CAPITOLO XV - IL MISTERO DEL CONVENTO LINFANUS
«A me sembra un posto come qualunque altro, continuo a non capire la tua reticenza».
Seguendo le indicazioni della bambina, Laura era arrivata in vista di un modesto casolare a due piani, eretto in pietra arenaria. Ai fianchi dell'edificio sorgevano alcune fattorie, tutte in fermento per i frutti portati dalla bella stagione.
«Già, un posto come un altro, se non fosse per quello» replicò la strigoi, accovacciata su un albero mentre la sua puledra era intenta a ruminare l'erba fra le radici.
La maegi seguì la direzione del dito che Artemisia aveva alzato, indicava un'asta bronzea sul tetto, sulla quale era stata saldata una stella a quattro punte.
Sollevò un sopracciglio «Hai paura dei simboli sacri, adesso?».
«Non ne ho paura» rispose la bambina «ma potrebbe mettere a rischio la mia copertura averne uno così vicino».
"Già" pensò la maegi, "creature della sua risma vivono reprimendo costantemente la propria natura". Farla venir fuori era dunque ciò di quanto meno auspicabile si potesse immaginare, se intendevano passare inosservate.
«Ho capito Arti, ma io-» fece per replicare, quando uno scalpicciare di passi le interruppe. Dal fondo del bosco era appena emerso un uomo intento a trasportare grossi ciocchi di legna. Una barba vistosa e ben curata gli riempiva il mento, mentre gli occhi gravati da fonde occhiaie, venivano sormontati da un cappello a tesa larga da contadino.
Quando i loro sguardi si incrociarono, lui sorrise gioviale e lasciò cadere in terra il suo fardello.
«Buona giornata! Voi dovete essere una novizia, benvenuta al Convento Linfanus».
Dopo una breve confusione, Laura incurvò la bocca «Oh, temo abbiate frainteso, mio buon signore. Sono qui solo di passaggio».
L'uomo si corrucciò tutto a un tratto, mentre le sue labbra sparivano in una smorfia seria.
«E vostro marito vi permette di andarvene a zonzo tutta sola?».
Forse per la prima volta in vita sua, la maegi avvertì il viscerale bisogno di far davvero del male a qualcuno. Strinse le dita intorno alle redini e ingoiò ogni improperio.
«Non sono sposata e anche se lo fossi non dovrei dar conto a mio marito di dove vado».
Il contadino rimase attonito, colpito dalla sua risposta, per poi agitare un dito accusatore.
«Voi siete un'indisciplinata! Una peccatrice! Una prost-».
«Priapus, basta così» lo frenò una voce risoluta.
La maegi si voltò di scatto: dinanzi a sé vide una signora avvolta in un talare di iuta bruna, con una cuffia di merletti a contenerle i capelli. Sul volto imperturbabile un paio d'occhi turchesi.
L'uomo grugnì e, raccolta la sua legna, se ne tornò verso la fattoria. Alla donna rivolse un inchino rispettoso, a Laura solo un'arcigna occhiataccia.
«I manovali sono particolarmente agitati nell'ultimo periodo» pareva quasi si stesse giustificando, ma dal suo tono non sembrava affatto così «vogliate seguirmi» le intimò subito dopo, avanzando a passo calmo e controllato verso il casolare.
«Io-» cercò di spiegarsi Laura.
«So cosa siete, venite con me e lasciate il vostro cavallo allo stalliere, se ne prenderà cura».
La donna accompagnò la maegi sino all'ingresso del casolare e, una volta entrate, furono accolte dall'odore dolciastro dell'incenso. Ovunque Laura scrutasse nella penombra vedeva donne vestite allo stesso modo chine in preghiera dinanzi a stelle a quattro punte, o affaccendate nelle più differenti mansioni: cucinare, tener di conto, cucire e tant'altro ancora. Il silenzio era tale che il rumore dei passi echeggiava con incredibile nitidezza attraverso le sale.
La donna dagli occhi turchesi la condusse per una scalinata, sino a giungere in un'ampia camera: l'unica, vista sino ad ora, in cui la luce del sole potesse entrare. Con un gesto rigido la maegi fu invitata ad accomodarsi e, parimenti, prese posto anche lei, dietro la sua cattedra.
Laura la guardò con aria interrogativa, fino a quando non si decise a parlare.
«Sono la madre superiora di questo convento, da quando colei che mi ha preceduta madre Agnes si è riunita fra le braccia del Sol Invictus. Ho grandi responsabilità qui: devo vegliare sulle sorelle più inesperte, affinché non cadano nella tentazione dell'Oblio. Disciplina e rettitudine. Qualcosa che una maegi non può comprendere».
La ragazza rimase a bocca aperta: più si sforzava di nascondere la sua professione, più la gente con cui entrava in contatto lo veniva a sapere comunque "Inizio quasi a meravigliarmi che gli inquisitori non mi abbiano già trovata...".
«Voi siete sporca e insozzata del peccato! Eppure credo che il vostro arrivo in questo luogo non sia stato casuale: il male può servire il bene, talvolta, altrimenti l'Unico non gli avrebbe dato asilo in questo mondo».
Laura accavallò le gambe, posando il mento su una mano «Non posso credere che lo stiate facendo davvero, ma starò al gioco» replicò Laura «Cosa intende dire?!» chiese infine, marcando di ilarità la sua voce.
La donna le rivolse un'occhiata gelida «Intendo dire che questo convento necessita della vostra esperienza in materia di demoni e abomini. Ahimè, gli inquisitori son presi da ben altre faccende attualmente».
Laura si lasciò scappare un sorrisetto divertito «Oh, ma voi sorelle non praticate la magia? Perché scomodare una licenziosa peccatrice?».
«Insolente!» esclamò la superiora, irritata «Foste una delle mie allieve vi avrei già frustato come si deve!».
La maegi chinò la testa di lato «Un vero peccato che io non lo sia... ebbene, dicevate sulle vostre magie?».
La madre provò a dissimulare la sua ira, ma dietro ogni parola le sue labbra fremevano.
«Le sorelle sono autorizzate unicamente a effettuare rituali di natura curativa. Scacciare le creature dell'Oblio non rientra nelle nostre competenze».
Laura corrugò la fronte, piegando entrambe le sopracciglia in un sarcastico dispiacere «Non lo trovate estremamente limitante? Ah, no, interessarsi di queste cose deve essere peccato. Fortuna che io mi sacrifico per voi, beh, di che creatura parliamo?».
La donna si strofinò i polpastrelli «Da alcune settimane ormai i contadini odono rumori sinistri provenire dalle cripte del convento, alcuni affermano persino di aver veduto una donna dalla pelle bluastra passeggiare al chiaro di luna. La presenza di una simile creatura turba il sonno dei manovali, li fa lavorare meno e male. Per non parlare delle novizie più impressionabili, abbiamo già avuto le prime defezioni e io non posso permetterlo. Bisogna provvedere immediatamente a risolvere la cosa».
«Saranno necessarie delle ricerche» rispose Laura «ma da quel che mi dite posso già supporre che si tratti di una larua».
La madre fece un gesto di noncuranza con la mano «Non mi interessa di cosa si tratta, limitatevi a farlo sparire da questo suolo benedetto».
«Va bene» borbottò Laura, già colma di fiele per quel modo di fare «potrei aver bisogno di consultare alcune sorelle».
Il viso della donna si incrinò in una smorfia di repulsione «Il convento è a vostra disposizione, purché non traviate la mente di quelle ragazze».
«Farò del mio meglio per non indurle in tentazione allora» si congedò, scimmiottando un inchino.
Non aveva mai avuto simpatie per il clero e certo non faceva nulla per tenere nascosta la cosa. Negarsi al mondo e invitare altri a fare lo stesso, quando c'era una sola vita da vivere, lo trovava estremamente sciocco. Ciò non di meno non avrebbe tradito la sua parola, avrebbe aiutato le sorelle a quietare la presenza tanto dannosa per loro. Dalla speziale del convento si fece consegnare tutto il materiale necessario: un sacchetto di sale, qualche candela e un acciarino per incendiarle. La prima cosa da farsi era verificare che la creatura fosse una larua, come aveva supposto, e cercare di stabilire un contatto con lei se possibile: le larua non sempre sapevano articolare la propria voce in parole di senso compiuto.
Quella notte la maegi organizzò il suo giaciglio nelle cripte del convento: le tenebre erano fitte e l'umidità scavava fin nelle ossa. Voltando lo sguardo lungo gli intricati corridoi, era possibile osservare i loculi a mezzaluna, recanti il nome delle sorelle trapassate e lì tumulate. Vuoti occhi di teschio sembravano seguirla con lo sguardo: sapeva di non essere la benvenuta fra i morti.
Quando trovò uno spazio abbastanza ampio, tracciò sulla fredda terra un cerchio di sale e dispose agli angoli di svolta d'ogni corridoio candele accese. Adesso c'era luce sufficiente per vedere intorno a sé.
Sedette infine nel cerchio e lì rimase in attesa per diverso tempo. Ben presto perse il conto delle ore, le palpebre cominciarono a pesarle sugli occhi, la mascella che si sganasciava in sbadigli sempre più profondi.
Poi i lumi delle candele ebbero un fremito, un brivido freddo le sfiorò le spalle. Laura scattò in piedi, scandagliando ogni direzione con lo sguardo. Apparve dal nulla, evocata nel gioco di luci e ombre: una sagoma azzurra che camminava nella sua direzione, i lunghi capelli fluivano al suo passaggio, quasi per lei l'aria fosse fatta della stessa sostanza dell'acqua. Il suo era il volto di una giovane donna dalla fronte ampia e gli occhi piccoli, dall'iride blu scura: in vita dovevano essere stati di un nocciola intenso. La larua provò a toccarla, ma la sua mano rimase sospesa a mezz'aria, a qualche centimetro dalla faccia della maegi. Nei tratti della creatura vi fu un lampo di mesta sorpresa.
Laura le indicò con lo sguardo il cerchio di sale che le divideva e la larua a quel punto indietreggiò, per poi volgersi alla sua destra e indicare uno dei centinaia di loculi lungo il muro: su di esso era inciso il nome Lux Maltesi.
«Lux Maltesi, era il tuo nome in vita?» chiese Laura, con un lieve tremolio: non avrebbe saputo dire se per il freddo o per la paura che quell'apparizione le infondeva.
La creatura mosse le labbra, ma tutto ciò che si udì fu un flebile lamento emesso dal fondo di un abisso, incomprensibile alle sue orecchie mortali. Forse capendo di non riuscire ad esprimersi a parole, la creatura si limitò a un breve cenno del capo.
«Riesci a dirmi come sei morta, Lux?» la invitò, concentrandosi per cogliere ogni suo più piccolo gesto.
La larua si toccò il petto tre volte, con l'indice destro.
«Il cuore? Qualcuno ti ha colpito al cuore?».
Vide la creatura denegare, per poi indicare nuovamente il suo nome, toccando le incisioni.
«Ho capito il tuo nome, cerca di spiegarmi più nel dettaglio come sei morta o chi ti ha ucciso».
Una smorfia di sconforto contrasse il viso della larua, prima che questa tornasse a indicare con insistenza il loculo. Un'improvvisa intuizione attraversò la mente della maegi: non stava indicando semplicemente il suo nome, no, stava indicando le lettere che lo componevano.
La prima del suo nome.
«L» pronunciò ad alta voce, onde farle capire che si stavano intendendo.
Poi la seconda del suo cognome, fece una piccola pausa, indicò la prima e infine l'ultima.
«Lame?» la mano della creatura si contrasse in un pugno che vibrò contro le pareti, ma che semplicemente le trapassò come fossero fatte di materia intangibile.
«Sei morta perché qualcuno ti ha pugnalato?».
La larua si potrò le mani ai capelli e spalancò la bocca. I lamenti dall'abisso si fecero assordanti e quando svanì, la luce delle candele si estinse insieme con lei.
Il mattino dopo la maegi si svegliò con il corpo indolenzito: riposare in compagnia dei morti non faceva per lei. L'umidità intorpidiva i muscoli.
Nonostante ciò sii mise subito al lavoro per dirimere il mistero: adesso aveva una base da cui partire, la morte di quella donna.
Le larua esistevano sul piano materiale sino a quando non risolvevano le loro questioni in sospeso, dunque il suo compito sarebbe stato quello di assisterne il passaggio.
Doveva, prima d'ogni cosa, consultare le altre sorelle, al fine di capire chi fosse questa Lux e da quanto tempo fosse morta. Decise così di rivolgersi a Leona, colei che si occupava di istruire le novizie. Era una donna decisamente degna del nome che portava: per la stazza e il cipiglio fiero del suo viso.
«Maltesi, mi chiedete? Era una ribelle, un'indisciplinata con devozione prossima allo zero. Ancora adesso non saprei contare tutte le volte in cui è stata punita, poiché alla fine d'ogni punizione ripartiva a combinar danni peggio di prima. Una vera peste senza redenzione...» il viso di Leona si contrasse in una smorfia, i suoi occhi lucidi rifuggirono lo sguardo indagatore della maegi «eppure, mai ho visto in vita mia un simile talento nella magia. Era come una seconda lingua per lei: davvero stupefacente. Quando si è riunita all'Unico, ormai quattro mesi fa, per la prima volta in cinquant'anni di servizio per il Culto, la mia fede ha vacillato».
Di fronte a quel dolore, Laura sentì qualcosa che le raschiava la gola e gonfiava i suoi occhi. Deglutì, stringendo i denti: sapeva di dover mantenere le distanze da quella storia, la sua mente doveva restare lucida, lontano dal coinvolgimento emotivo.
Identificata dunque la vittima e il periodo del decesso, decise di rivolgersi a quella che in convento era nota come sorella Corvetta, colei che aveva cura di preparare i corpi alla sepoltura nelle cripte. Era una donna curva e scavata dalle rughe, con il naso che le si protendeva dal viso simile al becco di una cornacchia.
«Lux Maltesi» borbottò, strofinandosi la punta del naso «sì, me la ricordo. Cosa vuoi sapere?».
«Le cause del decesso» chiarì Laura, dando un'occhiata inquieta agli strumenti da lavoro della sorella: incrostati di ruggine e sangue.
«Ah, beh, un caso assai strano. Quella poveretta è stramazzata da sola: nessun livido, nessuna ferita, il suo sangue non presentava neanche tracce di veleno».
«Un attacco di cuore?» suppose Laura, portandosi una mano al mento.
«È ciò a cui pensai anch'io» Corvetta strizzò i suoi piccoli occhi d'ossidiana «se solo ci fosse stato ancora un cuore dentro di lei».
«Cosa?!» chiese la maegi, sconvolta.
La vecchia ghignò «La stessa reazione di madre Agnes. Ma dovunque questo cuore sia andato a finire, ad oggi non è più spuntato fuori».
Le nebbie su quel caso si stavano facendo sempre più fitte: stando alle parole della sorella il corpo di Lux non presentava alcuna ferita, dunque com'era possibile rimuovere un organo senza lasciare qualche tipo di traccia sulla carne della vittima? Poteva trattarsi solo di una creatura sovrannaturale: rimaneva da scoprire quale.
Laura conosceva diverse creature in grado di fare qualcosa del genere e, probabilmente, ve ne erano altre di cui la maegi ignorava l'esistenza. Doveva scoprire se vi erano stati dei precedenti. Fu con qualche reticenza che cercò il consulto della madre superiora.
«Che io sappia no. Prima della signorina Lux non vi sono stati altri casi simili» le rispose la donna, tamburellando le dita sottili sul piano del tavolo.
"Ottimo, sono punto e a capo" pensò, scoraggiata.
«Tuttavia ricordo che madre Agnes, prima della sua dipartita, ha fatto riferimento a una qualche sorta di spettro. Che la stessa larua abbia ucciso Maltesi per poi assumerne l'aspetto?».
«Le larua non possono far del male agli umani, sono esseri pressoché innocui» protestò la maegi, contrariata.
La madre sorrise «Forse loro no, ma siete sicura che si tratti davvero di una larua e non di qualche creatura simile ma ben più pericolosa?».
Laura trasalì: era stata sciocca a non contemplare quell'ipotesi. Valutò l'eventualità e ne trovò fondamento nelle parole dello spettro: ella aveva detto 'Lame' che intendesse invece dire lamia? Aveva studiato quelle creature: erano una sottospecie di cugini degli strigoi, piuttosto rara in vero, capaci di consumare l'essenza vitale di una persona. Ma il cuore? Sulle lamie si sapeva davvero poco, forse erano in grado di consumare anche la carne dei mortali... a volerla vedere così c'erano punti che combaciavano, ma altre cose continuavano a non avere senso.
«Ne esistono, ma perché la creatura avrebbe dovuto relazionarsi con me, invece di provare ad attaccarmi?».
La madre sospirò, denegando col capo «Voi mi lasciate interdetta, credevo foste più maliziosa. Non potendovi ferire per via del cerchio di sale, avrà cercato di conquistarsi la vostra fiducia così da spingervi ad abbassare la guardia».
Laura si maledisse per essere stata così ingenua «Forse avete ragione... è probabile che una creatura del genere abbia perseguitato la sua vittima per un po', prima di ucciderla. Lux aveva un'amica o una confidente qui in convento?».
Il volto della madre si fece rigido e serio «Per cose di questo genere dovreste rivolgervi all'istruttrice, è lei che si occupa di sorvegliare le novizie» la ammonì «tuttavia, durante le nostre indagini interne è emerso che una certa Barbara intrattenesse rapporti molto stretti con la Maltesi».
«Provvederò a interrogarla e dopo che avrà risposto alle mie domande, stanotte metterò fine a questa storia» concluse Laura, con voce determinata.
La maegi trovò la suddetta novizia china in preghiera nella cappella del convento. Nonostante il talare, intuì in lei una bellezza semplice e genuina, lontana dalle sofisticatezze delle donne di più alto rango. Le sfiorò una spalla con gentilezza e quella parve riaversi da un sonno profondo.
Laura la condusse in un luogo appartato, dove avrebbero potuto parlare liberamente, senza timore d'orecchie indiscrete. La ragazza aveva la voce tremolante, quasi minacciasse di rompersi in singhiozzi al termine d'ogni frase.
«Non è stato semplice, per una come me, farsi strada nel convento. Qui siamo tutte uguali, ma alcune sono più uguali delle altre...».
«Capisco cosa intendi» la rassicurò «ti prego, continua».
«Non voglio essere ingrata, per carità, è un privilegio per una donna della mia estrazione imparare a leggere e tener di conto; avere la possibilità di consultare i testi sacri... ma le punizioni qui sono severe e, come se non bastasse, ogni novizia cerca di affossare l'altra non appena si presenta l'occasione. Lux era diversa... lei è sempre stata buona e gentile con me. Sai, era stata costretta a venire qui, non era una devota. Veniva da una famiglia di nobili natali e suo padre non voleva disperdere il patrimonio trovandole marito» sospirò «chiunque si sarebbe demoralizzato al posto suo, ma Lux no, lei cercava di cavare fuori il meglio da ogni situazione. Si sforzava di essere libera nonostante le fossero state tarpate le ali» arrossì, abbassando lo sguardo «Io forse pecco di ingenuità... ma ho bisogno di dirlo a qualcuno, ho bisogno di condividere il fardello del mio peccato».
Laura sorrise con dolcezza, sfiorandole una guancia «I tuoi segreti saranno i miei, lo giuro».
Sospirò, prima di lasciarsi andare «Noi, in vero, eravamo molto più che amiche. Nonostante i nostri voti il peccato è stato più forte della volontà e noi vi abbiamo ceduto noi- oh, l'Unico mi perdoni» disse cominciando a lacrimare.
La maegi prese il suo viso fra le mani «Se davvero l'Unico considerasse simili cose una colpa o una vergogna, allora non meriterebbe voti, né preghiere, né devozione. La tua anima è pura Barbara... ma ora, per quanto mi addolori, devo chiederti di fare uno sforzo e ricordare se Lux abbia mai fatto menzione di eventi insoliti prima che, beh, prima che accadesse ciò che è accaduto».
La ragazza sorrise timidamente, chiudendo le mani di Laura fra le sue, ma quando parlò una fitta malinconia le adombrò il volto.
«In vero, sì, poche settimane prima della sua morte diceva di sentirsi osservata e che aveva scorto nell'oscurità delle luci di colore azzurro. Diceva che un'entità di qualche tipo la stava perseguitando e che temeva per la propria vita...» le labbra della ragazza si incresparono e i suoi occhi tornarono a inumidirsi.
«Questa notte mi assicurerò che la tua compagnia sia vendicata. Se la parola di una maegi per te ha qualche valore, allora contala come una promessa».
Il tempo che la separava dal venire della sera procedette con insopportabile lentezza. Avrebbe voluto che al suo fianco ci fosse Artemisia. La bambina le avrebbe infuso coraggio con la sua sola presenza: si trovò quasi ad ammirare lo stoicismo con cui la piccola strigoi aveva affrontato ogni difficoltà. Per un attimo una minuscola parte di lei desiderò essere come la sua compagna di vagabondaggi. Ma ciò non era possibile: maegi era solo la sua passione e la sua professione, lei era un essere umano in tutto e per tutto e questo voleva dire affrontare due nemici ad ogni battaglia: il primo la paura... il secondo ciò che gliela causava.
Come la notte precedente Laura si recò nelle cripte e lì tracciò il cerchio di sale, diede fiamme alle candele. Stretta al ventre portava la sua saccoccia, rimanendo in attesa che qualcosa accadesse. La lamia le venne incontro con la stessa malinconia in viso e ancora una volta provò a toccarla, senza però riuscirvi.
«Dimmi cosa sei» le intimò Laura, accigliata.
La creatura rimase sbigottita dal tono della sua voce e indicò il loculo di Lux e il teschio che vi era posato sopra.
«Tu menti, ho sempre avuto pietà di ogni creatura, ma era davvero necessario uccidere quella ragazza? Non potevi nutrirti senza spezzare una vita? Lei era innocente!» le gridò, infilando una mano nella sua sacca.
La lamia indicò la stessa sequenza di lettere della notte precedente.
«Basta inganni, mi hai costretta a diventare ciò che più odio» con un movimento del piede Laura spezzò il cerchio e si preparò a sfoderare la sua arma. La lamia la fissò a lungo, nei suoi occhi c'era solo dolore: alzò l'indice, verso il corridoio alle spalle della maegi.
Lei si voltò di scatto e dinanzi le si parò la madre superiora: i suoi occhi erano due luci blu nella penombra. Lo sguardo di Laura saltò dalla larua alla donna che si avvicinava a passo sostenuto.
«Hai già capito, non è vero?» la sua voce, lentamente, si fece più grave e più rauca «Capita raramente che cuori così ricchi di mana varchino questa soglia. La maggior parte delle novizie sono così povere di predisposizione alla magia. Mentre tu, cara la mia maegi sei un pasto succulento».
«Cosa sei tu?» chiese Laura, indietreggiando «Una lamia?».
La madre superiora scoppiò in una risata gutturale e profonda «No, sciocca mortale, la tua amichetta ha provato a dirtelo ma i suoi occhi non leggono oltre ciò che è scritto sul suo loculo. Io sono una Megera» ghignò «o meglio, La Me-gera».
In un batter di ciglia il suo viso mutò fattezze: la mascella si afflosciò come perdendo le ossa che la sostenevano; l'incarnato pallido si fece grigio, similmente a quello di un cadavere prossimo alla decomposizione. I suoi occhi turchini si rivoltarono in bulbi bianchicci e senza iridi.
«Hai vissuto da donna libera e stanotte morirai nella cripta di un convento, non lo trovi ironico?» osservò la megera mentre unghie nere facevano capolino dalle sue dita. In uno slanciò saettò verso la maegi. Strida gravi colmarono le cripte, all'unisono si estinsero le candele. Ciò che rimase... fu solo oscurità.
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