III. Umiliazione

“𝓗𝓸 𝓼𝓸𝓰𝓷𝓪𝓽𝓸 𝓭𝓲 𝓽𝓮,
𝓬𝓸𝓶𝓮 𝓼𝓲 𝓼𝓸𝓰𝓷𝓪 𝓭𝓮𝓵𝓵𝓪 𝓻𝓸𝓼𝓪 𝓮 𝓭𝓮𝓵 𝓿𝓮𝓷𝓽𝓸.”
𝓐𝓵𝓭𝓪 𝓜𝓮𝓻𝓲𝓷𝓲

*

“Spogliati, avanti. Deve andare via tutto. E fallo in fretta.”

Vedendo che William restava fermo immobile, forse chiedendosi se si trattava di uno scherzo, Hunter sbuffò. “Perché i più grandi sono sempre i meno collaborativi? Avanti ragazzi, prendetelo.”

Malley e Jackson si avvicinarono, e il ragazzo si appiattì al muro a cui era appoggiato. Fu Malley ad arrivare a lui per primo, afferrandogli il braccio e tenendolo stretto. 

Cyril, il corvo dall’ala ferita che viveva nel dormitorio, gracchiò spaventato.

“Che stai facendo?” chiese, strattonandolo per liberarsi. Alcuni dei presenti là intorno iniziarono a ridere. 

Kenton avrebbe voluto smettere di guardare, l’avrebbe voluto davvero. Sentiva Cedric dritto come un fuso nel letto accanto a lui, pietrificato dall’orrore, e desiderò riuscire a distogliere lo sguardo per rivolgerlo verso il suo amico, chiedergli se stesse bene.

Non poté farlo. I suoi occhi erano come incollati a quel ragazzo che ora era stato raggiunto da Jackson, che lo teneva anche dall’altro lato, immobile mentre cercava di dimenarsi. 

“Ora ti strapperò la camicia,” disse Hunter, azzerando lo spazio che c’era tra loro. “Perché tu non ti sei spogliato quando ti ho chiesto di farlo, per ben tre volte. E ti avevo detto che se l’avessi fatto io non ti sarebbe piaciuto.”

“Lui l’aveva detto!” esclamò qualcuno dalla piccola folla che si era riunita. Kenton desiderò dargli un pugno.

“Smettila subito,” protestò William, che ancora tirava le braccia strette dai due tirapiedi in un disperato tentativo di divincolarsi. Kenton sapeva non ci sarebbe riuscito. Malley e Jackson avevano affinato la loro tecnica negli anni, erano abituati a tenere i ragazzi che cercavano di sgusciare via. 

“Altrimenti?” chiese Hunter, che iniziò a sciogliergli il nodo alla cravatta. “Lo dici alla mamma? Beh, tua madre non è qui.”

La cravatta blu e grigia cadde a terra silenziosa, e Hunter strappò il primo bottone, facendolo schizzare a un angolo della stanza. William si divincolò più forte.

Non lo sapeva ancora, forse non ci aveva pensato, ma l’avrebbero punito per aver strappato la camicia il suo primo giorno. L’avrebbero punito anche se non era stata colpa sua. Hunter lo sapeva, e sorrideva per questo.

Strappò un altro bottone, Kenton lo sentì cadere a terra con un ticchettio e vide un lembo di pelle pallida venire rivelato sotto le mani crudeli del suo compagno.

Poi William fece una cosa inaspettata. Una cosa che Kenton non aveva mai visto fare da nessuno.

Era di fronte a Hunter, distante solo pochi centimetri, tenuto saldo per le braccia dai due ragazzi, ma aveva ancora alcuni movimenti liberi. Fece scattare la testa in avanti e colpì con la fronte Hunter sul naso, producendo il suono secco di un ramo spezzato. Quello gridò, fece due passi indietro, colpito dall’affronto e dal dolore, e Kenton lo vide portarsi le mani al volto.

“Tu, maledetto stronzo!” esclamò Hunter, per un attimo dimenticandosi che non doveva farsi sentire dalla governante, poi caricò un pugno e lo colpì forte allo zigomo. William sarebbe caduto in terra se gli altri due non l’avessero sostenuto, per un attimo fu un peso morto tra le loro mani. “Guarda cosa mi hai fatto!”

Hunter lo colpì di nuovo al volto, poi ancora, e William guaì dal dolore. Ormai, però, il danno era fatto. Hunter sanguinava da una narice, il sangue copioso gli aveva macchiato la camicia candida. Anche lui sarebbe stato punito per averla sporcata, anche lui era stato umiliato, l’oltraggio di essere stato colpito proprio durante una delle sue rappresaglie era troppo da sopportare.

Kenton vide William tornare a reggersi sulle sue gambe, ancora tenuto per le braccia, e lo vide guardare verso Hunter con lo zigomo arrossato per le botte, ma lo sguardo ancora fiero. Lo osservò con ammirazione, e con una paura cieca per quello che gli sarebbe successo in quel momento.

Hunter ringhiò e, afferrati i due lembi della sua camicia, la strappò tutta in un colpo secco. I bottoni caddero a pioggia sul pavimento di marmo, e la folla, che si era congelata quando Hunter era stato colpito, riprese a ridacchiare e sussurrare la sua approvazione. 

Si fece aiutare dai due compagni a togliergli la giacca e sfilargli la camicia con la forza, il sangue che continuava a colare dal suo naso e ormai gli era sceso giù per il collo e aveva insozzato ancor di più il colletto della sua camicia. Non gli importava.

Gli slacciò la cintura e gliela sfilò, allungandola a un ragazzo dietro di lui, che osservava la scena divertito. 

“Vai Hunter! Fagli capire chi comanda!” gridò qualcuno dei ragazzi, e Kenton fu percorso da un brivido.

Capì in quel momento che sarebbe stato il caso di uscire da quella stanza e chiamare la governante. Che avrebbe dovuto cercare aiuto, un adulto che potesse mettere fine a quella barbarie.

Sapeva che non l’avrebbe fatto. Se davvero avesse chiamato qualcuno per fermarlo, Hunter non l’avrebbe mai lasciato in pace. Avrebbe reso la sua vita un inferno. 

No, William poteva reggere quell’umiliazione. Era abbastanza forte da superarla senza bisogno del suo aiuto. Avrebbe passato quella notte e la fame di Hunter si sarebbe calmata, sino al novellino successivo. 

Gli abbassò i pantaloni e la biancheria in un solo movimento allenato. 

Ehi!” gridò per protesta, ma Hunter gli premette una mano sulla bocca e sibilò 

“Urla e sarà peggio per te,” poi aggiunse, rivolto ai due tirapiedi, “buttatelo giù.”

Jackson lo lasciò e Malley strattonò, così William, coi pantaloni alle caviglie che gli bloccavano le gambe, cadde sul pavimento gelido. 

Era completamente nudo, la pelle morbida e bianca percorsa da piccoli nei, e Kenton ebbe l’irrazionale pensiero di passarci sopra le dita, di accarezzarli piano. 

Qualcuno iniziò a ridere di gusto. Il ragazzo tremava dal freddo e dall’umiliazione, là sul pavimento ghiacciato, la sua soffice pelle che non era mai stata colpita da nessuno che bruciava a contatto col marmo gelido. 

“Ora ci divertiamo,” disse Hunter, riprendendo la cintura che aveva consegnato al ragazzo dietro di lui. 

Kenton non l’aveva mai visto accanirsi così su qualcuno, ma ancora una volta scelse di non intervenire. Cedric al suo fianco tremava di rabbia, ma anche lui non avrebbe mosso un dito. Ci aveva già provato, per Darcy e per Thane prima di lui, ed era finito entrambe le volte mezzo morto a terra, per poi finire in punizione per rissa. 

“Se urli te ne darò di più. Vedi di tenere la bocca chiusa.”

Detto questo, fece schioccare la cintura e lo colpì, con tutta la forza che aveva, sulla sua pelle esposta.

William non tentò di coprirsi le parti intime con le mani, né provò ad afferrare la cintura per fermarla. Gemette dal dolore in un grido strozzato, trattenuto a fatica, e si abbandonò sul pavimento su cui di certo stava morendo dal freddo e dalla vergogna.

Hunter lo colpì ancora, poi ancora. La pelle bianca cominciò ad arrossarsi, in alcuni punti a sanguinare là dove la fibbia in ottone l’aveva graffiato. 

Non urlò, proprio come Hunter aveva ordinato, e venne torturato per minuti che sembravano ore. 

I ragazzi incitavano Hunter, fischiavano sommessi per non farsi sentire dagli inservienti, ridevano e si davano pacche sulle spalle. Darcy aveva smesso di guardare, si era rifugiato dietro Eustace, molto più grosso di lui, e tremava come se fosse lui quello nudo sottoposto a quelle sevizie crudeli.

Kenton teneva gli occhi fissi su William, che si contorceva dal dolore a stento emettendo suono. Una frustata lo colpì in mezzo alle gambe e lui guaì come un cane, gli occhi d’un tratto umidi di lacrime. 

Quel teatrino grottesco andò avanti sinché Hunter non si stancò, buttò la cinta per terra al suo fianco facendolo sobbalzare. William alzò i suoi occhi neri e acquosi su di lui, due buchi neri di rabbia e di vergogna. Hunter sembrò pensare per qualche secondo a come terminare l’opera, poi decise di sputargli addosso, la sua saliva che colò sulla pelle arrossata del ragazzo nell’ennesima prova di forza. Vide William irrigidirsi a quel gesto, ma non passò le mani per pulirsi là dove era arrivato lo sputo del compagno.

Anche Malley e Jackson sputarono sul malcapitato, poi Hunter mormorò “Dillo a qualcuno e ti rovino,” e a quelle parole si voltò, il suo lavoro era terminato.

Un ragazzo del dormitorio accanto che Kenton pensava potesse chiamarsi James gli batté il cinque, alcuni altri gli fecero i complimenti per l’opera. William non tentò di rialzarsi, represse un singhiozzo e restò là per terra, scosso da brividi. 

La folla si dissipò, sazia del suo dolore, e finalmente, quando nel dormitorio restarono solo quelli che alloggiavano lì, Cedric si avvicinò al ragazzo sul pavimento e lo coprì con la giacca che stava per terra.

“Avanti amico, rivestiti. Starai morendo di freddo.”

William alzò lo sguardo verso di lui. Gli occhi erano ancora lucidi, ma non versavano più lacrime. Kenton notò che il suo sguardo era diverso da quello di chi aveva passato l’iniziazione prima di lui. Lampeggiava sì di vergogna e di umiliazione, ma non era spento, come morto. Era ardente di rabbia e determinazione, non era stato piegato dalle sevizie di Hunter, nulla di quelle pratiche aveva funzionato.

Anche Darcy si avvicinò a lui, raccattò la camicia da terra e gliela porse. “Devi andare a dire che si è rotta. Te ne daranno un’altra, ma ti puniranno. Mi dispiace.”

William si sedette sul pavimento di marmo, poi, a fatica, si alzò in piedi. Si appoggiò a Cedric nel farlo, che gli aveva teso la mano. Kenton distolse lo sguardo mentre si rivestiva, non voleva stare lì a fissarlo, anche se vedere quel corpo morbido gli aveva mozzato il fiato nel petto. Non poteva darlo a vedere, non poteva mostrare che gli piaceva quello che stava guardando. Nessuno al collegio sapeva di lui, e nessuno avrebbe dovuto saperlo. 

Così i suoi occhi andarono fuori dalla finestra, dove aveva iniziato a nevicare. Lasciò che il suo sguardo vagasse verso l’edificio di fronte, un negozio di accessori da donna sempre tanto frequentato, in particolare sotto Natale. 

“L’hai fatto sanguinare,” si complimentò Cedric, mentre si rivestiva. “Nessuno l’aveva mai fatto, prima. Lo puniranno perché ha sporcato la camicia. Sei un tipo tosto.”

“Non sono tosto,” rispose il ragazzo, liquidando quello che Cedric aveva detto. La sua voce era roca perché aveva pianto, eppure c’era una forza palpabile in lui. “Odio solo i bulletti come lui.”

“Ti accompagno io a portare la camicia alla governante Beverly. Così non sei solo,” si propose Darcy, che aveva preso a cuore quel nuovo arrivato. 

“Non ci sarà bisogno. Grazie.”

Kenton capì che il ragazzo si era rivestito con successo, così il suo sguardo tornò su di lui. Anche William lo stava guardando, gli occhi neri penetranti come lame. Sembrò leggergli dentro, e Kenton si spaventò.

Era come se lo vedesse, lo vedesse davvero, come se avesse capito perché aveva distolto lo sguardo, perché non si era avvicinato a lui per guidarlo come tutti si aspettavano avrebbe fatto. Era come se sapesse che Kenton provava per lui un’attrazione viscerale, un magnetismo che non gli era mai capitato prima di allora. 

Non gli sorrise questa volta. Si annodò la cravatta e si resse i due lembi della camicia con le mani, per non scoprire il ventre bianco, quella pelle che faceva sentire Kenton come quando Matthew gli sorrideva, caldo dentro e col respiro affannato. Camminò verso l’uscita del dormitorio superandolo, guardandolo negli occhi sinché non passò oltre, e il ragazzo rabbrividì sotto quello sguardo.

“E anche questa è fatta,” sospirò Cedric, abbandonandosi sul letto proprio accanto a quello dell’amico. Abbassò la voce, per non farsi sentire da qualche amico di Hunter lì nel dormitorio. “È stato grande, non è vero? Quando gli ha spaccato il naso in quel modo. Non avevo mai visto niente del genere.”

“È pericoloso,” mormorò Kenton, guardando il soffitto, sdraiato sul suo letto. “Hunter gliela farà pagare.”

“Sicuro, ma è stato fortissimo. Secondo me la prossima volta, prima di torturare così un novellino ci pensa due volte.”

“Hunter non pensa proprio,” rispose Kenton, annoiato. “Figuriamoci se lo farebbe due volte di seguito.”

Cedric ridacchiò. “Anche tu hai ragione.”

“Questo nuovo arrivato dovrà stare attento. Sarà meglio coprirgli le spalle.”

*

Matthew si strinse a lui, il suo corpo caldo che sfregava col suo. Kenton sentì due labbra che gli baciavano il collo, umide e fameliche, e si lasciò andare a gemito strozzato. Il ragazzo era premuto contro di lui, poteva sentire la sua erezione sfregargli addosso, solo la sottile stoffa dei pantaloni della divisa che li separavano. 

Le mani di Kenton si infilarono tra loro e trovarono a tentoni la fibbia della sua cintura. Si era quasi scordato del profumo di Matthew, il suo odore che gli riempiva i polmoni, familiare e confortante, lo eccitava. 

Gli slacciò la cintura e le mani del ragazzo andarono alla sua camicia, sbottonandola tremante dalla foga del momento. 

Matthew si sporse verso di lui e lo baciò, il suo sapore gli riempì la bocca e la sua lingua lo esplorò come non aveva mai fatto prima. Kenton si abbandonò alla sensazione delle labbra del ragazzo su di lui, delle sue mani che lo spogliavano, tremanti ma sicure, della sua eccitazione che cresceva, premuta contro quella dell’altro, impaziente e bruciante di desiderio. Gemette di nuovo, stavolta più forte, e le mani di Matthew gli si infilarono nei pantaloni, sfiorandogli la pelle.

Il bacio affamato si interruppe per permettere al ragazzo di concentrarsi mentre lo toccava, e quando Kenton aprì gli occhi e lo guardò non si trovò davanti la persona che si era aspettato. Matthew non era più Matthew ora, ed era nudo, i nei che percorrevano suo corpo contrastavano con la sua pelle candida, il sorriso malizioso di nuovo sul suo volto.

William era suo, in ogni modo possibile, tremava dal piacere strusciandosi su di lui, e Kenton gli afferrò i capelli neri e iniziò a baciargli il collo, a leccarlo, morderlo facendolo sospirare nel suo orecchio, il suo respiro affannoso che gli faceva defluire tutto il sangue ancora rimasto al cervello. 

Le dita lunghe e affusolate del ragazzo si strinsero intorno a lui e Kenton fu percorso da una scarica di piacere, lasciandosi andare a un verso poco dignitoso, buttando la testa all’indietro e facendola sbattere al muro dietro di sé.

“Avanti,” gli sussurrò la voce calda di William all’orecchio, un sussurro intriso di voglia e desiderio che gli portò un altro gemito alle labbra. “avanti, continua.”

Fu in quel momento che lo sentì. L’attimo prima che riprendesse a baciargli quei nei che aveva sul collo, l’attimo prima che riprendesse a mordicchiare quella pelle morbida e profumata, il pianto di un bambino squarciò l’aria. 

“No,” mormorò, la sua eccitazione svanita in un attimo. “No, non di nuovo.”

Un bambino piangeva, piangeva senza riuscire a smettere, e William lo guardava coi suoi occhi grandi e neri, confusi e feriti dal fatto che Kenton si era ritratto da lui senza preavviso. Lo lasciò e Kenton si riallacciò la cintura in tutta fretta. Prese coscienza del mondo intorno a lui, che prima era stato solo uno spazio fumoso. Era in una camera da letto da bambino, e il neonato piangeva e piangeva, e piangeva.

“Che succede?” chiese William, supplicandolo con gli occhi di tornare in sé. 

Kenton lo spinse via e corse alla finestra. Il bambino pianse più forte. 

“Principino,” lo chiamò William, ma lui lo ignorò. Provò ad aprire la finestra ma era fissata, come inchiodata, e l’anta non si mosse. Fuori era notte, e nevicava forte. 

“Apriti!” gridò, con tutto il fiato che aveva in corpo. “Apriti, stronza!”

Picchiò e gridò, si scorticò le unghie grattando sul legno, in un tentativo disperato di spalancare quella finestra. Il dolore alle mani gli annebbiò la mente, facendolo sanguinare, ma lui continuò imperterrito.

“Principino, fermati!” gridò William, cingendogli i fianchi e provando a tirarlo via. “Fermati!”

“No, no! Devo arrivare là fuori, devo…”

Basta!”

Il ragazzo aprì gli occhi di soprassalto, con un rantolo strozzato. Era nel dormitorio, sul suo letto, poteva sentire il leggero russare di alcuni suoi compagni, il respiro pesante di Cedric accanto a lui. 

I suoi occhi si abituarono all’oscurità, e realizzò ciò che aveva intorno. Le due file da sei letti che riempivano la stanza, il quadro della Madonna alla parete, i bauli addossati contro il muro, il mozzicone di candela che era spento sul tavolino accanto al letto. 

Tutti dormivano in quel momento della notte, tutti tranne uno.

William lo guardava, coi suoi occhi neri spalancati. Si era alzato in piedi e si era avvicinato, in quel momento si trovava a pochi passi da lui. Il ricordo del sogno appena passato gli fece contorcere lo stomaco, e per un attimo lo vide nudo di nuovo, aperto a lui e alle ministrazioni delle sue labbra. 

“Hai avuto un incubo?”

“Bill?” chiese, senza fiato e senza degnarlo di una risposta. “Che ci fai ancora sveglio?”

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