Capitolo XXXI
Le radici sporgenti degli alberi rendevano la camminata di Ella e Daemon più difficoltosa di quanto l'Infiltrato avesse immaginato. La Guardiana, però, sembrava non preoccuparsi affatto degli ostacoli naturali che si stagliavano lungo il loro cammino. Volteggiava leggiadra tra arbusti e cespugli, camminando sempre almeno tre o quattro passi avanti a Daemon e fermandosi di tanto in tanto per poggiare le mani sulle ruvide cortecce o fermandosi ad annusare qualche fiore.
- Non è meravigliosa questa natura? - diceva di tanto in tanto Ella - Non è bellissima questa musica?
- Io non credo che ci sia nessuna musica.
- Questo è perché sei talmente pieno di te da non sentire altro che il suono della tua voce. - gli rispondeva lei ridendo.
Camminarono per molte ore, guidati dal cuore di Ella, il cui unico desiderio era quello di ricongiungersi alle sue sorelle.
- Scommetto che non credevi che ti avrei davvero portato al mio palazzo. - disse lei all'improvviso, abbandonando per un attimo ogni pensiero rivolto alla natura che la avvolgeva - Credevi stessi mentendo, vero?
- No, sapevo che lo avresti fatto. È per questo che ho fatto deragliare il treno.
Ella si bloccò di colpo, rimanendo in silenzio.
- Non avrai mica pensato che lo abbia fatto per fare un favore a te o agli altri passeggeri, vero? - rise di fronte all'eloquente occhiata che la Guardiana gli lanciò - A dire la verità, il motivo principale per cui l'ho fatto era vendicarmi di Hawk. Per due anni il treno è stato tutto per lui, se lo avessi distrutto avrei distrutto anche quello spocchioso magicante. Sai, non credevo che l'avresti ucciso, ma sono contento che sia morto. E poi... ho pensato che se ti avessi permesso di fuggire, tu mi avresti certamente portato al tuo palazzo. I miei giorni come Infiltrato sono finiti, magari scoprendo i segreti delle Guardiane riuscirò a trovare un modo più proficuo per guadagnarmi da vivere.
Rise ancora mentre Ella riprese nuovamente a camminare, senza dire nulla.
- È bello sapere che sei rimasta esattamente la stessa di quando sei salita sul treno, con un'ingenuità radicata fin dentro le ossa.
- Probabilmente hai ragione. Avrei dovuto aspettarmelo.
- Non prendertela, - le disse in tono scherzoso - abbiamo vinto entrambi. Tu puoi tornare a casa e io avrò la mia meritata ricompensa. - fece una breve pausa, poi riprese a parlare, stavolta più serio - Ella, c'è un'altra cosa che devo dirti...
- Cosa? - sospirò lei.
- Ricordi quando mi hai chiesto se ero innamorato di te? Ti avevo risposto che non lo sapevo. Non era vero. Ho mentito.
Ella si fermò di nuovo. Stavolta si voltò verso di lui con un'espressione quasi incredula dipinta in viso. Non sapeva nemmeno lei perché quelle parole l'avevano colpita così tanto. Non riusciva a capire se fosse delusa, arrabbiata o se stesse provando un'emozione nuova, sconosciuta, a cui non riusciva a dare un nome.
- Perché lo hai fatto? - chiese seria.
- Perché noi Imperiali lo facciamo sempre. - lo disse ridendo in maniera esasperata - Perché mentire fa parte di noi, è nella nostra natura. - smise di parlare per qualche secondo, come se stesse pensando a quale fosse la cosa migliore da dire - Se ti avessi risposto di no, non saresti più venuta nella mia stanza. E se ti avessi risposto di sì, sarei stato io a non lasciarti più entrare.
Ella non rispose. Lo guardò con l'aria di chi è troppo disgustato persino per concedere un rimprovero. Si voltò e smise definitivamente di parlare.
*****
Giunsero ai giardini del palazzo solo dopo diverso tempo. Ella era visibilmente emozionata mentre si avvicinava alle enormi cancellate d'oro che custodivano e proteggevano Anziane e Figlie. I suoi occhi ammiravano estasiati quelle splendide inferriate che luccicavano alla tenue luce del sole pomeridiano. Scorse da lontano i sontuosi giardini e i cespugli potati a formare bizzarre decorazioni. Poco più avanti di dove si trovava, iniziava timido il sentiero di ciottoli che giungeva fino al piazzale di ingresso del palazzo.
Era a casa. Era felice di essere tornata nella sua tanto amata casa, fra le sue sorelle, fra i profumi che conosceva, fra i suoni che amava. Persino la stessa luce del sole sembrava diversa, come se fino ad adesso l'astro celeste fosse stato coperto da un vetro scuro che ne filtrava l'energia.
Si precipitò lungo il viottolo, correndo talmente velocemente che Daemon fece non poca fatica per starle dietro. Superò alberi e cespugli, ammirò di sfuggita le sontuose fontane e guardò le statue che costeggiavano il sentiero come se non le avesse mai viste prima d'ora.
C'era un quieto silenzio nell'aria immobile. Si sentivano chiaramente i suoni della natura, eppure era come se mancasse qualcosa, un dettaglio fondamentale, necessario per trasformare un edificio qualunque in una casa accogliente e sicura. Ella si rese conto che le sue sorelle non erano presenti. Nessuna di loro stava correndo a braccia aperte verso di lei.
Che non si siano accorte che sono tornata?
Quando arrivò di fronte all'ingresso del palazzo, capì che le sue sorelle si erano certamente accorte di lei ed avevano deciso, sorprendentemente, di radunarsi tutte nel piazzale per accoglierla. Una mezza dozzina di Anziane ed almeno una decina di Figlie stavano in piedi di fronte ad Ella ed al centro del consistente gruppo vi era Mia, l'Anziana che si era spesso occupata dell'educazione delle Figlie, che sembrava quasi volerle impedire l'ingresso nel palazzo.
Ella si avvicinò sorridente. Non riusciva a credere di essere tornata nel suo mondo.
- Sorelle! - Regalava sorrisi non ricambiati alle Guardiane che tanto aveva amato - Sono così felice di rivedervi! Devo raccontarvi tante cose! E... mi siete mancate così tanto! - il suo cuore stava esplodendo di gioia.
- Ferma. - le intimò Mia - Non fare un passo di più. Non puoi entrare.
Ella voltò la testa, titubante, in direzione di Daemon, che si era fermato alle sue spalle, a pochi passi di distanza da lei.
- Lui è un amico. È un Imperiale. So che non è permesso agli Imperiali di entrare nel palazzo, ma lui ha guadagnato la mia fiducia. Garantisco io per lui.
- Sei tu che non puoi entrare. - la voce di Mia si fece più dura. Ella cominciò a capire il perché delle espressioni serie e dispiaciute delle sue sorelle.
- Cosa significa? Perché non posso entrare?
- Guardati... Sei sporca, non hai più le ali... E guarda i tuoi occhi... Sono neri, sono marci. Il mondo degli Imperiali ti ha corrotta. Non ti vogliamo qui. Non abbiamo bisogno che la distruzione della Casa Imperiale giunga fino a qui.
- Ma... Questa è casa mia...
- Ora non lo è più. Vattene, non sei più la benvenuta qui.
Ella rimase a bocca aperta, incapace di proferire parola. Scrutò i volti delle altre Guardiane uno per uno. Qualcuna di loro sembrava sul punto di piangere, altre fissavano il pavimento con aria imbarazzata. Un paio sembravano dispiaciute, forse non abbastanza.
Chiuse le mani a pugno, serrò la mascella in un impeto di rabbia. Il suo sguardo si indurì.
- QUESTA È CASA MIA! - ringhiò.
- Ora non lo è più! - l'Anziana perse un po' di quella innaturale calma che l'aveva dominata fino a quel momento - Sei sporca! Sei corrotta! Se resti qui porterai alla perdizione tutte noi! Vattene! Subito!
Un'unica lacrima solitaria inumidì le ciglia di Ella, scendendo poi ad accarezzarle una guancia. Non riuscì nemmeno realmente a piangere. Aveva esaurito persino il dolore.
Si voltò verso Daemon.
- Non posso mantenere la mia promessa. Non questa volta.
Lui annuì silenzioso, prima di rivolgere un'occhiata severa alle Guardiane che stavano, immobili, davanti al palazzo. Poi lasciò con lei quei favolosi giardini.
*****
Arrivarono al lago quando si era fatta ormai sera. Almeno un centinaio di passeggeri del treno si erano accampati a poca distanza dalle limpide acque, accendendo fuochi e tentando di costruire piccoli ripari e qualche letto usando i materiali recuperati dal treno. Individui di tutte le razze si trovavano fianco a fianco, incuranti delle loro differenze o degli odi che sarebbero potuti esserci se la prigionia non li avesse trasformati.
Ella riuscì a scorgere, fra i volti noti, Jasmeen e Marcus che si abbracciavano teneramente, sorridenti come non lo erano mai stati.
Una donna in particolare catturò la sua attenzione. Aveva un elegante vestito bianco e azzurro, che le arrivava fino ai piedi e si espandeva come latte sul tappeto erboso da cui era circondata. L'abito abbondava di veli e pizzi e possedeva maniche lunghe e uno scollo a boccale molto morbido. I capelli erano di un bianco lucente, lisci come la seta e talmente lunghi da sfiorare il suolo. Sembravano foltissimi, tanto che una parte di essi era acconciata in spesse trecce e la parte lasciata libera era talmente pesante da riuscire a ricoprirle le spalle come un candido manto. Piccoli fiori dai colori più diversi, qualcuno più sgargiante, altri dalle tonalità più tenui, arricchivano la sua chioma.
La bellissima creatura sorridente era in piedi di fronte a Troy che, seduto su un ceppo d'albero, le stringeva una mano. Entrambi si voltarono a guardare Ella, quando la videro arrivare.
In realtà, quasi tutti i passeggeri persero diversi minuti a fissarla. La Guardiana si recò vicino alla riva del lago a testa bassa, sperando di poter essere lasciata sola per tutta la notte.
Aveva voglia di pensare, di riflettere. E, a dirla tutta, non sapeva neppure su cosa avrebbe dovuto riflettere. Si sentiva persa.
Trascorse molto tempo avvolta dal silenzio e dalle tenebre, a fissare l'acqua con lo sguardo spento.
- Non riesci a dormire? - fu Troy a spezzare la sua solitudine - Grazie per aver riportato Moonlight da me. -
L'Imperiale sembrava sinceramente riconoscente, nonostante Ella fosse certa che stesse nascondendo le sue emozioni come al solito. Zoppicava leggermente, ma la sua gamba sembrava quasi guarita. Maya doveva averlo curato con la sua magia.
- Pensi che questa sia la fine del treno? - gli chiese - La fine della schiavitù?
- No, certo che no. Ricostruiranno il treno, lo rimetteranno sui binari e la storia si ripeterà. È così che funzionano le cose.
- Tu che cosa farai ora? Tornerai sul treno?
- No, rimarrò con Moonlight, il mio posto è con lei. L'ho allontanata già una volta, per colpa della mia stupidità e del mio egoismo. Non commetterò lo stesso errore.
- E io? Io cosa farò?
Lui le sorrise. Ella aveva sempre creduto che non fosse in grado di sorridere in maniera sincera.
- Puoi fare quello che vuoi, sei libera ora.
- Qual è il mio posto? - sospirò lei - Non sono un'Imperiale, non sono più una prigioniera e non sono nemmeno più una Guardiana. Non ho più una casa, non ho più le mie sorelle. Credevo che le Anziane mi avrebbero restituito le ali, e invece ho perso per sempre anche quelle. Non ho più niente. Non sono niente. - sentiva un nodo alla gola.
- Tutti quelli che sono qui non hanno più una casa né una famiglia. Sono dei fuggitivi soli e abbandonati da tutti. Che prospettive possono avere? Però, sai, possono contare sull'aiuto di altri prigionieri scampati, come loro, alla schiavitù. Forse è questa la tua casa. Forse è qui che devi vivere. Resta qui, aiutaci a costruire un villaggio e guidaci. potremmo formare una nuova comunità, potremmo radunare altri membri. Durante la giornata sono arrivate molte altre creature provenienti dalle macerie del treno, sono certo che nei giorni seguenti altri si uniranno a noi. Non so quali sono i loro piani, ma io resterò qui, al tuo fianco. Ti sono debitore, Ella, ricordo bene il patto che avevamo fatto. Hai rispettato l'accordo, ora io passerò il resto della mia vita ad offrirti il mio aiuto.
Ella lo fissò ammutolita, riflettendo su un futuro incerto.
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