𝟔. 𝐑𝐢𝐬𝐨𝐫𝐭𝐨 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐜𝐞𝐧𝐞𝐫𝐢

Il pomeriggio scivola via, come i taxi in corsa sulle abissali pozzanghere settembrine. Prima che riesca a rendermene conto, mi ritrovo già tra le braccia di Adam, immersa nella sua immensa vasca da bagno.

<<Ti sento distante, Jones>> lo sento mormorare all'altezza del mio orecchio sinistro.

Il mio fidanzato mi attira più forte a sé, imprigionandomi contro il suo petto. Il suo respiro caldo è un venticello aggraziato, appena accennato; lambisce e solletica la pelle delicatamente, mentre le sue labbra danzano in punta di piedi sul mio collo.

Anziché raccogliere brividi, però, mi accorgo di starmi paralizzando involontariamente.

<<E anche un po' tesa>> considera, imprimendo l'orma di un bacio all'altezza della clavicola.

Comprensibile, dal momento che sono ore che non faccio altro che ripercorrere gli avvenimenti della giornata, senza riuscire ad orientare i pensieri in altra direzione che non sia alle spalle.

Lo sguardo rivolto al passato, in rotta verso antichi ricordi, riaccumulo le ossa che negli anni ho disseminato negli armadi.

Alcuni scheletri si materializzano di fronte ai miei occhi. Come mummie risorte dall'aldilà, strillano alla ricerca di attenzioni. E io non posso fare a meno di concedere loro ciò che vogliono: me stessa. Completamente.

Sono un unico fascio di nervi, come cavi elettrici scoperti: è sufficiente un nonnulla per venire travolta da nuove, potenti scariche di adrenalina. E sento di essere prossima ad un inarrestabile corto circuito.

Mentre fuori il temporale imperversa, la luce interna continua ad affievolirsi e a tornare a splendere più forte di prima, come una lampadina prossima alla fine.
Mi domando cosa succederebbe se dovessi bruciare del tutto.

<<Ti sbagli>> mento, stringendomi tuttavia nelle spalle. Continuo ad accartocciarmi su me stessa, similmente a un giornale abbandonato sotto la pioggia martellante.

Sento il suo braccio sinistro rafforzare ancora di più la presa sul mio ventre, intanto che le dita della mano destra mi passeggiano sull'avambraccio. La sua morsa è quasi dolorosa, ma le sue carezze sono leggere, appena percettibili.

<<Ora che quel Miller pare essere risorto dalle ceneri>> mi soffia di nuovo nell'orecchio, <<Non starai mica pensando di mollarmi. Vero, Jones?>>

Forse per la prima volta da quando stiamo insieme, non riesco a comprendere il tono della sua voce. E la cosa mi lascia abbastanza attonita. Detesto non riuscire ad intuire pensieri e intenzioni.

<<E perché mai dovrei?>> Cerco di caricare la frase con una quantità eguale di indifferenza e convinzione, dato che la sua presa mi impedisce di voltarmi a guardarlo.

<<Sai come si dice...>> Adam lascia la frase in sospeso, continuando a stringermi a sé. Se continua di questo passo, finirà per spezzarmi qualche osso, così come mi sta mozzando il respiro.

Eppure, non so bene perché, non riesco ad intimargli di allentare la morsa.

<<Veramente, no>> sussurro, incominciando però a indovinare i suoi pensieri.

<<Quando la brace non è spenta, un sospiro è sufficiente per ravvivarla>> recita Adam, come in altre occasioni gli è già capitato di fare: a un passo dall'imboccare strade diametralmente opposte, quel sospiro è sempre sopraggiunto, con l'intento di riportarci – insieme - su strade già battute.

A volte sembra davvero impossibile allontanarsi definitivamente da alcuni sentieri. Per quanti giri ti ritrovi a fare, per tutti i frangenti di vita che ti concedi di vivere, alla fine ci si ritrova sempre sulle medesime strade, di fronte agli stessi paesaggi, con i soliti occhi custoditi in fondo alla tasca dei jeans.

<<Le cose tra me e Isaac non sono mai state... così>> mi affretto a contraddirlo.

<<E allora come sono?>> domanda. Poi si corregge: <<Com'erano.>>

<<Non c'è mai stato amore e di conseguenza non ci potrà mai essere alcun ritorno di fiamma>> tento di nuovo di troncare il discorso, ma Adam sembra essere ostinato a proseguirlo.

Vuole avventurarsi nelle profondità, senza tenere conto di quanto potrebbero essere torbide e cupe le mie acque. Ciò che si trova sul fondale, sepolto da miliardi di detriti e sabbia, potrebbe non piacergli affatto.

<<Forse dimentichi di avermi confidato di avergli donato la tua verginità.>>

Sobbalzo involontariamente, mentre le gelide, ossute dita dei miei scheletri sembrano avvicinarsi sempre di più.

Ad un certo punto non riesco più a capire quale morsa sia la più dolorosa, se quella del braccio di Adam intorno al mio ventre, oppure quella del passato attorno alla mia vita.

Percepisco solo il respiro venire meno per interminabili secondi, per l'ennesima volta durante questa giornata in trasferta all'inferno.

Chissà, forse, riuscirò almeno a guadagnare l'improbabile abilità di continuare a sopravvivere anche in apnea.

<<È stato tanto tempo fa. E non ha avuto alcun valore.>> Adam sembra sul punto di obiettare, ma io lo anticipo: <<E in ogni caso, non potrebbe più accadere nulla del genere. Non solo perché sono fidanzata e innamorata di te... ma per un miliardo di altri validi motivi. Puoi credermi.>>

<<Ovvero?>>

<<Basta, Adam. Sono stanca di parlarne.>> Esasperata da questo maledetto interrogatorio, incomincio ad agitarmi nell'acqua ormai fredda, nel tentativo di liberarmi dal suo abbraccio. Più che un rassicurante riparo, sembra essere diventato una gelida cella.

Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio mi lascia finalmente andare. Resta a guardarmi uscire dalla vasca e imperlare il pavimento di gocce d'acqua.

Mi avvolgo come un "burrito" in un asciugamano un po' ruvido, per poi dirigermi a passi lenti verso la camera da letto.

Il mio fidanzato mi raggiunge poco dopo. La forma che hanno assunto le sue sopracciglia è un indiscutibile cipiglio. <<Rinchiuderti, come al solito, nei tuoi silenzi non ci aiuterà a risolvere la situazione>> asserisce a denti stretti.

<<Non c'è nessuna situazione da risolvere>> commento caparbia. Nel frattempo, mi appresto ad asciugarmi e a rivestirmi con gli stessi indumenti della giornata: un morbido maglioncino oversize beige e un paio di banalissimi jeans, con qualche minuscolo strappo all'altezza delle cosce.

Adam è fermo al centro della stanza. Si avvicina a me mentre sono seduta sul suo letto, intenta a bisticciare con i pantaloni un po' stretti. Flette leggermente la schiena per posarmi ambe le mani sulle cosce ancora scoperte.

Quando alzo lo sguardo per incrociare i suoi occhi di ghiaccio, la sua espressione persiste nell'essere tesa. Sembra addirittura sul punto di insistere nella ricerca della verità quando, d'improvviso, il cielo dei suoi occhi si rischiara. Un impavido raggio di luce è riuscito a combattere l'impenetrabile coltre di nubi.

<<Il bagno non è riuscito a rilassarci, a quanto pare>> considera infine con un sorriso sghembo, strappandomi un casto bacio. <<Tuttavia, conosco un altro modo altrettanto efficace.>>

Adam approfondisce l'incontro tra le nostra labbra, che si fa sempre più intenso ogni secondo che passa. Mi sfila definitivamente i jeans e io lo lascio fare, totalmente assorbita dal turbine di baci. Poi mi invita a coricare la schiena sul materasso, finendo per sdraiarsi sopra di me.

Quando la sua lingua approda sul mio collo, tuttavia, finisco nuovamente per perdermi nel mio caotico universo di pensieri. Mi lascio assorbire da uno dei tanti buchi neri, finché non percepisco nient'altro a parte il vuoto.

❖❖❖

Accoccolata al morbido, comodissimo sedile in pelle di uno dei tanti bolidi di Adam, lascio che sia il suo autista, Murray, a riaccompagnarmi a casa. La fermata dell'autobus non è lontana dalla villa di Adam, ma si è ormai fatto buio e non mi andava di percorrere da sola le affollate strade di New York.

Cullata dal rombo della Maserati, osservo la città splendere nelle sue infinite luci al di là del finestrino. I palazzi e i grattacieli svettano in direzione del cielo livido, delle nuvole ancora pregne di pioggia, mentre le auto e i taxi color canarino schizzano a velocità elevata.

Mentre studio l'eterna, instancabile vita notturna della Grande Mela, mi costringo a non pensare né al ritorno di Isaac, né al litigio con Adam o a ciò che è venuto dopo.

Murray è un tipo talmente silenzioso, che ne approfitto per cercare di rilassarmi e sgombrare la mente; I viaggi in auto hanno da sempre un potere soporifero sulla sottoscritta.

Ormai completamente sprofondata nel soffice sedile, sto quasi per addormentarmi, quando qualcosa vibra nella tasca dei jeans. Mezza assopita, impiego qualche attimo a realizzare che si tratta del mio cellulare.

Rispondo strascicando leggermente le lettere, senza neanche controllare il mittente della chiamata.

<<Skye, sono fuori dal tuo palazzo, a suonare da più di mezz'ora. Dove sei finita?>> È la voce acuta della mia bionda migliore amica a riscuotermi dal dormiveglia.

Raddrizzo la schiena in un istante, mettendomi a sedere composta. Solo adesso realizzo che siamo rimasti imbottigliati nel consueto traffico newyorkese.

<<Ero a casa di Adam. Per quale motivo mi cercavi?>> mi giustifico con Claire, che ammutolisce all'improvviso.

<<Ebbene? Sei ancora lì?>> insisto, non avendo ricevuto risposta per diversi secondi.

<<Sì, sì. Volevo solo discutere con te a proposito di ciò che è successo oggi>> ribatte finalmente, non prima di aver rilasciato un sospiro. <<Immagino tu sia rimasta abbastanza stupita dalla mia confessione - tra virgolette parlando.>>

La immagino in piedi sull'ultimo gradino del palazzo. La schiena inchiodata al portone, il cellulare in bilico tra l'orecchio e la spalla, intenta a mimare con le dita due paia di virgolette sulla parola "confessione".

<<Abbastanza, sì>> ammetto, mentre all'improvviso mi torna in mente lo scambio ambiguo, quasi complice, di sguardi tra la mia migliore amica e il mio fidanzato. <<Più che altro perché non avevi mai accennato ad una rottura tra te e William, prima d'ora. Perché non mi hai detto nulla?>>

<<È una cosa piuttosto recente. E se te lo avessi detto, avrei dovuto ammettere anche altro... Non sapevo come avresti potuto reagire.>>

Incomincio seriamente a preoccuparmi.

L'autista di Adam pare essere finalmente riuscito a superare il traffico con destrezza. Dopo qualche istante, approdiamo a destinazione.

Esco dall'auto con il cellulare ancora in mano, incollato all'orecchio, con l'ansia che mi sgretola i polmoni.

Come avevo immaginato, la bionda se ne sta con la schiena addossata al portone e le labbra accartocciate in una smorfia di inquietudine.

Non la lascio nemmeno aprir bocca, mentre la rimbecco aspramente: <<Credo che tu mi debba delle spiegazioni, Claire.>>

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