tre: crisantemo

crisantemo
/cri·ṣan·tè·mo/
sostantivo maschile

Dal gr. khrysánthemon, comp. di khrysós 'oro' e ánthemon 'fiore', accentato secondo il fr. chrysanthème.  In Italia è considerato il fiore dei morti per la coincidenza della sua fioritura autunnale con la commemorazione dei defunti (2 novembre).

"La morte non è mai la fine".
Me lo ha detto una volta Alice in una delle tante conversazioni estive che facevamo seduti nelle vecchie panchine del campetto, una di quelle conversazioni che cominciano per caso e si concludono con discorsi fin troppo filosofici. Vorrei tanto averle creduto quella volta, dirle che c'aveva ragione, che ero solo testardo, ma il problema è che non ci credo tuttora: la morte è la fine, inevitabilmente. E sotto sotto lo sapeva pure Alice Riccobono, anche se quella maschera di ragazza dura e forte non voleva toglierla mai. Tuttavia, quando sua madre è morta, qualcosa è finito: sono finite tutte le scampagnate con i parenti e gli amici di famiglia, le gite al parco per tirare i pezzi di pane alle oche e le ramanzine per le ginocchia sbucciate. Quella volta Alice è finita per sempre. Ricordo con estrema nititezza l'immagine di quel carro funebre che attraversava le strade di Palermo, le ruote che sembravano sfiorare l'asfalto rovente, il silenzio tombale che avvolgeva tutto il quartiere, gli sguardi delle vecchiette dietro le persiane. Alice Riccobono era scappata con una peonia in mano, mi aveva piantato in asso senza nemmeno salutarmi e poi, d'improvviso, la bara di sua madre, piena zeppa di fiori, dominava tutta la scena. Potreste considerarlo un caso, ma per me non lo è mai stato, ho sempre saputo che il mio destino e quello di Alice fossero destinati a incrociarsi, che quello sarebbe stato solo l'inizio di qualcosa di più grande, qualcosa che, con il passare del tempo, ci avrebbe soltanto logorato l'anima.
La piazza del nostro quartiere non ci mise molto a riempirsi di gente curiosa.
«È morta Carmela» sentivo bisbigliare
«Dicono che il marito l'ha ammazzata» diceva un'altra voce
«Se l'è cercata, questo per non badare al marito ed uscire la sera» continuava un'altra
Come poteva essere così cattiva la gente? Come poteva commentare in questo modo la morte di una giovane donna? All'epoca non riuscivo ancora a comprenderlo, sentire quelle parole mi fece stare malissimo, conoscevo la signora Carmela, mi aveva sempre trattato bene, mi offriva sempre da mangiare quando stavo a casa sua per giocare con Gino. E poi, d'improvviso, non c'era più.
Il carro avanzava ancora la sua lenta corsa quando Alice sbucò dalla folla.
I suoi occhi erano fissi nel vuoto, le lacrime che le accarezzavano il volto sembravano non smettere mai di sgorgare, la bocca era serrata, il corpo paralizzato davanti a quella scena da brividi.
Come si sopporta il dolore? Come si fa a reggere un peso come questo? La verità è che in ventitré anni non l'ho mai capito. E non lo capivo allora che di anni ne avevo fin troppo pochi. Ma capii che Alice aveva bisogno di qualcuno che l'abbracciasse, che le facesse capire che non era sola, che la vita non si ferma quando una persona esce di scena.
Così corsi verso di lei.
Non so quanto persone dovetti strattonare, ma dopo qualche metro arrivai finalmente da lei.
Teneva ancora stretta quella peonia, con la testa chinata verso la strada dissestata e logorata.
«Le persone che muoiono vivono nei nostri ricordi» fu l'unica cosa che riuscii a dire.
Alice Riccobono non mi rispose, si limitò ad alzare lo sguardo e ad annuire con la testa.
D'un tratto allentò la presa sulla peonia che stringeva fra le mani, la lasciò scivolare lentamente, mentre una ruota del carro la calpestava. Fu quello il gesto che segnò la fine.

***

Odio i funerali.
Ci costringono a salutare persone che non vorremmo mai salutare e che, in qualche modo, hanno fatto parte della nostra vita. Per non parlare del dolore, non sono mai riuscito a metabolizzare una caduta per strada, figuriamoci un lutto. Ma Alice Riccobono era forte. Lei ha sempre sopportato tutto. Inutile dirvi che quello fu soltanto il primo di tanti dolori e, ahimè, il primo non si scorda mai. Andai al funerale. Lo feci per lei. Perdere una madre a undici anni non è per niente facile, e lo capii anche allora, così mi diressi da solo verso la chiesa in cui si sarebbe tenuto il funerale.

Mi sedetti in fondo, in una panca che stentava a restare in piedi, e ascoltai tutta la messa. Anche in chiesa sentivo i commenti delle signore, sembravano non curarsi della mia presenza, era come se non ci fossi.

"Il marito è stato, te lo dico io"
"Hanno detto che è caduta dalle scale"
"L'ha spinta lui"

Commentavano tutto. Come se la vita della madre di Alice fosse la loro, come se avessero il diritto di sindacare sulla vita della gente che non c'era più. Mi fece rabbia.
Padre Mimmo, il parroco della parrocchia, fece un bel discorso, disse che la signora Carmela era una brava donna e che aveva dedicato tutta la vita alla chiesa, disse addirittura che veniva un giorno sì e un giorno no alla messa delle 18:00, poi aggiunse che ora diventata un angelo e che guardava Gino, Alice e il marito dal cielo e li proteggeva da lì, perché è questo che fanno gli angeli.

Ma io non ci credevo, lo sapevo che erano soltanto frasi fatte per aiutare i familiari a metabolizzare la sofferenza che provavano. Ma la morte non si metabolizza, impari solo a conviverci.

Gino e Alice erano immobili nella panca della prima fila, con la testa che fissava il pavimento in marmo che si ergeva sotto le loro gracili gambe. Si stringevano la mano, come a farsi forza vicendevolmente, mentre le lacrime scivolavano dalle loro guance come fiumi che nascono da sorgenti lontane.

Provai a immaginare il loro dolore. Come mi sarei sentito se mamma fosse morta da un giorno all'altro? Ma non trovai una risposta. Certe cose se non le vivi, non puoi immaginarle.

Pensai alle peonie. Alle cose che mi aveva detto Alice sul quel marciapiede. Chissà se sapeva già quello che era successo a sua madre, se quel discorso era soltanto un modo per poterla sentire più vicino.

Sgattaiolai fuori alla fine della celebrazione. Camminai a passi lenti per le scale della Chiesa, costellata di crisantemi e fiori di vario genere.

I crisantemi.
Fiori belli per situazioni brutte.
È proprio strana la vita, un giorno sei felice e il giorno dopo il mondo ti crolla addosso, e ti ritrovi in una vecchia chiesa di quartiere insieme a gente che non vorresti vedere e una madre dentro una bara.

Che strana la vita, ti promette peonie e poi ti dà solo crisantemi.
Ma ero ancora troppo giovane per capirlo.

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