CAPITOLO IX - IL MOSTRO DI MONTE ARGANO
All'inizio non contava di sostare in quell'oasi per più di una notte, ma ben presto si rese conto che i giorni nella casa di Aconito scorrevano in modo diverso rispetto al resto di Clitalia. Era come se il tempo si sfilacciasse e le ore perdessero il loro fardello. Le mattinate trascorrevano fra lunghe passeggiate nel verde, cercando con lo sguardo qualcuna delle incantate creature. Mentre di notte si addormentava china sul corpo del lupo: scoprendo i piaceri delle sue virtù e il candore del suo manto argentato.
Ma giunta al quarto giorno dal suo arrivo, Laura decise che era giunto il tempo di andare, onde riprendere il suo cammino. Con un lungo bacio si congedò dal suo amante, affondando per un ultima volta nel calore del suo abbraccio. Quando ripartì, Artemisia riemerse dalle ombre degli alberi, in cui era svanita per tutto il tempo del loro soggiorno.
«Hai giaciuto con lui» osservò la bambina, affiancandola nel cammino verso sud-est.
«La cosa ti sconvolge?» chiese Laura, sorridendo a mezza-bocca.
«Non credo» rispose, con tono asettico «sono solo due corpi caldi che si uniscono».
«Ottimo spirito d'osservazione, Arti» ironizzò la maegi «ma non è solo questo, è anche entrare in contatto con qualcuno. Nel modo più intimo che ci sia».
«Non capisco» commentò la strigoi, con aria confusa «quindi lo ami?».
Laura si portò una mano alla bocca per nascondere le risa.
«Mi hai preso per una di quelle svampite da canto di taverna? No, Arti, mi piaceva il suo corpo e il suo carattere. E tanto è bastato. Voi strigoi non avete di questi stimoli?».
Artemisia inclinò il capo su di un lato.
«Non ho mai incontrato un mio simile o, se l'ho fatto, non ne ho memoria. Ma credo funzioni in maniera diversa, per noi».
Laura sospirò.
«Un giorno magari lo scopriremo».
Il viaggio a sud-est si delineava attraverso sterminate steppe, chiazzate da rovi variopinti. In quelle terre il vento, anche durante la bella stagione, spazzava con vigore, seminando polvere e polline dalle terre orientali verso l'occidente più fondo. Lungo la strada le due vagabonde condivisero il viaggio con un attempato pastore nomade, accompagnato dai suoi maleodoranti armenti.
Il vecchio era un buon uomo, con metà dei denti ingialliti ancora in bocca.
«Bella scignora, deve tenere attenscione da queshte parti. I branchi di lupi che sce ne vanno in giro non ashpettano altro che mangiarsci carne tenera come quella di una bambina».
Laura lanciò un'occhiata ad Artemisia, aveva seri dubbi che un qualsiasi predatore avrebbe mai osato anche solo avvicinarsi ad una strigoi: erano in cima alla catena alimentare.
«Ma non preoccupatevi, che i miei cani li terranno a bada quei bashtardi» esclamò il pastore, orgoglioso.
«Finché sono con voi, non temo nulla, signore».
E a quelle parole sembrò arrossire sotto la vecchia pelle rugosa.
«Comunque sce cercate un villaggio, vi sci porto io, eh. Sce n'è uno proprio sciu queshta shtrada».
La maegi mugugnò, in un gesto affermativo.
«Ci sono templi laggiù? È da tempo che non rendo grazie all'Unico».
Il vecchio se la rise di gusto, strizzando gli occhi dalla forma allungata.
«L'unico templio ce l'avete intorno, scigniorina. Qui sciamo gente scemplice e conosciamo sciolo dei fatti di vento e shteppa».
La ragazza fu sollevata nel sentirlo: almeno in quest'occasione non avrebbe avuto il Culto fra i piedi, né avrebbe dovuto temere l'ombra cupa dell'Inquisizione.
Il villaggio in cui Laura fu accompagnata si trovava alle pendici dell'unico altopiano nel raggio di chilometri. Il promontorio aveva levato le sue braccia di terra e roccia per ergersi come protettore di quelle capanne fatte di paglia e pelli d'animale. Lo chiamavano Monte Argano e, stando alle voci che rumoreggiavano nell'insediamento, al suo interno si celava un mostro le cui grida risuonavano attraverso la roccia, nelle notti più cupe.
«È un essere terribile, mia buona signora» le disse l'oste dell'unica simil-locanda presente nel villaggio «e quando qualche sgavezzacollo è entrato nella grotta dell'Argano per affrontarlo, non s'è più visto né sentito» concluse, passandole un bicchiere ricolmo di latte d'asina fermentato.
«Da quanto tempo si trova lì?» chiese Laura, bevendo un sorso della dolciastra bevanda.
«Qualche anno ed è una gran bella gatta da pelare» continuò l'oste, rifilandole un piatto con strisce di carne speziata e pane nero abbrustolito.
«Come mai?» domandò lei, mentre si riempiva la bocca con quelle rustiche delizie.
L'oste abbassò gli occhi sottili, posando entrambe le mani sul bancone.
«Beh, Monte Argano era la nostra principale fonte di sostentamento. Nelle sue viscere ci sono vene d'oro e d'argento, ottime assai per commerciare con le grandi città dell'occidente. Qui viviamo una vita semplice, è vero, ma la comunità di questo insediamento sognava di diventare la prima città sotto il Vento».
Laura sospirò: questa gente era decisamente più umile e gentile dei villici di Doraspiga, aiutarli non le sarebbe dispiaciuto. Ma avrebbero avuto modo di pagarla? Doveva pur pensare al suo sostentamento. Ci rifletté per qualche istante, prima di prendere una decisione.
«Ascoltate, per me è un rischio anche solo dirvelo ma, ecco, io sono una maegi».
L'oste sbarrò gli occhi, arretrando di qualche passo: il terrore sembrava averlo paralizzato, doveva certo averne ascoltate di cotte e di crude circa le streghe e i loro malefici.
«Non siete come dicono i predicatori» balbettò l'oste, superato un attimo lo shock iniziale.
Laura sollevò un sopracciglio, piuttosto divertita da quell'osservazione.
«Cioè naso bitorzoluto e pelle verde come il maligno rovo?» denegò col capo «No, non siamo così, ma il Culto ama ricamarci sopra».
«Loro qui non hanno avuto molta fortuna» asserì l'uomo, ora un po' più tranquillo «i nostri dei sono più antichi e potenti».
«Ne sono certa» replicò lei, con un cenno del capo «comunque sono disposta ad aiutarvi con questo problema, a patto che la mia presenza qui non sia resa nota a nessuno dei sacerdoti che dovesse trovarsi a passare da queste parti e che, a lavoro concluso, mi siano forniti due cavalli per proseguire il mio viaggio verso est».
L'espressione del locandiere si fece seria e solenne tutto a un tratto.
«Sul Vento, l'Artiglio di Lupo e il Re dei Pastori io lo giuro. Il tuo segreto non conoscerà orecchio al di fuori del mio».
L'uomo porse il suo braccio destro e la maegi lo strinse con decisione.
Più tardi quella sera, venne allestito un giaciglio per Laura e la sua compagna di viaggio, in una delle tante capanne lasciate vuote all'interno dell'insediamento. La ragazza continuava a interrogarsi sulla creatura che avrebbe dovuto affrontare l'indomani. La stessa creatura le cui grida, miste a lamenti, echeggiavano attraverso la cassa di risonanza della grotta, scavata nel ventre della montagna.
"Come si può dormire la notte, con simili rumori?" pensò, contemplando il giaciglio vuoto accanto al suo. Seduta all'ingresso, Artemisia contemplava le strade attraverso lo spiraglio delle tende: i suoi occhi fissi, il suo sguardo indagatore.
«Sai chi conserva un segreto meglio di un uomo sotto giuramento?» le chiese la bambina, non disturbandosi neanche a volgersi verso di lei.
«Uhm?» mugugnò Laura, rigirandosi nelle coperte di lana ruvida.
«Un uomo morto» sentenziò la strigoi.
Quelle parole la urtarono, talvolta tendeva a dimenticare la vera natura della sua compagna.
«No, Arti» si limitò a rispondere, sbadigliando e rannicchiandosi con la faccia contro il cuscino.
«Ti ostini a essere buona ed onesta in un mondo che non è né l'una, né l'altra cosa. Perché lo fai?» chiese, con quella che pareva una genuina curiosità.
«Il fatto che la maggior parte delle persone non sia decente, non è una giustificazione per non esserlo a mia volta» rispose pigramente, chiudendo gli occhi.
«Sarà...» mormorò la strigoi, con tono scettico «qualche idea su che creatura sia quella nella caverna?».
Laura sbuffò, contemplando il soffitto di pelli cucite insieme.
«Ho pensato a una banshee, visto tutto il baccano che fa. Ma non ne sono sicura».
«Le banshee non uccidono, si limitano ad annunciare l'imminente morte di qualcuno».
«Hai ragione...» sospirò Laura «immagino che domani scopriremo di cosa si tratta».
Quella notte la ragazza si addormentò dopo un lungo dormiveglia funestato da incubi angoscianti, forse evocati dalle grida della creatura. Vide dinanzi a sé una luce accecante, il cui solo contatto era sufficiente a causarle ustioni e vesciche sulla pelle bruna.
La mattina dopo, di buon'ora, si alzò e fece una frugale colazione a base di formaggio duro: il meglio che quel piccolo insediamento potesse offrire per un rapido pasto. L'ingresso alla grotta, che scavava nel Monte Argano, era preceduto da un malmesso capannone in cui erano riposti rozzi picconi consumati dalla ruggine, quasi per intero. Le carrucole giacevano riverse sul pavimento, divorate dalle tarme. Gli abitanti si sarebbero disfatti di quella roba, sostituendola, una volta che avesse posto rimedio al problema.
Laura si inoltrò nelle fauci della spelonca, trovandosi presto immersa in una grigia penombra che soffocava il fiato. Dal soffitto pendevano zanne traslucide di pietra, le quali erano protese a congiungersi con le stalagmiti sottostanti. L'umidità s'era raccolta in basse pozze d'acqua sul suolo, in cui Laura riusciva a scorgere il suo stesso riflesso: un paio d'occhiaie segnavano i suoi occhi castani. Ma ciò che più attirò il suo sguardo fu il complesso di sculture che spuntavano qui e là per tutto lo spazio della grotta: l'artista che le aveva scolpite doveva avere un talento fuori dal comune, oltre a una prodigiosa conoscenza dell'anatomia umana. Si intravedevano le vene in basso rilievo sul dorso delle mani, le linee dei muscoli contratti in una fuga precipitosa e i lineamenti del viso ricamati in calchi di puro terrore.
Nelle fattezze l'artista aveva ritratto uomini comuni delle steppe, cavalieri erranti venuti dall'occidente e persino qualche sacerdote. Rimase ammirata da tanta bellezza e varietà, ma non potè fare a meno di domandarsi perché qualcuno avrebbe dovuto portare in un posto del genere queste sculture. Poi un terribile dubbio le attraversò la mente.
«Laura, abbassa lo sguardo e non rialzarlo per nessuna ragione!» ordinò Artemisia, con una punta di allarme nel suo consueto tono monocorde.
La maegi udì qualcosa che strisciava alle sue spalle, i sibili sottili di decine e decine di serpenti, un bagliore verde riflesso in una pozzanghera d'acqua. Luci incastonate su un viso di donna con un nido di vipere per chioma.
"Una gorgone, che razza di stupida... avrei dovuto capirlo".
«Chi siete? Perché non mi lasciate in pace?!» si lamentò la creatura, emettendo un lungo sibilo.
Negli occhi scuri di Artemisia, Laura scorse gli occhi dell'essere densi di furia.
«Cosa hai fatto alle persone entrate qui?» chiese Laura, sforzandosi con ogni cellula del suo corpo di non levare lo sguardo sulla gorgone.
Lei sbuffò, irritata «Pietrificati, come meritavano! Venuti per tagliare e ferire, venuti per uccidere. Sporchi, sudici umani».
Alla maegi sarebbe bastata una singola parola e Artemisia avrebbe fatto a pezzi la gorgone senza battere ciglio, un semplice ordine e l'insediamento sarebbe stato al sicuro da una creatura così pericolosa. Ma quello era il modo in cui agivano gli inquisitori. E lei non era un inquisitore, non trovava piacere nell'inutile violenza contro esseri senzienti.
«Ascoltami, io non desidero farti alcun male, ma non puoi restare qui. Devi lasciare questa grotta».
Un grido di rabbia provenne della creatura, le spire della sua coda si serrarono attorno al corpo di Laura. La ragazza sentì il fiato venirle a mancare, la stretta tanto poderosa da minacciare di stritolarle le ossa. Chiuse gli occhi, mentre i sibili dei serpenti si facevano sempre più vicini.
Poi qualcosa smosse una ciocca di capelli della maegi, la presa svanì e quando la ragazza riaprì gli occhi Artemisia era al suo fianco, e la gorgone si stava rialzando, alle sue spalle la parete di roccia aveva una profonda crepa.
«Sai di non poterla uccidere, quindi limitati a rispondere alle sue domande» le intimò la bambina, con un fugace bagliore scarlatto nello sguardo.
«Maledetta strigoi» imprecò la gorgone, rimettendosi in equilibrio sulla coda serpentina.
«Perché provi tanto odio nei confronti degli esseri umani?».
Chiese Laura, con la voce più dolce e materna che le riuscisse di tirar fuori.
La gorgone esitò un momento, prima di rispondere sommessamente.
«Io non odio gli esseri umani, io voglio restare sola. Soltanto questo».
Laura fece un passo verso di lei, mantenendo basso lo sguardo.
«Eppure dev'essere successo qualcosa, ho sentito i tuoi lamenti».
La creatura sibilò di nuovo «Perché ti interessa sapere?! Non è questione che ti riguarda!» berciò, di nuovo infiammata.
Laura fece un altro passo «Desidero soltanto aiutarti, te l'ho detto, non voglio farti alcun male».
«Tu menti!» ringhiò, inferocita.
Colmò la distanza fra sé e lei, Laura levò le mani e cercò l'ovale del suo viso. Quando lo trovò lo strinse delicatamente, sentendo sotto i polpastrelli morbida pelle umana. Il bagliore verde si estinse, nelle pozze d'acqua sul suolo.
La maegi alzò lo sguardo, affondandolo nelle iridi smeraldo della gorgone. Le serpi sul suo capo, dapprima adirate, si quietarono rimanendo inerti.
La ragazza ingoiò il suo terrore, e mantenne la sua voce calda e materna.
«Liberati del tuo dolore, io sono qui per questo» e così dicendo le stampò un lungo bacio sulla fronte. Lacrime calde le bagnarono le palme, scivolando lungo i polsi bruni.
La gorgone scoppiò in un pianto dirotto, fra le braccia di Laura e sotto gli occhi impassibili di Artemisia. E solo quando i singhiozzi si furono placati, la creatura trovò la forza di narrare la sua storia.
«Non sono sempre stataquesta... cosa. Un tempo ero unaragazza qualsiasi, nata nel villaggio ai piedi del Monte Argano. Mowan, l'umile figlia di un pastore che, come moltesue coetanee, sognava di sposare un ragazzo nobile, bello, coraggioso» unsorriso amaro le si delineò lungo le labbra nere «gli stupidi sogni di unaragazzina. Lui non era così... il ragazzo di cui mi innamorai: era venuto nel miovillaggio al seguito di un vescovo, insomma, era uno dei suoi pupilli investitodel compito di convertire la mia gente al Culto. Era così imbranato con quellesue lentiggini e i capelli rossi come frutti di cespuglio. Ricordo che duranteuna delle nostre conversazioni io lo baciai, spinta da chissà quale impulso.Lui esitò prima di cedere... quella notte facemmo l'amore per la prima volta» lagorgone deglutì, prima di continuare «le prime settimane andarono a meraviglia,ma non mi ci volle molto per rendermi conto che un'ombra lo stava corrodendodall'interno. Era come se avesse un pensiero fisso di cui non riusciva aliberarsi. Era senso di colpa, ma con me non ne parlò mai. I novizi hanno ildovere della castità; e quando confessò ciò che era accaduto al suo superiore...quest'ultimo si infuriò».
Le lacrime presero nuovamente a scorrere «Mi accusò di aver stregato il suopupillo con le mie arti femminili, di averlo corrotto e che, dunque, meritavouna punizione esemplare. Mentre mi conduceva in questo luogo, il ragazzo cheavevo amato distolse lo sguardo, nonostante lo implorassi di aiutarmi. Ilvescovo raccolse le sue pietre e scagliò la sua maledizione e da allora sonodiventata ciò che sono adesso. Reclusa in questo luogo, costretta a tramutarein pietra gli sciocchi che vengono ad affrontare il mostro del Monte Argano».
Laura sentì la sua bocca incurvarsi in una piega amara, gli occhi farsi lucidi.Tirò tre profondi respiri, prima di parlare.
«La tua è una triste storia, Mowan» la gorgone sussultò nel sentir pronunciareil suo vero nome «ma esiste un luogo, a nord-ovest di qui, che può restituirtila pace».
«Questa grotta è la mia prigione, ma anche tutto ciò che resta dei mieiricordi...».
«Già, ricordi che ti rammentano costantemente i torti che hai subito» la vocedella maegi si fece decisa «quel ragazzo non meritava il tuo amore e se davverone fosse stato degno non avrebbe lasciato che il suo superiore ti facessequesto».
Fece una pausa, recuperando un attimo la calma «Inoltre, presto o tardi, il Cultometterà le mani anche sul tuo villaggio e quando questo accadrà ti daranno lacaccia uomini che sapranno cosa sono venuti ad affrontare. Non lasciare chesiano loro a decidere, la tua vita può ancora essere felice nonostante tutto.Prenditi la tua libertà!».
«Perché insisti tanto nell'aiutarmi? Cosa te ne viene?» chiese la gorgone,tanto confusa quanto grata.
«Io sono una maegi e conosco bene l'intolleranza, la crudeltà degli uomini. Nonlascerò che rovinino quanto di bello c'è ancora in questo mondo. E tu, mia caraMowan, sei parte di tale bellezza».
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