𝟐𝟎. 𝐌𝐞𝐦𝐨𝐫𝐢𝐞: 𝐧𝐨𝐧 𝐫𝐞𝐩𝐞𝐫𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢

Mentre l'ambra si amalgama all'onice al punto da perdere le proprie sfumature, come foglie che abbracciano l'asfalto fino ad assumerne il colore, finisco involontariamente per frugare tra gli scaffali mentali di Isaac. E ciò che trovo - in netto contrasto con l'armonia con la quale il suo pollice d'artista continua a muoversi sulla mia pelle, quasi sfumandovi un immaginario ritratto a carboncino - non è altro che l'ormai familiare, vorticante e inesauribile, ombra dei suoi buchi neri.

Quell'apatia non mi sorprende.

Al contrario: in qualche modo, mi tratteggia sulla schiena un'intangibile traccia di estraneità. La sensazione sgradevole di trovarmi di fronte a un perfetto sconosciuto che, ancora una volta, si è appropriato di un contatto eccessivo. Un estraneo dalle corde vocali appassite che, per qualche ignota ragione, continua a fissarmi in maniera sfacciatamente diretta. Non smette di studiarmi, ispezionando tra le righe del mio volto, come se da quella lettura approfondita ne potesse evincere risposte delle quali ignoro le domande – e ancor più l'interesse che possa ruotarvisi attorno. Di esaminarmi come un critico d'arte, un esperto che non si limita ad accarezzarne le apparenze, ma insegue con tenacia i dettagli sullo sfondo.

Uno sconosciuto che conosce a memoria le traiettorie dei tuoi nei, così come dei tuoi segreti; tanto i sassi in cui sei inciampata in errore, quanto i bivi che hai imboccato per sbaglio. L'unico estraneo a possedere le capacità di orientarsi e far rotta tra le parole che non osi pronunciare. E che, soprattutto, potrebbe decidere di offrirne le indicazioni in pasto al mondo, sfamandone la curiosità in qualsiasi momento. Magari per vendetta. O forse perché, dopotutto - per definizione, non ti deve più nulla.

Compio istintivamente un passo indietro, scrollandomi di dosso quella gelida e pericolosa vicinanza, prima che mi rimanga impigliata tra le fibre dell'epidermide come neve tra i capelli. Il corvino sembra in qualche modo condividere il mio disagio, mentre indietreggia a sua volta e, andando accidentalmente a sbattere contro uno sconosciuto di passaggio, mi offre l'occasione perfetta per dilatare le distanze.

<<Vado a prendere qualcos'altro da bere>> informo rapidamente all'orecchio di Alice. Dopodiché svanisco tra la folla, lasciandomi alle spalle tanto le sue espressioni interrogative, quanto un Isaac ancora distratto, impegnato con delle scuse di circostanza.

Ad ogni passo che compio in direzione dell'uscita, recupero gradualmente ogni facoltà di respirare in maniera spontanea. E quando infine mi ritrovo fuori dal locale, riesco persino a espirare a fondo, sgomberando i polmoni non solo dall'aria trattenuta, ma anche dalla maggior parte di quelle emozioni stantie; vecchi scatoloni sigillati e lasciati a marcire agli angoli della soffitta, tra gli addobbi di un Natale mai più festeggiato e una raccolta di polaroid alle quali il tempo ha sbiadito i tratti, cibandosi dei suoi colori; antichi vasi di Pandora che ultimamente non fanno che capitarmi e ricapitarmi tra le mani, in continuazione, ma che insisto a non voler riaprire.

Per un attimo, giurerei di averle viste volteggiare nell'etere. Danzare come spettri finalmente liberi, mescolati al vapore che sguscia via dalle labbra e fugge verso l'alto. Infine smarrirsi in quel cielo ottobre, che il pesante pugno di nubi ha reso insaturo, spoglio di luci, risucchiando luna e stelle in un infinito imbuto di oscurità.

Mentre cerco di stringermi il più possibile nelle spalle, appoggio la schiena nuda all'automobile di Alice. Il metallo è un bocciolo rinsecchito dalla prima ondata di gelo eppure, laddove le dita di Isaac si sono trattenute per alcuni istanti, la pelle brucia ancora delle sue orme.

<<Un locale che offre drink nel parcheggio...>>, sento avvicinarsi quella che pare essere la voce sarcastica della mia abbronzata migliore amica. <<Piuttosto innovativo.>>

Mentre i passi dell'italiana si interrompono dinnanzi a me, mi limito a concederle un sorriso tirato, incapace di trovare una giustificazione valida agghindata d'ironia. Né tantomeno di condividere una mezza verità.

<<O hanno spostato qui fuori la festa oppure tu, Skye Jones>>, asserisce puntandomi teatralmente un dito contro, <<Sei una pessima amica. Voglio dire, prima mi metti in guardia dalle intenzioni di Isaac e poi mi lasci totalmente sola con lui per...morire di freddo in un banale parcheggio?>>

<<Lui dov'è?>> D'istinto proietto lo sguardo alle spalle di Alice, quasi aspettandomi di vedere la figura del corvino saettare nel buio, stretto nella sua camicia bianca e nei pantaloni eleganti. Avvicinarsi con tutta la calma e il silenzio che lo qualificano, come un nubifragio estivo che inizialmente non dà segnali evidenti del proprio passaggio.
Quel primo boato che lo accompagna - e che finisce per spezzarsi ogni volta negli stessi punti, nervi e organi scoperti, ti coglie sempre impreparato. Il pianto a dirotto che ne segue, invece, è solo il tuo.

<<Tranquilla, ho lasciato il suo bel faccino perplesso al calduccio.>>

Alice si affianca a me, appoggiandosi a sua volta contro la fiancata dell'auto. Le braccia strette intorno al corpo, a creare uno scudo contro le più rigide peculiarità della notte, si unisce al mio religioso silenzio con armonia.

<<Quando ho detto che Isaac non è una compagnia raccomandabile, non intendevo... in quel senso>>, mi lascio sfuggire tra i denti dopo qualche istante.

<<Dunque, la probabilità che entro la fine della serata muoia per assideramento, è superiore alla possibilità di finire nel retro della sua macchina contro la mia volontà? O, peggio: torturata, uccisa e seppellita chissà dove?>>

<<Facendo qualche calcolo veloce, direi di sì. Anzi, ad essere precisi, direi che il rischio maggiore in cui stai incorrendo al momento è quello di beccarti un raffreddore indimenticabile. Tuttalpiù, una bronchite con i fiocchi.>>

<<Questo mi solleva.>>

Ci ritroviamo a scambiarci un rapido sorriso a mezza luna, prima che un'ampia dose di severità si appropri in un lampo dei suoi lineamenti rilassati, facendone impallidire il chiarore al passaggio di una massa informe di nubi.

<<Skye, seriamente...>>

Anche il suo tono di voce subisce quel rigido cambiamento. Il che mi lascia confusa e infreddolita per qualche istante. Investita a folle velocità dalla corrente improvvisa, che mi fa sbattere le palpebre più e più volte, finestre lasciate socchiuse in una giornata di primavera.

<<Non pensare che voglia farti alcun tipo di pressione sull'argomento. Anzi, per quanto ammetta che la curiosità mi divori, sai che non cercherei mai di cavarti informazioni che non vuoi condividere. Siamo molto simili in questo. Tuttavia...>>, una pausa per frugare tra le parole giuste con cui proseguire, <<Isaac mi piace. La cosa sembra essere ricambiata. E un certo presentimento mi suggerisce che potrebbe piacermi ancora di più, se avessi la possibilità di conoscerlo. Come ti ho già detto ieri, non sono alla ricerca del consenso di nessuno, se non del suo. Ma prima di approfondire e spingermi oltre, vorrei capire come stanno le cose tra voi. Più per evitare di seminare vittime collaterali superflue, che altro.>>

<<A me pare che sia questa conversazione ad essere superflua>> asserisco, inflessibile, e già avverto arrampicarsi una buona dose di amarezza su per le radici dello stomaco: quella sensazione negativa e irrazionale - gelosia, forse - che non ha alcuna ragione d'esistere né di fare inutile rumore, che ciononostante non fa che avvilupparmi la gola come il collo alto di un maglione troppo stretto; mi spinge lontano da Alice di qualche passo, mentre cerco di risistemare la maschera alla bell'e meglio. <<Dopotutto, non sei stata proprio tu ad affermare che ciò che c'è stato tra noi appartiene al passato e non può influire in alcun modo?>>

<<Può darsi>> concede lei. <<Ma credi che non mi sia accorta dello sguardo che vi siete scambiati poco fa?>>

È quell'inaspettata osservazione a tagliarmi le corde vocali, al punto da derubarmi di voce e certezze per qualche istante - oltre ad un paio di grammi d'aria. Al contrario di Alice, le cui parole sembrano invece aver fretta e ossigeno sufficienti da correre a perdifiato verso un dunque: <<A me del passato poco importa. È il presente ciò di cui mi preoccupo. E, al momento, mi sta inviando segnali piuttosto discordanti. Motivo per cui, mi sembra doveroso chiedere di nuovo: c'è ancora qualcosa tra voi?>>

<<Se un rapporto professionale può definirsi qualcosa, allora la risposta è: lo spero, dal momento che, se Isaac continuerà a rifiutarsi di collaborare e di aiutarmi, Miss Morris e il preside Westwood non si faranno scrupoli a sospenderci. Se, invece, ti riferisci ad un qualche tipo di relazione romantica, la risposta alla tua domanda è: assolutamente no. Non c'è mai stato nulla del genere, né potrebbe mai esserci. L'elenco delle ragioni è lungo, ma privato. E, dopotutto, del nostro passato a te non importa. Dico bene?>>

Alice sembra riflettere, mentre i suoi occhi si spingono oltre la mia figura, addentrandosi nella penombra del parcheggio. Per un breve attimo, si colorano di notte e stupore in egual misura. <<Forse, condividere almeno una di quelle ragioni, potrebbe convalidare la tesi...>>

<<Non esiste alcun passato.>>

Le parole, già prone sulla punta della lingua, crollano tutte insieme, infelicemente schiacciate dal manto nevoso; ricacciate sui propri passi, giù per la trachea, da quella voce - la voce di Isaac - tanto sublime quanto invernale, che mi raggiunge alle spalle, strisciandomi nelle orecchie come un soffio di nebbia. Una stalattite in caduta libera, che mi taglia la schiena in un unico, impietoso colpo.

Totalmente disarmata, il gelo mi inchioda i piedi al suolo, cartacce dimenticate sul ciglio della strada, in attesa di sparire dentro la coltre di neve; di perire nell'inverno più rigido e inatteso dell'ultimo secolo.

<<Almeno non per me, dal momento che ne ho perso la memoria. È una ragione abbastanza valida?>>

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