CAPITOLO II - BASILISK LO SPEZZATO

Pallide squame, appena attraversate d'una lieve sfumatura rossa, si accartocciavano in spirali sgraziate intorno ai muscoli inerti come quelli d'un cadavere appena spirato. Le dita del suo piede volgevano in ogni direzione, come intrappolate nei disegni contorti dei rami di un rovo.
Al suo fianco, poggiato sull'erba soffice, giaceva il vecchio bastone: la sua gamba di legno, con la punta che ancora raccoglieva i residui di linfa, polvere e merda dei suoi viaggi. "Basilisk lo spezzato", "La lucertola storpia" questi e altri lusinghieri nomignoli risuonavano nella sua testa, in un brusio confuso.
Adesso, tuttavia, aveva l'occasione per zittire una volta e per tutte quelle voci, riducendole al silenzio: il Grande Drago gli aveva servito l'occasione per dare uno smacco al fato e dimostrare che anche uno scarto ha il suo posto nel più ampio disegno delle cose.

Squamardente gli venne incontro: una singola occhiata bastava a ricordargli la differenza fra quest'ultimo e lui. Il corpo sano e possente; le squame di un rosso accesso, lì a promettere vigore e lussuria. La rara coda spinata, letale tanto quanto la mazza chiodata forgiata dal più dotato fra i fabbri.
Un Cecrope di tal schiatta aveva in sé tutte le potenzialità per realizzare le proprie ambizioni, eppure quel giovane aveva deciso di riporre nel malconcio Basilisk tutti i propri sogni, tutte le proprie speranze.
«I capiclan sono riuniti, le loro armate accampate. È tempo di cominciare.» esordì il ragazzo, porgendogli la mano.
Basilisk la scostò con gentilezza: non aveva bisogno di aiuto, non per rimettersi in piedi. Afferrò il bastone e con lo sforzo congiunto della gamba sana e della coda si issò, con un gemito soffocato.
«Quanti sono accorsi alla nostra chiamata?»
Squamardente mugugnò, forse cercando di mettere insieme i ricordi di ciò che aveva veduto e ascoltato.
«Boaspira e Zanasulfura sono venuti con mille Cecrope peduno.»
«Sono tuoi coetanei, non mi aspettavo niente di meno» osservò, con un sorriso «gli altri?»
«Neraserpe si accompagna a un contingente di cinquecento guerrieri, mentre Carapace e Branchiamuta, beh, circa un centinaio ciascuno. Inoltre vi sono almeno trecento indipendenti che si sono voluti unire a noi, nonostante il parere contrario dei loro Clan.»
«Uhm,» rifletté Basilisk «quattromila Cecrope saranno più che sufficienti per il momento. Quando la guerra sarà iniziata e i nostri trionfi saranno sotto gli occhi di tutti, vedrai che anche altri si uniranno.»
«Lo spero» sospirò Squamardente, con aria pensierosa «nei giorni a venire faremo la storia...»
«Tua madre sarebbe fiera di te, ragazzo. Della guerra che stai per intraprendere.» gli disse, stringendogli la spalla con una mano.
«Conoscevi mia madre?» chiese il giovane, con voce stupita.
«Sì, la conoscevo.» replicò.
«Eravate amici?»

"Amici?" non era la parola che avrebbe usato per descrivere il rapporto con la Viverna Rossa. Ricordava ancora il thig durante il quale era stato decretato il suo esilio dal Clan delle Serpi Scarlatte: ricordava la stretta dei ceppi, il tintinnio delle catene. La Viverna desiderava ardentemente offrirlo come sacrificio al Grande Drago, in rispetto delle antiche tradizioni.
Era stata Neraserpe a farle notare che "Essere uno storpio è un disonore, ma non una colpa." e che dunque un esilio a vita sarebbe stato più appropriato per quello che era, a tutti gli effetti, un peso per la belligerante società dei Cecrope. Quelle parole erano state dure da ascoltare, ma nonostante tutto gli avevano salvato la vita.
La Viverna aveva accettato malvolentieri la decisione del thig, consolandosi con il pensiero che uno storpio, solo e senza aiuto, sarebbe morto comunque nel giro di pochi giorni. Buffo che la capoclan delle Serpi Scarlatte alla fine lo avesse preceduto nel cammino verso la tomba.
Suo figlio era di altra pasta: forte e orgoglioso quanto sua madre, certo, ma non altrettanto ottuso. Per fortuna del Clan e dell'intera Tribù.

Le armate, come aveva ben detto Squamardente, erano state tutte riunite e gli accampamenti erano stati stabiliti alle pendici del Colle del Gobbo. Basilisk guardò quella terra brulla e scura. In un tempo lontano i Driadi, antenati dei Cecrope, avevano subito una cocente sconfitta in quelle terre. Balthazar, il principe driadico, aveva tradito la sua gente in favore degli uomini e aveva scatenato sui suoi ex-compaesani la furia di un'armata di non morti.
Proprio il luogo di quella disfatta sarebbe stato il punto di partenza per cancellare l'onta della sconfitta.
Gli accampamenti brulicavano di gente, tutta intenta a prepararsi per le battaglie a venire: c'era chi affilava le spade, forse sottratte a qualche nemico in una passata razzia; c'era chi arroventava al fuoco la punta di una lancia mentre altri ancora facevano il computo delle scorte prima della partenza.
Il padiglione dei capoclan, a differenza delle altre tende, era stato posto sulla cima della collina. E fu lì che Basilisk si diresse: il bastone incise la terra, aiutandolo a combattere la pendenza. Ma fu grato che Squamardente fosse lì con lui, ad evitare che cadesse e potesse ruzzolare giù lungo il declivio.
"Sarebbe davvero una morte ingloriosa." pensava, prima di arrivare finalmente al tendone.

Esso era costituito da pelli di vacca conciate e cucite insieme, passate con strati di fango ed erbe di palude, perché il tessuto non venisse arroventato dal sole. All'interno un grosso ceppo era stato piantato nel terreno e su di esso, come un grande tavolo, era stata posta una lastra di pietra circolare; sulla superficie della stessa giacevano mappe sporche di sangue rappreso, piccole pedine di legno dipinte alla bell'e meglio.
Quando Basilisk fece il suo ingresso, i capi si alzarono dai loro seggi, insegno di saluto.
I più anziani, tuttavia, non sembrarono troppo contenti e si risedettero ancor prima che lo Spezzato prendesse posto insieme con loro.
«I miei camaleonti hanno individuato i centri principali nel Regno degli Uomini. Ho valutato varie opzioni e credo che il nostro primo obbiettivo dovrebbe essere la Fortezza di Valpurga: fornisce reagenti utili alla magia per la gran parte delle città, tagliati fuori loro, indeboliremmo sensibilmente le difese magiche del nemico.» esordì Neraserpe, cercando approvazione nei presenti.
Branchiamuta rise di gusto, con la voce ruvida data dalla veneranda età «Non essere ingenua, ragazza: la magia degli uomini è debole. Lakedemia è la loro città-caserma, è lì che dovremmo indirizzare le nostre forze.» Carapace seguì l'intervento con un cenno del capo.
Un'accesa discussione era lì sul punto di nascere, quando Basilisk la smorzò, schiarendosi la voce.
«Apprezzo la vostra intraprendenza, signori miei. Ma colpire una qualsiasi delle città-fortezza, vorrebbe dire sacrificare un gran numero di vite fra i nostri schieramenti. Il nostro obbiettivo primario rimane Elea, assaltarla con un esercito dimezzato sarebbe un vero e proprio suicidio.»
«Dunque cosa suggerisci di fare?» lo invitò Zannasulfura, con lo scintillio che accompagnava le sue scaglie dorate.
«Il mio consiglio è di mirare alla prima fonte di approvvigionamento del nemico: i grandi villaggi abitati in prevalenza da contadini. Una volta privati dei viveri, le loro fortezze si trasformeranno rapidamente in gabbie di roccia e ferro per gli affamati.»
«Ma attaccato il primo villaggio, gli altri potrebbero correre ai ripari, o richiedere rinforzi.» fece notare Boaspira.
«Non se l'attacco viene portato avanti simultaneamente.» intuì Squamardente, voltandosi di scatto verso lo Spezzato.
«Esattamente,» confermò Basilisk «se agiamo in fretta non si renderanno neanche conto di cosa è piovuto loro addosso.»
Branchiamuta sbuffò, incrociando le braccia dinanzi al petto.
«Che razza di bottini possiamo aspettarci attaccando dei miseri villaggi?! Metà dei Cecrope là fuori è scesa in guerra per accumulare ricchezze.»
«Io vi ho promesso Elea ed Elea avrete, con tutti i tesori in essa contenuti,» incalzò Basilisk «ma è necessario agire con astuzia. Mettendo per un attimo da parte le nostre ambizioni personali.»
Carapace sputò in terra un grumo di saliva e veleno, con una smorfia scolpita in viso
«Ti riempi la bocca di belle parole, Lucertola Storpia. Ma lì sul campo di battaglia tu non ci sarai, saremo noi a combattere e morire!»
«Non rivolgerti così a-» fece per rimproverarlo Squamardente, ma Basilisk lo trattenne.
«Hai ragione vecchio Carapace: non posso combattere, ma ti sbagli quando dici che non sarò lì, insieme con voi. Il mio corpo è inutile quando si tratta di brandire una spada o una coda, ma la mia mente... questa è tutt'altra storia.»
Non sapeva se tutti avessero già compreso fino in fondo cosa stesse per dire, ma l'intero concilio si ammutolì, in attesa delle sue prossime parole
«C'è un motivo se per secoli siamo riusciti a sopravvivere, nonostante le nostre differenze, nonostante le nostre divisioni e screzi. C'è un motivo se la Tribù ha potuto evitare le persecuzioni degli uomini e prevenire i tradimenti. Questo è potuto accadere perché la nostra anima, miei cari compagni, è emanazione di un'unica grande entità chiamata il Grande Drago. Possiamo muoverci come un unico essere, un unico essere fatto di migliaia di braccia, zanne e artigli. E no, la mia non è una vuota metafora signori miei... sapete di cosa sto parlando.»
«L'Alveare...» mormorò Neraserpe, in un tremito, mentre ogni altro all'interno del padiglione taceva.
«Folle, sei un folle!» esclamò ancora la Cecrope «C'è una ragione se l'Alveare non viene più utilizzato da almeno duecento anni. Hai idea di cosa comporti condividere la propria coscienza con quella di altri quattromila Cecrope?! Un simile legame potrebbe condurti alla pazzia!»
«La mia mente è forte, la mia volontà è salda, capoclan dei Mamba. Non lasciarti ingannare da questo corpo malmesso.»
«Se credi di farcela, io sono con te!» disse Squamardente, alzandosi in piedi.
«No che non ce la farà! Come potrebbe?»
«Se dovessi impazzire, potrete sempre sopprimermi cari compagni. Tutto ciò che mi interessa è il trionfo della mia gente.» la spense Basilisk, mentre Zannasulfura e Boaspira si scambiavano un'occhiata, dando il loro consenso.
«Se non hai a cuore la tua vita, allora non spetta a me convincerti a preservarla.» sospirò Neraserpe, accettando suo malgrado.
«Carapace e Branchiamuta, anche voi dovete prendere una decisione.» li invitò Basilisk.
Il vecchio si sgranchì le ossa rattrappite, facendole scricchiolare mentre si alzava.
«Ah, l'Oblio mi prenda! Questo decrepito Cecrope non ha nulla da nascondere. La mia testa è onesta tanto quanto la mia bocca!» esclamò, seguendo la scelta generale.

Lo Spezzato piantò i suoi occhi in quelli sfuggenti di Branchiamuta. Passarono alcuni istanti prima che, infine, si arrendesse.
«L'orgoglio me lo impone ed io non posso che piegarmi alla volontà di questo concilio.»


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