L'incognito

Era un freddo pomeriggio di fine novembre, quando qualcuno, bussò alla porta di casa. Un uomo incappucciato, sulla trentina, fradicio di pioggia, se ne stava dietro la porta ad aspettare. Lo guardavo dall'oculare: il volto era ben coperto, quasi impenetrabile alla vista. Si vedevano a mala pena le sottili labbra e la punta del naso.
Aveva una bocca molto ambigua ed inespressiva. Incuteva timore solo vedere quelle rosee strisce di carne. Gli aprii la porta, esitando un po'. Aveva lo sguardo tenebroso, sterile, come se nulla potesse scalfirlo. Si presentò con una valigetta nella mano destra, una giacca nera, guanti in pelle e un fare molto sospetto. Eleonora mi aveva già avvisato del suo arrivo, ma non capii subito che si trattasse di un tizio così misterioso. Erano le 4 precise, l'orario che mi disse la mia fidanzata.
Chiesi titubante il nome all'uomo, ma lui si limitò ad un cenno con la mano per dirmi di stare zitto. Deglutisco rumorosamente. Avevo un chiodo fisso in testa che mi diceva che non era la persona giusta. Non si tolse il cappuccio, ma silenziosamente mi allungò la sua valigetta. Non interpretai subito il suo gesto, e mi limitai a guardarla. Spostavo lo sguardo dalla valigetta all'uomo, dall'uomo alla valigetta. Mi stava inquietando sempre di più. Ad un certo punto, ruppe il silenzio, che ormai echeggiava nella stanza, e con voce ferma e cristallina affermò:"prendila!". Ero confuso non sapevo che fare. L'istinto era quello di ubidirgli, la ragione invece voleva chiamare Eleonora. Desideravo tanto accertarmi che fosse lui l'uomo giusto. "F-faccio una chiamata veloce e torno subito" dissi con voce tremolante.
"Prendila ho detto!" insistette lui alzando di un tono la voce.
Essa risuonava gelida nelle mie orecchie. Così, senza contraddirlo, la afferrai. Non fece una piega. La lascio nel momento esatto in cui la afferrai come fosse un robot. Era ancora lì in piedi in quella posizione eretta, strana, quasi innaturale. Tentai di invitarlo ad entrare, ma non appena presi quella maledetta valigetta, si richiuse velocemente la porta alle spalle. Non sapenvo nuovamente che fare. Mi prendeva sempre alla sprovvista. Il tonfo della porta svegliò i miei muscoli. Il mio corpo si mosse prima dei miei pensieri e riaprii rapidamente la porta. Rimasi di stucco quando vidi che di lui non ci fu alcuna traccia. Era già sparito. Richiusi la porta con violenza. Guardai la valigetta. Il mio corpo aveva un'estrema repulzione per quella cosa, al cotrario dei miei occhi che ne erano attratti. Gettai quasi schifato sul divano quel oggetto. Sentivo che non era un bene averla presa. L'uomo che me la consegnò poi, mi mise ancora più inquietudine addosso. Mi misi le mani tra i capelli e la guardai, più e più volte. Preso dal panico e dalla disperazione iniziai a camminare avanti e indietro per il salotto. Non riuscivo a credere a tutto quel che stava accadendo in quel momento. Però avevo fatto ormai, non potevo più tornare indietro.
Posizionai quella dannatissima valigia sul tavolo e iniziai a girarle intorno. La scrutai da ogni lato, notando ogni minimo dettaglio nella speranza di capire cosa potesse contenere. Era una normalissima valigetta in finta pelle nera traslucida, con gli angoli rinforzati in ottone e una maniglia anch'essa rivestita in finta pelle marrone. Non vi erano particolari tratti distintivi che mi facessero pensare male, a parte che una cosa: aveva la combinazione. Era solo una stupida, stupidissima valigia come tutte le altre, però aveva quella dannata serratura a combinazione.
I pensieri erano così tanto offuscati da quella cosa, da dimenticarmi totalmente di chiamare Eleonora. La dovevo assolutamente contattare, sperando che potesse sanare i miei dubbi. Cercai rapidamente sulla rubrica il numero, alzai il telefono portandolo all'orecchio e... "thu-thu... thu-thu... thu-thu... *segreteria telefonica*".
Non rispondeva. Provai un'altra volta, due, tre, ma niente. Il suo numero non riceveva alcuna chiamata. Cosa stava facendo di così tanto importante? Prima di andare mi disse che aveva delle commissioni da fare e che sarebbe passato un uomo a portarmi una cosa verso le 4. Non mi aveva dato grandi informazioni.

La paura tra un pensiero e l'altro saliva. La pioggia che batteva sui finestroni di casa, scandiva l'atmosfera di terrore assiame a tuoni e lampi. I miei sospetti che la valigetta non fosse ciò che doveva essere, mi fece trasalire. Poggiai un orecchio sopra quella maledetta cosa facendomi mille film sul contenuto, ma non sentii nulla. Si udiva solo lo scrosciare impetuoso della pioggia. Intanto fuori, si stava facendo buio. Erano ormai le 6 passate, ma ancora nessuna traccia di Eleonora. A quanto pare, aveva molto da fare, ma dove? E sopratutto, cosa? Divenni paunazzo dalla rabbia, non capivo cosa c'era dentro la valigetta e perché Eleonora non tornava. La mia paura si sotterrò dentro un cumulo di nervi e rabbia. Stava per sopraggiungere anche  la tristezza quando, ad un certo punto, squillò il telefono: era lei. "Amore! Dove sei!?" Sbottai.
"Proprio qui fuori, amore..." disse lei con voce dolce.
Incredibile! Finalmente era arrivata. Le aprii subito la porta. Stava marciando spedita sul vialetto di casa per ripararsi il prima possibile dalla pioggia. Aveva un ombrellino blu scuro tendente al nero, difficile da definire come colore. Lei amava vestirsi di nero, ogni giorno andava a lavoro con la solita giacchetta nera, sempre ben pulita e stirata. Entrò di fretta. Appena la vidi davanti a me, cercai di parlarle: "amore ma cos'è que-".
Mi bloccò all'istante parlandomi sopra:"non c'è tempo per le spiegazioni, dov'è la valiggetta?".
Le indicai il tavolo del salotto dove l'avevo lasciata. Lei mi diede un bacio a stampo, mi guardò prendendomi per le guance e mi sorrise. "Grazie amore" disse infine.
Non proferii parola. Ero rimasto sublimato dalla sua dolcezza e bellezza. Aveva dei capelli castano scuro che le incorniciavano il volto, degli occhi profondi di color marroncino chiaro, un nasino a patata e delle bellissime labbra carnose. Quando arrivò non vidi altro che lei. L'ammirai in ogni suo movimento. Si avvicinò alla valigetta. La guardai da lontano. Stava rimescolando i numeri della combinazione per aprire quella dannatissima cosa. In parte ero curioso di sapere cosa ci fosse al suo interno, in parte mi importava solo della mia amata. Mi avvicinai con tranquillità a quest'ultima. "Tutto bene amore" feci. Lei non replicò. Era troppo concentrata su quello che stava facendo, poi finalmente riuscì ad aprirla. Tutta la tranquillità che avevo acquisito nel rivedere Eleonora, di colpo svanì in una coltre di pensieri offuscatori. "Amore! Ma cosa..." sbottai sgomentato.
Lei intanto, prese i pezzi di quella che a mio avviso era una vera e propria pistola. Non potevo credere a quel che vedevo. Lei stava montando con grande cura e precisione uno strumento dispensatore di morte. Non me ne intendo molto di armi, ma di sicuro quello non era un calibro leggero, oltre tutto. "Mi dispiace molto non averti potuto dire nulla di tutto ciò" disse lei "però sappi che l'ho fatto per proteggerti...". Cosa voleva intendere con "proteggerti"? Quali erano le sue intensioni? Perché aveva una pistola in mano? "Amore ma che stai dicendo! Cos'è q-quella? Perché..." mi bloccai all'ultimo.
Trattenni il fiato e deglutii rumorosamente. Eleonora intanto finì di montare e caricare l'arma. Le fece fare uno scatto che provocò un rumore spaventoso, poi la mise in tasca. Si girò verso di me, alzò il mio volto prendendomi delicatamente sotto al mento e mi disse: "fidati di me... Ti spiegherò tutto più tardi, ora devo andare... Ti prego, non dire nulla a nessuno di quello che hai visto...". Detto ciò, si dileguò. Prese l'ombrello con cui era entrata e uscì fuori.

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