3. La Pioggia e L' Arcobaleno

Mentre Jules ritornava a casa, accompagnato da un pulmino giallo, la prima cosa che notò fu il cielo grigiastro, coperto da spesse nuvole che, presto o tardi, avrebbero versato lacrime in gran quantità sulla loro cittadina.
"Eppure stamattina c'era il sole" pensò, con un gomito poggiato sul finestrino in fondo. "Forse sarà successo qualcosa se il cielo sta per piangere".
Seduto da solo sugli ultimi sedili -dalla pelle rossiccia così divelta e consunta da riuscire a tastarne la gommapiuma morbida sottostante- ammirava malinconico il panorama che gli sfrecciava davanti, come se stesse scappando. L'omino nella sua testa, poi, non smetteva di saltare gli ostacoli e correre quanto più veloce possibile per mantenere il passo! Doveva pur trascorrere il tempo in qualche modo, siccome la sua era una delle ultime fermate.

Lily, appollaiata tranquilla sulle sue ginocchia, fissava l'orda di testoline che si muovevano agitate sui sedili davanti, tutti occupati da altri bambini che sparlavano, urlavano o si lanciavano addosso palline di carta.
Il posto accanto a lui, come da consuetudine, era impegnato dal suo casco da astronauta oppure da qualche anima invisibile che gli teneva compagnia, sfiorandolo con dita incorporee che gli facevano venire la pelle d'oca e i brividi in tutto il corpo.

"Forse, dopotutto, non sarò mai veramente solo..." gli si strinse un po' il cuore al solo pensiero e al ricordo delle storie stellari della madre.
Verità o bugia?
"Spero di trovare un nuovo avventuriero anche io...chissà! Così viaggeremo insieme per tutta la vita e andremo ad esplorare il mondo intero! Nel frattempo..." gli sfuggì un sorriso sognante, vagando con la mente per quei mondi fantastici e quei cieli colmi di racconti segreti e sogni in attesa di essere realizzati.
"...L'esploratore papà e i suoi amici mi stringeranno la mano e mi proteggeranno, anche quando andrò da loro!"
Istintivamente strinse la sua amica, rivolgendole dolci carezze che grondavano promesse di nuove avventure e di altrettante nuove strade che avrebbero percorso sotto la protezione dei loro fedeli compagni che vivevano in quelle terre a loro ancora precluse, ma comunque fisse in quelle stelle luminose cucite giorno dopo giorno, con cura e pazienza costanti.
Che meraviglioso capolavoro sarebbe venuto fuori!

La vocina buona nella sua testa, alla fine, lo convinse che forse il cielo avrebbe pianto lacrime di gioia, e non di dolore o di tristezza.
Odiava vedere gli altri piangere o soffrire.
Gli ricordavano lui.
Per questo motivo, il suo spirito scalpitava al solo pensiero di nuovi avventurieri da salvare, aiutare e accompagnare in un viaggio alla ricerca della felicità.
Quella vera, però!
Ma, se non fosse riuscito a trovare la sua di voce nel mondo, come avrebbe mai potuto solo passargli per la testa l'idea di far risuonare quella degli altri?
O se invece il punto fosse proprio questo, cioè dar voce ai bambini come lui, marginali nelle loro stesse storie e costretti al silenzio, annegati in un mare oscuro e senza le stelle a guidarli?
E avrebbe dovuto sacrificare se stesso per fare ciò?

E cos'era la felicità, se non una mera illusione? Una bugia?

"Hey, scheletro!" fece un bambino, tirandogli addosso una pallina di carta che gli rimbalzò sui capelli e finì per terra.

Jules sobbalzò, sottratto via da quel flusso di pensieri dove spesso e volentieri amava avventurarsi.
E da dove detestava essere allontanato con la forza.
Rivolse uno sguardo confuso a quello che riconobbe essere un suo compagno di classe, alto quanto lui ma dalle guance rosee e piene che denotavano una salute più che buona, assieme ai suoi capelli chiari e lucenti tutti ciuffi e ai suoi occhi limpidi, azzurri come un cielo terso e senza nuvole.

"Che c'è, non mi hai sentito? Sei sordo o sei scemo?" ripetè, sventolando una mano e avvicinandosi al suo sedile.

"O forse tutti e due!" aggiunse un altro dietro di lui, sghignazzando fiero verso i passeggeri.

Un coro di risate si levò, inondando il pulmino di occhi giudicanti e risate canzonatorie rivolti tutti verso Jules.
Sbattè le palpebre più volte ed evitò di incrociarlo direttamente, facendosi così piccolo da divenire un tutt'uno con la pelle consunta sulla quale era seduto.
Non doveva guardarlo.
Non doveva guardarlo.
Non doveva guardarlo.

Lo avrebbe solo preso in giro per l'intero tragitto e non solo, lo sapeva.
Lo avrebbe inghiottito in un solo boccone con quegli occhi così belli eppure così maligni, velati come parassiti da uno strato di malizia e cattiveria.
Per lui analizzare le persone era un po' come un gioco; gli veniva spontaneo.
E ne era anche il campione.
Per sopravvivere in un mondo come quello doveva pur trovare un modo per capire da chi stare alla larga.
Eppure, in qualche maniera, più rifuggeva il caos e i guai e più questi continuavano a torturarlo, gioendo delle sue paure.

"Non sono sordo, Tim" disse, piano, con lo sguardo rivolto verso le sue scarpe rosse e lucenti e nel cuore il desiderio di sparire in una di quelle nuvole scure da cui ora provenivano dei forti tuoni.
Si portò per riflesso le mani alle orecchie, allentando così la presa su Lily, che cadde con un tonfo leggero ai suoi piedi.

Rumori. Rumori. Rumori.
Occhi.
Tanti, troppi occhi.

Risate distorte in un vortice di suoni lo colpirono in pieno come una freccia, ma cercò di non mostrarsi troppo ferito o debole.

Agnellino.

Le gambe iniziarono a intorpidirsi e ad assumere una strana angolazione, ma si sforzò di mantenersi dritto e saldo, nonostante gli venisse più che difficile.

Scheletro.

Le ossa spigolose gli trafissero la pelle come spade, gliela punsero e gliela stuzzicarono con degli spilli di ferro, auspicando di squarciarlo e di librarsi al di fuori del suo corpicino macilento.
Come denti aguzzi tastarono l'inebriante sapore della paura e dell' inevitabile sconfitta, un pasto più che sufficiente per colmare quella fame insaziabile a cui Jules non poteva porre alcun rimedio.
Con la loro battaglia di lame cozzanti lo stressarono a tal punto da fargli sentire l'amaro in bocca.
Rosso come il sangue.

Doveva resistere. Solo resistere.

"Se non sei sordo allora guardami e restituiscimi la pallina!"

Tim allungò una mano, in attesa, sorridendo smagliante nella sua fasulla sicurezza.
Lui poteva essere definito come il Lucignolo di Pinocchio, il bambino antagonista senza morale alcuna, eppure al contempo ammaliante con le sue parole.
In classe lo adoravano tutti e lo seguivano dovunque andasse, nonostante apparisse evidente la sua soddisfazione nell'essere definito il "capo supremo" dell'intero gruppo e la sua inclinazione alla violenza: se non otteneva quello che voleva o non gli veniva data ragione, ecco che partiva in quarta con le botte e con i calci.
E, infine, ovviamente costringeva all'isolamento il malcapitato: una volta finito nel suo mirino...non se ne poteva più uscire. Chi avesse osato violare il suo volere avrebbe ricevuto lo stesso trattamento e sarebbe stato escluso dalla sua cerchia per sempre.

Così piccolo eppure così sicuro di sé; sempre pronto a scommettere e a giocare con i suoi burattini del Paese dei Balocchi, condannandoli ad un circolo vizioso da cui sarebbe stato impossibile uscire.

A volte gli ricordava il mostro, ma...

Jules abbassò subito le braccia sotto lo sguardo attento e divertito di Tim e si chinò, allungandosi sotto il sedile.
Non fece neanche in tempo a raccogliere la pallina che si sentì stretto per i capelli e poi sbattuto contro lo schienale davanti.

Una volta.

Due volte.

"Ops, che sbadato! Scusami, mi dispiace davvero tanto! Mi è scivolata la mano, non l'ho fatto apposta!" si portò le mani alla bocca, come se fosse al contempo sorpreso e dispiaciuto, ma il ghigno che vi fece capolino brillò sotto la luce chiara e lampante di un fulmine che inondò, per un breve lasso di tempo, l'abitacolo di bianco.
Ora sì che sembrava davvero un cattivo. Anzi, se il cielo aveva deciso di svelare la sua malignità, lo era veramente.
Ma come mai solo Jules riusciva a vederlo, nonostante il buio e la luce?

Si strofinò la fronte e si massaggiò la testa, mugolando per la botta.
Questa, a differenza di tutte le altre che subiva, era poco più che una carezza, ma non per questo faceva meno male.
Non gli diede la soddisfazione di ammetterlo, ma continuò a non fissarlo direttamente negli occhi.

I bambini levarono un sonoro "oooh" e applaudirono energicamente.
Dopotutto stavano assistendo ad un altro dei suoi grandi spettacoli.
E Jules ne era il fenomeno da baraccone, come al solito.
Era strano e andava esposto e messo in riga, così si giustificava.
Proprio come faceva lui.

Il pulmino sfrecciò lungo una curva che sbatacchiò tutti indietro, facendo rotolare via la pallina e cadere il casco, che la seguì a ruota libera.
Jules si tenne ben stretto al sedile davanti affondandovi le unghie, mentre Tim, colto alla sprovvista, inciampò e andò a finire addosso ad altri bambini, schiacciandoli contro il finestrino e sbattendovici quasi.

"Ahia!" esclamarono, risistemandosi come meglio potevano e rimettendo Tim in piedi, di nuovo pronto alla carica.

"Fate attenzione! Non fatemi cadere più! Siete cattivi!" paonazzo a tal punto che Jules credette stesse per esplodere, batté i piedi per terra e agitò furente le mani verso di loro, quasi stesse mettendo in atto un maleficio.

"Ma non è colpa nostra! È stato il pulmino ad essere cattivo, ha spinto anche noi!" rispose una bambina con un cappellino rosa, l'unica ad aver avuto il coraggio di resistere a quelle finte lacrime che stavano iniziando a inondare gli occhi del piccolo aguzzino.
Difatti, i compagni a lei vicini le scoccarono sguardi stupiti, colmi di preoccupazione e di avvertimenti.

"E invece è colpa vostra perché...perché..." singhiozzando, si strofinò il naso con una manica prima inamidata, riprendendo la sua recita tra balbuzie e spirito da vero attore tragico, convinto di aver subito chissà quale danno. "Mi avete fatto tanto male!"

"Ma Tim, non è successo niente! Non fare il piagnucolone, è tutto okay adesso" ribatté la bambina, decisa. Il suo vicino le strinse il braccio così forte che fu costretta ad allontanarlo, non prestando ascolto alle sue parole sussurrate talmente piano e veloce che Jules non riuscì a decifrarle.

"Sicuramente non vuole farsi sentire da Tim perché pensa che potrebbe essere il prossimo a finire nel suo mirino..."

Jules approfittò del frangente di distrazione per accovacciarsi e acciuffare la sua volpina, accompagnato da minacce e da un "me la pagherai cara! Sai chi sono io?" che quasi lo fece ridere e distrarre dal breve attimo di panico che lo aveva invaso e momentaneamente annullato.

Si chiese cosa avrebbe mai potuto importare se fosse figlio di un contadino o di qualche famiglia ricca. Faceva davvero la differenza? Esistevano persone più o meno importanti di altre?
La cosa che lo fece più infastidire, però, fu il fatto che Tim blaterava come un ossesso di offese e di dolori insopportabili, continuando a far finta di piangere e di essere la vittima della situazione.

E dire che poco prima lo aveva sbatacchiato sul sedile...
Mancava poco che lo ristringesse per i capelli e gliele desse di santa ragione sul finestrino solamente perché gli andava e sentiva il bisogno di soddisfare un suo perverso capriccio.
Evidentemente era così viziato e desideroso di cose sempre maggiori che non accettava di essere contraddetto o di non ricevere quello che desiderava con ardore: i "sì" erano la sua carezza, la sua gioia più grande; i "no" erano uno schiaffo che lo faceva vacillare e cadere in una rabbia incontenibile.
Il suo cuore non riusciva a reggere quel "troppo" che strabordava e l'eccesso di riversava come un'onda tempestosa sul suo animo apparentemente forte eppure più fragile di quello di Jules: se non era perfetto, se non era pieno, si sentiva inutile e senza quella mania di controllo che lo rendeva quello che era.

Ecco perché Jules non riusciva propriamente ad odiarlo. Aveva solo bisogno di...conoscere il bene e l'umiltà.
Ovviamente, però, avrebbe preferito che gli venisse riversata una bella strigliata e che gli fosse insegnato come trattare bene e con gentilezza le persone, piuttosto che farsi scudo con la violenza e lacrime da coccodrillo che inducevano tutti a prendere la sua posizione.
E se avesse provato sulla sua pelle il vero dolore, solo allora, forse, sarebbe cambiato davvero.
Cosa ne poteva sapere, lui, poi? Se solo fosse venuto a conoscenza di quel vuoto cieco e vorace, bramoso di terrore e sofferenza, senza pietà quando scavava nel profondo per far sì che non si potesse più avere speranza...
Era un concetto troppo particolare e delicato per una persona superficiale come lui.

Ma Jules non gli augurò quello a cui era costretto, né gli era mai balenata in mente l'idea.
Quel tipo di dolore non era adatto ai bambini, né tantomeno agli adulti.
E poi, forse poteva anche essere ingenuo, ma non credeva di essere così stupido come lo accusavano. Sicuramente un po', ma non a certi livelli.
Forse.

Jules fece appena in tempo a sollevarsi che si ritrovò Tim a strattonarlo per una manica e a rubargli Lily, strappandola dalla sua presa tirandola per una coda già sfilacciata.
Se avesse continuato, l'avrebbe rotta.
E se l'avesse rotta, sarebbe stato lui quello a fargliela pagare.
Non avrebbe permesso a nessuno, mai e poi mai, di toccarla e farle del male, non dopo quello che subiva per colpa del mostro.
Era la sua unica amica e gli amici si aiutavano e si proteggevano sempre nel momento del bisogno, non importava la circostanza. La mamma gli aveva detto che solo nei momenti di dolore si riconoscevano i veri amici, e Lily era stata l'unica a non averlo mai abbandonato, anche quando stava per annegare e il suo mondo crollare.
Solida come una roccia, era e sarebbe sempre stata la sua stella polare.

"Lasciala andare! Basta!" urlò, allungandosi e snodandosi nello stretto corridoio intasato dai compari di Tim che, estasiati, gioivano nel bloccargli la strada e abbassargli le braccia con una forza di certo non casuale.
Lo volevano spezzare.

"Accipicchia se sei tutto a punta, scheletrino!" constatarono con la loro voce nasale, aspirando l'aria e buttando giù vocine stridule che Jules avrebbe tanto voluto soffocare con le mani sulle orecchie, se solo si fosse liberato.
Doveva aspettarselo che uno scricciolo come lui non ce l'avrebbe fatta contro quattro bambini tanto robusti quanto il loro capo, nonostante i suoi tentativi di divincolarsi come un pesce fuor d'acqua, scalciando e sbracciandosi come una bambola snodabile.
Eppure...se fosse riuscito ad affilare un poco quelle briciole di coraggio...

Non doveva lasciarsi abbattere dal panico, né tantomeno dalla reazione che gli provocavano tutte quelle mani che gli tastavano morbosamente il corpo.
Mani che gli ricordavano come lui lo soffocava e gli accarezzava con le nocche la pelle arrossata e scorticata dopo gli schiaffi o le scudisciate con la sua cintura.
E poi le voci alte e imperative che si ergevano su di lui come un gigante pronto a invadere il suo territorio e fare piazza pulita di quegli ultimi resti di sanità che gli garantivano un minimo di concentrazione e non gli stringevano la gola con corde urticanti dalla presa ben stabile, capaci di immobilizzarlo in un battibaleno e di far sì che la sua mente scivolasse via...via...lontano nel Vuoto.

"Oh, ti sei ripreso. Ora non hai più paura dei tuoni?" continuò Tim, facendo ruotare Lily per aria in ampi cerchi. Ora saltellava da un piede ad un altro, in quelle sue scarpe rosse così sbagliate in quell'ambiente buio e grigio.
Non le sopportava proprio più.
E nemmeno chi le portava.

Allenta la corda, Jules.
Allenta. La. Corda.

"E tu..." cominciò, prima sussurrando, poi pian piano più forte. Farfalle si agitarono nel suo petto e lame cozzarono in vista di quelle poche parole che lo fecero sentire un po' più forte. Un po' più padrone di sé stesso in quella che avvertiva come la sua piccola battaglia interiore.
"Tu non hai più paura di fare il finto tonto e il bugiardo? Sai solo fare il cattivo con gli altri bambini, sei falso e sei..." deglutì, sputando amaramente quel termine che gli veniva sempre ritorto contro, che era divenuto ormai parte di lui e con il quale era sceso a patti. "...Sei un codardo!"

Aveva colpito nel segno.

I quattro si scollarono immediatamente da lui, schiacciandosi contro i sedili e scambiandosi occhiate spaventate, cariche di terrore, rivolgendosi poi a Tim, dal volto accartocciato, dai pugni chiusi e dal volto paonazzo.
Sì, sarebbe chiaramente esploso.
Ma Jules non si sarebbe fatto scudo con le orecchie. Non stavolta.

"Ma come ti permetti? Codardo a me?" in quell'istante strinse Lily così forte che temette di essersi sbagliato nel reagire alle sue offese e che forse avrebbe dovuto rimanere in silenzio e chiudere l'accaduto a chiave nel suo baule. Il rimpianto e la paura, poi, forse sarebbero passati.
Ma, stranamente, non gli importò dei tanti piccoli occhi puntati su di lui come dei fari, né dei sospiri trattenuti, né dei bisbigli che avevano iniziato a riempire l'abitacolo sottoforma di ronzio, né della furia del suo avversario: era un cavaliere e avrebbe combattuto. O almeno avrebbe tentato. Ma meglio provare e buttarsi a capofitto piuttosto che crogiolarsi nel rimpianto, vero? Chissà se questa si trattava di una battaglia che gli sarebbe servita da lezione per la vera guerra...contro il mostro.
Doveva farcela.
Per la sua mamma.
Per Lily.
Per lui.

"Sai una cosa, scheletro? Quegli occhi da mostro fanno proprio per te! Meglio che la tua stupida volpina la tenga io e non un bimbo piccolo piccolo e pericoloso come te! Non mi dire che lasci morire di fame anche lei e che le racconti le favolette..."

Ed ecco che Jules si abbandonò, per un istante, a quelle emozioni alle quali mai riusciva propriamente a dar voce, soprattutto davanti a qualcun altro: frustrazione, collera, esasperazione.
Jules non sarebbe mai stato un mostro e il solo sentir nominare quel termine gli provocava una nausea da capogiro e una rabbia incontenibile.
Se solo Tim avesse conosciuto i mostri veri, non lo avrebbe etichettato così solo per il suo aspetto (che, a quanto pare, a detta degli altri non era così...comune) e per i suoi occhi diversi dal normale.
In fondo tutto ciò che era diverso incuteva paura, ma non per questo significava che fosse cattivo. O un pericolo.
I mostri, come sapeva bene, erano incubi travestiti da sogni, maestri dell'illusione che si celavano sotto una falsa gentilezza in attesa di calare la propria arma e rivelarsi, quando meno ce lo si aspettava, in tutta la loro tremenda malignità.
La sua unicità si era trasformata in una condanna, così come quei suoi spigoli che lo portavano ad essere preso a pezzetti di cibo in testa e ad essere additato come un morto di fame o come un poveraccio con la pelle troppo stretta per contenere delle ossa in bella mostra.
Ma per Jules...c'era davvero qualcosa di sbagliato, che non andava nel suo corpo? Mangiava quel poco che poteva e quando poteva, ma...
Il cibo gli era spesso precluso e non andavano molto d'accordo, neanche col suo stomaco, ma non gli sembrava che fosse messo così male. Era normale...vero?

"Ho detto...Lasciala. Stare." fece in modo di scandire le parole quanto meglio possibile, ogni suono ed ogni sillaba che voleva scagliargli contro come frecce, ma la rabbia stava iniziando ad accecare anche lui, stringendo i pugni sottili e assottigliando gli occhi in due fessure.
Probabilmente si sarebbe reso ridicolo perché uno come lui non poteva mai venir preso sul serio, eppure quella sua vocina continuava a ripetergli che di ridicolo lui non aveva proprio nulla, in quel momento. Mentre gli altri stavano a guardare in silenzio, infatti, aveva osato farsi avanti nonostante il timore.
"E no, non la lascio morire di fame, ma la sazio con tante belle storie! Non sono stupide favolette!"

"Gne, gne! L'agnellino ha gli artigli adesso! Non mi prendi! Ah, ah!" sghignazzò, digrignando i denti come farebbe un lupo e rivolgendogli smorfie con la linguaccia, saltellando vittorioso da un piede all'altro e sempre protetto dai suoi scagnozzi che tenevano Jules lontano.
Poi, respirando a pieni polmoni , esplose in sonori "Boom! Boom!" , imitando quei fulmini che a intervalli irregolari si scatenavano al di fuori e che gli rimbombavano, stridendo, nelle orecchie.

Stavolta, però, a ridere rimanevano solo loro cinque.
Il resto dei passeggeri, ormai stanchi ed evidentemente stufi del teatrino, vi distolsero l'attenzione, non prima di averli squadrati con amara rassegnazione, cosa che gli fece scuotere le testoline come per scacciare dei moscerini fastidiosi e stendere arrendevolmente i loro volti e corpi, concentrati sui sedili o sulla strada che scorreva veloce.

E Jules desiderò ardentemente che anche il tempo scorresse altrettanto velocemente, sottraendolo a quell'insopportabile agonia in cui nessuno osò intervenire.
Nemmeno una volta.
Lui era ben consapevole che Tempo non lo sopportasse più di tanto e che si crogiolava nel prolungargli ogni tipo di tortura per divertirsi con il suo burattino preferito, così come era altrettanto esasperato che la gente preferisse abbandonarlo al suo destino piuttosto che porgergli la mano e fiancheggiarlo per trasmettergli anche solo un pizzico di sicurezza e coraggio.
Cosa si poteva aspettare, d'altronde? La sua situazione certamente non sarebbe mai cambiata, così come la certezza di un'amicizia o dell'avvento di un cielo terso e soleggiato, chiaro e sereno.

Dal suo, di cielo, scaturivano per la maggior parte nubi temporalesche, scure e furenti, cascate di triste pioggia , fulmini e saette arzilli e scattanti che falciavano ogni rete e resistenza.
Qualsiasi fosse la circostanza, la tempesta lo avrebbe comunque scaraventato via.

"Tim..." una timida vocina si levò dal sedile di fronte a quello dove Jules era seduto prima, e quasi barcollò per la sorpresa, strabuzzando gli occhi. Era calato il silenzio, ma quella vocina lo aveva risvegliato. Per un brevissimo istante, sperò che stesse per accadere qualcosa di nuovo. Magari si trattava di un miracolo. Era davvero possibile?
"Per-per fa-favore, adesso ba-basta. È...Hai fatto...abba-ba-stanza"

Jules riconobbe immediatamente il bambino che avrebbe adorato per sempre, accucciato nel suo cappellino verde a forma di ranocchia e nel suo impermeabile trasparente con dei girini. Si chiamava Connor -anche se per tutti era Connie- ed era balbuziente, anche lui mingherlino e sempre sulle sue.
Si erano rivolti la parola poche volte ma, anche lui, si limitava ad osservare passivamente ogni azione di Tim, saltellando o agitando le gambe e andandosene via.
Per via del suo problema -che Jules, però, riteneva una particolarità unica- detestava parlare e, piuttosto che proferir parola, si sarebbe fatto incollare la bocca. Letteralmente.

"Oh, ma senti chi ha parlato!" fece Tim, altrettanto stupito. Avvicinandosi a lui e non degnando di uno sguardo la faccia della povera bambina accanto che schiacciò con una mano per scostarla, trasmise in quelli che sapevano essere grandi occhi color nocciola quanto più odio e velate minacce possibili.
"Vuoi problemi anche tu Connieno Salterino? Non sei mica meglio di lui, eh...però sai stare al tuo posto e non mi dai troppo fastidio" accarezzandogli il cappellino, applicò una lieve pressione e lo strinse, per poi levarlo di poco dalla sua testa. "O forse vuoi stare dalla sua parte?"
Connie si tese come una corda di violino e quasi ingoiò le sue stesse labbra, pallide come il suo viso. Ondeggiò freneticamente e scosse mani, braccia e gambe oltre che alla testa, andando su e giù più volte sul sedile, a mo' di salterelli.

"Bene, allora prendi la volpina e schiacciala. O staccale le orecchie e la coda! Sarà divertente!" dettò ciò, gliela lanciò e, al volo, la prese, facendola traballare pericolosamente e chiudendola fra dita instabili che vagavano su di lei alla disperata ricerca di...di qualcosa da strappare o scucire? Avrebbe eseguito gli ordini?

Il bambino si voltò di scatto nella sua direzione, visibilmente spaventato e addirittura in apnea, dati gli occhi ora spalancati, lucidi e arrossati, le labbra ancora ben serrate e il suo petto che non si muoveva di un singolo millimetro.

Se non fosse intervenuto, sarebbe finita davvero male quel giorno.
Per tutti e due.

"TIM NO! NON TI PERMETTERE! O io..."

"O tu cosa, Shimmer? Mi picchi? Ma no, uno stuzzicadenti come te non mi fa neanche il solletico! Ma a tua madre non fai schifo conciato così? Fai davvero pena..."

"SMETTILA! Non ti permettere a parlare mai più o ti...ti..." con ampie falcate raggiunse Tim e, faccia a faccia -o quasi, essendo Jules un po' più alto-, si sforzò di immergersi nell'azzurro di quegli occhi, puntandogli un dito dritto sul petto e premendo quanto riusciva.
Jules si sentì morire.
Quell'azione stava superando i suoi limiti, ma doveva...resistere. E vincere.
Prese un bel respiro e strinse a pugno l'altra mano, potendo quasi avvertire la tensione delle scariche elettriche attraversare lo spazio tra loro, respingendo gli scagnozzi e dirigendosi dritte al cuore del suo avversario
"Lily ti morderà e io ti farò ingoiare la tua stessa lingua!".

Tim deglutì, ma non si scompose, nonostante avesse notato un rivolo di sudore scorrergli sulla tempia e il leggero balzo all'indietro che aveva compiuto non appena si era avvicinato, portando le mani in avanti.

"Connor..." disse poi, rivolgendosi più dolcemente al bambino e allungandogli un braccio.

Ma, purtroppo, iniziò a piangere e a farsi prendere dal panico, sentendosi chiuso e oppresso nel suo angolino.
E fece l'ultima cosa che doveva fare: scagliarla in aria.

Scapicollandosi entrambi, si spintonarono a vicenda finché Tim non se la strinse tra le braccia, sornione.

"Lasciala!" urlò Jules, scaraventandosi addosso a lui con le unghie e con i denti. Non si sarebbe risparmiato per nulla al mondo se non l'avesse avuta indietro.

"No! Sciò, sciò!" e, di rimando, ricambiò il favore. Gettò Lily per terra e la calpestò con i piedi senza pietà mentre, dedicandosi a lui, gli graffiava collo e guance e lo tirava per il colletto della maglietta.
Non fece neanche caso né al formicolio né al bruciore.
Più nero di così, Jules non poteva vedere. Il Vuoto lo avrebbe presto reclamato per entravi in competizione, poco ma sicuro.

Tim gli sputò in un occhio e riprese a malmenarlo per bene mentre continuava a torturare Lily con quelle sue maledette scarpe rosso sangue che Jules avrebbe volentieri gettato via dal finestrino.
Ma, prima di mettere effettivamente in atto quello che aveva in mente, venne nuovamente scagliato all'indietro e cadde per terra con un tonfo.
Massaggiandosi la schiena dolorante, ripensò al fatto che erano ancora in viaggio e che il pulmino aveva bruscamente frenato.

I bambini si affrettarono a scendere, spintonandolo e correndo via dai loro genitori, senza neanche guardarlo in faccia.
Solo Connor, spostandosi da una gamba all'altra, aveva sussurrato un breve "m-mi d-dispiace" e si era avvolto ancora di più nel suo impermeabile, sparendo nella calca.

"Bambini, ora basta! Se non la smettete chiamerò i vostri genitori e la preside e vi lascio a piedi! Che modi sono, questi? Ora state davvero esagerando e non posso sopportare di assistere ad altri casini e stupidi capricci!"
Il signor Barnes, il conducente, si era loro avvicinato e aveva tirato su Jules, aiutandolo a stabilizzarlo. Era un uomo sulla sessantina, con i capelli e i baffi bianchi e gli occhiali tondi.
Indossava, inoltre, un maglioncino un po' troppo stretto che metteva in evidenza quella che definiva "la sua cara pancetta".
Era molto buono e simpatico con tutti i bimbi -che lo chiamavano anche nonno!- ma quando si infastidiva, non si tratteneva dal fulminare col suo sguardo: bastava un attimo per trasformarlo da dolce a intimidatorio.
Neanche il tempo di pensarlo che un fulmine si librò nel cielo, illuminando di una luce sinistra il suo profilo: si trattava senza ombra di dubbio dell'aiutante vendicatore!

"Brutto vecchiaccio!" esclamò Tim, tentando di rifilargli un calcio su una gamba e fallendo miseramente. Jules quasi rise insieme al conducente dinanzi a quella scena a dir poco comica: un bambino tutto impettito, dai capelli irti e scompigliati e rosso da capo a piedi che cercava di trattenere un versetto di dolore a causa del suo stesso attacco.
E poi c'era il signor Barnes, pronto a ribattere e per nulla toccato da quell'atteggiamento.
Anche lui, dopotutto, c'era abituato.

"Ehi ehi ehi...bada a come parli e porta un po' di rispetto! Se non la smetti, chiamo i tuoi genitori e anche la polizia! E sai benissimo che posso, perché i cattivelli come te finiscono in punizione e non la passano per niente liscia. Se non vuoi altri problemi, chiedigli immediatamente scusa e scendi dall'autobus, siamo alla tua fermata. E chiedi scusa anche a me, potrei essere tuo nonno e merito un po' di considerazione. O forse anche con i tuoi genitori e i tuoi nonni fai il moccioso irriverente e irrispettoso? E vedi di chiedere scusa! Guarda che se continui così l'uomo cattivo ti porta via..."
Dopo avergli puntato il dito contro e avergli indicato imperioso l'uscita, Tim marciò a capo chino e scese dall'autobus, ma non prima di aver rivolto ad entrambi una linguaccia.
Jules potè giurare di averlo visto sbiancare per un attimo al solo nominare dell'uomo cattivo, ma forse era solo un'illusione. Ironia della sorte...

Rimasto solo, si rivolse al conducente, sperando che non gli rifilasse il suo famoso sguardo fulminante.
Per fortuna, però, nei suoi occhi vi era solo una triste comprensione che fece sciogliere Jules dall'emozione. Abbassando lo sguardo e guardandosi i piedi per sfuggire a quella pietà che tanto voleva evitare, incrociò le braccia dietro la schiena e disse: "Grazie mille signor Barnes! Mi scusi per quello che è successo e per il fastidio di oggi. Non succederà più"

"Ah, piccoletto! Stai tranquillo, non è colpa tua." rispose, calmo, dandogli delle lievi pacche sulla testa. "Hai reagito, ti sei fatto valere e non ti sei lasciato mettere i piedi in testa da quello lì" nella sua voce, il disgusto più assoluto.

"Ci mancava poco che avessi i suoi piedi in testa!" scattò Jules, alzando per aria le mani.

"Si, hai proprio ragione!" ridacchiò, anche se senza divertimento nel suo tono. A Jules dispiaceva che si fosse rattristato per colpa sua. Come avrebbe rimediato? Quasi gli vennero le lacrime agli occhi, e ancor di più nel vederlo raccogliere Lily da sotto un sedile e restituirgliela dopo averla ripulita un po' con le mani. Erano così calde...
"Sappi che sono fiero di te e del fatto che ti sei difeso con quella tua parte che sogna una bella rivincita, una di quelle che danno voce alla giustizia e silenziano i sotterfugi dell'inganno. Sei stato coraggioso, piccoletto! Ora vieni, siediti davanti accanto a me"

Jules strabuzzò gli occhi, sorpreso. Non era...arrabbiato con lui? E gli aveva appena detto che era stato coraggioso?
Stavolta non si contenne e lasciò che le lacrime gli scorressero silenziose sul viso, pizzicandogli i graffi ancora freschi. Avrebbe aggiunto nuove ferite da battaglia alla sua collezione anche quel giorno.
Nonostante la vista appannata, tentò di guardare Lily dritta negli occhi, assicurandosi che non si fosse rotta niente.
"Oh Lily, mi dispiace tanto, è tutta colpa mia se ti sei fatta tanto male...non ti lascerò mai più! Non accadrà di nuovo, te lo prometto davvero davvero!" mormorò, cosicché solo lei potesse udirlo. Non appena l'abbracciò, stringendola forte al cuore, ebbe la certezza che anche lei aveva capito che avevano vinto e che erano ritornati entrambi a casa, l'uno legato all'anima dell'altra, dipinti da nuovi lividi eppure ancora insieme.

Il resto del viaggio lo trascorsero seduti ad osservare i nuvoloni sempre più scuri accumularsi e arrabbiarsi, rilasciando ogni tanto qualche fulmine e qualche tuono che lo faceva sobbalzare. Tenendosi la volpina sulle ginocchia, la tranquillizzava, proprio come lei faceva con lui: erano un'unica anima divisa in due corpi.
Il dolore di uno era il dolore dell'altra e viceversa, così come per la felicità, la tristezza e ogni altra emozione.
Erano nati insieme e avrebbero vissuto insieme, condividendo della vita ciò che essa aveva da offrire, anche se si trattava solo di sofferenza.
Sofferenza che, però, Jules avrebbe preferito trattenere per sé.
Infine, sarebbero volati in cielo insieme, in quell'eternità in cui nessuno avrebbe mai più fatto loro del male.

"Ora va' a casa e riposati un po'. Salutami tanto la tua mamma e stai attento a non bagnarti! Per qualsiasi cosa chiamami, piccoletto, e con il mio magico autobus arriverò come un razzo per darti una mano."
Gli rivolse un curioso occhiolino e lo salutò con una mano sulla fronte, proprio come facevano i soldati.

"La ringrazio ancora tantissimissimo signore! E anche Lily! Buona giornata!" ricambiò orgoglioso il saluto militare e fece per voltarsi, ma venne richiamato indietro da dei colpi di tosse.

"Mi raccomando, stai attento al tuo casco signor astronauta! Senza di quello come farai a viaggiare nello spazio? "
Il casco! Come aveva fatto a dimenticarlo?

"Porta anche me, un giorno, su nel cielo! Quando mi chiameranno, voglio che sia tu a guidarmi" disse il signor Barnes, porgendoglielo con cautela.
Jules quasi ci si fiondò, tastandolo alla ricerca di eventuali danni.
Era intatto!

"Lo farò senz'altro!"

Dettò ciò, trotterellò fino all'acciottolato che segnava un breve sentiero diretto all'entrata della sua casa completamente imbiancata, candida come la neve.
All'esterno, insomma, era perfetta e lucida come uno specchio, senza alcun difetto, attraversata da rampicanti e graticci di rose che l'avvolgevano in una morsa che, presto o tardi, le sarebbe stata fatale.
Eppure continuavano a stringere.
All'interno, era lurida di buio, sangue e paura, invasa dalla morte e da cristalli di storie in frantumi.
L'altra faccia della medaglia.

E ad un tratto si immobilizzò.
E non solo per quello che stava pensando, ma soprattutto per la vista di un camion e di alcuni uomini che spostavano in tutta fretta mobili e scatoloni all'interno della casa accanto alla sua.
Da quanto non si trasferiva qualcuno, lì? Inarcò un sopracciglio, curioso, e si avvicinò alla staccionata che le divideva per sfamare quel barlume di eccitazione che aveva acceso il suo interesse, per poi essere interrotto da un gattino accorso a fargli le fusa e ad acciambellarsi sulle sue scarpe.

"Hey, Nuvola! Cosa ci fai qui tutto solo? Va' dentro, su, sta per piovere e prenderai freddo!" posò il casco e lo prese in braccio tra miagolii bassi e dolci. Il micino, soddisfatto, vi si accoccolò, propio accanto a Lily, facendogli il solletico alle dita con la sua linguetta umida.
"Ti prometto che un altro giorno staremo insieme e ti porterò quei giochini colorati che ti piacciono tanto!"
Gli dispiaceva sempre così tanto abbandonarlo, ci era molto affezionato!
I suoi anziani vicini lo avevano trovato ferito in un sacco della spazzatura davanti ad un cassonetto e lo avevano portato a casa, curandolo con tutto il loro amore e riportando il calore nella sua vita. Da quel momento in poi, Jules non aveva perso occasione di fargli compagnia e di farlo divertire con giochini e filamenti colorati che tentava di acciuffare con le sue zampine.
Gli avevano detto che era stato chiamato Nuvola per via del grigio del suo pelo, dello stesso colore che le nuvole, portatrici di pioggia, avevano il giorno del suo ritrovamento.
Il cielo quel giorno poteva anche esser triste ma, nonostante ciò, quella tristezza non aveva fatto cedere il povero piccolo, destinato ad una felicità tutta nuova che mai si sarebbe aspettato.
Dal buio aveva scovato la luce!

"Jules, tesoro! Sei arrivato giusto in tempo" urlò la sua mamma dall'uscio della porta, facendogli cenno di affrettarsi ad entrare. Jules liberò il micio e, dopo averlo nuovamente salutato con dei bacini sulla testolina, indossó il casco e venne accolto dal tepore e da un profumino invitante, lasciandosi alle spalle una cascata d'acqua che lo avrebbe ridotto come un pulcino bagnato.
O come un agnellino bagnato.
Si tolse lo zaino e il cappottino e sgambettò verso il piano superiore, nel vano tentativo di evitare la scoperta da parte della madre dei suoi nuovi segni sulla pelle.
Il telefono rosso, come sempre, campeggiava sul tavolino con la cornetta al suo posto.

"Com'è andata oggi? Hai freddo? Vieni, ho preparato qualcosa di caldo...Hey, ma dove vai! E poi con il casco!"

"Sto bene, mamma...devo fare una cosa subito subito!" era pienamente consapevole della sua voce falsata e affrettata, comprensibile anche da sotto la sua protezione.
Ma come avrebbe dovuto fare?

"Mmmh, non me la racconti giusta. Ti conosco troppo bene, cos'è successo? Sai che puoi parlarmi di qualsiasi cosa" ed ecco che in un colpo lo afferrò da sotto le ascelle e lo sollevò proprio come lui aveva fatto prima con Nuvola. Una volta sistemato, levato il casco e notati gli artefici della sua fuga, lo posó in fretta e furia e gli prese il volto con la mano libera, facendoglielo girare prima da un lato e poi da un altro. Un lieve accenno di preoccupazione si fece largo nei suoi occhi, incupendo il suo bel verde. "Jules! E quei graffi? Cos'è successo? Sei caduto? Ti hanno fatto del male?"

"Tim continua a prendermi in giro e ha quasi rotto Lily" disse, arrendendosi.
"Però sto bene e...Sai che sono riuscito ad affrontarlo? È stato difficile ma ce l'ho fatta! Lily è salva e anche il casco non si è rotto! Ammetto però che all'inizio ho avuto un po' di paura...urlavano e non riuscivo proprio a guardarli negli occhi..."
si portò istintivamente le mani alle orecchie, abbassando lo sguardo e sussurrando, ma la sua regina, ora più calma, gli sollevò il mento con due dita, sorridendo apprensiva.

Occhi contro occhi e fronte contro fronte, gli trasmise sicurezza col suo lento ondeggiare e con le sue calde carezze.
Jules sperò che almeno per lei quella fosse una giornata buona.

"È un'enorme vittoria il fatto che tu sia riuscito a non dargliela vinta! Lo sai, vero? E ricorda che non devi preoccuparti se un altro giorno non riesci a reagire e preferisci allontanarti. Esistono giornate buone e giornate brutte, ma l'importante è che tu impari ad essere consapevole di quello che vuoi e che non ti lasci trascinare da bambini o altre persone come lui. Tu vali e meriti di essere rispettato sempre, così come il tempo che impieghi per conoscerti e trovare la soluzione ad ogni problema. Il tempo aspetta pazientemente la tua libertà, perciò non andare di fretta e sii sempre te stesso. Il tempo è nostro amico".

Jules non era altrettanto d'accordo, ma preferì non contraddirla. Quante volte Tempo lo aveva preso in giro proprio come Tim?

"Mamma?" fece poi, mentre lei lo conduceva in cucina, già allestita con una gustosa torta al cioccolato e con della zuppa fumante. "Più tardi, se smette di piovere, andiamo al parco insieme?"

"Ma certo, ottima idea! È da...parecchio che non ci andiamo" Jules colse la sua sincera curiosità e non poteva darle certo torto. Non uscivano mai da soli e, se capitava, venivano strettamente sorvegliati da quel cellulare che non finiva mai di squillare.

Eppure la sua vocina gli aveva assicurato che sarebbe accaduto qualcosa di magnifico. Un miracolo, forse. E quando quelle sensazioni non andavano via in nessun mondo e si presentavano puntualmente alle soglie del suo cuore, non c'era verso di ignorarle.

"Magari conosceremo anche i nostri nuovi vicini! Ho sentito che hanno una bambina della tua età, sicuramente farete amicizia!"

Jules annuì, fiero del suo intuito. Chissà cosa sarebbe accaduto, era così emozionato!
Dondolandosi sulla sedia e gustandosi il pranzo, si lasciò invadere dal ritmo costante della pioggia: se non fosse stato per i tuoni e per i fulmini, l'avrebbe trovata...pacifica, nella sua burrascosa quiete.
Anche il silenzio, però, necessitava di scatenarsi in qualche modo. Che fossero per caso la sua voce? La voce stessa che Jules stava cercando?
Controllare le emozioni era difficile e ne aveva la prova ogni giorno da chiunque lo circondasse, lui compreso.
Prima o poi non si sarebbe dovuti uscire dal tunnel, però? Il cielo, dopo la tempesta, non si sarebbe dovuto schiarire?
Pregò solo che Tempo trascorresse quanto più in fretta possibile: la ricerca dell'arcobaleno non poteva proprio aspettare.

Per Jules e la sua mamma il pomeriggio era trascorso in fretta, scandito dal regolare ticchettio delle goccioline di pioggia che battevano sui vetri delle finestre, incorniciate da candide tende.

Lui e Lily, per un po', avevano scommesso su quale gocciolina fosse riuscita a tagliare un traguardo immaginario per prima, tra lamenti di sconforto per aver perso o tra esulti vittoriosi.

Distraendosi con il suo nuovo gioco era riuscito a non pensare ai fatti di quella mattina ma, di tanto in tanto, le lame nelle sue ossa si smuovevano e iniziavano a insistere per essere scatenate.
Jules le ricacciava indietro, cercava la sua volpina e la stringeva forte, temendo che le venisse nuovamente strappata via.

Poteva esistere una sensazione peggiore di quella? Di quando qualcuno si appropriava di una parte vitale di te, rubandola e fuggendo via davanti ai tuoi occhi mentre scalciavi e urlavi e ti dibattevi nel tentativo di liberarti da quelle catene, da quelle spine che prima ti scorticavano la pelle in segno di avvertimento e poi si nutrivano del tuo stesso sangue per crescere rigogliose, lasciandoti accasciato inerme in un groviglio di rovi?

Jules si sentiva esattamente così quando Lily le veniva portata via.
E la stessa cosa la sua regina.

Come sempre, avendo intuito cosa frullava nella sua testolina, lei aveva accolto entrambi in un caldo abbraccio, per poi dilettarsi in nuove storie e nuovi racconti che li tranquillizzarono e fecero da ninnananna, accompagnati da carezze fatte di parole e canti che li trasportarono in un nuovo, fantastico mondo, dove avrebbero sconfitto la tempesta e tratto in salvo un nuovo regno.

La sua regina Cantastorie li aveva cullati per un po', ammirandoli come solo una mamma poteva fare.
Come se, fra le sue braccia, custodisse il tesoro più prezioso del mondo.

Fortunatamente quel giorno era calma e i cerchi viola sotto i suoi occhi si erano schiariti, lasciando spazio ad un tenue rossore che le chiazzava curiosamente le guance, celando quei residui del suo tipico pallore.
Si stava persino prendendo un po' più cura di sé stessa: aveva ripreso a pettinarsi per bene i lunghi capelli sciolti e a indossare in casa qualcosa di più leggero e corto, nonostante mostrasse le cicatrici; ogni tanto si truccava e rimaneva a fissarsi nello specchio per qualche minuto, toccando con una mano il suo riflesso e con l'altra il suo viso, incredula; infine, fra le varie cose, aveva ripreso a scrivere su fogli svolazzanti come le sue strabilianti idee e accompagnata, con preoccupazione di Jules, da una pioggia di petali di rose rosse che lasciava cadessero attorno a lei, chiudendo gli occhi e immergendosi in chissà che pensieri.

A lui quella pioggia ricordava...sangue.
Non poteva che rabbrividire al solo pensiero.
Anzi, gli veniva la nausea.
Perché a far piovere petali rossi su di loro era lui.

E a volte, ricadendo nella sua stessa spirale di ricordi intrusivi e cercando di non farsi notare, continuava a sgraffignare le tanto dannate caramelle, mandandole giù in un boccone.
Poi, quatta quatta, sedeva da sola con lo sguardo perso nel vuoto, rivolto verso il cielo.
Oppure fissava il telefono all'entrata con una tale intensità da convincere Jules che quasi potesse risponderle e iniziare a parlare.
Forse attendeva davvero una risposta?
O aspettava la chiamata?
Gli aveva detto che per loro era ancora presto ma...perché teneva sospesa una mano sulla cornetta? E perché poi, dopo averla agguantata e stretta in una morsa disperata, la abbandonava e correva via, in lacrime, scuotendo la testa come per scacciare via qualcosa? O qualcuno?
A cosa non riusciva a credere?
Cosa voleva negare a sé stessa?

Anche Jules si comportava così quando i mostriciattoli del Vuoto lo venivano a trovare o quando si sentiva triste e privato delle sue emozioni.
Non poteva biasimarla, ma continuare a vederla soffrire faceva star male anche lui.

Quando, però, gli aveva proposto di fare una cosa insieme, si aspettava di tutto tranne che lo conducesse davanti la porta della Stanza.

Involontariamente si era irrigidito come un tronco d'albero, incapace persino di respirare. Oltrepassare quella porta significava entrare nel Vuoto e nell'Inferno e lasciarsi sommergere da una marea di...di...

Aveva esitato, temendo esattamente la reazione che si era aspettata, ma alla fine si era inginocchiata e gli aveva teso una mano, guardandolo dritto in quei suoi occhi da demone e spiegandogli, calma, quello che aveva in mente.

"Jules mio, vuoi...vuoi dipingere il buio con me? Ti va se...se riempiamo di storie la Stanza? Così nessuno sarà solo, lì dentro, e...potremmo trasformarla nel nostro piccolo rifugio segreto".

Ci aveva impiegato un po' ad elaborare le sue parole, ma si era fidato, lasciando che la corda si allentasse e trascinasse invece nella sua trappola ciò che la Stanza racchiudeva.
Si era così lasciato alle spalle l'odore stantio di polvere e fumo, i cocci di vetro e i pezzi di legno frastagliati, sostituendovi una lucina bianca a rischiare come una stellina la sua fortezza costruita alla bell'e meglio, e tanti, tanti disegni sparsi su quella tela nella quale veniva sempre rinchiuso.
Eppure, in qualche, modo, sotto lo sguardo vigile della sua regina, stava riuscendo a trasformare la sua prigione in un piccolo covo di sogni perduti, dipingendo quelle storie melodiose e avvincenti che lei gli narrava.
Aveva dipinto se stesso come un astronauta, la sua volpina e una ragazza dai nastri colorati, una donna avvolta nel mistero e pagine di stelle che volavano verso una luna abitata da avventurieri che, sospesi nel cielo, custodivano piccole fiammelle e volteggiavano allegri.
A questi si aggiunse la sua mamma, coperta di colori e radiosa nei suoi modi spensierati, cristallizzati in quei secondi che Jules si era assicurato venissero ben impressi nel suo cuore e in quel dipinto che stavano realizzando insieme, solo loro due, come sarebbe dovuto essere da sempre e come forse non sarebbe stato mai.

Lei si era rappresentata accanto a lui, adornata da piume bianche e rose rosse, con indosso un abito cucito con quelle stesse parole che la Cantastorie aveva creato e sparso per il mondo nel corso delle sue avventure. Dopo un ultimo ritocco ai suoi capelli lunghi e fluenti, neri come la notte, si era fermata a riflettere per qualche secondo. Poi, con estrema delicatezza e attenzione, aveva disegnato un uomo con gli occhi simili a quelli di Jules. E non era un uomo qualsiasi, ma l'Esploratore, con tanto di cappello e...telefono rosso!
Era il suo vero papà! E stava stringendo loro la mano!

Si era ritratta, soddisfatta, e aveva ammirato la sua opera, così come Jules, con le mani ben piantate sui fianchi e un sorriso che avrebbe sicuramente raggiunto quelle fiammelle e quelle stelle sparse sul pavimento e sulla parete accanto alla sua fortezza.
Il luccichio negli occhi della madre era stato una vista impareggiabile, commossa e immersa in quell'amore che le era stato strappato via troppo presto e ingiustamente.

"Questo è il mio per sempre, Jules" aveva detto, prendendolo in braccio e poggiando una mano sulle loro tre figure, sopra le quali volteggiava la sua Lily.

"Cos'è il per sempre, mamma?" si era voltato verso di lei, affondando il viso fra i suoi capelli e inspirando l'odore acre della pittura, un profumo così felice rispetto al solito che le aleggiava intorno...

"È il destino, mia piccola stella. E un giorno lo troverai anche tu!"
Giocherellando con i suoi riccioli, gli aveva stampato dei baci sulla testa.
Questi erano baci magici, che sapevano di dolci promesse e di un futuro che prospettava quel tanto desiderato lieto fine.

"Ma è come quello delle fiabe? E poi, come faccio a sapere se questo per sempre è davvero il mio destino? E poi esiste il destino? E poi..."

"Aah, tu e le tue mille domande!" il suo petto scosso dalle risate aveva scatenato un'ondata di sollievo in Jules, in trepidante attesa delle risposte a quei suoi perché a cui era proibito dar voce.
"Non ci sono parole per descrivere come sarà il destino delle persone, sai? Riesco a trovare tante parole per altrettante occasioni ma...questa è un'eccezione. Quando la tua anima si sentirà completa, quando sentirai la magia scorrerti nelle vene e il cuore in subbuglio per l'emozione, sarà allora che avrai incontrato il tuo per sempre, la strada che, come un bellissimo arcobaleno, ti ricondurrà a casa e ti guiderà quando la tempesta sembrerà impossibile da affrontare. È la realtà, non soltanto una favola! Eppure sai bene che il destino è alquanto furbo e arzillo e fa spesso i capricci, allontanando coloro che dovrebbero viaggiare insieme per tutta la vita. Ma sappi che quel tuo per sempre, legato a te da un filo invisibile, troverà in qualsiasi luogo e tempo il modo di ritornare da te. Semplicemente, è qui che sboccerà quel sentimento" la sua mano, prima sul dipinto, si era posata sul cuore di Jules. "E non se ne andrà mai via. Sarà la tua stella polare, Jules. Proprio come tu sei e sarai sempre la mia".

Ed era stato proprio quell'amore infinito e quel germoglio nascente di speranza a spingerlo a correre per il parco principale della loro cittadina, sferzando il vento come un fulmine e rincorrendo quell'arcobaleno che gli stava sorridendo da un cielo cosparso di nuvolette bianche, tutte batuffoli come lo zucchero filato. Aveva assecondato la sua gioia e lasciato scivolar via le ultime lacrime silenziose e le ultime nubi grigie che invadevano la sua mente, prima di fiondarsi, libero, verso la strada cantata dal suo cuore.

Quello sarebbe stato un bel giorno; se lo sentiva nel profondo e non avrebbe permesso a nessuno di rovinarglielo.

Nonostante fosse costretto a fermarsi spesso e a recuperare aria e stabilità per le gambe, non lasciò che la debolezza lo sconfiggesse, ma, piuttosto, assaporò il fresco pungente che gli accarezzava la pelle e gli inondava i polmoni, facendolo sentire vivo e non più il fantasma di se stesso.
La sua mamma, tutta coperta, si era lanciata dietro la sua corsa spericolata, attenta ma divertita e leggiadra, beandosi di quel poco tempo che le era stato concesso per uscire e godersi una giornata normale con un figlio normale.

Oh, se solo avesse potuto urlare al mondo quanto in realtà le loro vite fossero sbagliate e contorte, tutto tranne che normali: una fiaba al contrario di cui erano protagonisti silenziosi, vittime di sogni che non ammettevano alcun lieto fine e di cui erano prigionieri.

E Jules corse, corse e corse ancora, lasciando che il vento portasse lontano le sue paure e i suoi mali. Sognò di volare tra i cieli e di essere libero come gli uccellini che cinguettavano sopra di lui, ignari degli orrori che la terra aveva da offrire.
Corse così tanto da accasciarsi sull'erba, in affanno, lontano dalla madre che aveva seminato ma vicino a quell'albero che era riuscito ad ammirare solo poche altre volte: un maestoso salice piangente dai lunghi rami che salutavano il mondo, sfiorandolo con le loro foglioline. Chissà se gli faceva anche il solletico!
Jules neanche si era accorto di essersi scapicollato per salire sulla collina dove era situato l'albero, ma certamente ne era valsa la pena.
Sollevatosi e assicuratosi che Lily non fosse volata via, si avvicinò a quelle fronde dietro le quali, credette, si nascondesse un mondo nuovo, un universo da scoprire e nel quale rifugiarsi per trovare la pace.

O il suo per sempre.

"Wow! È magnifico qui! Hai visto Lily? Hai visto che rami e che corteccia robusta! È una cupola di foglie magiche, per davvero! Secondo te da dove si entra per il nuovo pianeta? O forse per una foresta incantata? E se fosse stregata? E se in realtà questo albero non è magico e non porta da nessuna parte? E se..."

"Per tutti i cieli arcobalenosi, allora sei tu che stai facendo tutte queste domande! Guarda che gli alberi non parlano, non ti possono mica rispondere!"

Jules sobbalzò, portandosi le mani alla bocca e girando in tondo nel tentativo di individuare la voce tutta allegra che lo aveva colto in flagrante nella sua esplorazione segreta.

"Oh...ehm...io...mi dispiace..." balbettò, raggirando la ruvida corteccia e trovandosi davanti una chioma rosso fuoco, che sbucò assieme ad un corpicino energico già con il dito puntato verso di lui.

"Tranquillo bimbo, non ti volevo spaventare! Scusami tanto, è solo che non mi è mai capitato di trovare un bambino che parla da solo così."
La bambina abbassò immediatamente la mano e saltò fuori dal suo nascondiglio, avvicinandosi a Jules con passi cauti.

Istintivamente si spostó indietro e per poco non si sbilanciò. Lei, però, parve notarlo e si arrestò, aspettando che ritrovasse l'equilibrio e fosse lui a decidere se continuare a parlarle.

Jules si strofinò gli occhi più volte alla vista di quella che gli parve una principessa in miniatura.
Una principessa di fuoco come il colore dei suoi capelli ribelli, fasci di fiamme che ondeggiavano attorno al suo viso piccolo e chiaro, con due guance rosee e tante, piccole macchioline, che gliele costellavano come se fossero polvere di stelle. Non riuscì ancora a guardarla direttamente negli occhi, ma si limitò alla sua salopette di jeans con la gonna lunga fino alle ginocchia e al maglioncino candido al di sotto.

Dire che fosse bella era a dir poco riduttivo e, in quel momento, non avrebbe saputo proprio descrivere né lei né quel brulichio che gli sfarfallava nello stomaco con agitazione.

Cosa...cosa gli stava succedendo?
Forse quel fuoco così rosso e vivido lo avrebbe bruciato se avesse osato avvicinarsi troppo?

Col fuoco non si giocava, no?

"Veramente...io...non stavo parlando da solo. E neanche all'albero" sollevò allora il suo peluche, portandolo davanti ai loro visi per evitare che la sua aura sfavillante e ardente lo accecasse.
"Stavo parlando a Lily, la mia volpina. É la mia compagna di avventure. "

"Hai detto Lily?" la bambina boccheggiò, sorpresa, e per un attimo Jules credette che potesse prenderlo in giro come facevano tutti. Lei, inaspettatamente, gettò le mani in aria e iniziò a saltellare entusiasta, facendo danzare quelle fiamme baciate dai tenui raggi del sole che filtravano dalle fronde e che le disegnavano sagome di ombre sul viso.
"Che cosa super super super carina! Anche io mi chiamo Lily, sai? Lily-Rose Fox al tuo servizio! Ma ti prego, chiamami solo Lily."
Mentre le solleticava il pancino e le dava dei buffetti amorevoli sulla testa, continuò a sorridere come se avesse appena trovato l'amore della sua vita.
"Solo una volpina tanto bella poteva chiamarsi come una bimba bella come me! Hai proprio gusto, già mi piaci"

Jules rimase così sconvolto da non riuscire a formulare nemmeno una parola.
Si sentì così...euforico da credere di star per spiccare il volo ed esplodere nel cielo come un fuoco d'artificio.
Portandosi la volpe al petto, continuò a non realizzare il fatto che qualcuno l'avesse apprezzata e non fosse scappato via a gambe levate alla vista di un bambino tutto in disordine che inseguiva l'arcobaleno e cercava il passaggio segreto per un mondo incantato.

E se fosse lei quella che era destinata a trovare, invece? Come poteva essere una coincidenza che la bambina si chiamasse proprio come la sua compagna, la sua migliore amica?

"Tutto bene bimbo?" disse, sventolandogli le mani davanti gli occhi. "Sei proprio curioso, lo sai? Prima parli da solo e poi fai le facce buffe!"

"Io...io davvero sto facendo facce buffe? Quali facce buffe? E non stavo parlando da solo!"

Jules si sentì completamente fuori di sé.
La testa aveva iniziato a girargli come una giostra nel pieno di un tornando e a vagare senza sosta, inchiodandolo sul posto con una faccia imbambolata.
Fu piuttosto convinto di star diventando rosso come un pomodoro dalla vergogna, tant'è che si allentò il colletto della sua giacchetta verde e fece per sistemarsi i riccioli scompigliati pur di non darlo a vedere e distrarsi dall'evidente imbarazzo.

"In questo momento stai facendo così, guarda!" esclamò, facendo schizzare in alto le sopracciglia, spalancando gli occhi e formando una "o" con la sua bocca a forma di cuore. Dovette ammettere che faceva abbastanza ridere, ma l'argento con cui lo guardava era l'unica cosa su cui fosse riuscito a concentrarsi non appena aveva incrociato il suo sguardo.

Stelle.
Le stelle vivevano negli occhi di Lily.

E riusciva a...guardarle.
Ad ammirarle.
Erano così belle far male, ma il suo cuore non aveva bisogno di alcuna spiegazione: sapeva già che le avrebbe amate tanto quanto il suo sogno di raggiungerle, un giorno.

"Per tutti i cieli arcobalenosi, che maleducata! Non ti ho chiesto come ti chiami, bambino-volpe" si diede un colpetto sulla fronte e attese, dondolandosi sui talloni e inclinando la testa.

"Io mi chiamo Jules. Jules Aslan Shimmer. E sono...un astronauta" si portò entrambe le mani sui fianchi, gonfiando il petto tutto orgoglioso.
Del perché si sentisse così...sicuro e tranquillo, proprio non riusciva a spiegarselo; eppure come avrebbe potuto non rispondere alla chiamata di quegli occhi tanto luminosi, con quel luccichio sbarazzino che racchiudeva un intero universo, un'esplosione stelle pronte per essere collezionate da lui?

"Accipicchia, accipicchia, allora capisco perchè fai tante domande e hai la testa fra le nuvole!"

"Ma la mia testa è qui!" disse, indicandosela confuso e tastandola per assicurarsi che fosse effettivamente al suo posto.

"Sciocchino, è un modo di dire!" ridacchiò, avvicinandosi di qualche passo.
Quanto avrebbe voluto perdersi in quella risata così pura e cristallina...
Era una risata così semplice, eppure capace di incantarlo a tal punto da farla risuonare nel suo cuore vuoto e in frantumi, tenuto a malapena insieme da spine che, come per incanto, iniziarono ad allentare la loro morsa.

La proteggeró ad ogni costo.

"Io invece sono un'artista come la mia mamma e riempirò la mia tavolozza con tutti i colori del mondo!"
Jules accolse la sua vicinanza e il suo sogno, e lasciò che lo esplorasse a modo suo, resistendo alla tentazione di sottrarsi ad un tocco estraneo e, soprattutto, alle sue fiamme giocherellone.
"E credo di averne trovato uno nuovo..."

Lily, ammaliata, fece per racchiudergli le guance fra le mani ma, notando il suo lieve disagio, chiese: "Posso...toccarti bimbo-volpe?"

Jules annuì, piano, abbandonandosi alla sua pelle calda e morbida, candida come il fiore di cui portava il nome. Il suo tocco era così...gentile.
Non faceva male.
Non bruciava.
Era un tepore avvolgente, colmo d'amore e sincera attenzione, proprio come quello della sua mamma.
Ma se lo meritava davvero?
Meritava di essere toccato così da una bambina come lei?

Una cometa.

"I tuoi occhi sono..." cominció, scrutandolo con un'intensità tale da farlo vacillare.

Sono brutti?
Sono demoniaci?
Sono cattivi?

"...Bellissimi! Non ho mai visto niente del genere! Sei un bimbo stupendo, lo sai? Un bimbo stupendo per una bimba stupenda! E poi perché mai dovrebbero essere occhi da demone, i tuoi?"

Jules si scostò bruscamente, sottraendosi a quell'argento e a quel calore che gli fecero mancare improvvisamente l'aria.
Lo aveva...chiesto ad alta voce?
Ma, soprattutto, lei aveva davvero appena detto che i suoi occhi erano...bellissimi?

"Cosa c'è che non va? Forse ti ho offeso? Mi dispiace..." fece Lily, rabbuiandosi e avvolgendosi timidamente le braccia attorno al corpo.

"No!" si apprestó a dire, stringendole una manina. Imbarazzato dalla sua stessa reazione, cercò di rimediare scostandole una ciocca di capelli dal viso e trasmettendole quanta più rassicurazione possibile.

"È solo che...tutti gli altri bambini mi dicono sempre così. Che sono un demone e un mostro e che i miei occhi fanno paura" continuò, inciampando fra una parola e l'altra e tentando di individuare in lei eventuali segni di timore o ribrezzo.

Inaspettatamente, invece, Lily non si ritrasse.
Anzi, apprensiva, si portò una mano sul cuore e sorrise di nuovo; tristemente, questa volta.

"Sai cosa ti dico, invece? Che i tuoi occhi sembrano luminosi come due soli e...dolci e densi come il miele. E io adoro il miele! Sul serio credi che questi siano gli occhi di un mostro? Li hai forse mai visti i mostri veri?"

Sì, tutti i giorni.
E specialmente attraverso il riflesso degli specchi.

Jules abbassò il capo, incerto sul da farsi, ma Lily glielo reindirizzó immediatamente verso di lei, altrettanto indecisa se dar voce a quei guizzi sulle sue labbra ma con uno sguardo risoluto e perentorio.

"I bambini sono cattivi perché credono che le cose strane siano brutte e fatte solo per essere prese in giro. Anche con me si comportano così, sai? Hanno paura della cose diverse e, come vedi, i miei capelli rossi e le lentiggini lo sono alla grande!
Pensano che sia la figlia del diavolo e non fanno altro che ripetermi quanto il mio viso sia sporco e quanto i miei occhi sembrino quelli di uno di quegli spiriti maligni che infestano le case abbandonate."

Jules rimase profondamente colpito dalla sua confessione e, per la prima volta, si sentì davvero legato a qualcuno che aveva subito le sue stesse esperienze e lo capiva.
Una profonda rabbia gli montó nel profondo del petto: come osavano trattare una creatura come lei in questo modo?
Davvero non si rendevano conto di trovarsi davanti ad una cometa di stelle e di fuoco?

Se Lily lo aveva definito un Sole, lei era sicuramente la Luna, bella, maestosa e irraggiungibile.

Eppure, quel giorno era Lily ad essere stata il suo Sole dopo la pioggia, il suo arcobaleno dopo la tempesta.
Non avrebbe mai saputo quanto avesse significato per lui quell'incontro, ma gli avventurieri non erano forse legati dallo stesso, inconoscibile destino?

"Ma la mamma mi ha detto che ognuno di noi è un'opera d'arte e che sono proprio le diversità a renderci unici e bellissimi. Cosa sarebbe l'arte senza la fantasia, sennò?"

Se solo il mondo lo avesse compreso, sarebbe sicuramente stato un posto migliore. Ma i tempi per tutto questo non erano ancora maturi e, finché i colori della fantasia non avessero vinto, sarebbero stati costretti a vivere in una tavolozza di bianchi e neri e di grigie lacrime.

Jules si ritrovó a sorridere assieme a lei, le loro mani ancora intrecciate.
La volpina nell'altro braccio, assecondandoli, vi posò sopra una zampetta, unendosi alla gioia di quel nuovo, armonioso legame, sbocciato sotto la protezione di quel salice che era stato il loro porto sicuro e il loro punto di partenza per un'avventura che avrebbe visto un'Artista e un Astronauta alla ricerca di quei colori con cui avrebbero dipinto la loro storia.

"Oggi sono proprio convinta di aver trovato il mio colore speciale, e questo solo grazie a te, un bimbo-volpe-astronauta altrettanto speciale!"

Colta da un brivido di felicità ed emozione, gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia, per poi donare lo stesso amore alla sua volpe gemella. Poi estrasse dal taschino della sua salopette un foglietto di carta e un pennarello rosso, scribacchió soddisfatta e si allontanò, concedendogli quello sguardo d'intesa tipico di chi aveva appena condiviso una parte di sé e aveva finalmente trovato quell'elemento perfetto per completare il proprio capolavoro, la propria sinfonia.

"Raggiungimi alla fine dell'arcobaleno, astronauta Jules! Saprai sempre dove trovarmi se seguirai la strada del cielo."

E svanì, inghiottita da quella stessa luce che lo aveva condotto da lui e da quelle fronde ondeggianti che li avevano protetti, isolandoli in una bolla di magia e di speranza.

Quel sottile filo dorato che si era avviluppato fra le loro dita, però, sia Jules che la volpina lo avevano notato quando era scattato il legame, e lo avevano visto dilungarsi sempre di più man mano che Lily si allontanava.
Proprio come lei gli aveva assicurato, l'avrebbe sempre trovata: due anime destinate a incontrarsi e a restare insieme, dopotutto, come potevano rimanere separate troppo a lungo?

Jules aggroviglió quel filo attorno al suo polso e si portò una mano sulla guancia, dove aleggiava ancora quel bacio che lasciava trasparire vistose scintille e tenere scoperte.
Continuò per un po' a fissare il punto in cui se ne era andata, quasi come se, da un momento all'altro, potesse ricomparire con quell'unico rosso che non gli aveva fatto paura e quelle stelle che lo avevano incantato con il loro continuo tintinnare.

Varcando anche lui la soglia di quel suo piccolo rifugio, si incamminò allegro come non mai lungo la collina che si era davvero rivelata la via per un luogo magico.
Ma fu soprattutto la leggerezza del suo cuore a rasserenarlo e a convincerlo del fatto che, probabilmente, quello poteva essere l'inizio del suo lieto fine.
Gli era concesso, solo per questa volta, di sperare?
Alzò lo sguardo verso quell'arcobaleno che coronava quel Sole in attesa di tramontare e che sorrideva con lui, felice di non piangere più e di vedere un bambino, vittima delle lame del Vuoto e della notte, pregare che sorgessero tante altre, nuove albe.

Tutto sommato, forse, aveva finalmente trovato ciò che la sua mamma gli aveva promesso.

Il suo destino.
Il suo per sempre.

☄. *. ⋆ Angolo autrice ☄. *.

Buon pomeriggio a tutti carissimi avventurieri! Come state?♥️🌟🩷
Eccovi finalmente il nuovo capitolo, con l'incontro fra Jules e la nostra altra piccola protagonista!🦊🎨

Purtroppo gli impegni universitari e il poco tempo a disposizione mi costringono a non pubblicare spesso, perciò vi ringrazio per la pazienza e spero che continuerete a seguire me e Jules nel corso di questa storia, ci tengo veramente tantissimo🥹♥️🌹.

Altro consiglio: preferite che lasci i capitoli così come sono oppure vorreste che li dividessi? Come vi piacerebbe?

Cosa ne pensate? Il capitolo vi è piaciuto?
Fatemelo sapere nei commenti e, se vi va, lasciatemi una stellina!🌟
E...alla prossima avventura!🌟♥️🌈

PS. Eccovi anche un'immagine realizzata con l'Ai dei nostri due piccoli avventurieri! Che ve ne pare?🥹♥️

Instagram: giuxbooks

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