La Scomparsa di Carlo (#2)

          

A sette anni tutti i bambini di qualsiasi ceto devono fare i test, "i bambini dei casolari", i "figli veri", i bambini degli Antichi,e quelli del Governo. L'esaminazione viene fatta nelle città in spazi adibiti a tale scopo. Si fanno il primo febbraio di ogni anno, consistono in diverse prove: fisiche, mentali e spirituali. Tutti i test mentali sono eseguiti attraverso apparecchiature ad onde e l'interazione avviene su diversi livelli del cervello dal conscio al subconscio. I test fisici sono due, uno esegue esami generali: del sangue, della linfa, delle onde celebrali ed emotive, poi c'è il test delle attività motorie: corsa, salto, lotta, giochi di squadra, ecc. I test spirituali vengono fatti dagli "Antichi", è uno strano test si deve utilizzare del materiale messo a disposizione, ogni bimbo è da solo rinchiuso in una specie di bolla trasparente e tutte le bolle sono in un salone enorme chiuso ma è talmente alto ed ampio da non riuscire a vedere ne il soffitto ne le pareti. Durante questo test alcuni bambini scompaiono. Gli antichi passeggiano tra le bolle, controllano i dati luminosi che scorrono su un lato in alto della bolla, osservavano il bimbo e poi toccano la bolla con un dito. Il più delle volte la bolla si apre e il bambino viene accompagnato fuori dal salone dove gli consegnano il risultato dei test, a volte la bolla diventa bianca e un nastro trasportatore si attiva portandola in alto fino a quando non è più visibile.

Io, vivevo in un casolare a cinquecento metri dal fiume, come gli altri bambini non potevo uscire dal perimetro del casolare, il mio alloggio era costruito su una caverna naturale, che non portava da nessuna parte; l'alto recinto terminava proprio ai lati della caverna. A destra della nostra casa c'era un albero secolare i suoi rami superavano il recinto ed un piano della nostra casa era costruito sull'albero, era il piano più alto da li potevi vedere tutto il perimetro del casolare, il bosco e il fiume al di la del bosco, rispetto al fiume eravamo a sud.

A quattro anni ho scoperto che una parete della caverna era finta, una piccola porta di legno sufficiente a farmi passare e facile da nascondere, conquistai così la libertà di uscire dal casolare. Questa scoperta la devo a mio padre, probabilmente aveva scoperto questa uscita anche lui quando era bambino. Non mi disse niente di specifico sul fatto che ci fosse una via di uscita, mi comandò di andare nella stanza degli oggetti persi, chiamata così perché tutto quello che si trovava in giro sia fuori sia dentro casa, che nessuno rivendicasse, veniva riposto in quella stanza, ogni tanto spuntava qualche proprietario, ma la maggior parte degli oggetti erano li da secoli. Mi disse che dovevo liberare la parete della stanza che si appoggiava alla caverna. La parete era già parzialmente libera, c'era solo una libreria piena di svariati utensili, alcuni molto antichi, di cui si conosceva a mala pena il nome. Iniziai ovviamente dal basso svuotando il primo ripiano che curiosamente era alto quanto me, il ripiano era coperto da un tappeto fissato con dei chiodi sul ripiano superiore, scendeva a mo' di tenda coprendo tutto fino a terra. Il disegno sul tappeto rappresentava un paesaggio di fantasia molto luminoso, c'erano fate che svolazzavano tra fiori e case altissime di cristallo, c'erano dei ponti ad arco che univano diversi edifici, e alcuni oggetti sopra a questi ponti, c'erano anche cose sparse nel cielo, sembravano piccole case volanti con tante finestre. 

Dietro il tappeto c'erano varie cose, alcune non sapevo a cosa servissero, altre invece le conoscevo bene c'erano degli utensili, una fionda, una bussola e una borsa da viaggio, c'era anche un arco con delle frecce appoggiato sopra tutto, ma era molto grande per un bimbo di quattro anni. Dopo aver messo per terra l'arco e le frecce, presi la borsa che conteneva altre cose che mi sarebbero state utili nel mio pellegrinare fuori dal casolare, dietro essa si intravedeva la porticina di legno, aveva una piccola serratura, guardai in giro ma della chiave non c'era traccia, quindi cercai nella borsa dove puntualmente la trovai.

La prima uscita fu "una toccata e fuga", ero davvero piccolo per rendermi conto che ero fuori dal casolare pensavo di essere ancora nel giardino vicino alla casa ma comunque all'interno del recinto. Quindi cercai di aggirare il masso che era praticamente l'esterno della grotta, ma appena alzai lo sguardo fu chiaro che mi trovavo fuori. Mi spaventai e corsi immediatamente per rientrare in casa. Chiusi la porticina riposai la chiave nella borsa rimisi tutto come era prima e corsi via fuori dalla stanza.

Rimasi qualche attimo appoggiato alla porta chiusa della stanza, senza alzare lo sguardo da terra e con il fiatone più per la paura che per la corsa. Finchè le scarpe di mio padre fecero capolinea davanti a me.

"Tutto bene figliolo?"

"Si Pa', tutto bene..." risposi ansimando "Pa'? La parete della grotta è ok?"

"Certo! Ricordati di tenerla sempre come l'hai trovata, di liberarla solo dalle diciassette alle venti della sera, oppure di notte senza fare rumore... ah, controlla che il contenuto della borsa sia sempre in ordine" disse e se ne andò fischiettando. Io lo guardavo allibito, potevo o non potevo? Ogni giorno ci ripetevano le regole ferree del casolare: è vietato uscire dal perimetro del casolare ; la sveglia è alle quattro, ed entro le cinque tutti devono timbrare al casolare; tutti, esclusi i bimbi minori di sette anni devono iniziare a lavorare dalle cinque alle diciannove ; i minori di sette anni se vogliono possono lavorare dalle cinque alle quindici; alle venti e trenta si cena; alle ventidue e trenta inizia il silenzio, e nessuno deve più circolare; ecc. ecc. Decisamente uscire era vietatissimo.

La mattina dopo mio padre mi svegliò alle tre mi portò in cucina e mi diede un fagotto, dicendomi "Ecco qua! La tua merenda delle diciotto."

"Cosa? Cosa è la merenda?" balbettai "e dove la metto fino alle diciotto?"

Sorrise, mi prese in braccio e mi sedette sul tavolo, in modo da guardarmi negli occhi, e a voce bassissima "Cosa ne pensi di metterla nella borsa? Certamente ti verrà fame quando farai il lavoro giù nella stanza degli oggetti persi. Da oggi oltre agli altri lavoretti, se lo vorrai potrai fare anche il lavoro nella stanza degli oggetti persi." Ero titubante, ma allo stesso tempo volevo uscire e visitare quel posto infinito fuori dal casolare. Infine mi usci' senza pensarci un "Ok Pa'!"

Ogni mattina trovavo il fagotto della merenda sul tavolo della cucina, correvo giù prima delle quattro, e lo riponevo nella borsa, e puntuale alle diciassette uscivo dalla porticina con borsa, bussola, e le cose che via via imparavo e capivo che mi servivano.

Dopo una radura poco estesa iniziava un bosco di pini ed abeti. Il bosco terminava poco prima della sponda del fiume, vicino all'argine, che scendeva a precipizio di qualche metro, svettavano solitari tre pini come a ricordare che il bosco era padrone anche di quel posto. 

Seguendo un breve sentiero nascosto a destra dei pini, l'argine si abbassava fino ad arrivare allo stesso livello dell'acqua trasformandosi in una spiaggetta di sassi. Il fiume in quell'ansa era calmo e una serie di sassi permettevano di attraversarlo agilmente e senza pericolo visto che anche l'acqua rimaneva bassa; arrivava alle gambe senza superare le ginocchia.

Ovviamente quando il fiume era in piena o era il periodo di piogge e temporali era meglio evitare tutta la zona.

A cinque anni andavo fino al fiume di corsa perché amavo osservare Aline. Lei era una bambina strana, d'estate si tuffava nel fiume, a volte si faceva cadere da uno dei rami del salice piangente. Volevo conoscerla ma non avevo ancora trovato il punto dove era possibile attraversare il fiume. Quindi per un po' la osservavo, amavo soprattutto quando combatteva con un piccolo pezzo di legno a forma di spada, contro il salice piangente; poi esploravo in giro e mi appuntavo ogni particolare sulla mia mappa fatta di pezzi di stoffa. Avevo preso l'abitudine di disegnare la mappa e di segnare i miei percorsi dopo che una sera stavo rischiando seriamente di non riuscire a tornare. Mi ero irrimediabilmente perso, per fortuna una luce in lontananza che si accendeva ad intermittenza mi condusse al casolare. Ma erano passate le venti già da un pezzo, e mio padre, quando mi vide emergere dalla scala a pioli, mi sgrido' dicendomi che non dovevo perdermi durante il lavoro nella stanza degli oggetti smarriti, se fosse capitato una altra volta, potevo scordarmi di continuare quel lavoro.

Trovare il sentiero dietro ai pini che mi permetteva di guadare il fiume fu uno dei episodi più belli della mia vita, quel giorno ero felicissimo, è stato il giorno in cui ho conosciuto Aline. Per la verità l'incontro è stato strano, lei è strana. Dice di essere una bambina del casolare, ma lei vive da sola e soprattutto è libera di fare quello che vuole.

Lei mi ha insegnato a giocare, mi ha spiegato che non è un lavoro, è una cosa piacevole da fare, quando non lavori, giocare significa inventare battaglie, immaginare cavalieri, correre, saltare e ridere a crepa pelle. Giocare è fantastico. Ho giocato con Aline fino al giorno prima dei test.

Come tutti i giorni lei era lungo il fiume sotto il suo salice piangente, guardava verso il fiume dove io l'attraversavo, mi aspettava.

"Ciao Aline" corsi verso di lei che si alzò di scatto. Sapeva che il giorno dopo non ci saremo visti perché io dovevo fare i test. Lei non vedeva l'ora che io facessi i test, perché dovevo fargli un resoconto dettagliato di tutto. Era sempre curiosa di ogni cosa del casolare, della vita dei bimbi da me.

"Allora? Sei pronto per i test di domani? Sei agitato?" Aline, non aveva fatto i test. Altra cosa strana di questa bambina. Quando chiese ai suoi "coadiutori", perché lei non fosse andata a fare i test, loro si arrabbiarono molto, e per poco non le vietarono di uscire.

"Tranquilla. Lo sai che non ho paura di niente." Facevo il duro, invece ero agitatissimo. I bambini più grandi raccontavano un sacco di bugie, che ti torturavano, che dovevi correre fino a stramazzare per terra, che se non superavi i test venivi ucciso. Ma io avevo fratelli e sorelle più grandi ed erano tipi in gamba. Mi avevano spiegato per filo e per segno cosa si faceva e mia sorella Marica, che l'aveva fatto solo un anno prima di me, come sempre mi diede i consigli giusti. Avevo ancora paura, ma una paura diversa in confronto di altri bambini che erano letteralmente terrorizzati.

"Certo, come no! E' impossibile! Non sei neanche un pochino preoccupato?"

Ci sedemmo lungo il fiume in uno spiazzo pieno di sassolini, il letto del fiume scorreva tranquillo, ogni tanto deviava il suo percorso, quando un grosso masso spuntava fuori, piu' avanti correva un po' più veloce, e poi andando avanti sempre più rapido, incontrava massi e radici e schiumava ogni volta che ci sbatteva, dopo un centinaio di metri la sua corsa precipitava in una gola, il fiume diventava una cascata di cui non vedevamo la fine. Andavamo spesso ai margini della gola rimanevamo in silenzio ascoltando il rumore e sentendo il profumo selvaggio dell'acqua. Avevamo tentato diverse volte di scendere per trovare la fine della cascata, ma arrivavamo sempre più o meno a metà e poi alte rocce bloccavano il percorso.

Lanciavo i sassolini cercando di farli rimbalzare come mi aveva insegnato Aline, ero piuttosto bravo.

"Va bene. Si hai ragione. Sono ... non so dire come mi sento. Non è propriamente paura."

"Mi raccomando. Domani notte qui. Devi raccontarmi tutto!"

"Secondo te che lavoro mi assegneranno? Mio padre è un contadino e tutti i miei fratelli lavorano con lui... A me piace come lavoro. Ma mi piace inventare e costruire. Come il Vecchio. Mi piacerebbe fare il suo lavoro."

"Non so Carlo. Forse farai le scuole visto che ti piace inventare. Poi io ti ho insegnato a leggere e scrivere. Forse ti assegneranno un lavoro diverso. Tu sei molto diverso dai tuoi fratelli."

Silenzio, solo lo scorrere del fiume, qualche cinguettio, il vento che accarezzava l'erba.

"Carlo, perché tuo padre ha fatto scoprire solo a te la porticina per uscire dal casolare?"

Si voltò di scatto i suoi occhi si piantarono sui miei, sorrise "Anche io me lo sono chiesto spesso. Una volta ho cercato di chiederlo a mio padre...ebbe una reazione strana."

" ok dai, battaglia di spade?" corremmo veloci verso il salice.

Entrai nella bolla trasparente, non c'erano porte ci si passava attraverso, sembrava di vetro ma era gommosa. All'interno c'era un tavolino, una sedia e diverso materiale, matite, pennelli, colori, fogli, alcune cose che toccando si illuminavano e potevi scriverci o disegnare, c'erano anche giochi. Non li avrei riconosciuti se non avessi conosciuto Aline.

Prima di entrare chiesi all'Antico che mi aveva accompagnato cosa dovevo fare per superare il test;  la donna sorrise, di bassa statura, il cappuccio copriva la testa ma non il viso pallido dove due occhi verde intenso brillavano come smeraldi. "Questo test non è da superare, è da vivere. Pensa a quello che ti piace fare e fallo."

Iniziai a giocare, mi piaceva giocare, poi decisi di fare quello che più amavo, inventare e costruire. Disegnai la casa, il tempo sembrava infinito, riuscii a disegnarla nei minimi particolari, avrei voluto costruirla in quel momento stesso, ed appena mi immaginai nell'atto di costruirla ero fuori dalla bolla  vicino al fiume dietro i tre pini c'era già tutto il materiale potevo costruirla. Avevo pensato ad un progetto per renderla completamente autonoma, ogni cosa di quella casa serviva per rendere tutto ciclico e di facile utilizzo. Non so come fossero arrivati in quel luogo, ma in una capanna di legno adiacente alla costruzione c'erano tutti i miei progetti, quelli nella mia stanza. C'era il progetto per recuperare l'acqua anche durante la siccità estiva, e come convogliavo il fresco del terreno alle stanze in estate e il calore in inverno. Dovevano essere passati mesi perché avevo concluso la mia costruzione, era bellissima. Di colpo tornai nella bolla, l'Antico mi guardava benevolo, il suo sguardo passava da me e dai dati luminosi della mia bolla, avvicinò la mano e sfiorando la bolla con l'indice, tutto divenne bianco ed infinito. Corsi verso il vetro gommoso, ma non c'era niente era tutto bianco e non capivo più dove era il sopra o il sotto, camminavo in un bianco assoluto.

Ad un certo punto in alto iniziò ad esserci un foro azzurro, si ampliava sempre più, la luce filtrava illuminando la mia bolla, che si era trasformata in una stanza quadrata trasparente, fuori era tutto azzurro e finalmente vidi una diversità su una delle pareti era una porta. Mi avvicinai e comparve un Antico, non era la donna del salone era un'altra donna, bruna, occhi neri senza cappuccio, lunghe trecce scendevano dietro la schiena fino a terra.

"Ciao Carlo, tranquillo, vieni qui." Non sentivo paura, mi sentivo semplicemente sereno più precisamente in pace.

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