salvato durante la Guerra, che chiamò Ten, avevano costruito un'umile e discretamente calda dimora, stava subentrando a dir poco frettolosamente l'inverno. Tuttavia era ancora presto per sentire veramente freddo, ma era il tempo giusto per iniziare a organizzarsi per il suo arrivo.

Dove vivevano ormai da anni, le estati si erano rivelate immancabilmente calme e calde, ma tutto sommato brevi, mentre gli inverni rigidi e lunghi.

Il caldo quella mattina persisteva ancora, quindi Ten si era inoltrato nella Foresta verso il suo punto preferito, ove passava buona parte delle giornate ogni qualvolta non vi fosse necessità di lavorare tanto, ovvero la sua postazione da disegno, situata sul dorso di un'altura ove aveva vista libera fino alle catene montuose che abbracciavano il vasto territorio. Ogni volta che andava lì d'estate e il sole toccava i picchi più alti, ma anche quando, come questa volta, l'autunno era subentrato da poco e la luce del giorno era ancora relativamente calda, si riparava tra le ombre degli Alberi Giganti che si ergevano solennemente tutt'intorno a lui per miglia e miglia in qualsiasi direzione. Solo pochi raggi di sole riuscivano a filtrare nella frescura posandosi sul suo bel viso viola e sul manto d'erba selvaggia umido di rugiada.

Gli piaceva stare lì soprattutto nelle ore mattutine, a disegnare con la sua immancabile matita e su un foglio le Aquile Azzurre che così lontane apparivano piccole come piume sollevate e guidate da un delicato vento; esse erano originarie del pianeta dei votan e alcuni esemplari furono salvati e portati attraverso le Arche che lasciarono quel mondo in un tempo assai remoto. Tuttavia solo poche di loro sopravvissero alla guerra che venne dopo l'arrivo della specie sulla Terra, per poter continuare a volare ribelli e maestose nei nuovi cieli.

Tale maestosità Ten riusciva sempre a imprimerla nelle immagini, assieme alla solennità dei loro stormi. Ma proprio quando ebbe finito quella volta, udì il possente richiamo di suo padre echeggiare nella foresta, quindi balzò subito in piedi e rapidamente iniziò a correre verso casa.

Casa la chiamavano... nonostante non fosse veramente tanto accogliente. Si trovava sulla riva del grande fiume che veniva da dietro i lontani pendii a ovest e attraversava la selva che loro conoscevano come il palmo della mano; quello stesso fiume affiancava Ten nella sua corsa, ed era molto forte, scorreva fluido e pieno di energia, esattamente come lui. Ma lungo la via le immense radici serpeggianti degli Alberi Giganti che sbucavano dal terreno erano dei fastidiosi intralci. E saltandovi sopra, il piccolo correva a perdi fiato per arrivare in prima possibile, sull'attenti, da Renox.

In un anello di imponenti alberi, celata dalla ricca vegetazione e qua e là affiancata da incolte distese di inusuali fiori dai colori insoliti, nella fitta ombra vi era la loro dimora. Ma non era una grande dimora, o solida, giovane, bella... era bensì piccola, fatiscente, memore di quei tempi che furono e tenebrosa. Aveva assistito alle innumerevoli e radicali trasformazioni della fauna selvatica, al diffondersi di quelle bizzarre creature provenienti dalle stelle più remote, e all'abbandono e alla caduta di tutto ciò che apparteneva al vecchio mondo. Essa ormai era una delle pochissime cose che si reggevano ancora in piedi, consumata dalla vegetazione e dal tempo: ciò lo si deve al duro e disperato lavoro di un uomo che nel suo lungo viaggio alla ricerca di un rifugio non ebbe trovato altro oltre quel tetto insicuro e quei muri logori, e che ebbe deciso di farne il suo riparo, ricostruendoli. E qua e là ora, all'interno, erano presenti tronchi a mo' di pilastri e rattoppi, un tavolo che già c'era insieme a due sudici letti e qualche vecchia coperta (che talvolta lavavano nel fiume), qualche mobile corroso dal freddo, diversi piccoli oggetti polverosi e tanto buio, poiché tutte le finestre erano sprangate. Quell'uomo, ora come allora, poteva servirsi di ben poco oltre che alle sue mani e del suo audace ingegno.

La vecchia porta stridette aspramente, la luce del giorno si aprì un piccolo varco nell'ombra, e Ten si fermò sulla soglia. Dalle fessure tra gli assi, trasparenti sprazzi di luce facevano breccia nell'oscurità e si posavano sul gelido metallo dell'arma sul tavolo, sugli incerti sostegni del fragile tetto, e squarciavano il manto di ombre sulle spalle dell'uomo che contava le munizioni, rivelando gli orridi segni del passato che gli segnavano la pelle, quelle profonde cicatrici. E quando egli lentamente si voltò, gli sprazzi luminosi rivelarono lo sfregio sull'occhio sinistro che portava da tanti anni e schiarirono la sua barba incolta.

"Molto presto arriverà il freddo. E non farti illudere da questo sole, poiché più calda è l'estate, più lungo e rigido sarà l'inverno. Ci servono provviste se vogliamo sopravvivere, e lì fuori ci sono tante mandrie di korm. Ce li prenderemo tutti noi, prima che qualcun altro lo faccia al posto nostro". Mormorò e lanciò una balestra al figlio, che l'afferrò al volo. Uscirono.

Il votan prese a camminare con un passo veloce e pieno di energie, ma il padre si muoveva con un passo felpato, teso come la corda di un arco, mentre sembrava che annusasse il territorio circostante. Lui non si lasciava sfuggire nulla, neppure le api multicolore che si disperdevano tra le distese di fiori illuminati dal sole, oppure rinfrescati dall'ombra del tetto di rami e foglie, né tanto meno i pochi segni sul terreno lasciati dagli animali selvatici. Nemmeno i più nascosti o dissolti.

Vi erano tanti tipi di impronte, e la loro dimensione non era di certo l'unica caratteristica tramite la quale Renox poteva identificare quale animale le avesse tracciate.

"Papà, guarda!" Ten d'un tratto si chinò su una grossa impronta lasciata sul morbido terreno tra due schiere di cespugli. Renox si avvicinò, le vaghe orme successive venivano schiarite ai suoi occhi da un piccolo affresco di luce che si posava solo quel punto, lasciando tutto il resto in ombra. Dedusse subito dal loro sapore che quelle che stava osservando e tastando erano impronte fresche. Però si accorse anche che non appartenevano a nessun esemplare di korm succulento soltanto osservando la parte tracciata dagli artigli. Sul sentiero vi erano poche tracce, poiché solo in pochi punti la terra era morbida e non aspra e rocciosa.

Seguirono il sentiero verso Ovest per poche centinaia di passi altri, successivamente lo lasciarono per voltare a sinistra e prendendo silenziosamente un'altra via, simile a quella precedente. Ten era sempre molti passi avanti a Renox, ma mai fuori dalla portata del suo sguardo, eccetto quando si inoltrava tra i fitti cespugli e piante cedue tra gli alberi.

Dopo un po' di tempo, seguendo i sentieri naturali, giunsero ai fiumi, poi lo scorrere di quelle acque li condusse fino ad un capiente lago ai piedi delle massicce alture. Le cime si rispecchiavano nell'acqua cristallina e vibravano come la punta di una fiamma, mentre all'estremità nascevano due torrenti che riscendevano lentamente a valle rumoreggiando dolcemente nella foresta.

Nelle basse profondità di quel lago si distinguevano dei coralli che nel giorno erano trasparenti, ma che nella notte si illuminavano di luce fosforescente.

Ten scavalcò con destrezza un cumulo di rocce franate dalla parete di un piccolo rilievo; come ogni altro della sua specie, aveva la caratteristica di una corporatura molto agile e forte che gli consentiva di destreggiarsi tra gli ostacoli con movimenti felini che erano impossibili da emulare per un essere umano. E i suoi occhi, tre volte più grandi e tondi rispetto a quelli di un semplice umano, erano blu come il lago che in essi si rispecchiava.

"Ten, sii prudente. Non allontanarti troppo." Lo richiamò il padre, che non lo perdeva mai di vista neanche quando il votan si mimetizzava con i cespugli di Viola. Ma il piccolo, come se non l'avesse sentito, continuava a muoversi con un passo che a sua impressione era lento, ma in realtà troppo veloce per un umano. "Ten! Ti ho già detto di non correre quando vai a caccia. Devi rimanere calmo, freddo, paziente... e intelligente. Non lasciarti sfuggire niente di quel che è intorno a te." C'era da ammettere però che il passo di un votan era silenzio come una foglia che si posa sul terreno.

"Scusa, ma non sono mai stato prima d'ora in queste zone e volevo soltanto osservare l'ambiente." la voglia di esplorare e immergersi in nuovi passaggi per il piccolo era un'irresistibile richiamo e desiderio. Ma d'un tratto venne afferrato per il braccio dal padre che gli fece segno di non fare alcun rumore.

In quell'attimo il piccolo non capì il perché del gesto, e per un po' rimase perplesso e con lo sguardo interrogativo rivolto a quello dell'uomo, che stava esaminando l'ambiente circostante nel tentativo di decifrare la provenienza di un certo piccolo passo, un passo impercettibile, che solo lui poteva percepire.

Dopo, in silenzio, si diressero verso quel punto all'interno del bosco. Allorché, ai solenni piedi degli alberi altissimi e avvolti da un verde manto, sotto un sottile raggio di luce che filtrava tra le fronde, li si parò dinanzi un'ignara creatura dalle zampe possenti, busto possente come una quercia, e iniziarono a osservarne la contrazione del mastodontico addome ad ogni respiro e le grandi e orgogliose corna ricurve su una testa orgogliosa. Un'esemplare perfetto in ogni suo lineamento di korm adulto e capobranco.

Dietro a un grosso masso a poche decine di metri di distanza silenziosamente si nascosero i due cacciatori. E quella era un'immagine forte e colma di maestosità, tant'è che li lasciò entrambi senza fiato. Ma sapevano che l'occasione stava scampando.

Renox avvolse la sua grossa mano intorno a quelle, più piccole della metà, di suo figlio, portandole sulla balestra, l'unica arma silenziosa. Ma quest'ultimo era ancora imbambolato.

"Trattieni il fiato e fai in modo che tutto intorno a te si fermi. Rimani saldo e dalla posizione perfetta. La tua mano deve essere ferma, non deve assolutamente tremare." Renox guardava il viso di Ten di profilo, la sua sottile smorfia di immensa ammirazione, e sorrideva nonostante l'ansia che la preda potesse fuggire. Ma il piccolo in verità dietro quell'espressione era tanto spaventato, pensava che se avesse mancato il bersaglio sarebbe stato punito. Però riuscì a focalizzarsi solo sulle braccia del padre, così ferme e sicure, che lo guidavano con una sorta di fredda tenerezza e pazienza, che correggevano e curavano la sua postura, e si tranquillizzò, respirò profondamente, cominciò a trattenere il fiato. Il suo sguardo mutò rapidamente divenendo più sicuro, deciso e minaccioso. Ma ancora non riusciva a premere... a fare una piccola pressione con l'indice...

Sapeva cosa doveva fare, e sapeva che non doveva deludere suo padre... e grazie al suo aiuto infine riuscì.

Lasciò andare il fiato mentre si udì l'acuto mormorio della freccia che parte, poi l'animale trafitto all'addome cadere al suolo con un grande tonfo e il battito d'ali degli uccelli che si levarono in volo dalle chiome.

"Andiamo a prenderlo." sussurrò Renox all'orecchio di suo figlio che rimase scioccato dal suo stesso atto, anche se infondo era entusiasta. Raramente prendevano un korm. E l'entusiasmo prevalse e si lanciò verso il corpo, ormai disteso a terra, che esalava i suoi ultimi e forzati respiri. Ma fece un grosso sbaglio.

"Ten!" richiamò Renox, arrestando subito la corsa del figlio verso l'animale.

Ten nell'emozione non si accorse di aver lasciato cadere a terra la sua arma, e questo fece imbestialire l'uomo.

"Mai staccarsi dalla propria arma. Mai!" lo sgridò, poi presentando lui l'impugnatura della lama, disse:

"Finisci ciò che hai iniziato."

Insieme si inginocchiarono sulla preda in fin di vita.

Sembrava che gli occhi pieni di sofferenza della povera bestia avessero tolto la forza al piccolo di affondare il coltello nel suo collo. Ma fu il padre ad aiutarlo, stringendo ancora una volta le mani intorno alle sue. Il coltello scese lentamente. Gli occhioni della creatura si chiusero mentre le mani del cacciatore si posavano ancora sul suo petto, percependo il vuoto che vi era nato all'interno.

Una volta che tutto era finito, il votan rimase a testa china e in ginocchio su quella meraviglia defunta.

Dopo aver cacciato, Renox e Ten si sedettero in beatitudine sulla sporgenza del piccolo colle, godendosi tutto il meritato riposo. La vista era mozzafiato: lo sguardo era libero di correre fino a perdersi oltre la vasta pianura erbosa dove le mandrie di korm compievano enormi falcate. Il rimbombo dei loro passi arrivava fin sull'alta sporgenza, nel cuore di Ten.

"Vorrei essere intoccabile come loro... correre come loro... Ahhh! L'invidia che non ci fa godere la vita". disse Renox.

"Se solo avessi le parole per descrivere anche la cosa meno incredibile, la meno incredibile tra tanti aspetti straordinari... Ma non c'è una sola cosa di loro che riesca a togliermi il fiato meno di un'altra". disse Ten, quasi imbarazzato.

"Lascia stare tu. Non pensare a questo. Pensa ad essere più veloce, freddo e intelligente. Non hai il bisogno di essere un poeta". Renox si alzò e caricò sulle spalle la carcassa dell'animale da poco cacciato. Iniziò a dirigersi verso casa per continuare a organizzare le provviste in vista dell'inverno, ma suo figlio aspettò pochi secondi prima di cominciare a seguirlo.

Il sole tramontava dietro le montagne ad ovest e le loro ombre iniziavano ad ammantare la vasta valle. Ma molto presto l'oscurità sarebbe giunta ovunque. Quindi, prima che ciò avvenisse, Renox aveva intenzione di rientrare a casa con la cena, seppure a Ten avrebbe fatto piacere sentire ancora un po' la brezza del tramonto visto da lassù almeno finché non sarebbe svanito quasi del tutto. Ma il padre, con un tono severo, gli disse che non potevano affatto affrontare il lungo cammino senza almeno quel poco di luce che era rimasta, soprattutto con una carcassa sulle spalle così ingombrante.

Percorrevano ormai da molto la strada del ritorno immersa nelle luci e nelle ombre del tardo pomeriggio.

Sui loro passi imboccarono angusti tratti e continuarono e continuarono avvolti nelle ombre del crepuscolo verso il losco cuore della selva. Quella era la giusta via. Ad un certo punto Renox volse uno sguardo verso destra e nel sincero stupore rallentò il passo ammirando un certo albero che, a lui così vicino, si stagliava ancor più alto degli altri, tant'è che le remote luci che si ritiravano illuminavano la sua chioma più delle altre. Ma l'uomo poi intravide qualcosa celarsi dietro il suo robustissimo tronco: gli parve come un grosso pezzo d'acciaio nero.

"Che noia, le giornate si fanno sempre più corte", sospirò Ten. Tuttavia, in ogni ora in cui il sole era presente e splendente, lui era immancabilmente all'aperto, perché era particolarmente attaccato alla luce. Infatti, adesso che la notte si faceva più lunga del giorno, lui si aggrappava ancora più forte a quelle piccole ore che passavano frettolosamente sotto i suoi occhioni.

"Aspetta... seguimi e stammi ben vicino!" Disse Renox.

Allora imboccarono un vicino sentiero nascosto, lo percorsero per un po' finché non giunsero ai margini di una lunga e profonda scia scavata nel terreno.

Cominciarono a costeggiarla. Su di essa giacevano gli immensi alberi spezzati.

Renox sospettava che si trattasse proprio di un antico frammento di un'arca precipitato dal cielo all'alba della guerra.

Non era in errore. In breve tempo i due misero piede su una grande distesa di grossi frammenti metallici. Alcuni parevano le rimanenze di una capsula, nella quale le testimonianze più remote dell'antica civiltà votan avevano viaggiato per millenni nel cosmo.

La vegetazione aveva avvolto un quadro celando ciò che rappresentava. Esso giaceva ai piedi di un Albero Gigante dai rami robusti e rivestito di piante arrampicanti piene di fiori dai mille colori.

Renox prese quel quadro largo poco più delle sue spalle e vide insieme al figlio la storica e cruda immagine. Ed ebbe come l'impressione che chiunque fosse stato l'autore avesse arrestato il tempo per catturare quell'attimo senza lasciar sfuggire il minimo dettaglio: in un'estremità, percorsi da numerose crepe e con colori sbiaditi dal tempo, occultati dalla polvere, i guerrieri dei tempi che furono, con armature ed elmetti d'argento, componevano un'invalicabile falange dalla quale si esponevano all'infuori solo lance e spade, e con lo sguardo impenetrabile rivolto in avanti scrutavano le rosse schiere che si radunavano per abbattersi su di loro.

Le immense schiere rosse erano composte da olani, ma il piccolo votan non poteva saperlo. Mai ne aveva visto uno di persona, ne aveva solo sentito parlare da Renox, ma non poteva concepire quanto veramente fosse malvagio e terrificante solo il suo aspetto nonostante quanto le parole dell'uomo fossero angosciose. Non aveva la minima idea di cosa significasse veramente udire il loro verso agghiacciante e stridente. Solo il padre lo sapeva bene.

"Passato, ormai non conta più". disse con lingua appuntita Renox, mentre continuava a far scorrere l'occhio su quei ritratti impressionanti.

Dopo un altro po' di passi, l'uomo si sistemò meglio la carcassa sulle spalle per evitare che questa scivolasse mentre scavalcava rocce e radici. "Rientriamo a casa, e dopo che avrò sistemato un paio di cose cucinerò la cena".

Quando furono di ritorno Renox andò a mettere le sue cose a posto e Ten con una pelliccia sulle spalle si sedette fuori casa su un tronco. Assaporava l'aria serale: la stagione delle piogge era vicina.

"Accendiamo un fuoco" disse il padre uscendo.

"Certo, ho tanta fame".

"Bene".

Diedero vita a un corpulento falò in poco tempo.

"Quelle creature rosse erano gli olani?" Suo padre era di poche parole su certi argomenti.

"Sì".

"I votan, quando giunsero qui, indossavano quelle stesse armature?"

"No, Ten. Quel quadro raffigurava un atto di un'epoca assai remota e dimenticata".

Lo sguardo di Ten vagava nell'oscurità.

"Ti vedo turbato. Quali pensieri ti affliggono? Parlamene, ti aiuterò" disse l'uomo.

"No, nessuno. Era solo che... pensavo agli olani. Tutto qui".

Renox non rispose.

"Esistono ancora, gli olani?"

"Non posso dirtelo con certezza. E in verità non posso dirti con assoluta certezza nemmeno se esitano ancora umani, o votan, oltre a noi due da qualche parte nel resto del mondo" poi l'uomo mise la carne a cuocere e seguì un lungo silenzio.

"Ma è così triste e fredda questa realtà..."

Renox corrugò la fronte. "Cosa c'importa? Noi stiamo bene qui. Lascia perdere tutto il resto".

"So che dovrei, però a volte mi domando come si è potuti giungere a questo".

"Te ne ho già parlato altre volte".

"In modo abbastanza vago e distaccato. E sono molto pieno di confusione. Mi parlasti della guerra tra voi e i votan, della devastazione che seminò... e infine della pace che riusciste a trovare mentre sulla terra approdava un altro essere, che avrebbe voluto annientare entrambi. Ma poi cos'è successo?"

"Innumerevoli cose, tutte tragiche e piene di sfortuna. E forse era proprio inevitabile che si arrivasse a questo, di certo non posso saperlo io: all'inizio combattevamo l'uno contro l'altro, poi ci unimmo dianzi a quel nuovo nemico comune... ma non tutte le persone erano disposte a voltare pagina e continuarono a guardare la tua specie con occhi incerti, pieni di paura e risentimento".

"Erano in tante queste persone?"

Renox in silenzio fissava il fuoco con uno sguardo perso nei ricordi. "In verità non è mai esistita una vera pace tra uomini e votan. E veramente tanti di questi ultimi trovarono la morte proprio pugnalati alle spalle dagli stessi umani in varie circostanze".

"Ma nel frattempo c'erano gli olani, il vero nemico di tutti..."

"Mentre combattevamo loro, ci autodistruggevamo dall'interno. Ma infine nessuno ne uscì vincitore dal conflitto, e questo è il mondo in cui ci tocca vivere".

Ten chinò il capo.

"Ma ricorda che noi stiamo bene qui e che vivremo sempre in pace".

"Comunque non mi hai mai detto com'erano gli altri votan".

"Erano creature dall'aria molto misteriosa. Nemmeno quando iniziarono ad affiancarci riuscivamo a comprendere qualcosa di loro".

"Capisco".

"Fin ora ti ho parlato molto solo degli olani".

"Più che altro me li hai nominati molte volte. Me li hai sempre descritti come dei mostri, solo questo..."

"E non c'è altro da aggiungere riguardo a loro" non fu detto altro per un po'.

Entrambi non vedevano l'ora di azzittire i brontolii del loro stomaco e per fortuna la porzione si cosse in fretta. Per contorno vi erano alcuni degli ortaggi che stavano raccogliendo in quei giorni, poi divorarono qualche buon frutto della Foresta che Renox aveva raccolto il giorno stesso.

"Che ne diresti di andare a esplorare ancora un po' quel versante, domani?" Disse Renox.

"E' un'ottima idea!"

"Allora va a letto, e vedi di dormire bene e abbastanza questa notte".

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