Una storia per le stelle- Pt. 1
Prima, Nebulosa
Sin dalle origini del mondo erano esistite storie sussurrate sotto le stelle, baciate dal chiaro di luna e abbracciate dalle ombre; oppure narrate sotto il sole, distese fra i campi e le spighe dorate e fra il lieve ondeggiare nella brezza di fiori e freschi ciuffi d'erba, verdi come la speranza di una nuova stagione che portavano con sé.
Vi erano poi storie nate nel buio degli universi più oscuri o nel chiarore di cieli tersi e luminosi; storie nate sotto una buona o cattiva luce; storie che passavano di bocca in bocca, di generazione in generazione, sino a crescere così tanto ed essere così articolate ed eccezionali da divenire mitiche come le loro antenate.
E, infine, ce n'erano altre di cui era solo proibito pronunciare il nome, tenute segretamente sotto chiave e senza alcuna possibilità di librarsi fra le bocche e la gente del mondo.
Erano queste le storie che, però, più catturavano l'attenzione di coraggiosi avventurieri, cacciatori e custodi di racconti perduti.
Loro erano uomini e donne speciali, diversi da quelli normali: infatti, non si limitavano a esplorare il mondo esterno e ciò che apparentemente aveva da offrire, ma si gettavano a capofitto nell'impossibile, nel nulla e nella speranza di provare quel brivido che il sole e la luce non avevano loro concesso; quel brivido che si poteva provare solo stando nell'ombra, avvolti da nastri di tenebre e di fumo che gli sussurravano nomi, parole e fatti straordinari che mai avrebbero pensato di poter udire.
Ma si trattava, purtroppo, di parole che avrebbero segnato la loro condanna.
Eppure sbocciò l'amicizia tra coloro che erano soli, emarginati, esclusi da tutto e da tutti solo perché diversi.
Perché magici e speciali.
Perché capivano quale fosse la realtà sull'origine del mondo.
Perché sapevano e desideravano mostrare ad ogni essere del pianeta ciò che la maggioranza preferiva nascondere e custodire gelosamente per l'eternità.
Tali erano gli avventurieri divenuti personaggi secondari, imprigionati nello sfondo per dar luce a coloro che nel loro silenzio e nella loro ipocrisia venivano presentati come degli eroi, dei gran signori salvatori della razza umana.
Ma loro non si arrendevano di certo! Erano soli, vero, e nessuno li ascoltava poiché accusati di essere dei pericolosi ciarlatani ma, nonostante le dicerie, ogni tanto qualcuno prendeva coraggio e si abbandonava all'incantevole fascino delle loro storie, lasciandosi trasportare così tanto dalla loro voce da divenirne quasi parte.
Da diventarne essi stessi dei protagonisti. Così facendo, riuscivano a seguire il movimento dei loro sogni e di quelle stelle che ne erano la guida, la matrice di ogni racconto.
Si riunivano fra loro, si aiutavano e si sostenevano a vicenda, chiudendosi in cerchio attorno ad un falò sotto la luna piena e con il firmamento ad ascoltarli con ansia, trattenendo il respiro dinanzi alle loro mitiche avventure che ben presto le avrebbero raggiunte: sarebbero così state cucite nuove stelle su quella tela scura nata per far sperare là dove la luce non era abbastanza per guidare le anime perse nel buio, annegate in mari di ansie e paure.
E su queste stelle vivevano gli avventurieri che, secoli e millenni or sono, si erano sacrificati in nome della vita e della libertà di esprimersi, riscrivendo il destino con le proprie mani e non lasciandolo in mano ad un mondo che invece lo avrebbe schiacciato e, infine, distrutto; eliminato dai libri di storia come se non fosse mai esistito, troppo pericoloso per esser solo nominato o imprigionato tra le pagine o i papiri.
Guai a coloro che avrebbero osato leggere di tali gesta!
Guai a coloro che si sarebbero lasciati ispirare da simili prodezze!
Di certo non si trattava di un'impresa per tutti: solo gli uomini dall'animo puro -i prescelti- sarebbero stati capaci di vederlo così com'era realmente e non come un ammasso di parole accatastate l'una sull'altra, arabeschi indecifrabili e senza alcun significato.
Fu così che gli avventurieri delle stelle decisero di custodire i loro di segreti e di donarli a qualcuno che avrebbe portato avanti il loro obiettivo e il loro desiderio più profondo: insegnare a sognare.
Ma non solo! Anche insegnare a brillare, insegnare a riscrivere le stelle, insegnare ad apprezzare le piccole bellezze del mondo nel bene e nel male, insegnare a vedere il mondo, la realtà, utilizzando l'immaginazione e la fantasia laddove oramai dominava solo un grigio torpore incolore.
Eppure, col trascorrere del tempo, divenne veramente difficile -se non impossibile- riportare i colori nel mondo: le persone, infatti, erano tutte uguali, incapaci di concedersi alla magia della gioia e delle loro specialità.
Dove erano finiti gli avventurieri?
Perché, ora, si è soli al mondo?
Perché il cielo si sta spegnendo, proprio come tutti gli uomini, donne e bambini?
Come mai non esistono più sogni?
Come mai non esiste più la speranza?
Dove sono finite le promesse strette tra due amanti al chiaro di luna? O fra i bambini nel loro rifugio segreto? O fra amici che giurano di rimanere uniti per sempre?
Forse l'unica a rimanere intatta e a salvarsi dall'oblio è quella tra un uomo e il destino crudele e inevitabile che lo attende. Eppure egli sorride poiché ne è consapevole e lo accetta.
È felice di ritornare a casa, su nel cielo fra quei pianeti, galassie e costellazioni dove i suoi compagni avventurieri aspettano impazienti, in attesa di ricamare sulla loro tela celeste una nuova storia che, breve o lunga, tragica o felice che fosse, sarebbe rimasta impressa in eterno nella memoria di un universo infinito che accoglie ogni suo figlio e lo ascolta; esattamente lì, in quel luogo dove tutto è iniziato e dove tutto sarebbe finito.
Il Fato, insomma, era, è e sarà fino alla fine del mondo intrecciato alle vite degli uomini che, allo scadere dei loro giorni, si sarebbero concessi a quell' eterno da cui erano stati generati.
Eppure ci fu una storia alquanto bizzarra che mise in difficoltà persino il destino: tutti stentano a crederci; ma le storie, si sa, non possono mentire.
✩
C'era una volta, in una terra remota di un continente lontano, un piccolo villaggio disperso tra le più verdi montagne e fra i campi più variopinti, colmi dei fiori più belli e rigogliosi, dei cereali e della verdura migliori e dagli alberi dai frutti più succosi e invitanti, nonché dei pascoli più numerosi e redditizi.
Tale villaggio, rinomato da secoli per la sua prosperità e per la sua bellezza, sorgeva a valle, tra le frastagliate pendici di alte e maestose catene montuose ammantate dalla neve più candida o dalle più lussureggianti foreste, pronte a far da scudo contro intemperie e nemici stranieri. Era inoltre attraversato da un lungo fiume che, come un sinuoso serpente, si snodava e strisciava furtivo tra le stradine acciottolate e i terreni da coltivare, raccogliendo lungo il suo percorso i sussurri nascosti di quella terra e di quel mondo.
Si trattava, insomma, di un villaggio pullulante di vita, di gioia, di sorrisi e di festa, qualsiasi fosse la stagione dell'anno o l'ora del giorno.
Un villaggio che il Sole avrebbe sempre riscaldato e su cui la Luna avrebbe sempre vegliato con le sue fedeli sorelle stelle.
All'epoca si narravano innumerevoli storie riguardo questo piccolo paradiso terrestre, così difficile da trovare da divenire addirittura una leggenda, un racconto da focolare.
Nonostante la fama non possedeva alcun nome e persino i mappatori più esperti non riuscivano a localizzarlo o ad appuntarlo sulla carta qualora fossero riusciti a giungere in quel luogo magico e incantevole, oggetto di tanta ammirazione e di altrettanti sogni.
Difatti, spariva nel nulla dai loro rotoli e persino dalla loro memoria: era quasi come se stesse giocando a nascondino e non volesse farsi trovare o persino condividere la propria prosperità con gli altri popoli che, purtroppo, erano costretti a sorbire i duri tempi di carestia, fame e gelo.
Chissà, forse questo villaggio benedetto dalla luce e dalla speranza forse nascondeva in realtà qualche oscuro segreto?
In una fresca sera d'autunno giunse nel famoso villaggio una donna vestita di soli stracci, con i piedi scalzi, sporchi e feriti, tremante per il freddo e con in grembo un bambino.
Ella, carezzandosi affranta il ventre tondeggiante, si chiese se potesse mai esserci un posto per una come lei tra quella gente agghindata con nastri, fiori e abiti eleganti, intenta a danzare al ritmo di flauti e tamburi e a donare al fiume coroncine o candele galleggianti su piattini di foglie e spago, ringraziandolo per una nuova giornata felice e produttiva.
La donna, reduce da un lungo ed estenuante viaggio, era stata malamente cacciata da ogni casa a cui aveva bussato e da ogni villaggio o città a cui aveva richiesto asilo, nella vana speranza di ricevere aiuto o, semplicemente, un pasto caldo e un posto in cui riposarsi.
Aveva presto, così, imparato a riconoscere i segni dell'orrore o dell'avidità delle persone alla vista di qualcuno in difficoltà: non un solo essere umano si era degnato di confortarla o tenderle una mano.
Non un solo essere umano aveva osato avvicinarsi a lei, vista come una misera mendicante stracciona.
Ma, ciò che più la rattristava, era che nessuno si fosse preoccupato e le avesse chiesto la sua storia.
Ma perché proprio la storia?
Perché le storie possedevano un potere immane, di gran lunga superiore a quello di signori, re ed imperatori. Il loro valore, poi, era incommensurabile, così prezioso da far sì che non potessero essere vendute per alcun tesoro al mondo: esse stesse, difatti, erano un tesoro, ma ben più importante di qualsiasi oggetto materiale.
Questo poiché le storie narravano dell'animo umano e delle sue fragilità e debolezze, ma anche della sua forza e del suo coraggio di affrontare ogni battaglia e di ricomporre ogni sua crepa con amore e fede.
Attraverso di esse si potevano sì leggere o udire eccezionali e incredibili prodezze -compiute non solo da famigerati eroi, ma anche da anonimi personaggi nel loro piccolo, con un'enorme forza di volontà- e tragedie strappalacrime su amori impossibili e perdite violente ma, in verità, si potevano comprendere e collezionare le emozioni.
Per la donna persino le sventure si trasformavano in una nuova avventura e nulla riusciva mai a fermarla e a impedirle di proseguire la sua missione: rendere il mondo un luogo dai cuori pulsanti di energia e umanità, raccogliendo durante il suo cammino cuori di pietra e maschere di ghiaccio. Ne aveva passate, purtroppo, di belle e di brutte, nel tentativo di scrivere di popoli e di terre che avevano instillato nei cittadini nebbia di crudeltà, imbrogli e falsità. Erano state poche quelle persone in cui era riuscita a intravedere un cuore buono e in volto un sorriso fra i più sinceri e luminosi, proprio come la loro anima.
Ella stessa, così, si rincuorava, nella speranza di far sbocciare quei pochi e piccoli semi di umiltà e di buon auspicio alla pace e, soprattutto, alla verità e alla felicità.
Fu proprio la sua ricerca a spronarla a scrivere e a riscrivere, ancora e ancora, un destino diverso da quello che le era stato inesorabilmente prospettato alla nascita.
Perciò, tra un racconto ed un altro donatole dalle voci sparse nel vento, il suo cuore, per la prima volta dopo tanto tempo, pulsò di gioia: chissà, magari in un tale paradiso forse sarebbe riuscita a trovare la felicità?
Riconobbe di esser giunta nel fatidico villaggio alla sola vista delle imponenti montagne e delle lucine colorate che, come ragnatele, si diramavano dal tetto di una casa ad un'altra, cullate dolcemente da una fredda brezza che le faceva apparire come una miriade di lucciole figlie dell'arcobaleno.
O, perlomeno, come un secondo cielo brulicante di stelle.
Effettivamente, però, notò un leggero sfarfallio all'interno delle sfere colorate: una lucina che scorrazzava all'interno della sua ristretta prigione emettendo bagliori ora soffusi ora accesi.
Si chiese infine se, una volta conclusa la serata, l'avrebbero liberata o tenuta comunque rinchiusa per sempre, costretta ad adempiere ad un compito che le era stato costretto.
Le abitazioni, invece, quasi tutte dai tetti a punta e anch'esse riccamente decorate e dipinte in maniera quasi sgargiante, in contrasto con la stagione fredda che stavano attraversando, erano sia grandi come ville che piccole come capanne, ma pur sempre meravigliose ai suoi umili ma antichi occhi.
Incantata dalla vista di tante anime in festa, quasi si scordò della sua condizione pietosa, dei suoi piedi doloranti e delle schegge che le raschiavano le ferite sanguinanti, ma si lasciò trasportare dai suoni, dalla musica e dalle risate che, a quanto pareva, raggiunsero anche il bimbo che, contento, iniziò a scalciare.
La donna si abbandonò ad una risata di cuore e, ipnotizzata dal magico ambiente, si fece largo tra la folla, passando attraverso una calca fatta di bambini, giovani, adulti e anziani che danzavano, suonavano, cantavano, brindavano e pranzavano da ricchi banchetti a suon di carne, frutta e vino.
Pensò persino che il freddo provasse ribrezzo solo ad avvicinarsi a ciò che la circondava: tutto ciò che avvertiva era unicamente un calore che sapeva di casa.
Casa...da quanto non vi faceva ritorno?
Ella, oramai in preda alla fame, tentò di avvicinarsi ad un tavolo riccamente imbandito, coperto da una candida tovaglia agghindata con ghirlande di margherite, ramoscelli e foglioline, e da cui proveniva un ottimo profumo.
Si apprestò ad un uomo alto e robusto che serviva i presenti, ridendo e scherzando, e, con un'espressione stanca ma decisa, disse: "Buon uomo, siano lodate l'abbondanza e la prosperità e possa il villaggio sempre godere di felicità e salute".
"La ringrazio, signora" rispose lui, vestito di una tunica bianca ricamata con ghirigori d'oro e di sandali in pelle. La squadrò fugacemente con i suoi occhi cristallini, poi inarcò un sopracciglio.
"Possano gli dei proteggervi e accompagnarvi sempre nel vostro cammino. Necessitate di qualcosa?"
"Potrei avere per cortesia un po' d'acqua e del cibo per me e il mio bambino?" replicò la donna, indicando se stessa e il proprio ventre. "Siamo reduci da un lungo viaggio e nessuno ci ha mai accolto. Siamo tanto deboli e stanchi, abbiamo fame e freddo, ma ci basta poco per riprenderci: un piccolo atto di gentilezza. Sono lieta e onorata di poter assistere a tanta bellezza e vi benedico auspicando altrettanta fertilità e abbondanza per la nuova stagione che verrà".
L'uomo, che a giudicare dall'aspetto austero e ben curato e da una coroncina d'alloro in testa doveva essere un nobile, scambiò diverse occhiate con i suoi compagni; poi, riempì un piattino con carne di vitello, verdura e una tazza di the caldo.
Ed ecco che avvenne.
Non appena glielo porse e incrociò i suoi occhi...semplicemente si gelò, immobile come una statua, spostando il suo sguardo al resto del volto di lei, celato appena da un cappuccio consunto e rattoppato.
E fu così che vide, di nuovo, la maschera calare su di lui, ormai pallido in volto, instabile ed impercettibilmente tremante ma, davanti ai suoi compagni, fece finta di non darlo a vedere. Ancora pietrificato sul posto, quasi le rovesciò il cibo sul petto e, con un sorriso tirato, le chiese se le servisse altro o se volesse unirsi alla festa.
La donna non si stupì di tale atteggiamento (anche se sperava in una nuova reazione) ma, da brava avventuriera e cacciatrice, continuò a collezionare nuove emozioni e nuove maschere.
L' uomo, spostando il proprio peso da un piede all'altro, visibilmente agitato e intento ad ignorarla, si voltò verso i suoi compari.
Notò la maschera calata persino sui loro volti anche se, con sua sorpresa, non completamente, ma in modo parziale: i loro cuori erano sì pulsanti di vita, ma comunque venati di pietra arida e fredda.
"Strano" pensò lei. "Che cosa sarà mai questa sensazione?"
Erano senza dubbio diversi rispetto ad altri uomini e donne che aveva incontrato perché loro si trovavano a metà tra l'eccesso e il difetto, fra Il buono e il cattivo.
Rivolgendosi alla folla festante, riuscì a cogliere le stesse semi-maschere e gli stessi semi-cuori: non sapeva come altro definire un'anima viva su cui aleggiava l'ombra della morte delle emozioni. Era così soffocante, eppure troppo radicata nei loro corpi come un rampicante.
La donna, colta da un brivido di adrenalina per la nuova scoperta, cercò di assaporare e di far proprio il ricordo di quella festa, pur sapendo che lei non apparteneva e mai sarebbe appartenuta a quel luogo e a quel mondo.
Era entrata nell'intrigante vortice di una nuova avventura e questo le faceva più che piacere -la faceva sentire viva- eppure...qualcosa di sbagliato, stavolta, la segnava inevitabilmente.
Guardò poi di nuovo l'uomo, ancora pietrificato e con gli occhi gelidi come cristalli di ghiaccio, lo ringraziò amabilmente per il gesto e fece finta di non aver notato il suo cambiamento repentino. Chiese, infine, se fosse disponibile un posto in cui dormire, anche una semplice stalla per una notte.
"In questo villaggio non c'è alcun posto per te" disse l'uomo, apparentemente calmo, tradendo però una certa tensione da piccoli spasmi degli occhi.
"Però a pensarci bene..." continuò un altro avvicinandosi a lei. "Poco più su tra queste montagne, salendo per il sentiero che porta nel bosco, ci sono delle grotte. Dovrebbe persino esserci una baita non occupata da nessuno da diverso tempo. Potresti vivere lì fino a quando più ti aggrada e dovresti trovare tutto quello che ti serve, anche per il nascituro".
Poi, quasi affrettandosi con la scusa di essere stato chiamato, venne inghiottito dalla folla. Anche quel giovane, come il primo uomo, l'aveva vista in volto ma, stavolta, aveva provato un terrore ben più profondo, quasi primordiale, tale da fargli accapponare la pelle.
Neanche avesse visto un fantasma.
Dopo aveva immediatamente abbassato il capo e non aveva più osato rivolgerle uno sguardo, persino di sfuggita.
La donna ringraziò ulteriormente più volte con inchini un po' impacciati e cercò di allontanarsi dalla calca, dirigendosi verso vie di volta in volta più piccole che si diramavano all'interno del villaggio. Più che villaggio le parve una vera e propria cittadina, ma non lo diede a vedere e si godette la vista del bellissimo panorama prima di sparire nell'ombra e accucciarsi dinanzi un portico per finire il proprio piatto.
Non aveva assaggiato niente di così buono da... quanti anni erano passati?
Beh, non importava. Stava vivendo un vero e proprio sogno e gustando del cibo divino, dopotutto.
Una volta consumato il proprio pasto, soddisfatta e non più di tanto infreddolita, si poggiò contro la porta e strinse le mani e le braccia nel tentativo di riscaldare anche il suo bambino.
Ci avrebbe pensato il giorno seguente a raggiungere la baita: col buio non sarebbe sicuramente andata da nessuna parte e chissà che cosa l'aspettava.
Gli uomini avevano detto la verità o era soltanto una trappola?
E così, accompagnata dalla musica ormai divenuta una lontana ninnananna e dal tintinnio delle stelle nel cielo scuro e terso, si abbandonò al sonno.
La quiete, però, durò poco.
Avvertì, infatti, qualcosa di morbido avvolgerle la caviglia, solleticandola.
Dischiuse leggermente gli occhi e, puntandoli verso il basso, individuò due occhietti vispi e dorati, luminosi come fari nella notte, a scrutarla attentamente, come se riuscissero a leggerle l'anima e a comprenderne i pensieri; una testolina curiosamente piegata da un lato ed una coda arancione dalla punta bianca che, effettivamente, l'aveva teneramente agguantata.
"Anjum! Per tutti gli dei, che cosa combini? Dove sei finita?" una vocina squillante si fece largo nell'oscurità, accompagnata da un particolare scampanellio, sporgendosi dall'angolo di una casa. Giratasi a destra e a sinistra, una volta individuato l'obiettivo -un guizzo della coda- si apprestò alla volpe che, ora, si era comodamente acciambellata sulle ginocchia della donna, non dando alcun segno di averla sentita.
Dedusse dal fiatone che doveva essersi data ad una lunga corsa e, difatti, quasi inciampò nel tentativo di fermarsi davanti a lei.
Una volta stabilizzata, si piegò in due e si passò una mano sulla fronte velata di un leggero strato di sudore. Alzò leggermente il capo e, alla vista della donna, sobbalzò violentemente, colpita dalla sua presenza.
Con le strade avvolte nell'ombra neanche l'aveva notata, immersa nel buio com'era.
Dopotutto, aveva deciso di appartarsi in una piccola via vicino alla periferia, dove di luci ve ne erano ben poche. Lì a rischiarare, seppur scarsamente, il tutto, vi erano due lanternine con la cera delle candele quasi esaurita, poste proprio su dei davanzali di fronte a lei, poco distanti. Strano che il vento non le avesse ancora spente.
Evidentemente dispiaciuta -ma non impaurita, notò- le si colorarono ancora di più le guance di un tenero rosso e, con la voce spezzata dalla fatica, tentò di formulare qualche parola.
"Sono...sono mortificata signora. Io... la mia volpe... è scappata improvvisamente e... non sono riuscita ad acciuffarla".
Mentre gesticolava freneticamente e si inchinava numerose volte chiedendo continuamente scusa, la donna cercò di osservarla più attentamente: era una ragazza giovane, con le lunghe trecce scure avvolte da nastri bianchi e con una corona di rose rosse a cingerle la testa; il suo abito, lungo fino alle ginocchia e con le maniche corte a sbuffo, era ampio e finemente ricamato di motivi floreali ed animali. Tra questi spiccavano delle volpi che, a turno, rincorrevano le diverse rose dai gambi pieni di spine che si diramavano sulla sua gonna bianca e sul corpetto, tutto lacci, garza e seta bianca, rossa e verde.
Di belle ragazze ne aveva viste tante, eppure nessuna era altrettanto buona e...unica.
Lei riusciva a vederla, nel vero senso della parola: un'anima pura dal cuore semplice e modesto proprio come il suo visino, da cui traspariva tutta la dolcezza del mondo.
Ma ciò che più la colpì e la fece rimanere di stucco, fu il fatto che non indossava alcuna maschera. Si presentava esattamente così com'era, senza se e senza ma. Era lei. Era vera.
L'aveva trovata, finalmente.
La donna sorrise ampiamente alla sua vista e venne invasa da un'ondata di emozioni a cui non seppe dare un nome, che la travolsero come un'onda e le fecero brillare gli occhi dalla commozione: dinanzi a lei vi era la perla più bella, rara e preziosa.
Smise di accarezzare la volpina dormiente e indisturbata e prese le mani candide e morbide della ragazza tra le sue più ruvide, segnate da innumerevoli cicatrici.
La giovane immediatamente arrestò la sua raffica di scuse e alzò lo sguardo prima sulle mani intrecciate, poi sul rigonfiamento del ventre della donna e, infine, verso il suo volto.
Dopo brevi attimi di silenzio, emise un gridolino di sorpresa e di piacere, rattristandosi però alla vista delle sue ferite.
"Oh miei dei! State bene signora? E il vostro piccolo? Cosa posso fare, come posso aiutarvi? Oh, mi dispiace da morire! Sono mortificata! Non vorrei avervi creato altri problemi! Ma...cosa ci fate qui tutta da sola?" si agitò tutta d'un fiato, colta dalla confusione e dalla vergogna. Nel battere i piedi sull'acciottolato e nel muoversi come se stesse per coglierla una burrasca, fece risuonare quelle campanelline che la donna prima aveva sentito, legate attorno ad entrambe le sue caviglie, ai suoi polsi e al suo collo. Accessori curiosi per una ragazza come lei. Alla donna non parve di aver visto campanelle indosso agli altri cittadini in festa, ma forse si sbagliava.
"Io sto bene ragazzina, così come il mio piccolo. Ma tu dimmi, come sei finita qui? Sai che è pericoloso vagare per le strade da sola. Non dovresti essere alla festa?"
Le si riscaldò il cuore alla vista delle loro mani ancora intrecciate, nella consapevolezza che la giovane l'aveva vista in volto e non aveva provato alcuna paura ma, anzi, aveva continuato a parlarle, a preoccuparsi per lei.
L'aveva trovata per davvero. Non poteva crederci. Quale dono dal cielo! Quale miracolo!
"Non so perché, ma la mia Anjum" disse corrucciata, indicando la volpina, "si è allontanata da me ed è sparita nel cuore del villaggio. Ho lasciato la festa, l'ho cercata in lungo in largo e non so neanche quanto tempo sia passato ma a quanto pare... eccola qui! Non voleva proprio saperne di ritrovarmi, nonostante le campanelle" gettò le braccia al cielo e stavolta, lo scampanellio, chiaro e cristallino, svegliò l'animaletto che, assonnato e di cattivo umore, soffiò più volte, frustrato per essere stato svegliato.
"Che monellaccia!" provò ad afferrarla ma Anjum, svelta, con un balzo trotterellò via.
La ragazza emise un sospiro nervoso ma si arrese, riportando le mani sui suoi fianchi e scuotendo la testa impaziente.
"Prima la festa e adesso lei! A quanto pare non mi vuole proprio nessuno, sono sempre da sola" scrollò le spalle e il suo volto venne adombrato da un velo di tristezza e rassegnazione.
"Beh, da questo punto di vista posso proprio capirti. Nessuno vuole neanche me" aggiunse comprensiva la donna, che si spostò un po' più in là e le fece cenno di sedersi accanto a lei. La ragazza, ora più tranquilla, accolse il suo invito, sistemandosi l'abito e chiedendosi come mai nessuno volesse dare una mano ad una donna bisognosa di aiuto e in evidente stato di gravidanza, continuando a criticare e a criticare ancora gli esseri umani per la loro negligenza.
"Ma dimmi cara, posso avere l'onore di conoscere il tuo nome?"
A tali parole arrossì, nascondendosi il volto fra le mani.
"Mi chiamo Nesrin, signora".
Nesrin...campo di rose selvatiche.
Il suo sorriso si allargò ancora di più e avvertì un rassicurante calore spandersi nel petto.
Era un nome tanto bello quanto particolare, così semplice eppure al contempo così speciale.
Un nome di una lingua che non udiva da...da quando il mondo aveva perso la sua armonia.
Ma la donna di una cosa era certa: la giovane cresciuta tra rose e spine e la sua volpina nata dalle stelle sarebbero riusciti a riportare l'ordine e a tracciare un destino libero dalle catene del Vuoto e del Caos.
"Beh, direi che ti si addice proprio, signorina!"
Nesrin si unì a lei nella risata e, per la prima volta dopo tempo, finalmente la donna si sentì al sicuro. In pace.
Si tolse quindi del tutto il cappuccio -un'ultima prova per un'ultima speranza- ma la ragazza non diede alcun segno di squilibrio.
Anzi, la osservava ancora più incantata di prima, con la bocca lievemente aperta e gli occhi spalancati, come se avesse trovato qualcosa di speciale, nuovo ed inaspettato o come se avesse appena assistito ad un'arcana magia.
"Posso farvi compagnia e procurarvi delle bende per le ferite" aggiunse poi in fretta, ricomponendosi dalla sorpresa e parlando con tono concitato. "Conosco un posto qui vicino che ne possiede e posso anche darvi una mano per disinfettarle e bendarle".
Sorrise piano, trattenendo però quello che la donna lesse come mancanza, poi conforto e infine commozione.
"E voi, invece?" allungò una mano verso la sua, con voce ora lievemente tremante dalla gioia e dalla speranza, proprio come le campanelle che ora speravano con lei. "Ditemi, come vi chiamate?"
Ed eccola, la domanda che la donna aspettava da tempo e che nessuno aveva mai osato rivolgerle. Appagata e felice, quasi pianse a quella richiesta.
Era una sensazione così bella quella di sentirsi qualcuno e non qualcosa.
"Oh tesoro, io...non ho propriamente un nome. Ma è una storia molto lunga".
Accolse la sua mano e la strinse forte, desiderando di non lasciarla più andare.
Le campanelle cantarono e suggellarono il nuovo e fortuito legame.
Scintille scoccarono negli occhi verdi e chiari di lei, illuminati dalla fioca luce delle candele, ma comunque bellissimi e custodi di sogni e fortuna.
"A me però le storie piacciono! Quindi che ne dite, vi andrebbe di raccontarmela? Poi toccherà a me, se desiderate. Abbiamo tutto il tempo del mondo!"
All'udire quelle parole persino la volpina ritornò indietro, riemergendo dalle ombre in cui si era nascosta e accoccolandosi tra le braccia della sua padroncina che, prontamente, le legò un nastrino con una campanellina al collo.
Sollevarono entrambe la testa, attente e pronte all'ascolto.
Persino il vento si fermò, e le fiamme delle candele non tremolarono più.
Finalmente, la donna poté dar voce alla propria storia,alla propria vita e a quei pensieri che custodiva da tempo nella propria memoria, in attesa di librarli e consegnarli a qualcun altro come il tesoro prezioso che effettivamente rappresentavano.
Così, in compagnia della ragazza e della sua volpe, della luna piena, delle stelle, della luce e dell'ombra, iniziò a narrare di uno spazio oscuro infinito, di vortici di galassie, di miriadi di stelle, di esplosioni cosmiche e di come fosse nata ancor prima che esistessero le terre, i mari, l'aria e i sussurri che diedero vita alle storie.
☄. *. ⋆ Angolo autrice ☄. *. ⋆
Salve a tutti avventurieri! Come state? Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!💫 Sarà una favola che inserirò nel corso della storia principale, quindi...non è finita qui ;)
È molto importante sia per me che per i protagonisti della storia🌹🦊.
Detto questo...alla prossima avventura! Fatemi sapere cosa ne pensate e se vi va lasciatemi una stellina!🌟
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