CAPITOLO XXVII - UNA VIA DI FUGA

Nello sterminato intrico di vicoli di Elea, Laura era riuscita a ricavarsi un buon punto di osservazione insieme con un gruppo di cittadini. Con meraviglia aveva ammirato il preannunziato drago: una lucertola alata dalle squame scarlatte, brillanti come una corazza di rubini alla luce del fuoco evocato dalle sue viscere. I suoi occhi d'un arancione simile alla viva fiamma, sarebbero brillati anche nella più fonda oscurità. I suoi artigli erano spade capaci di fendere la roccia, e la sua coda una frusta che non si limitava a ferire le carni, ma ne faceva una poltiglia truculenta.

Si sorprese nel costatare che riponeva tutte le proprie speranze nelle forze armate del Culto, gli inquisitori, che per così tanto tempo aveva rifuggito e disprezzato. Ma quando anche il paladino cadde e di lui non rimase che la sua spada incantata, l'anima della maegi si spezzò in un grido di terrore che non trovò il varco delle sue labbra. La disperazione serpeggiò come una peste fra le povera gente che la circondava: uomini e donne, giovani e anziani, tutti piangevano come infanti dinanzi alla paura. E come biasimarli? Il drago non era un essere compatibile con questo mondo, una singola creatura non avrebbe dovuto disporre di così tanto potere.
La maegi scambiò una rapida occhiata con la bambina, la sua impassibilità la confortò, ridandole uno sprazzo di quiete e autocontrollo in quell'infelice scenario. Aveva lasciato morire uomini, donne e bambini sotto le mura di Elea, la cosa non si sarebbe ripetuta: non di nuovo, non questa volta!
«Mantenete la calma» ordinò, levando la sua voce su tutte le altre. E tutti la guardarono come se d'improvviso si fosse riaccesa una fiaccola di speranza «Lasciarci prendere dal panico adesso, vuol dire mettere la firma sulla nostra sentenza di morte».
«Siamo già morti!» vociò un uomo, con macchie bianche su tutti i suoi abiti.
«No, non se riusciamo a lasciare la città prima che il drago la rada al suolo. C'è qualche passaggio che porti oltre le mura a partire gli ingressi principali?».
Una donna vestita con abiti di cuoio e il cipiglio piuttosto losco, prese parola, pur con un certa reticenza «Ce n'è uno alla locanda della Posterra attraverso una botola alle spalle dell'edificio, ma possono passare due, forse tre persone per volta».
«Cosa?! E tu l'hai tenuto per te! Razza di sguald-» fece per dire un uomo con una casacca di seta verde.
«Adesso non è il momento di accapigliarci gli uni con gli altri!» lo interruppe Laura, irritata «Ora andiamo, dobbiamo sbrigarci».
L'uomo lo fissò con aria disgustata, ma ciò nonostante la seguì.

La strigoi fece strada attraverso le vie e i viottoli che parevano ripetersi sempre identici a sé stessi di volta in volta. Nei rari momenti in cui si apriva un piccolo spiraglio fra gli edifici, Laura vide il drago con un'ala offesa abbattere, torre dopo torre, il castello degli Orimberga, mentre intorno a lei la notte risuonava dei corni di guerra al di là delle mura.

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