Prologo
Gli posai sulle labbra un ultimo bacio. Tremò il mio uomo di ghiaccio e lo accarezzai teneramente sulla nuca.
«Ricordati di questo, quando ti sentirai solo e in difficoltà. Io ci sarò,» dissi in un soffio.
Lui annuì, infilò le mani nelle tasche del suo vestito costoso e oscillò il corpo magro.
Volevo ricordarlo così: elegante e fiero: Il mio perfetto gentleman.
Trattenni le lacrime per non adombrarlo e salii in auto, mentre Albert, l'autista, non fece nemmeno un respiro.
Non mi voltai mentre l'auto scivolava via, eppure sentivo gli occhi del mio uomo seguirci.
Mi chiesi il motivo che ci aveva spinti ad aspettare troppo tempo, presi a studiarci, a provocarci, entrambi chiusi nelle nostre fortezze.
Mi ricordai del libro di Goethe e di quella frase che mi aveva turbato ed emozionato:
"In questo lasciare e prendere, fuggire e ricercarsi, sembra davvero di vedere una determinazione superiore: si dà atto a tali esseri di una sorta di volontà e capacità di scelta, e si trova del tutto legittimo un termine tecnico come affinità elettive."
La nostra era stata una sorta di "solitudine" elettiva, che ci aveva accompagnato per anni ed era appassita, ma alla fine ci aveva uniti.
Appoggiai la fronte al vetro dell'auto che mi portava lontano da lui, consapevole di non aver avuto molto né di aver dato altrettanto. L'orgoglio si era portato via tutto.
Se qualcosa nel nostro rapporto era stato seminato, ora appariva congelato, rotto e sospeso alla mercé del caso...
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