CAPITOLO VIII - FOCOLAIO D'ANIME

Erano passati due giorni da che le truppe erano partite dall'accampamento presso Colle Gobbo e pur inserendosi di tanto in tanto nell'Alveare, Basilisk evitava accuratamente di rimanervi troppo a lungo. Aveva difatti scoperto che quell'incanto provava profondamente tanto la mente quanto il corpo, lasciandolo in breve privo d'ogni energia. Dopo aver compreso ciò, aveva dato disposizione alla sua scorta affinché gli fossero portate bacche, funghi, fiori e radici selvatiche onde preparare un elisir per vincere la spossatezza. Nel momento del bisogno sarebbe stato fondamentale.
Dopo aver pestato tutto all'interno di un mortaio aveva riversato il liquido all'interno della sua fedele fiaschetta di pelle bruna, la stessa che l'aveva accompagnato nei giorni del suo esilio. Sembravano passate ere da quei giorni, eppure nella realtà delle cose si trattava di quanto? Sì e no qualche settimana.

I suoi occhi arancioni, spaccati dalla pupilla rettile, si posarono sul Respiro del Drago: la fiammella del nucleo aveva un effetto quasi ipnotico, poteva rimanere a contemplarla anche per ore. Rammentava il giorno in cui l'aveva trovata: fuggendo da una tempesta si era rifugiato in una delle grotte che scavano all'interno dei Renei, la catena montuosa situata nell'estremo est, e lì l'aveva rinvenuta: coperta di polvere, fra le dita senza carne di uno scheletro. Alla sua gente aveva raccontato anche di due tavole di pietra: baggianate. La realtà era ben diversa: stregato dall'artefatto aveva in breve preso l'abitudine di dormire avvolgendolo col proprio corpo squamoso, e una notte, in un sogno vivido aveva udito le stesse parole riferite poi al thig: io sono il respiro del drago, d'anime arde la mia brace.
Il mattino dopo s'era risvegliato con la certezza che fosse stata la pietra a dirgli quelle parole e questo l'aveva riportato a casa, dalla sua gente.

Nel fondo della sfera traslucida ora vedeva la piccola fiamma vibrare e capì che era giunto il momento. In un solo sorso ingollò la sua pozione, ripulendosi poi la bocca con una passata di mano. Chiuse lentamente gli occhi e lasciò che la sua coscienza scivolasse nella mente collettiva.
«Figli miei, avete raggiunto la vostra destinazione?» chiese, lanciando quella domanda nella moltitudine di voci che lo circondavano.
Un collettivo giunse in risposta, ma all'appello mancavano alcune voci: Carapace e i suoi soldati. Fu un Cecrope della sua schiera a darne ragione.
«Non siamo ancora arrivati, signore».
Basilisk contrasse il viso in una smorfia infastidita, guardando attraverso gli occhi di Carapace capì il motivo di quel ritardo: il vecchio si ostinava a condurre la prima linea, rallentando di conseguenza tutti coloro che erano al suo seguito.
Lo Spezzato si portò una mano al volto, sospirando rumorosamente.
«Non possiamo attendere oltre, verremmo individuati» esordì Neraserpe.
«Concordo, il bacucco prima o poi arriverà a destinazione, e il reame non avrà comunque né il tempo né modo di reagire o proteggere il villaggio» incalzò Branchiamuta.
Basilisk rimase in silenzio per qualche istante, concentrandosi affinché i suoi pensieri rimanessero ben serrati nelle spire della sua mente.
«Così sia» si arrese infine, avvertendo accendersi nel cuore il furore dell'imminente battaglia.

Tutto iniziò... i Mamba strisciarono fra le ombre degli alberi e dei vicoli scuri incassati ai lati delle strade. I Ramarri barrirono nei loro corni da guerra. Le Vipere Rosse si scagliarono ad armi spiegate, fra le urla del popolo inerme e gli ordini gridati di fretta, a gran voce, dalle guardie nemiche.
Basilisk vide attraverso gli occhi di Squamardente una porta di legno di una casa dal tetto di paglia e fango, la vide sfondarsi e la sua mano serrarsi sulla collottola di una donna dai denti sporgenti. L'ascia le fracassò il cranio, mentre la disgraziata invocava il suo inutile dio, cieco nella notte.
«Per Basilisk lo Spezzato! Per la gloria del Drago!» urlava Squamardente, mentre il sangue schizzatogli sulla faccia si confondeva al naturale colore delle sue squame.
Un uomo si afflosciò quando il pugnale di Neraserpe passò silenzioso sulla sua gola. Le urla di un soldato sprofondarono nel silenzio all'apice di una lancia, brandita da Boaspira.
La spada di Zannasulfura si dissetò nelle viscere d'una guardia esanime.

Ovunque, ovunque ascoltasse e vedesse sentiva il grido di vendetta risuonare in quattromila voci.

Basilisk assisteva al massacro ed insieme lo guidava, lui che vedeva tramite gli occhi di ognuno. Sperimentò su sé stesso il dolce nettare dell'omicidio e se ne inebriò sin quasi al coito; visse la morte innumerevoli volte e ne rimase atterrito, in un gelo di tenebra.

Il fiato cominciò a farsicorto col volgere delle ore, ma impose al suo malmesso corpo di resistere, innome degli ideali che lo muovevano.
Il Respiro del Drago adesso brillava e la fiammella s'era espansa, appenacontenuta dietro la superficie traslucida della pietra.
«Mio signore, si sono arresi. Sono per lo più donne e bambini» riferìNeraserpe, senza riuscire a nascondere un moto di timore nella sua coscienza.
Basilisk guardò alla sfera: per un attimo brillò così tanto da minacciare diaccecarlo, e quando il bagliore rientrò seppe qual era la risposta.
La voce gli tremò...
«Non fate prigionieri. Dal primo all'ultimo, massacrateli tutti. Che né uomo,né donna, né bambino rimanga in vita nei villaggi degli uomini».
Questo mormorò, mentre altre parole risuonavano nella sua testa in guisa d'unavoce profonda e ancestrale come la terra stessa
Io sono il Respiro del Drago e d'animearde la mia brace.

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