002

In questi tre giorni ho avuto modo di conoscere molto più a fondo molti Custodi; non sono poi così diversi da me, ma, spesso, gli effetti di un mondo o un altro si vedono parecchio. Basti pensare alla Custode di 007, dove i principi fondamentali sono Purezza, Eleganza e Stile, che si rifiuta non solo di sporcarsi le mani o i vestiti, ma, soprattutto, di fare lo stesso lavoro dei Custodi dalla pelle di colore; invece di impegnarsi come tutti noi, si siede su una poltroncina, il cappotto in pelliccia bianca, i capelli color platino e gli occhi di un azzurro glaciale, e solleva dolcemente il mento, sbattendo le ciglia lunghe e sensuali e pretendendo di essere trattata con superiorità. Non che Anne sia il male del mondo: ho scoperto velocemente che, dietro lo strato di trucco e dietro la maschera che ostentava a tenersi stretta, è una ragazza non solo straordinariamente bella, ma, soprattutto, molto intelligente e sveglia. Purtroppo, molti ragazzi e molte ragazze non sono riusciti a capire che il suo carattere pungente sia solo una lunga serie di paure che si susseguono nella sua mente; diversi la detestano, la guardano male e la insultano anche apertamente per le sue pretese. Vorrei aver avuto spesso il coraggio di difenderla ma, a causa del mio, di carattere, non sono mai riuscito a farlo. Mi limitavo ad abbassare gli occhi, pur continuando a sentire il suo sguardo disperato su di me.
Altri esempi non mancano, ad ogni modo: Edoardo di 017 – Perfezione, Impegno, Dedizione – che non ho mai sentito parlare, ma solo visto lavorare, tutto il tempo, incessantemente, fino a risentirne fisicamente; Silvius di 023 – Giustizia, Equilibrio, Fedeltà – che non perde occasione per dimostrarsi il più corretto possibile verso tutti, dividendo al millimetro ogni fetta di pane e arrabbiandosi per ogni cosa leggermente scorretta – inutile dire che lui e Anne abbiano iniziato a discutere pesantemente sin dal primo istante.

- Forza, muoversi, non abbiamo tempo! –

Mi giro verso destra, dove il ragazzo che ha appena parlato mi lancia un'occhiata con un nonsoché di nervoso; capita spesso di incrociare quegli occhi, di questi tempi, nella mia vita, eppure sono sempre gli stessi: scuri come cioccolata fondente, caldi come una coperta all'inizio dell'inverno, sicuri come il forte legno di una quercia. Mi scappa un sorriso, e così anche a Finn che, per nasconderlo, tossisce nella grossa sciarpa di lana. Lo seguo eseguendo la sua richiesta, e così anche tutti gli altri. Lo raggiungo, e cammino accanto a lui. Sento le voci degli altri Custodi alzarsi man mano che si tranquillizzano e prendono confidenza l'uno con l'altro, chiacchierando animatamente; io e Finn, al contrario, rimaniamo in silenzio. Ci limitiamo a guardare il paesaggio che ci avvolge, mentre continuiamo a passo spedito dell'acerba luce dell'alba; ogni tanto ci lanciamo occhiate, mormoriamo qualche "Attento!", "Di qua!", ridiamo un po' nel sentire i racconti degli altri.

- Occhio alla testa che il passaggio è basso! –

Ecco appunto.
Inclino la testa e per poco non sbatto in pieno sull'asse di legno. È da diverso tempo che ci preparavamo per questo viaggio, ma non credo che nessuno di noi sia mai stato pronto; forse ci siamo illusi, con tutti quegli zaini enormi, le bandane, le provviste... ma siamo solo all'inizio.

Aiuto a far passare le borse e le sacche, prendendole dalle mani ossute di Edoardo e passandole a quelle grandi di Finn che, a sua volta, le sistema in ordine su un'asse lì accanto; alcune sono leggere e contengono solo qualche abito e qualche lenzuolo, mentre, per altri, intervengono diversi Custodi – ci siamo portati con noi ogni cosa che possa mai tornare utile: acqua, cibo, tende, armi. Finito il lavoro, rimango attorno al passaggio per aiutare, porgendo una mano, gli altri ad attraversarlo, mentre gli altri procedono per il sentiero roccioso e trascurato. Diversi mi ringraziano, altri si rifiutano di accettare l'aiuto, e spesso rischiano di scivolare pericolosamente.

- Ti ringrazio, Michael.- pronuncia elegantemente Anne, inchinando leggermente il capo. Abbozzo una sorta di sorriso, e la accompagno fino alla fine della discesa, mentre lei, con le scarpette eleganti nell'altra mano, appoggia cautamente i piedi con fare grazioso, e controllando, di volta in volta, che le suole degli enormi scarponi non la facciano scivolare. Giunti alla fine del tratto di sentiero, mollo la mano distrattamente, e faccio per tornare ad aiutare gli ultimi rimasti dall'altra parte del passaggio. Lei mi ferma, però, e mi lascia un bacio sulla guancia. Forzo un sorriso e riprendo nel mio intento, dimenticandomi dell'imbarazzante ringraziamento in gran poco tempo.

- Complimenti, Michael. –

- Per cosa? –

Guardo Finn, confuso. Lui ridacchia, distogliendo lo sguardo. Siamo di nuovo davanti alla fila e, a causa del passo spedito del mio compagno, siamo anche staccati dal resto del gruppo di una manciata di metri.

- Per la biondina. Hai fatto decisamente colpo, ormai ne sparlano tutti. –

Rimango in silenzio. Non mi aspettavo quell'affermazione, non detta da lui in questo modo, almeno. Mi aveva fatto bene essere un po' utile, lavorare, impegnarmi e aiutare, ma l'ho fatto sin dall'inizio indipendentemente dalla persona per cui lo facevo. Voglio solo mettermi in gioco, provare ad essere qualcosa di più del solito, stupido e banale Michael di 001, come tutti mi avevano sempre etichettato nel mio paese d'origine.

- Ti interessa? –

- Cosa? –

- Lei, Michael, di lei stiamo parlando. –

Il cambio di tonalità di Finn mi stupisce: mentre prima aveva parlato con voce scherzosa e noncurante, ora, invece, sembra... più serio, ecco.
Mi giro verso gli altri Custodi, che continuano a parlare tra di loro, e, non vedendo Anne, torno a guardare Finn. Alzo le spalle. Non so come rispondere, non mi sono mai posto questa domanda.

- Capisco. – sussurra il ragazzo prima di tornare al nostro consueto silenzio.

Alzo gli occhi al cielo che, pian piano, si schiarisce sempre più attraverso le fronde degli alberi. Il terriccio umido sprofonda sotto le suole delle mie scarpe, lasciando lievi impronte sulla strada. Respiro l'aria fresca e un forte odore di funghi mi attraversa le narici, facendomi sentire fame; mi sforzo di non pensarci, e di distrarmi guardando altrove. Purtroppo per me, non c'è molto da guardare: solo l'alto muro del confine, poche varietà di piante e vegetali, e le nuvole giallognole in cielo. Finn calcia una pigna che trova sul suo percorso, ma essa finisce poco davanti a me; la raggiungo, e la calcio a mia volta nella sua direzione. Lui ripete l'azione, sorridendo divertito, e così anch'io. Dopo pochi passaggi, manco l'oggetto, calciando il vuoto e inciampando su me stesso; finisco su Finn che, non aspettandoselo, cade a terra. Ci ritroviamo su un tappeto di foglie marroncine, ridendo. Gli chiedo scusa, e lui, ripulendosi i pantaloni, continua a ridere. Tolgo un filo d'erba dalla punta del suo naso elegante, e rimango un attimo a guardarlo, il viso contornato dai ribelli capelli corvini, le sopracciglia leggermente grosse, le labbra carnose...
A mala pena mi accorgo che anche lui sta guardando me, riprendendo fiato dopo aver smesso di ridere.

- Perché siamo a 002? –

La voce di Silvius interrompe questo strano momento, e sia io che Finn ci alziamo, ripulendoci dalle ultime foglie.

- Cosa dobbiamo fare qua? Non ci siamo già tutti? – gli fa eco Grace di 025, dalla pelle scura come l'ebano e i capelli cortissimi.

Finn, tossendo per riprendere il suo ruolo di autorità nel nostro gruppo, guarda nella direzione di tutto il gruppo di Custodi che, evidentemente, era fermo a guardarci da un po'. Arrossisco, passandomi una mano tra i capelli.

- Devo... devo risolvere una cosa. Arriveremo a destinazione verso la seconda parte del pomeriggio e, mentre voi sistemerete le tende, io andrò in città. Tornerò poco dopo, pernotteremo e riprenderemo il viaggio. Tutto qui. –

Nessuno sembra molto convinto, ma nemmeno tanto curioso da voler ribattere. Riprendiamo a parlare, e sia io che Finn possiamo quasi sentire le chiacchiere degli altri riguardo questa decisione.
Nonostante esse, però, quando il sole inizia ad arrossire, arriviamo a destinazione.

***
Quarto giorno del terzo mese, anno 333 d.S.
***

Non ho resistito. Gli ho detto tutto.
Sembra una cosa tanto naturale e normale quanto sbagliata. Non avrei dovuto, era contro ciò che mi era stato detto, e contro ogni tipo di legge decisa dai Capi riguardo i Custodi. Nonostante ciò, confessare ogni minima cosa a Finn era l'unica cosa che mi avrebbe risollevato il morale. Sapere tutte quelle cose, avere una responsabilità, essere l'Unica... non faceva e non fa per me. Assolutamente, tristemente no.

Mi rigiro nel letto. Oggi non ho lezioni, per fortuna, o almeno non ne ho ancora. Le coperte sono soffici, io mio corpo crea un solco del morbido materasso. Chiudo gli occhi, provo a riposare, a non pensare più ai Capi, alla voce orribile che mi ha parlato, alla solitudine. Sento una mano calda sulla mia spalla e, nonostante sia gentile e familiare, rabbrividisco.

- Dafne... -

- Mh? –

Il fiato caldo del mio gemello mi inumidisce il collo. Mi giro verso di lui. È sdraiato accanto a me, ma, a differenza mia, è già sveglio e vestito. Appoggia la sua fronte sulla mia, socchiudendo gli occhi. Se qualcuno ci vedesse dall'alto, crederebbe di vedere una persona appoggiata a uno specchio, probabilmente: i nostri visi sono uguali, i nasi perfettamente simmetrici l'uno accanto all'altro, le labbra socchiuse e rosee, i capelli corvini. Ci sono poi quelle piccole differenze, portate dalla pubertà, che ci hanno iniziato a separare anche sentimentalmente: io con ciglia lunghe, più bassa, con il corpo più fragile, e lui, improvvisamente così affascinante, così irraggiungibile per tutte le ragazze che lo conoscono a causa del suo corpo muscoloso, il petto gonfio, i tratti maturi. Io, così insicura e bisognosa d'amore, e lui, che, pian piano, si allontanava dalle fanciulle che ridevano al suo passaggio, dai parenti che gli proponevano matrimoni, dai complimenti degli insegnanti; ma non da me, non per davvero.

- Dobbiamo... credo che dobbiamo fare qualcosa, Fifi. –

- Riguardo...? –

- Quello che mi hai detto ieri sera, al tuo ruolo da Custode che ti è stato affidato dai Capi ieri mattina. –

È sempre stato così: coraggioso, fino a diventare ridicolo, spesso. Crede sempre di poter salvare il mondo da solo, di poter cambiare il modo con cui le cose funzionano, di poter sconfiggere chiunque. E per quanto io possa credere in lui, voglio altrettanto che non si immischi in cose impossibili. Provo a farglielo capire, a spiegargli che sono trecento trentatré anni che le cose vanno così, che è la cosa migliore per tutti; ma quel bagliore nei suoi occhi, quella determinazione, sono inconfondibili: nemmeno io, per quanto possa essere una sua copia, posso ormai fare più nulla. Sospiro. Gli accarezzo la guancia, domandandomi quando lo avrei rifatto, quando ne avrei avuto ancora l'occasione.

- Che hai in mente, Ninì? –

Non chiamavo Finn in questo modo da tempo, da quando eravamo piccoli, sempre insieme a scuola, a giocare, ai compleanni: inseparabili – o, almeno, così credevamo allora. Ma tante cose cambiano con il tempo, pressoché tutte.

- Penso... pensavo, dimmi cosa ne diresti tu, - inizia, i suoi occhi si illuminano improvvisamente di speranza, e un piccolo sorriso compare sulle sue labbra.

- Pensavo a una grande ribellione. Di quelle che cambiano la storia, sai. Grande, semplicemente grande: abbastanza da cambiare questo orrendo sistema. –

Non ho mai capito cosa andasse tanto male, secondo Finn, nel nostro Mondo. Poesia, Osservazione, Espressione. Erano ideali molto veri, e non hanno mai portato a guerre, violenze, o altri mali.
Almeno, non apertamente.
Solo il cielo sa cosa accada nelle retrovie, nei vicoli proibiti, nelle ore buie, nelle stanze chiuse a chiave. Apertamente sono tutti educati, gentili, creativi; ma sin da piccole le piccole ragazzine devono stare attente a non girare mai da sole, a coprirsi bene, e a non frequentare ragazzi più grandi di loro, specialmente uomini. Mi è già capitato di passeggiare con mie amiche o in compagnia d'altri e si sentir partire un fischio da qualche individuo che, ridendo, faceva... complimenti. Io affrettavo sempre il passo, lo ignoravo, e ignoravo il mio disagio. Una volta, malauguratamente, è capitato anche con Finn, e la cosa non è affatto finita bene.
Finn stesso si è ritrovato su un letto d'ospedale, tanto per dire; ricordo la notte passata sulla sedia accanto al suo letto, a guardare il suo occhio circondato da una macchia scura, a disinfettare il labbro tagliato, e asciugare il sangue che scendeva dal naso.
Da allora diventò gelosissimo di me: mi accompagnava ovunque e, se qualcuno osava dire una qualsiasi cosa riguardo me che potesse essere leggermente sessista, non esitava a tirarsi su le maniche.

- Promettimi che tornerai da me. - gli dico in un sussurro. Alza lo sguardo, e fissa i suoi occhi nei miei, confuso.

- Come? Pensavo... -

- No, Finn, non... non posso. Non verrò con te. –

Ma neanche ciò riuscì a tenerci uniti, a farci tornare come un tempo: inseparabili.

***

- Torna presto. – mormoro a Finn, la mia mano stretta sulla stoffa della manica della sua giacca. Mi guarda negli occhi, è di fretta, ha il fiato corto e trema leggermente.

- Lo farò. Promesso. – risponde, poi si stacca dalla mia presa e inizia a camminare nel buio con una torcia in mano ad illuminare i pochi metri di terreno davanti a lui. Rimango a guardarlo senza accorgermene, ma lui si volta e, notandomi, ride.

- A dopo, Michael. – mi urla, poco prima di diventare quasi invisibile. Torno alle tende dagli altri, che stanno sistemando il fuoco al centro del campeggio improvvisato.

- Questo viaggio finirà per distruggermi i piedi. – farfuglia Anne togliendosi gli scarponi e rimanendo a fissare le calze bucate e i calli sui piedi.

- In parte ci distruggerà tutti, temo. – le risponde Grace di 025, coprendosi con uno sciarpone e tossendo poco dopo.

Mi siedo accanto a loro vicino al fuoco che prende vita, e mi scaldo le mani accostandole ad esso. Sento il vociare di diverse ragazze provenire da delle tende alle mie spalle, in molti si stanno preparando per dormire, e alcuni cucinano la cena sul fuoco, aprendo latte di cibo e razionando l'acqua. Improvvisamente mi rendo conto di quanta fame io abbia, e il mio stomaco brontola. Mi sistemo per essere più comodo e attendo la cena, che arriva poco dopo.

Sazio e più rilassato, mi siedo nella mia tenda, la più lontana dal muro. Scosto una tendina e riesco a vedere il sentiero preso da Finn; rimango a guardarlo nel buio, sperando di vederlo comparire da un momento all'altro.

- Ehi, Michael, che fai? –

- Niente di che. – rispondo a Einar di 009.

Egli si siede su un sacco a pelo accanto al mio, ovvero il suo, essendo compagni di tenda; il terzo posto rimane vuoto, destinato a Finn, probabilmente.

- Ti ha detto cosa deve fare, a 002? –

- Perché credi che sia così? – domando, non sapendo nulla in più di chiunque altro in questo campo. Einar alza le spalle, sospirando.

- Sembrate molto legati, tutto qui. –

Non rispondo. Lo sento sdraiarsi e coprirsi, spegnendo la torcia che illuminava la tenda.

- Non ci resta che aspettare. Notte. –

- Notte. – sussurro, senza smettere di guardare fuori dalla finestra. Anche se volessi, non riuscirei ad addormentarmi. Inizio a pensare a cosa potrebbe mai fare Finn nel suo paese di nascita: rivedere i suoi parenti? Lasciare un messaggio? Chiunque di noi ha abbandonato tutto per questo viaggio e per questa impresa. Perché mai proprio lui, il nostro capo, non dovrebbe fare così?

La notte avanza, il freddo scende su di noi, e continuo a rigirarmi, sveglio come non mai, ma di Finn non c'è traccia, non fino a molte, molte ore dopo il tramonto. La luna è alta in cielo, e tutti i Custodi dormono da ore, ormai. Vedo il bagliore di una torcia in lontananza, e faccio un balzo sul posto. Sorrido, felice che Finn sia tornato, come aveva promesso. Faccio per alzarmi, ma il corpo di Einar, profondamente addormentato, mi sbarra il passaggio. Torno a guardare fuori dalla finestra, e improvvisamente smetto di sorridere. Un dettaglio mi era sfuggito: le persone che camminano verso il campo sono due.

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