CAPITOLO XXIX - PRESCELTI DAGLI DEI

Nord, sud, ovest, est da ogni direzione pervenivano i Cecrope che erano stati capaci di attraverso i blocchi posti dagli uomini. Forse i difensori superavano la tribù nel numero, ma come... come potevano quegli sciocchi esseri limitati sopportare l'orrore infuso nei loro cuori dalla sola vista di un drago? Come cuccioli sotto il grembo della madre, i Cecrope si riunirono al suo cospetto, disponendosi in cerchio intorno a Basilisk. I drappelli di Elea pervennero di lì a poco, nell'ultima strenua difesa della loro roccaforte. Quando non trovarono la morte sul filo della spada, fu il fuoco del drago a ucciderli: fondendo le loro carni all'acciaio che le ricopriva e che avrebbe dovuto proteggerli. Quella battaglia era ormai già vinta, Elea sarebbe caduta prima del sopraggiungere dell'alba.

Venne un uomo dagli occhi chiari, brandendo il vessillo degli Orimberga nella mano sinistra, mentre la destra stringeva una lunga lancia acuminata. Egli la scagliò, ma il drago eresse la sua ala ancora sana a impenetrabile scudo. Lui e il suo ridicolo seguito vennero respinti indietro e decimati, costretti a rifuggire fra i vicoli. I Cecrope si sarebbero occupati di lui in seguito... Fu con sommo stupore, tuttavia, che lo Spezzato vide nella seconda ondata di uomini all'attacco, un ragazzo i cui tratti gli erano decisamente famigliari: la polvere e i solchi delle lacrime avevano degradato il suo aspetto, ma nel suo volto privo di elmo lo Spezzato riconobbe il difensore di Corfini, colui che aveva brutalmente ucciso il vecchio Carapace. Al suo fianco c'era anche quel ragazzino, in vero più simile ad una donna adesso. Il vecchio che li aveva accompagnati, d'altra parte, doveva essere già morto: Basilisk non se ne sorprese. Il giovane al tempo aveva ucciso il capoclan delle Zanne di Veleno dopo avergli mozzato la coda, se ben ricordava. Lo Spezzato si scoprì a sorridere: era certo che Carapace avrebbe apprezzato l'ironia con la quale sarebbe stato vendicato.

Il drago in un gesto mulinò la sua coda, ma all'ultimo istante la ragazza scostò il suo compagno, venendo colpita in pieno e schiantandosi, ruzzolando per vari metri, contro il lastricato in frantumi. Il cavaliere urlò, mentre correva ad accertarsi delle condizioni della sua amica.
Con sprezzo delle loro lacrime, Basilisk rivolse la sua voce nell'Alveare, fin nella mente di Cornofumo, il più recente fra i capoclan interni alla tribù.
«Immagino che la tua gente desideri la vendetta, figlio mio. Eccola lì, servita per te...» disse, proiettando nei suoi pensieri l'immagine dell'umano chino sulla ragazza ormai esanime.
«Vi rendo grazie, mio signore» rispose brevemente quello, mentre si avviava.
Basilisk mugugnò, compiaciuto: si sarebbe volentieri goduto lo spettacolo.

Si infuse nella coscienza di Cornofumo, guardando attraverso i suoi occhi. Sentì nel giovane Cecrope la montante furia che solo la vendetta sa invocare, e la trovò deliziosa.
Ascoltò attraverso di lui i mormorii incomprensibili del cavaliere alle orecchie della sua compagna, le lacrime calde che dal viso di lui gocciolavano sulle guance immobili di lei. Un animo più molle sarebbe stato mosso a compassione, forse. Basilisk non comprendeva più questo genere di cose.
Cornofumo urtò contro qualcosa mentre avanzava e, abbassando lo sguardo, vide in terra la spada avvolta dal barlume dorato, la stessa che aveva impugnato l'ormai defunto paladino. Il Cecrope non ne aveva certo bisogno, la sua lama, per quanto umile, sarebbe stata più che sufficiente. Eppure... quale meravigliosa poesia vi sarebbe stata nel lavare l'onta inflitta al clan, lordando al tempo stesso quel metallo puro con il sangue di un essere umano? Meraviglioso, semplicemente meraviglioso.
Cornofumo lasciò andare il vile ferro della sua spada e raccolse l'arma del paladino: leggera e tiepida al tocco, una lama formidabile.
Il cavaliere lo notò, ma non accennò a muoversi: che si fosse rassegnato all'idea di morire? Coraggioso, certo, ma anche incredibilmente stupido. Cosa ne avrebbe guadagnato dalla resa?
Il capoclan scattò, vibrando il fatale fendente, ma a qualche centimetro dal capo del ragazzo le sue braccia parvero paralizzarsi, quasi una forza superiore avesse bloccato la lama nel suo colpo.
Cornofumo sentì la carne prendere a prudergli, il respiro farsi sempre più corto, mentre un calore innaturale lo pervadeva dentro e fuori. Delle numerose morti che Basilisk aveva esperito, quella era senz'altro la più terribile: il sangue del Cecrope cominciò a bollire nelle sue stesse vene, i capillari esplosero, mentre la carne si scioglieva e le squame si spaccavano. Del capoclan delle Zanne di Veleno non rimase altro che un mucchio di frattaglie fumanti.

Respinto nuovamente nel suo corpo, Basilisk mirò con orrore il cavaliere ridestarsi dal suo sonno di dolore, lo vide alzarsi e allungare una mano alla spada incantata. Senza esitare il drago liberò il fuoco dalle fauci spalancate, ma le lingue di fiamma si disfecero in nugoli di fumo a pochi metri dal ragazzo, quasi un vortice di tempesta lo difendesse simile a una barriera. Il tempo sembrò fermarsi, mentre il cavaliere assumeva la posizione di guardia. La sua figura divenne una sagoma nera in un bianco privo di confini percepibili. Uomini, Cecrope, il fuoco, la città, il cielo per un attimo smisero di esistere: c'era solo quella sagoma nera e il vuoto candido che la attorniava. E Basilisk, dalla prima volta da che era divenuto un drago, si sentì assolutamente insignificante.

Note dell'Autore:

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