Capitolo6:La via dell'amore
«Raccontami qualcosa di te. Da dove vieni, ciò che ti piace cosa no. Voglio sapere tutto».
Fenula, seduta a gambe incrociate sul letto, sembrava una bambina alla scoperta del mondo.
Demar le sorrise.«D'accordo, d'accordo. Provengo da Laia, un piccolo paese di pescatori della Terra del Mare a confine con il Bosco Marino. Mia madre faceva la curatrice, mio padre faceva il pescatore ed è morto quando ero molto piccolo in mare durante una tempesta, mentre la mia sorella maggiore Kala era una perdi giorno, sempre dietro a qualche ragazzo». Fece una smorfia di disprezzo. «Mi piace...mi piaceva...»continuò«...andare a caccia con l'arco. Ero piuttosto bravo. Ma non portavo mai le prede a casa. Le seppellivo con tutti gli onori, perché sapevo che mamma non avrebbe mai approvato un simile passatempo».
«E cos'hai fatto per entrare nella setta?»
Demar la guardò negli occhi.«Ho ucciso mia sorella»...
Era a caccia.
Era accucciato dietro un cespuglio, all'erta.
Eccola. Una quaglia del tutto ignara del suo destino.
Scoccò silenziosamente la freccia, che partì con un leggero sibilo.
L'animale non si accorse di niente. Morì all'istante.
Demar aveva appena preso il suo trofeo di caccia, quando sentì dei passi dietro di lui.
«Cosa stai facendo?».Sua sorella Kala, una ragazza pingue più grande di lui di quattro anni, lo stava guardando inorridita.
«Cosa stai facendo!Questo non è un passatempo da ragazzini! Si un mostro!»urlò disgustata.
Girò i tacchi, e iniziò a correre verso casa. Se l'avesse rivelato a loro madre sarebbe stato in guai seri.
Non ci pensò neppure.
Scoccò un'altra freccia.
Sentì un lamento soffocato, e il rumore della terra smossa da un corpo.
Nulla. Demar non provò nulla. Poi, piano piano, sentì crescere dentro di sé un'intima soddisfazione, come quando ci si libera di un pesante fardello. E gli piaceva.
«Non mi sono mai pentito di ciò che ho fatto. Lei non mi voleva bene, e io lo stesso. Da quando era morto papà pensava che la mia somiglianza con lui facesse soffrire la mamma. Mi è solo dispiaciuto non poterla salutare»concluse con voce rotta.
Fenula ascoltò tutto in silenzio. Lui aveva avuto una vita al di fuori della setta.
«Demar».
«Uhm».
«Mi insegneresti a vivere?»
Demar sembrò perplesso da quella domanda.«Che vuoi dire?»
«Intendo, insegnami a vivere come una persona normale».
Demar sorrise divertito.«Un desiderio un po' insolito».
Fenula mise su un finto broncio.«Non c'è niente da ridere. è una cosa seria».
«Hai ragione. Va bene. Vedrò cosa posso fare».
Fenula lo strinse forte.
Restarono abbracciati per una manciata di minuti. Il primo a staccarsi fu Demar.
«Forza bisogna mettersi in cammino. Torniamo a casa».
Per tutto il tragitto si tennero per mano. Fenula non aveva il coraggio di staccarsi da lui, perché temeva che fosse nient'altro che un sogno. Un bel sogno. Voleva sentire il calore di lui accanto.
Quando raggiunsero la Casa, si bloccò di scatto. Là dentro sarebbe stato diverso. Non avrebbero potuto percorrere i corridoi stretti l'uno all'altra. E questo le faceva male.
Demar le scostò dal viso un ricciolo ribelle.«Cosa c'è?».
Fenula si morse il labbro.«Quando metteremo piede nella Casa tutto tornerà come prima. Io sarò di nuovo la Guardia degli Incantesimi e tu un assassino semplice».
Gli afferrò le mani con foga fissandolo con disperazione.«Io non voglio che accada. Non ora che ho scoperto questo sentimento».
Demar la strinse a sé.«Non accadrà mai. Non mi perderai. Troveremo un modo».
Già, ma quale?
Quando raggiunsero il portone, Fenula era ritornata in sé. Assunse la faccia più indifferente che sapesse fare.
«Ben arrivati»li beffeggiò Jalo.
Demar gli scoccò un'occhiata assassina, mentre Fenula tirò dritto.
Raggiunsero in pochi minuti la Sala delle Piscine. Ma non avevano nessun sangue da versare. Dopo l'attacco, non avevano avuto nessuna possibilità di compiere il rito sui cadaveri delle loro vittime. Poco male. Le piscine erano stracolme, per cui nessuno ci avrebbe fatto caso.
Fenula lo accompagnò il ragazzo al suo alloggio, naturalmente senza destar sospetti.
«Ci si vede»la salutò Demar.
Non poteva lasciarla andare così. La prese per un braccio, e la trascinò dentro la sua stanza. Chiuse la porta. E la baciò. Fu diverso dalla prima volta. Fenula si godette ogni secondo, con la mente finalmente libera e pacificata. Si abbandonò a quella sensazione tenera e avvolgente, desiderando che non finisse mai.
«Devo andare»disse lei di malavoglia.
Le lasciò la mano.«Va bene. A domani».
Fenula gli sorrise. Sapeva che ci sarebbe stato.
La vita tornò quasi alla normalità. Riprese gli studi di magia con Yeshol, l'allenamento fisico con Sherva. La novità era Demar.
In presenza degli altri Assassini lo ignorava o lo trattava come se non fosse successo nulla tra loro.
Ma quando erano soli si lasciavano andare ai loro sentimenti.
L'angoscia tornava al pensiero di Sarnek, e del suo tragico amore con la sacerdotessa, accaduta l'anno prima.
"Il mio caso è diverso"si ripeteva inutilmente, per scacciare la verità.
Era vero. Non aveva ancora l'età giusta per dimostrare la sua sterilità. E poi il sesso era ammesso nella Casa solo e unicamente per generare nuova progenie che portasse avanti il culto. Quella disgrazia era accaduta perché lei non poteva più avere figli.
Forse doveva troncare la relazione appena nata. Ma il suo cuore protestava. L'amore per Demar era diventato una droga.
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