𝟏𝟕. 𝐈𝐥 𝐟𝐢𝐮𝐦𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐧𝐨𝐧 𝐝𝐞𝐭𝐭𝐨

Isaac non ha mentito. Non ha indossato maschere, né trucchi o travestimenti di alcun genere.

Mentre rimarcava ad Adam quanto poco gli importasse di lui o della sottoscritta, i suoi occhi scuri erano finestre aperte su un mare nero, affacciate ad un panorama di tetra desolazione: l'apatia sembrava aver ucciso qualsiasi forma di vita sui suoi pianeti, rendendone i paesaggi simili al dipinto di una natura morta.

Cosa lo avrà reso così insensibile?

Ha forse a che vedere con il suo ritorno? Con ciò che Miss Morris pare avermi tenuto nascosto?
Oppure, semplicemente, l'inesorabile scorrere del tempo ha finito per consumare definitivamente quel fil rouge che un tempo ci tratteneva per i mignoli, e che adesso sembra essersi fatto di filo spinato?

<<Ed ecco un paio di favolosi piatti di spaghetti al pomodoro, cucinati dal miglior chef americano. O quasi.>> È l'esclamazione del mio fidanzato ad obbligarmi ad abbandonare i pianeti disabitati di Isaac e ad atterrare sul suolo terrestre.

Adam posa le pietanze e prende posto accanto a me. Non riesco a fare a meno di fissarlo apertamente mentre impugna la forchetta, avvolge rapidamente una buona quantità di pasta e la porta alle labbra con piccata naturalezza. Ripete lo stesso gesto più volte, ostentando la medesima calma, prima di lasciar teatralmente cadere le posate sul bordo del piatto.
L'eco del metallo che si scontra con la ceramica è la nota stridula che distorce il suo spartito, spezzandone l'armonia e svelandone la falsità. Mi rimbomba al centro del petto, facendomi trasalire.

<<Dovresti mangiare, anziché limitarti a fissarmi>> dice, gli occhi tenuti saldamente fissi sul piatto. <<O forse preferisci dirmi che ci facevi a un palmo dal naso di quel damerino da quattro soldi?>>

<<Oppure potremmo parlare di te e Claire>> ribatto prontamente, in tono piccato, gli occhi puntati sulla sua nuca come pugnali. <<O della tua improvvisa e perspicace scomparsa.>>

Un paio di fari azzurri si posano finalmente sul mio volto. Sembrano lampeggiare senza sosta e mettermi in guardia dalla tempesta in arrivo.

<<Te l'ha insegnato lui questo giochetto?>>

<<Di cosa stai parlando, Adam?>>, un sospiro greve già sulla punta della lingua.

<<Non ricordavo che fossi così... manipolatrice.>>

Una gelida ondata di incredulità mi investe, seguita qualche istante dopo da un'altra. E un'altra ancora. Mi obbliga a serrare violentemente le labbra, ad annaspare in un'alta marea di confusione, nel disperato tentativo di ingoiare quanta più rabbia possibile, per evitare di sputare sentenze che potrebbero sancire una fine fulminea.

<<Quello che intendo dire>>, si affretta a spiegare, <<È che sei facilmente riuscita a rigirare la questione contro di me. Ad inventare – o meglio, a raccontare a te stessa una storia assurda pur di non ammettere la verità. Se è davvero tutta farina del tuo sacco, permettimi di complimentarmi per l'innata fantasia.>>

Tento di intervenire, ma Adam mi precede ancora una volta: <<Per quanto questa presunta storia tra me e Claire ti faccia comodo, mi dispiace deluderti, Jones: non è successo proprio nulla quella notte. Mi sono limitato a prendermi cura della tua migliore amica, ad offrirle una spalla sui cui piangere e un letto in cui smaltire la sbornia. Cose che avresti fatto tu stessa se non avessi avuto il cellulare spento, irraggiungibile.>>

<<Se quella notte non ha avuto alcuna importanza, perché non me ne avete parlato?>> riesco finalmente a sbottare, levandomi in piedi in uno scatto d'ira.

<<Claire non voleva che si sapesse com'erano andate le cose tra lei e William>> spiega Adam con calma, senza scomporsi, né irritarsi minimamente. <<Diceva di non sentirsi ancora pronta a parlarne e che, una volta che fosse finalmente riuscita a digerire la questione, sarebbe stata lei stessa ad affrontare l'argomento. Mi ha pregato di mantenere il segreto e io mi sono semplicemente limitato a rispettare la sua volontà. In fondo, non erano affari nostri.>>

La naturalezza con cui si limita a pronunciare quelle parole, riversandomele direttamente negli occhi come una brocca d'acqua gelida, a sedare un incendio estivo, sembra testimoniarne la sincerità. Eppure, potrei giurare che non gli appartenga; quei nervi tenuti saldamente abbarbicati gli uni agli altri, quelle urla trattenute nei polmoni, la rigida compostezza con cui ha deciso di affrontare la situazione non gli si addice.

Uno sguardo disattento potrebbe semplicemente lasciarsi illudere da ciò che gli viene mostrato. Ma un occhio abituato ad ogni tipo di maschera, dalla più semplice alla più elaborata, sa riconoscere facilmente una falsa disinvoltura.

Quella di Adam non è altro che l'ennesima maschera preconfezionata ad arte. Una simulazione a dir poco perfetta, che il tempo gli ha permesso di perfezionare nei minimi dettagli.

<<Da quanto tempo preparavi questo copione?>>

<<Che vuoi dire?>>

<<Che non ti credo>> confesso, lasciandomi nuovamente cadere sulla sedia. <<Non credo ad una parola.>>

<<Come ho già detto: non credermi ti fa comodo. Accusarmi senza nemmeno concedermi il beneficio del dubbio, ti fa comodo.>> Adam blocca ancora una volta il mio tentativo di intromissione. Leva una mano in aria con la medesima, innaturale impudenza. <<Non importa ciò che dirò. Ogni tentativo di dimostrarti la mia sincerità sarà inutile, perché tu hai deciso di condannarmi ancor prima di conoscere la mia versione dei fatti. E persisti, tuttora, per un motivo ben preciso.>>

So dove vuole andare a parare.

<<Isaac non c'entra niente>> riesco finalmente ad intervenire. <<Questa questione riguarda me e te, Adam. Nessun altro.>>

<<Non so se reputarti ingenua oppure incredibilmente furba. Forse entrambe le cose?>>

<<Non è lui ad essere sparito>> mormoro con durezza, incapace di soffocare lo strepito di rabbia che sento arrampicarsi su per il petto. <<Ad avermi lasciato crogiolare nell'incertezza, ad affogare nell'orgoglio, in attesa di spiegazioni...>> Ma appena le parole abbandonano le labbra, mi rendo immediatamente conto della loro falsità: dopotutto, Adam non si è comportato tanto diversamente da Isaac. Per quanto le circostanze siano completamente diverse, entrambi, in un modo o nell'altro, mi hanno obbligato a fare i conti con l'orgoglio. Con i silenzi. Con il peso schiacciante del non detto.

E forse è proprio questo il punto. La storia, a volte, si ripete per permetterci di comprendere. Di analizzare a fondo se stessi con più maturità, con maggiore esperienza. E, infine, di agire in maniera diversa.

Continuare a ripetere gli stessi passi in maniera recidiva, ricalcando le orme lasciate su un terreno già battuto, non può fare altro che ricondurci sempre negli stessi posti, dinanzi agli stessi burroni senza fondo.

Un déjà-vu, al contrario, deve essere vissuto con maggiore consapevolezza. È l'occasione perfetta per imprimere orme diametralmente opposte alle precedenti. E, ad un certo punto, sarà addirittura necessario un atto di coraggio: una svolta a sinistra o a destra, per lasciare definitivamente quel percorso così familiare e confortevole, ma ormai privo di una significativa destinazione.

<<Hai ragione, Adam>> ammetto, greve, cambiando rotta all'ultimo istante. <<Il ritorno di Isaac mi ha sconvolto perché ciò che mi lega a lui è sconvolgente. E no, non intendo romantico o poetico. Mi riferisco all'accezione peggiore del termine.>> Faccio una pausa prima di continuare. <<Tra noi pesano molte parole non dette. Non solo per orgoglio o per vigliaccheria, ma anche perché le circostanze e il fato hanno contribuito a remarci contro, impedendo di fatto un chiarimento. In tutto questo tempo non ho mentito - o forse sì, ma non con crudeltà. Piuttosto, con cieca ingenuità: ero profondamente convinta di essere riuscita a mettere un punto al passato. Ad andare a capo, senza troppe cerimonie.>> Un'altra pausa. Un secondo, abissale respiro. <<Mi illudevo.>>

Mentre alzo uno sguardo schietto su di lui, mi rendo conto che Adam sta impiegando uno sforzo disumano per continuare a rispettare il proprio copione di imperturbabilità. Tuttavia, la rabbia incomincia già a sfuggire dalle righe. A snodarsi tra le rughe del suo cipiglio, tradendosi nelle minuscole increspature ai lati delle sue labbra perfette.

<<Finché non riuscirò ad affrontare direttamente il passato, a perdonarlo, a perdonarmi, non sarò mai in grado di andare avanti, è vero>> proseguo. <<Ma questa non è l'unica difficoltà che rischia di minare la nostra relazione. Ciò che è successo - o potrebbe essere successo - tra te e Claire non è un banale pretesto. Piuttosto, la reputo una lacrima che fa traboccare un vaso già colmo.>>

<<Non sapevo neppure che ci fosse un vaso a rischiare di separarci, fino ad ora.>>

<<Ecco, questo è uno dei problemi di cui ti sto parlando...>>

Tutto il non detto che continuo a conservare, inflessibile, a metà strada tra lo stomaco e il fegato, è un fiume trattenuto a stento, immerso tra argini che si fanno ogni giorno sempre più friabili. Il rischio di inondazione è un allarme già preannunciato.

<<Stai dicendo che non sono abbastanza attento? Mi reputi un fidanzato
"distratto"?>>

Scuoto la testa debolmente per contraddirlo. <<Mi riferisco alla mancanza di comunicazione.>>

Adam mi punta un dito contro. <<Una mancanza che tu hai contribuito a plasmare con le tue stesse mani.>> Un ringhio basso sfugge alle redini della sua razionalità, lasciando intravedere l'ombra della consueta, familiare impulsività. <<Con i tuoi silenzi, le tue risposte evasive, i segreti...>>

Ogni volta che fuggi da un confronto, preferendo tacere anziché sfogare un'emozione, finisci per partecipare attivamente alla tua sconfitta. Giorno dopo giorno, emozione dopo emozione soffocata, ti renderai conto di essere stata tu stessa l'artefice della tua infelicità.
Devo averlo letto da qualche parte, ma in questo momento non ricordo dove.

<<Lo so.>> Non tento neppure di negare, mentre distolgo lo sguardo dal suo, che non riesce ad arginare un certo stupore.

<<Skye Jones che ammette le proprie colpe è un episodio che non voglio assolutamente perdere. Forse dovrei preparare i Popcorn, dato che la pasta si è ormai raffreddata.>>

Il tentativo di alleggerire la conversazione centra il proprio obiettivo. Lascio sfuggire un'espressione a metà strada tra una smorfia e un sorriso, mentre, al contrario, il peso che sento schiacciarmi il petto non accenna ad alleggerirsi nemmeno di una piuma.

Trattengo istintivamente il fiato, mentre mi decido a lasciar cadere gli argini. E quando il fiume dei miei pensieri più reconditi incomincia a straripare, mi preparo all'impatto con quell'ammasso tetro di liquefatta realtà.

<<Penso che dovremmo prenderci del tempo, Adam. Stare ognuno per conto proprio per un po' non può che farci bene.>>

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