I disegni dell'innocenza
Una notte, una pioggia di bombe ci svegliò nel sonno.
Una cadde talmente vicino da stordirci per diversi secondi. Io e Raisa come di consuetudine c'infilammo sotto al letto. La cosa che mi fece particolarmente paura non furono le bombe in sé, ma lo sguardo di mia figlia. Era uno sguardo asettico, lo sguardo rassegnato di chi non ha più paura.
Quando inizia a mancare la paura significa che qualcosa non va, comunica che la rassegnazione sta prendendo il posto della voglia di vivere. Ma come si fa a voler vivere quando mancano gli stimoli?
Di Raisa vidi in avanti quel suo costante cambiamento.
Un tempo, quando soffiavano le bombe lei urlava e si disperava tremendamente, anche se il loro suono proveniva da molto più lontano. In quei giorni invece sembrava essersi abituata.
Come si fa ad abituarsi di fronte al suono delle bombe?
Perfino io non riuscivo a rimanerne distante per quanto presa a guardare mia figlia e la sua mancanza di emozioni. Le uniche spaventate eravamo io e la gatta che si nascose nell'armadio.
Terminato quel grappolo di bombe, uscimmo nuovamente fuori.
Lei silente si avvicinò all'armadio e tirò fuori Hope, l'accarezzò come se nulla fosse, come se quell'orrore appena attraversato fosse più noioso di un film visto e rivisto.
I signori Sobolev non potevano ospitarci neanche volendo, nonostante mi sarebbe piaciuto avere più distrazioni per noi. Spesso e di nascosto vedevamo dalla finestra che dava sul cortiletto, che qualcuno li andava a trovare. Erano nostri nemici.
Cosa sarebbe capitato se ci avessero trovato?
Davanti agli occhi di mia figlia sembrò così debole quell'uomo, quando un militare qualunque lo schiaffeggiò con divertimento e lui non faceva nulla per opporsi, al solo scopo di salvarci la vita.
Fiduciosi della sua parola di bravo servo, nessun nemico salì mai ai piani superiori per controllare se vi fosse qualcun'altro oltre a loro.
In quella palazzina ci stavamo solo noi quattro, quattro persone per uno stabile di ventuno famiglie.
Quanto fu dura sopravvivere in quelle condizioni. Mia figlia iniziò a chiudersi in se stessa sempre di più, a consumarsi come una candela.
Quello era un copione già visto e sapevo non avrebbe portato a nulla di buono. Era vivida nell'aria quella sensazione di disagio. Ci voleva un miracolo e così fu.
Venni a sapere che non era l'unica ragazza del piccolo quartiere residenziale in cui abitavamo. A quanto diceva il signor Sobolev, ci stava anche un ragazzo di quindici anni che portava il nome di Leonid. Viveva nella palazzina affianco alla nostra in compagnia dei suoi nonni. Chiesi lui se fosse stato possibile far incontrare i due ragazzi, almeno non si sarebbero più sentiti così soli, e dopo averci pensato a lungo, mi rispose che si poteva fare ma che dovevo aspettare.
Passarono due settimane da quando feci quella proposta al signor Sobolev. Un giorno la porta bussò per tre volte, era diventato il nostro codice di sicurezza, di salvezza. Aprii e vidi il signor Sobolev in compagnia di una anziana donna e di un ragazzino molto magro dagli occhi azzurri cielo e dai capelli biondi paglierino: era Leonid.
Raisa inizialmente si vergognò. Non era di certo nello stato adatto per presentarsi ad un ragazzo. Si vergognava nel non poter esser presentabile. Lui invece le si avvicinò da subito mostrandole alcuni disegni che in quel triste periodo realizzò e lei ne rimase affascinata, tanto che se ne fece regalare tre o quattro. Era molto bravo a disegnare Leonid, un talento naturale.
Quello che mi piacque dei suoi disegni era che mostravano tutto quello che non c'era più. Non disegnava immagini di guerra o distruzione, ma alberi in fiore e laghi puliti con gli uccelli che si specchiavano in essi. Nonostante tutto, la sua fantasia sembrava non esser stata minimamente turbata da tutto quello strazio, sembrava riuscisse a tenere separate la realtà dalla fantasia, come se fosse forte nel credere che quei posti che tanto disegnava li avrebbe rivisti prima o poi. Quel suo ottimismo mi piacque fin da subito, era proprio quello che cercavo per mia figlia. Una compagnia ottimista e positiva.
Anche se parlava poco i disegni parlavano per lui. Aveva un'ampia collezione di colori e di ricordi a disposizione. Lo vidi fantasticare con mia figlia mentre fissavano quei disegni che rappresentavano alcuni punti della città.
«Andremo al cinema e potremmo vederci qualche bellissimo film.»
«Si, e potremmo anche andare sulla ruota panoramica.»
Quella ventata di ottimismo riuscì a ridare speranza a mia figlia, lo leggevo nelle sue parole, nel suo sguardo. Leonid e la sua anziana nonna rimasero con noi per tutto il pomeriggio. Solo poco prima che venne buio tornarono dal nonno. Di certo non potevano lasciarlo solo e non essendo del tutto autosufficiente, aveva bisogno di esser accudito sopratutto nelle ore dei pasti.
Non sapevo quando avremmo avuto la possibilità di rivederlo a quel bambino biondo dal grande coraggio. L'unica cosa che sapevo era che per Raisa fosse terapeutico.
Quella sera a tavola non fece altro che parlare dei suoi disegni e di quanto gli fosse simpatico. Era piacevolmente agitata e allo stesso tempo vergognosa. Credo che le piacque anche se non me lo disse mai apertamente.
Vorrei poter raccontare molto di più di quella giornata, ma i miei ricordi purtroppo non sono molto nitidi. Ho spesso vuoti di memoria accompagnati a vampate di brutti ricordi e carezze di quelli belli. Ma i sorrisi di mia figlia...
... quelli li ricordo tutti.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top