11-Atroce verità
Arrivò a Makrat in meno di tre giorni dormendo poche ore la notte, e marciando per il resto del tempo.
Si fermò davanti a una casa in rovina.
Sapeva chi abitava in quella casa. Toph era stato chiaro nel darle informazioni nei minimi particolari. Erano nascosti là i documenti su cui aveva impresso il contro sigillo di Dubhe.
Giocò facilmente le guardie usando i suoi trucchi magici.
Dentro era a dir poco trasandato. I cimeli erano ricoperti da uno spesso strato di polvere, le tappezzerie erano sgualcite e ai lampadari erano appesi fili di ragnatele.
Raggiunse il piano superiore su cui si aprivano quattro porte.
Messe fuori gioco le guardie, le guadò una a una. In quale stanza si trovava Thevorn?
Aprì una porta a caso. La fortuna fu dalla sua.
Thevorn dormiva un sonno leggero e inquieto. E non poteva dargli torto.
Dagli annali aveva scoperto la sua amicizia con suo padre, che era rimasta segreta fino a quel momento. Lui era riuscito a smentire tutto. Per questo era rimasto vivo. Fino a quel punto.
Gli premette la mano sulla bocca e sguainò il pugnale.
Lo stridio svegliò il vecchio, che provò a cacciare un urlo. Ne uscì solo un lamento soffocato.
«Buonasera Thevorn»sussurrò calma Fenula.
L'uomo provò a dimenarsi nel tentativo di liberarsi, senza successo.
«Stia calmo. Sono qui per farle della domande».
Gli tolse la mano dalla bocca per permettergli di parlare.
«Non dirò niente a un'assassina come te»sibilò.
Stava per chiamare le guardie, la voce lapidaria di Fenula lo bloccò.
«Non riuscirete a chiamarle. Il mio pugnale sarà più veloce. Si ricordi. La vostra vita dipende dal vostro buon senso».
In cuor suo sapeva che la ragazza non scherzava.«Che cosa vuoi?»
«Voi eravate amico di mio padre, Re Rewar»
A sentire quel nome la mente sprofondò nei ricordi.
Si, rammentava Rewar salito sul trono a neanche sedici anni. Era stato suo precettore, prima di spostarsi alla corte di Dohor e aiutarlo nella sua ascesa. Era venuto a conoscenza della sua morte, quasi venti anni fa. Fu per quello che si rinchiuse nella sua vita privata.
Sapeva che Rewar aveva avuto una figlia.
In segreto l'aveva andato a trovare in memoria del loro rapporto a Salazar, poco prima dell'attacco dove aveva contrato la morte.
«Cosa volete sapere?»
Vide sul viso della ragazza un dubbio. Non sapeva come formulare la domanda. Ma in questo caso ce n'era una che contava.
«Volevate chiedermi se vostro padre vi amava, non è così?»
Colse un lampo di stupore. Aveva visto giusto.
«Non vi voleva bene. Vi considerava responsabile della morte della moglie, una donna che aveva amato più della sua stessa vita. Vi temeva per le voci che circolavano sui bambini che nascevano facendo morire la propria madre. Vi teneva con voi in quanto unica erede al trono»dichiarò malignamente.
Fenula rimase inchiodata al suo posto. Non poteva essere possibile.
«Secondo il mio parere accolse la morte come una liberazione, per liberarsi di te».
«Non è vero!»esplose.«Nessun padre può odiare un figlio, quando non aveva nessuna colpa!»
«Invece si. Voi non dovevate nascere. Ora voi fate parte di quel branco di bestie, proprio quello che temeva vostro padre»
«Sta zitto»mormorò con ira trattenuta.
«Se non avesse fatto troppo scalpore vi avrebbe ucciso subito».
«Ora basta!»
Brandì il pugnale e lo colpì alla gola. Thevorn non emise un lamento. Le lenzuola si tinsero di sangue.
Non poteva credere a quelle parole spietate. La verità era un'altra, ne era sicura.
Ebbe un'idea. Perché non ci aveva pensato prima? Si sarebbe risparmiata fatica e ira inutile.
Si chiuse nella stanza che aveva affittato.
Si sedette a gambe incrociate a terra, e mormorò la formula.
Il passato si aprì come un corridoio su cui davano un'infinità di porte. L'istinto la portò verso una di legno finemente intagliato.
E seppe infine la verità.
Un vaso fracassato a terra.
ReRewar era in piedi in mezzo alla stanza, rosso d'ira.
«Mio signore, calmatevi».
A parlare era stata una donna anziana con i capelli bianchi stretti in un morbido chignon.
Rewar la guardò infuriato.
«Calmarmi?! Come posso calmarmi con mia moglie morta per dare alla luce quel piccolo demonio!»
«Quel piccolo demonio come lo chiamate voi era ciò a cui più teneva vostra moglie. Il suo tesoro più prezioso».
Il pianto di un bambino interruppe il discorso.«Devo andare. Ha fame».
L'uomo si sedette sulla sponda del letto, piangendo come un bambino la sua perdita.
L'odio per sua figlia non sminuì, anzi sublimò radicandosi nel suo cuore. Fosse stato per lui sarebbe morta all'istante, ma in fondo aveva ragione la sua nutrice. Era l'unica eredità della moglie rimasta su quella terra.
Quando gli assassini inruppero nella sua dimor a Salazar, i suoi dubbi furono dissipati. Erano venuti per la bambina, in quando Bambina della Morte.
Sapeva che l'avrebbe cacciato in quel guaio. Imprecò e si maledisse di non averla uccisa quando poteva.
Quando la vide scomparire, con la vista già annebbiata dalla morte, vide l'unica cosa rimasta della moglie sparire per sempre.
Fenula urlò di dolore. Era vero, tutto tremendamente vero. Thevorn aveva ragione. Pianse senza ritegno.
Quando tornò alla Casa si sentiva svuotata. Sarebbe tornata quella di un tempo dopo le terribili rivelazioni sul suo passato?
Incontrò Rekla nel tempio, che pregava.
Trovò la forza di sorridere. Almeno quello non era cambiato.
La donna la notò solo in quel momento. Scrutò il viso di Fenula. Sembrava distrutta.
«Hai trovato ciò che cercavi?». Lei era l'unica ad essere al corrente della visita a Thevorn.
«Ho scoperto la verità. Mio padre mi odiava e se non fosse stato per la mia nutrice sarei morta».
Rekla le sorrise.«Non devi darci spiegazioni. Non importa chi tu sia stata, conta solo ciò che sei ora. Sei una di noi. E noi siamo fieri di avere una maga come te come compagna».
Fenula rispose timidamente al sorriso. Si sentiva più leggera.
Ma c'era una persona a cui voleva raccontare tutto.
Attraversò miriadi di cunicoli, che sapevano di umido e sangue. Mai prima d'ora le sembrava veramente odore di casa.
Si diresse all'alloggio di Demar.
Aprì piano la porta. Lo trovò seduto sul letto intento a lucidare il pugnale, la fronte corrucciata per la concentrazione.
Si sentì solo un lieve cigolio quando la porta si chiuse.
Demar alzò gli occhi dal suo lavoro.
La guardò, come se l'avesse vista per la prima volta.
La andò incontro, ma non osò toccarla.
«Non sei un sogno, vero?»
Fenula scosse la testa divertita.
«No Demar. Ho deciso di restare perché questa è la mia casa. E poi non potevo abbandonarti».
Solo allora Demar la strinse a sé con forza. Sapeva che sarebbe tornata, ma più di una volta la sua convinzione era vacillata. Si vergognava per questo.
Si ritrovò a piangere come un bambino, stringendo disperatamente Fenula a sé.
Non l'aveva persa. E questo era ciò che contava veramente.
«Non mi perderai mai»sussurrò Fenula, come intuendo i suoi pensieri.
Demar affondò il viso nei suoi capelli. Sapevano di sudore e sangue, ma in quel momento gli parve l'odore più buono del mondo.
La baciò con trasporto, in cui lasciò una muta promessa. Non l'avrebbe più persa.
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