🔞🔥 Capitolo 63🔞🔥 Lezione 21🔞💣

Dopo una giornata passata con Elena quando arrivo a casa, appena varco la soglia, sento il rumore delle piccole scarpette di Rebecca che corre verso di me.

"Papà!" grida, saltandomi addosso.

"Ciao, amore mio," le rispondo con la stessa energia, stringendola e posandole un bacio sulla fronte.

"Giochiamo a pallavolo fuori?" mi chiede con l'entusiasmo tipico dei bambini, tenendo una palla fra le mani.

"Certo, andiamo, amore di papà!" Annuisco mentre usciamo fuori. Il vento fresco del tardo pomeriggio ci accarezza mentre giochiamo, ridiamo e la sua felicità mi riempie il cuore. È incredibile come riesca ad essere felice soltanto perché io sto giocando a pallavolo con lei. Quando però finiamo e stiamo rientrando in veranda, Rebecca si ferma un attimo e mi guarda seria.

"Papà, vedi ancora quella signorina?" chiede con il suo viso preoccupato. È troppo piccola per capire tutto questo, e il pensiero che possa soffrire mi fa male. Mi abbasso per essere alla sua altezza e le prendo il viso tra le mani.

"Tesoro, qualsiasi donna ci sarà nella mia vita, tu sarai sempre la mia bambina"

"Papà... io ho paura"

"Non devi, amore. Io ci sarò sempre per te, e ti amerò per sempre. Devi essere felice, ok?" le dico, cercando di rassicurarla.

"Va bene papà. Io sono felice quando sono con te. Ti voglio bene" Rebecca mi abbraccia e rientriamo a casa allegramente. La sera, quando vado a dormire accanto ad Anna, il silenzio tra noi è pesante e non c'è nessun verso per spezzarlo. Lei non mi fa domande, e io non ho idea di come poter iniziare un discorso.

"Mi sento male, Riccardo. Temo di avere qualche decimo di febbre"

"Hai bisogno di qualcosa?"

"Voglio solo riposare"

"Ok, allora buonanotte"

"Buonanotte" dice chiudendo gli occhi. Così, mentre lei si addormenta, io decido di riprendere in mano il mio romanzo poiché sono assai ispirato e penso di aver avuto un'epifania. Passo tutta la notte a scrivere di getto senza fermarmi nemmeno per andare in bagno. Ho una nuova energia che mi motiva con una passione e uno slancio enormi. E dunque, alle prime luci dell'alba, finalmente termino il romanzo, il mio capolavoro. Sono così entusiasta che non riesco proprio a crederci. Sono le sei di mattina e quando chiudo il file, mi rendo conto che forse è il mio miglior lavoro.

Non avrei potuto farcela senza Elena. Mi ha dato qualcosa di profondo, un'ispirazione che non sentivo da tempo. Decido di scriverle un messaggio per ringraziarla anche se, sono le sei del mattino e probabilmente lei sta dormendo.

"Elena, non trovo le parole per dirti quanto tu sia stata importante per me. Ho concluso il romanzo, e devo tutto a te. Grazie di cuore. Sei speciale, più di quanto riesca a esprimere. Non vedo l'ora di rivederti, amore. Questa mattina appena ti svegli, puoi andare nella villetta qui affianco alla mia, sono sicuro che ti piacerà. A presto 💖"

Alle 8 del mattino, invio il manoscritto all'editore e verso mezzogiorno, ricevo una sua chiamata. Il mio editore mi fa le congratulazioni: il mio lavoro lo ha colpito e dice che la mia opera è un best seller.

"Il successo è assicurato e da settembre dopo la pubblicazione del romanzo, pensiamo a girare il film. Sarà un successo, Riccardo!"

Mi sento sollevato e finalmente, dopo tanto sono fiero di me stesso. Ultimamente percepivo una strana sensazione, come se tutto ciò che facessi fosse un errore. Dalla morte di mia madre, la mia vita era caduta in un baratro dal quale non ero mai riuscito a risalire del tutto. Nulla mi appagava: né Anna, né la mia famiglia, né l'università.

Nulla.

Ogni aspetto della mia esistenza mi lasciava insoddisfatto, come se stessi costantemente cercando qualcosa di indefinito, di irraggiungibile.

Eppure, ora che ho concluso il mio romanzo, sento finalmente una finestra aprirsi nella mia vita, una boccata d'aria fresca, un vento caldo.

Come se avessi il cielo nel cuore.

Questa sensazione di soddisfazione, di pienezza, di orgoglio, non la provavo da anni. Il mio romanzo è la mia rinascita ed è la prova che la mia passione più grande, quella che ho coltivato con perseveranza per tutta la vita, ha finalmente trionfato. Ricordo quando ho iniziato a scrivere, ero solo un bambino. Tutti i miei amici giocavano a calcio, a pallavolo, facevano sport e si allenavano; mentre io, invece, preferivo rifugiarmi nella mia stanza, con un quaderno e una penna. Scrivevo filastrocche oppure piccoli racconti che poi lasciavo in un cassetto, senza troppe pretese. La scrittura mi permetteva di entrare in contatto con una parte del mondo che gli altri non riuscivano a vedere. C'è sempre stata una sensibilità diversa in me, una capacità di cogliere le emozioni nascoste e di soffrire per le ingiustizie del mondo. Sentivo ogni cosa più profondamente, come se le emozioni degli altri, i loro dolori e le loro gioie, si riflettessero dentro il mio cuore. Ho sempre trovato conforto nella scrittura perché era il mio modo di dare forma a quel massacro emotivo che mi circondava. Ora, a quasi 45 anni, ho finalmente finito quello che potrebbe diventare un bestseller.

Non è mai troppo tardi per credere nei propri sogni.

Non importa quanto tempo io ci abbia messo, la cosa importante è non smettere di credere, di lottare e di perseverare per quello che davvero ci rende vivi. Scrivere è sempre stata la mia passione, e se c'è una cosa che questo romanzo mi ha insegnato, è che alla fine, dopo tutto il dolore, le delusioni e i fallimenti, c'è ancora spazio per qualcosa di così puro e bello. Perché quando incontri la persona giusta nella tua vita, ti senti stimolato, ti senti vivo, e per uno scrittore, questo è vitale. Non c'è scrittura senza ispirazione, e non c'è ispirazione senza amore, passione e emozione. In un momento in cui mi sentivo perso, vuoto, bloccato in una vita che sembrava non avere più un senso, Elena mi ha dato tutto questo.

Gli altri scrittori possono dire quello che vogliono, ma la verità è che scriviamo sempre di noi stessi. Anche quando ci illudiamo di costruire mondi inventati, personaggi di fantasia, alla fine, ciò che mettiamo sulla pagina è un riflesso di chi siamo, delle nostre esperienze, delle nostre paure e dei nostri desideri più profondi. Ci nascondiamo dietro la penna, è vero, ma dentro ogni storia che scriviamo c'è sempre un pezzo di noi. Elena mi ha fatto ritrovare quella parte di me che avevo perso, quella scintilla creativa che si era spenta tra la routine, le responsabilità e il peso delle mie scelte sbagliate. Grazie a lei ho ritrovato il coraggio per affrontare i miei demoni e di imprimerli sulla carta, trasformando il tumulto interiore in un racconto che, spero, possa toccare chiunque lo legga.

Perché, alla fine, è questo che facciamo noi scrittori: facciamo diventare la nostra vita un rifugio per chi cerca risposte e conforto nelle parole.

Nel primo pomeriggio, Leonardo mi chiede di accompagnarlo a fare shopping. Accetto volentieri: passare del tempo con i miei figli mi sembra la cosa giusta da fare. Voglio far capire loro che nonostante i miei errori, io sarò sempre un padre attento e premuroso. Mentre sono al centro commerciale con i miei figli sento il telefono vibrare.

"Congratulazioni professore 🥰. Sono orgogliosa di te. Mi manchi già💘. Grazie per la villetta. E' un sogno"

"Grazie 🥺 Mi manchi anche tu. Ogni minuto senza di te è troppo lungo"

"Sai, mi sono svegliata tardi oggi e sto pensando a te. Ho pensato di farti vedere qualcosa di sexy dato che sei stato così bravo con il tuo romanzo 😏"

Qualche secondo dopo, arriva una foto di lei in accappatoio. Ha i capelli ancora bagnati, lo sguardo provocante e mi offre un sensuale primo piano sul suo seno. Rimango senza fiato.

"Stai cercando di stecchirmi? Perché ci stai riuscendo. Penso che adesso sverrò 🤤"

"Ti piace quello che vedi😏?"

"Sei perfetta😍. Vorrei poterti baciare dappertutto ma ora devo starmene con le manine ferme 😇"

"Ma che peccato😜"

"Senti che dici se stasera viviamo un'esperienza diversa? Vuoi venire allo stadio con me a vedere il Pescara? ⚽️"

"Certo! Perché no!? Non sono mai andata allo stadio 😂"

"La partita è alle 20:45 🐬"

"Sarò puntuale😁👌"

Mentre guido, Leonardo e Rebecca chiacchierano tra loro sul sedile posteriore e io mi sento stranamente sereno. Sembra che la mia vita si sia perfettamente allineata ai miei desideri. I miei figli sembrano tranquilli esattamente come lo sono io e non c'è niente di più appagante per me. D'un tratto però arriva la domanda che proprio non volevo sentire.

"Papà... hai davvero chiuso con quella?" mi chiede Leonardo, guardando fuori dal finestrino. Mi prendo un momento prima di rispondere, cercando le parole giuste per rassicurarlo.

"Leonardo, ascolta," inizio, mantenendo lo sguardo fisso sulla strada. "Qualsiasi cosa accada tra me e qualsiasi altra persona, diversa da tua madre, tu e Rebecca siete la cosa più importante per me. Io vi amo e vi amerò sempre, indipendentemente da tutto. Non dovete preoccuparvi."

Lui non mi guarda, ma annuisce piano, come se cercasse di capire o di accettare le mie parole. È un ragazzino sveglio presumo che abbia compreso da sé la verità.

"Ma... se stai con qualcun'altra, cambierà tutto, no?" insiste, con una voce più bassa, quasi temendo la risposta.

"Non cambierà assolutamente nulla del nostro rapporto, Leo. Io sono tuo padre, e questo non cambierà mai, a prescinderà dalla donna che sarà al mio fianco. Voglio che tu sia sereno, e che sappia che, qualsiasi cosa succeda, sarò sempre qui per voi. Io vi amo più di ogni altra cosa al mondo. Ora godiamoci le vacanze e non pensiamo a nient'altro, ok?"

"Ok, papà" sussurra lui abbastanza convinto per la mia rassicurazione. Passiamo un bel pomeriggio insieme, ma la mia mente torna spesso a Elena. Sono innamorato pazzo e non vedo l'ora di vivere con lei per averla sempre al mio fianco. Quando rientriamo a casa, la stanchezza si fa sentire. Rebecca sbadiglia appoggiata alla mia spalla, e Leonardo cammina lentamente, come se ogni passo fosse un po' più faticoso del precedente.

"Papà, posso andare a dormire?" mi chiede Rebecca con la sua voce dolce, mentre saliamo le scale.

"Certo, amore. Vai a riposarti," le rispondo con un sorriso, accarezzandole i capelli. "Quant'è bella la bambina di papà " le dico pizzicandole le guance. Leonardo la segue silenziosamente, e li vedo scomparire nella loro camera. Anna è in piedi nell'ingresso e ci guarda rientrare con un'espressione tranquilla. Devo dire che la sua calma di oggi mi sorprende.

"I bambini sono a pezzi, vanno a riposarsi. Oggi è stata proprio una bella giornata. Tu ti senti meglio?"

Lei annuisce.

"Sì, io mi sento meglio adesso. Era proprio questo che volevo: vederti presente con i tuoi figli" mi si avvicina e mi dà un bacio rapido sulla guancia "Grazie Riccardo"

"Non devi ringraziarmi. Essere padre per me è una gioia oltre che una priorità. Voglio essere sempre presente per i miei figli, a prescindere da tutto"

"Giusto..." risponde lei monosillabica.
"Comunque se non ti dispiace io questa sera esco un po'," biascico provando a sondare la sua reazione. Lei non mi fa domande: non mi chiede dove vado, con chi o quando torno.

"Va bene, ci vediamo dopo allora se sono sveglia" dice, voltandosi verso le scale. Io esco di casa come un grillo, approfittando della sua non-curanza. Quando arrivo sotto la villetta scelta da me per Elena, la vedo uscire dalla porta ed è come se la vedessi per la prima volta. È bellissima e il suo sorriso smagliante mi riempie il cuore. Mi sento come un ragazzino che la aspetta al primo appuntamento. Lei apre la portiera e si siede accanto a me in macchina.

"Ciao prof"

"Ciao amore"

"Grazie per la splendida villetta. È meravigliosa, non potevo chiedere di meglio. È grande, spaziosa, con la vista sul mare e persino una jacuzzi! È decisamente troppo per me"

"Nulla è mai troppo per te. Voglio viziarti. Voglio che tu abbia tutto ciò che desideri. Mi piace l'idea che tu stia in un posto dove tu possa rilassarti, essere te stessa... e farti bella per me."

"Non so se lo merito, ma mi fa piacere. Mi fai sentire speciale."

"Lo meriti eccome," rispondo, stringendole la mano e mentre guido i miei occhi si posano sulle sue mani. È in questo momento che noto qualcosa che mi fa sorridere: l'anello che le ho regalato brilla. Finalmente lo indossa.

"Vedo che hai deciso di indossare l'anello," le dico con un tono compiaciuto, incapace di trattenere la gioia di vederlo al suo dito. "Mi hai reso l'uomo più felice della terra indossandolo, sai? L'ho scelto pensando a te."

Elena abbassa lo sguardo sull'anello, accarezzandolo leggermente con le dita, poi mi guarda con uno di quei sorrisi che solo lei sa fare.

"È bellissimo, Riccardo. Mi sento totalmente tua..."

"L'ho comprato in un momento particolare, pensa tu, il giorno dopo che è successo tutto quel casino. Ero devastato e mi sentivo proprio male. Così, sono entrato in una gioielleria perché avevo bisogno di un orologio nuovo, ma poi ho visto quell'anello, e mi sei venuta subito in mente. Non ho potuto fare a meno di comprarlo, con la speranza che un giorno avrei potuto dartelo. Eri stata categorica: mi avevi urlato addio, mi odiavi mi avevi lasciato... ma c'è stata sempre una piccola parte, dentro di me, che ci sperava"

"Non sapevo... che mi pensassi così"

"Ho sempre pensato a te e sapevo che ci sarebbe stato un momento in cui avrei potuto vederti di nuovo. Ma non ho voluto forzare le cose. È stata la vita che ci ricongiunto. Mai avrei pensato di trovarti qui a Pescara... e invece"

"Grazie, Riccardo. Questo significa molto per me"

"A proposito..." biascico mentre dal sedile posteriore prendo una maglia e una sciarpa biancoazzurre e gliele porgo. "Questi sono per te. La maglia e la sciarpa del Pescara, per stasera."

Lei li prende sorpresa, guardando i colori e sorridendo. "Wow, grazie! Sono bellissimi. Adoro la combinazione tra il bianco e l'azzurro! E il delfino è il mio animale preferito"

Rido.

"Il fatto che tu li indossi ha per me un significato importante."

Elena mi guarda, incuriosita. "Perché?"

"Sai, il fatto che tu ti stia avvicinando alle mie origini, che tu sia qui con me, a Pescara, significa molto per me. Questo legame con la mia terra, l'ho un po' soffocato nel tempo. Pescara è la mia città, ma per anni ho cercato di sopprimere il legame con questa terra. Qui mi sono successe delle cose brutte, che mi hanno allontanato da me stesso. Ma tu... tu mi hai dato la forza di guardare indietro senza paura. Grazie a te, sento di poter recuperare quel legame che avevo perso. È come se tu mi avessi dato il coraggio di riscoprire chi sono davvero."

Elena mi fissa, con quel suo sguardo profondo che mi fa sentire compreso e accettato. "Riccardo, non avevo idea che questo fosse così importante per te. Sono davvero felice di essere qui, con te stasera e festeggiare l'invio del tuo romanzo per me è un grande motivo di orgoglio. Congratulazioni amore"

"Grazie, davvero. Ho mandato il manoscritto all'editore stamattina e... sembra che gli sia piaciuto molto. Ha detto che sarà indubbiamente un bestseller."

Mentre Elena si sistema la sciarpa del Pescara al collo, mi guarda e sorride.

"È incredibile che tu l'abbia finito. Sono così orgogliosa di te. Te l'avevo detto che sarebbe stato un successo!!!"

"È tutto merito tuo, Elena. Non sarei riuscito a finirlo senza di te. Sei stata la mia ispirazione, mi hai dato una nuova energia, un motivo per credere in me stesso. Ti sarò debitore a vita."

Lei sorride e vedo una scintilla di emozione nei suoi occhi.

"Non devi ringraziarmi, Riccardo. È stato tutto merito tuo, hai trovato la forza dentro di te. Io ho solo... creduto in te."

"Grazie piccolina" dico baciandole il dorso della mano mentre guido.

"Come è andata la tua giornata?" mi chiede lei.

"Ho passato il pomeriggio con Leonardo e Rebecca. Siamo andati a fare un po' di shopping, e sembravano sereni. Ma mi hanno fatto delle domande... su di te."

"Su di me?" chiede lei, sorpresa.

"Sì," annuisco. "Leonardo, in particolare, voleva sapere se avevo davvero chiuso con te. Era preoccupato. Ho cercato di tranquillizzarlo, spiegandogli che indipendentemente da chi sarà al mio fianco, loro resteranno sempre i miei figli, e li amerò per sempre. Devono sentirsi al sicuro, e sapere che non cambierà nulla tra di noi."

Elena annuisce, ascoltando attentamente.

"È giusto che tu li rassicuri. Devono sapere che tu ci sarai sempre per loro."

"Esatto. Ma c'è stato anche qualcosa di strano oggi. Quando sono tornato a casa, mia moglie si è comportata diversamente dal solito."

"Diversamente come?" chiede Elena preoccupata.

"Non è stata più come una detective. Le ho detto che stasera sarei uscito e non ha fatto nessuna domanda, cosa che non è mai successa prima. Mi ha salutato tranquillamente, senza sospetti. Non ho dovuto inventare bugie, ed è stato... quasi liberatorio."

Elena mi guarda con uno sguardo riflessivo.

"Pensi che stia iniziando ad accettare la situazione?"

"Non lo so. Forse sì" rispondo, scrollando le spalle. "Mi sembra di vedere uno spiraglio di luce. Quando torneremo al Nord, credo di poter finalmente parlare con lei con libertà e sincerità. Non dovrò più nascondermi. Se le cose continuano così, credo che Anna mi lascerà libero di fare la mia vita. E io... io voglio vivere la mia vita con te, Elena."

Le sue mani si stringono intorno alla sciarpa del Pescara, e mi guarda con intensità.

"Sei sicuro, Riccardo?"

"Ma certo amore" rispondo senza esitazione mentre le stringo la mano. Così, mi fermo in un chiosco vicino allo stadio, dove preparano i migliori panini con la ventricina della zona.

"Devi provarlo. È un panino con la ventricina, un salame abruzzese" le dico, guardandola con un sorriso mentre le porgo il panino. Elena mi guarda un po' scettica poiché la ventricina ha un odore particolare, ma poi prende un morso.

"Ma... è buonissimo!" esclama, ridendo. "Non l'ho mai mangiato prima d'ora!"

"Te l'avevo detto! Non c'è niente di meglio prima di una partita del Pescara," le rispondo soddisfatto. Ci fermiamo a mangiare lì, tra il profumo della birra e degli arrosticini e l'atmosfera già vibrante dei tifosi che si preparano per la partita. Elena sembra a suo agio, sorride e mi guarda con quegli occhi pieni di giovinezza.

Occhi che mi danno tanto coraggio.

Quando finiamo di mangiare, entriamo nello stadio. L'atmosfera è incredibile: la curva dei tifosi del Pescara è già in delirio, le bandiere biancoazzurre sventolano ovunque e i cori riempiono l'aria. Elena mi guarda, colpita dalla scena.

"Wow, che tifoseria energica per una squadra di serie C!" grida. Sorrido e la prendo per mano facendola accomodare alla seggiolina accanto a me. Gli altoparlanti iniziano a diffondere le note di "Gente di mare", inno del Pescara Calcio e l'intero stadio si unisce in coro. I tifosi cantano, le loro voci si intrecciano con la musica, creando un momento magico.

Questa canzone è meravigliosa," mi dice, con gli occhi che brillano. "Le parole di Umberto Tozzi descrivono perfettamente questa città."

Senza pensarci troppo, ci uniamo anche noi al coro. Le nostre mani si intrecciano, e alziamo le braccia verso il cielo insieme agli altri tifosi, sentendo di far parte di qualcosa di più grande. Cantiamo e le nostre voci si perdono nella massa, e ci godiamo il momento. Mentre la canzone prosegue, vedo comparire Ciuffo, la mascotte del Pescara, un delfino bianco e azzurro che corre lungo il campo, scatenando l'entusiasmo della folla. Elena ne rimane immediatamente affascinata.

"È così carino!" esclama

"Non è troppo diverso da te" dico non potendo fare a meno di ridere.

Quando la partita inizia, già al secondo minuto mi lascio andare ad un grido spontaneo poiché la squadra è un po' dormiente. Devo dire che non sono un grande estimatore del calcio ma mi piace seguire la squadra della mia città. È più sentimento di appartenenza piuttosto che tifo calcistico. Allo stadio alla possibilità di sentirti parte di un luogo, di una comunità che per forza di cose io, non vivo più.

"Ohhh jamme ehhh! Che stete ancora dentr a lu lett a durmì!!!???"

rivolgendosi ai giocatori : Dai, sveglia! Sembra che stiate nel letto a dormire!

Elena mi guarda ridendo. "Che hai detto?"

"Ho detto che si devono muovere," le spiego ridendo. "In realtà, ho solo usato un po' di dialetto, mi scappa sempre durante le partite."

Lei ride ancora più forte, e la sua risata è contagiosa. Ogni volta che il Pescara sbaglia un'azione, mi ritrovo a lanciare qualche espressione colorita in abruzzese e lei si diverte.

"Oh, ma che cazz' stet a cumbinà?!"*

*Riferito ai giocatori "Cosa diavolo state combinando?*

Elena mi guarda divertita. "Non ti avevo mai visto così spontaneo" dice, prendendomi in giro.

"Sai com'è, il calcio tira fuori il meglio di me o il peggio di me , non lo so. Dipende se ti piacciano i cafonetti di provincia" le rispondo con un sorriso ironico.

"In genere no ma mi piaci tu al naturale senza la tua maschera da perfettino maniaco del controllo. Mi piace vederti così"

"Fregheteee" scoppio a ridere. "Menomale che ti piaccio vestito delle mie umili origini altrimenti, questa sera mi ero fregato!"

Ridiamo insieme ma lei guarda il campo con una espressione confusa e mi da l'impressione che non stia capendo davvero nulla.

"Spiegami almeno cosa stanno facendo così capisco anche io qualcosa. Li vedo passarsi la palla senza una cognizione di causa"

Mi metto a ridere.

"Hai appena chiesto di calcio come se fosse una partita di ping-pong! Sei adorabile amore"

Intorno a noi, i tifosi cantano, urlano, e si abbracciano ad ogni azione pericolosa. Mi unisco ai cori, Elena mi guarda incredula mentre faccio il tifo con passione. Provo a insegnarle un coro del Pescara e ci troviamo insieme a cantare.

"Sono nato con te, sulla riva del mare, e l'amore che ho, quanti guai fai passare, ma io non mollerò, continuando a cantare" gridiamo mentre io le do un bacio sulla fronte e poi scoppiamo a ridere.

"Ma tu sei un'altra persona qui!"

"Benvenuta a Pescara," le dico con un sorriso malizioso. "È tutta un'altra vita qui!"

La partita si conclude con una vittoria sofferta del Pescara, e mentre usciamo dallo stadio, sento che questa serata è stata perfetta. Elena ha vissuto con me qualcosa di nuovo e insieme ci siamo divertiti come due bambini. Tra il clamore dello stadio e il chiasso dei tifosi che ancora festeggiano la vittoria, mi volto e vedo tre figure familiari avanzare verso di noi: Carlo, Antonio e Cetteo, i miei amici d'infanzia. Sono passati anni dall'ultima volta che ci siamo visti tutti e tre insieme, e immediatamente vengo colto da una strana sensazione di imbarazzo. La presenza di Elena al mio fianco non sarà facile da spiegare, non con loro che sanno che sono sposato.

Mi guardano, e per un attimo non so come comportarmi. Ma poi Carlo, che è sempre stato il più diretto del gruppo, mi lancia un sorriso malizioso. Lui sa tutto, abbiamo parlato la sera prima, e per un attimo sento una piccola sensazione di sollievo.

"Riccardo! Finalmente ti fai rivedere! L'altro giorno mi hai lasciato al pub come un baccalà!" esclama Carlo, mentre si avvicina con una pacca sulla spalla. "E tu devi essere Elena, giusto?" aggiunge, rivolgendosi a lei con un sorriso amichevole. Elena gli sorride e annuisce, stringendogli la mano.

"Sì, esatto. Piacere di conoscerti."

"Piacere mio. Io sono Carlo" risponde lui, poi, quasi senza accorgersene, fa un'allusione che mi gela il sangue. "Sai, Elena, hai un aspetto che mi ricorda qualcuno... somigli tantissimo a una persona che conoscevo un tempo, beh, la ex di Riccardo. Lui ha sempre avuto ottimo gusto in fatto di donne"

Elena sorride, inconsapevole della bomba che è appena stata sganciata, ma io mi congelo.

"Ah sì e chi era?" chiede lei a me. Le mie mani si irrigidiscono, e cerco di mantenere la calma. Carlo non ha idea di quello che ha appena detto, non può sapere che Elena è la nipote della mia ex, e soprattutto non può sapere che lei non ne è a conoscenza. Cerco di riprendermi rapidamente, cercando di ignorare l'ombra di panico che mi sta avvolgendo.

"Ehm, che importa? Sai quante donne ho avuto? Uuuuuh" divago facendo finta di scherzare. "Ragazzi che dite? Andiamoci a prendere una birra?" propongo, cercando di cambiare argomento e allontanare quella conversazione pericolosa. Carlo mi guarda per un attimo, confuso dal mio improvviso cambio di tono, ma poi annuisce.

"Certo, ci sta! Festeggiamo la vittoria!"

Antonio e Cetteo ridono e si uniscono a noi, e per un attimo l'atmosfera torna leggera. Elena sembra tranquilla, per fortuna non ha colto l'allusione che ha fatto Carlo. Dentro di me, però, so che questo è solo l'inizio di una verità che, prima o poi, dovrà emergere. Quando ci avviciniamo al banco del bar per prendere una birra, mi rilasso. Elena è tranquilla, sorride e si guarda intorno come se nulla fosse. Io, d'altro canto, cerco di mantenere il controllo, anche se dentro sento una strana tensione. Gli amici mi guardano con quella tipica curiosità che solo chi ti conosce da una vita può permettersi. È Cetteo il primo a fare una battuta, mentre prende la sua birra.

"Oh, Riccà, non ricordavo che tua figlia fosse già così grande!" ride, mentre indica Elena con una strizzata d'occhio. La battuta è palesemente innocente, ma mi fa sentire il sangue gelare.
Elena ride educatamente, ma è Carlo che interviene subito, con il suo solito modo diretto e spontaneo.

"Ma no, Cettè! Non è sua figlia... È la nuova fidanzata di Riccardo!" Lo dice senza malizia, ma con una certa complicità che mi mette ancora più in difficoltà. Antonio, che fino a quel momento era rimasto un po' in disparte, si avvicina con una faccia seria.

"Ah, quindi ti sei lasciato con tua moglie?" chiede, con un tono che sembra cercare di capire quanto sia delicata la situazione.

Mi gratto la nuca, imbarazzato. "Beh sì, più o meno" rispondo, cercando di rimanere vago.

"Dai, lasciamo perdere, ognuno ha le sue questioni personali. L'importante è che stiamo tutti bene stasera!" grida Carlo. Beviamo un sorso di birra, e sembra che la tensione si dissolva un po'. Ma non passa molto tempo prima che Antonio e Cetteo comincino a fare domande a Elena, chiaramente curiosi di sapere di più su di lei.

"E tu, Elena," inizia Antonio, con un tono scherzoso ma diretto. "Di cosa ti occupi? Cosa fai nella vita?"

"Studio"

"Che cosa?" chiede Antonio.

"Lettere"

"Ahhh! Come il nostro professorone" scherza Cetteo. "Ti ricordi Riccà, quando siamo venuti su alla tua laurea? L'abbiamo messa sotto sopra l'università" ride Cetteo.

"Correva l'anno 2000?"

"Più o meno" rispondo io.

"E la sera ti abbiamo portato in quel night, ti ricordi? Madonna come ci siamo diverti a vederti ballare con quelle" Cetteo ride come se non ci fosse un domani. Elena mi guarda gelosa ma si lascia sfuggire un risolino.

"Dai, amore avevo 24 anni" le sussurro all'orecchio. Antonio ride con le lacrime agli occhi quando mi vede arrampicarmi sugli specchi.

Carlo si gira verso Elena, con quel sorriso malizioso che ha sempre avuto quando vuole raccontare qualche storia su di me.

"E cara Elena, devi sapere che il professore in questione quando era giovane si dava un gran da fare. Era circondato da ragazze bellissime. Le aveva tutte, anche quelle che sembravano inarrivabili."

Cetto annuisce, ridendo sottovoce.

"Ricordo ancora quando uscivamo insieme, non c'era una ragazza che non volesse passare del tempo con lui. Era come se avesse un magnetismo naturale. A volte io, non nego che volevo uscirci solo perché attirava le donne come fossero delle mosche"

"Sì, sembrava sempre avere quella sicurezza che lo faceva notare. Era il classico tipo che non doveva fare molto, le ragazze gli cadevano letteralmente ai piedi. Anche quelle che tutti pensavano fossero irraggiungibili finivano per uscire con lui" interviene Antonio.

Elena mi guarda con un sopracciglio sollevato, divertita e curiosa. Io sorrido, quasi imbarazzato, scuotendo la testa.

"Non è proprio come dicono loro," provo a difendermi, ma so che hanno ragione.

Antonio ridacchia e continua

"Ma dai Riccardo! Non dire Ca**ate!" ride Cetteo. "Quello che non riusciamo a spiegarci è come, di punto in bianco, abbia deciso di fermarsi. Una sera eravamo in giro come al solito, e il giorno dopo ci annuncia che si sarebbe sposato. Non ce lo aspettavamo proprio!"

"È vero, è stato un colpo per tutti. Il nostro amico Riccardo, quello che nessuno pensava si sarebbe mai sposato è stato il primo fra noi a sposarsi. All'improvviso ha messo la testa a posto" interviene Carlo.

"Ma ad ogni modo, quali sono le tue reali intenzioni con il nostro professore di libidin?" Sorride Carlo, ma è evidente che dietro la battuta c'è una loro reale preoccupazione.

"Le nostre intenzioni sono serie. Ci amiamo molto  e a me piacerebbe vivere tanto a Pescara"

"Ahhhh e magari riesci a riportarci giù il nostro caro amico! Magari! Sai, Elena, siamo amici di Riccardo da quando eravamo ragazzi. Ci preoccupiamo per lui, tutto qui."

Elena annuisce, consapevole del peso della situazione, ma risponde con calma.

"Capisco perfettamente. Ma dovete stare sereni"

Mentre siamo seduti al bar, con una birra in mano e il rumore di risate che riempie l'aria, Carlo si rivolge a Elena con un sorriso curioso.

"Di dove sei, Elena?"

"Sono nata e cresciuta al Nord, ma mia madre è di Pescara. Adesso sto passando qualche giorno qui con Riccardo, e mi sento sempre più legata a questa terra."

Carlo la guarda con un'espressione di sorpresa, e io sento il mio cuore battere più forte.

So cosa sta per chiedere.

"Tua madre è di Pescara? Ma chi è tua madre, se posso? Sicuro la conosciamo"

L'aria sembra più pesante e un sudore freddo mi scorre lungo la schiena.

Carlo conosce il mio passato.

È come se vent'anni di vita mi scorressero davanti agli occhi in un secondo.

Non può essere!

Non adesso!

Non qui!

Elena si prepara a rispondere, ignara del carico che questa domanda porta con sé.

Io non posso permettere che dica quel nome: "Elettra Di Paolo," la madre di Elena, cioè la sorella di Eva Di Paolo, la mia ex.

Carlo avrebbe collegato tutto in un solo istante.

Non posso proprio permetterlo.

Prima che possa parlare, mi intrometto con una risata forzata.

"Eh, Carlo, le origini di Elena sono complesse! Ma a proposito... si sta facendo tardi." Il mio tono cerca di essere ilare, ma dentro di me c'è solo tensione e ansia. Mi alzo rapidamente, afferrando la mano di Elena. "È meglio che torniamo a casa, voglio passare un po' di tempo da solo con lei."

"Certo, Vecchio volpone! Ci vediamo presto" Carlo mi guarda un po' sorpreso, ma sorride e annuisce, sollevando la sua birra.

"Ricca', ma fatti vedere ogni tanto!" grida Cetteo ridendo, seguito da Antonio che lo incalza.

"Non puoi sparire così, amico!" aggiunge Antonio con un sorriso largo.

"Pensavamo ci avessi dimenticati!" grida Cetteo, con il solito tono scherzoso. Sorrido, sollevando la mano per salutarli.

"Ragazzi, non sparisco, ve lo prometto, A presto!"

Elena mi segue mentre ci avviamo verso l'uscita.

Ho evitato un disastro, per ora, ma so che non posso continuare a nascondermi in eterno.

"Sono davvero felice di aver conosciuto i tuoi amici, Riccardo. Sono simpaticissimi, mi hanno fatto sentire a casa. E sai, magari potrebbero conoscere mia madre o almeno sapere chi è"

Mi sforzo di mantenere un tono rilassato, ma dentro di me comincio a sentire una certa agitazione. Così cerco di essere sbrigativo, quasi scherzoso.

"Beh, se non la conosco io, figurati se la conoscono loro!" dico ridendo, cercando di chiudere subito il discorso. "Pescara è una città di provincia, ma è comunque abbastanza grande da far sì che non tutti si conoscano"

Ad ogni modo la serata è stata perfetta, e mentre la accompagno verso l'ingresso, mi avvicino a lei con  malizia. Appoggio una mano sullo stipite, pronto a entrare, ma lei si piazza davanti, bloccando l'ingresso.

"Non così in fretta, Riccardo," dice mentre gli occhi le brillano di complicità.

"Ah, quindi stasera mi lasci fuori?" dico con un finto tono sorpreso, sapendo benissimo che sta giocando.

Elena ride piano, incrociando le braccia sul petto.

"Potrebbe essere. Chi lo sa" dice, mordendosi il labbro inferiore. Mi avvicino a lei e le sfioro quel suo bel c**o con i polpastrelli.

"Oh, quindi vuoi farmela sudare?" ribatto, il mio tono più basso, avvicinandomi al suo viso. "Devo guadagnarmi l'ingresso?"

"Forse sì," dice, alzando un sopracciglio. "Forse dovresti convincermi che ne vale la pena... Non ho intenzione di renderti le cose così facili."

Le sue parole mi fanno ridere, e stringo leggermente i suoi fianchi, tirandola un vicina a me in modo da farle sentire la mia erezione. 

"Se giochi con il fuoco, Elena, potresti scottarti. Capisco che in questi giorni sono stato amorevole ma non dimenticare la mia natura da depravato. Non sono un angioletto" la prendo in braccio e la bacio con violenza. Riesco a  sentire le sue tonsille attraverso la mia lingua feroce che non le dà pace. Mi allontano e mi siedo su una poltrona posta al centro dell'ampio salotto.

"Questa sera lezione numero 21. Devi imparare ad avere cura del tuo padrone. Mettiti a quattro zampe adesso e cammina piano sculettando verso di me, forza!"

Lei mi volge uno sguardo capace di ubriacarmi e di stordirmi. È eccitata per la situazione e così si mette a quattro zampe. Si avvicina piano piano a me, sculettando come le aveva richiesto, con un'aria spavalda e sicura di sé. Quando arriva gattonando fino all'altezza dei miei pantaloni, allunga la mano verso la cerniera per abbassarla.

"Ferma! Non hai capito! Sono io che do gli ordini e tu obbedisci" la sgrido con tono autoritario.

Lei annuisce con la testa.

"Scusami padrone" la sua voce è un sussurro. A questo punto le poso una mano dietro la nuca e spingo il suo viso verso il mio pacco.

"Ora lecca i miei pantaloni all'altezza del ca**o".

Mi obbedisce leccando i pantaloni e sentendo il mio membro diventare di ferro sotto i colpi della suo lingua. Devo dire che questa situazione è altamente eroticq che per poco non vengo nelle mutande. Cerco di mantenere un contegno ma mi trovo in difficoltà e quindi per placarmi provo a stringere i braccioli della poltrona.

"Mh, forse sarò io ad insegnarti qualcosa stasera , professore" dice lei notandomi eccitatissimo.

"Stupiscimi"

Elena mi guarda e il sorriso che le si dipinge sul volto è una sfida che vuole vincere assolutamente. Dunque si gira verso lo stereo, e con un movimento fluido accende la musica. Inizia a muoversi sensualmente, come se ogni passo, ogni movimento fosse perfettamente orchestrato per farmi impazzire. È una dea mentre si lascia scivolare a terra con grazia il vestito. Rimane vestita di una lingerie nera veramente indecente che se avessi saputo che l'avrebbe portata non sarei rimasto tutta la sera con le mani in mano come un angioletto. Il suo cu** è coperto da appena una striscia di pizzo che accende nella mia mente pensieri sporchi. Il suo cu**  ondeggia al ritmo della musica  e sono ipnotizzato da ciò che vedo.  Seduto sulla poltrona, mentre osservo Elena muoversi come una pantera, la mia mente torna inevitabilmente a quella notte in cui l'ho vista ballare per la prima volta.  Ricordo esattamente come mi sono sentito: totalmente fuori  controllo. La terra sotto i piedi aveva iniziata a mancarmi e l'eccitazione era diventata troppa da contenere mentre lei si lasciava trasportare dalla musica. Il modo in cui mi guardava: un misto tra desiderio e sfida, mi aveva fatto impazzire. Mi ero perso completamente nelle sue forme, e più la guardavo, più sentivo crescere un desiderio irrefrenabile. Adesso sono qui, mentre lei danza di nuovo davanti a me, sento quel ricordo riaffiorare. Il mio cuore batte più veloce, proprio come quella notte, e mi rendo conto che non è cambiato nulla. Elena ha ancora quel potere di farmi perdere la testa, di farmi desiderare di averla più vicina, di farmi dimenticare tutto il resto.

"Ti ricordi quella volta?" le chiedo, con un sorriso, la mia voce bassa mentre la osservo danzare davanti a me. "Quando ti ho vista ballare per la prima volta?"

"Come potrei dimenticare?" risponde, avvicinandosi  a me,  con i suoi occhi pieni di fuoco "Ho visto come mi guardavi, e sapevo che ti avevo già conquistato."

Sorrido, ripensando a come tutto è cominciato.

"Mi hai fatto impazzire allora... e lo stai facendo di nuovo adesso."

"Allora professore?" sussurra, mentre sfiora con la punta delle dita il petto. Il tocco è deciso e mi lascia una scia di fuoco sulla mia pelle.

"Sono fuori di me..." rispondo con  voce roca.  Da dove sono seduto, ho la visuale perfetta del suo cu**. La guardo, affondato nella poltrona, e sento che ogni singolo muscolo del mio corpo è teso, in attesa di ogni suo prossimo movimento. Lei si posiziona sotto di me e mi guarda con quei suoi occhi profondi che sembrano che vogliano inghiottirmi. Io deglutisco perché sono già parecchio su di giri.

"Nei miei pantaloni ci sono dei preservativi, prendine uno, aprilo delicatamente ed infilamelo"

Lei sgrana gli occhi perché si stupisce della mia richiesta: lo credo bene, non abbiamo mai usato preservativi ma per verità, io muoio dalla voglia di vederla strappare la carta del preservativo e poi infilarmi con le sue manine la protezione di lattice.

"Non ti fare strani pensieri. Li ho comprati per usarli con te. Voglio godermi la scena di quando me lo infili. Non ti ho mai vista farlo"

Lei mi guarda con aria di sfida ed esegue in silenzio i miei ordini. Prende il pacchetto di preservativi nella mia tasca e ne afferra uno. Senza distogliere gli occhi dai miei, prende il pezzo  di carta del preservativo tra le labbra. Il rossetto rosso brillante crea un contrasto altamente seducente. Poi, con un gesto lento e provocante, lo strappa via, lasciando che il rumore delicato riempia l'aria. Ogni suo movimento è colmo di una sensualità che sembra crescere a ogni respiro.

Elena mi fissa per un attimo, giocando con la tensione che si è creata tra di noi. Il suo sorriso malizioso non si spegne, e posso sentire il battito del cuore accelerare. Si avvicina lentamente, mantenendo il contatto visivo, mentre le sue dita sfiorano appena la mia pelle, quasi come se volesse testare i miei limiti.

"Mi piace vederti così debole," sussurra, la sua voce morbida e piena di intenzione mentre ha il preservativo tra le mani. Sorrido, inclinando leggermente la testa sullo schienale per cercare invano di contenermi "Se è una sfida, Elena, sappi che non ho mai avuto paura di giocare."

"Giocare? Pensavo che ti piacesse vincere," dice mentre si muove con lentezza, sfiorandomi appena l'erezione, come per stuzzicarmi ancora di più. Le mie mani la raggiungono, tirandola più vicino al mio pacco.

"Mi piace vincere," le rispondo, abbassando la voce. "Ma a volte il vero piacere sta nel gioco... e tu sai come giocare molto bene"

"Allora," mormora, abbassandomi i pantaloni "vediamo chi resiste di più"

Si trova davanti il volto la mia erezione che spicca prontamente. Il suo tocco su di essa si fa più lento, come se volesse provocarmi a ogni movimento.

"Ti piace metterti alla prova, eh?" mi provoca, facendo scivolare le sue labbra sulla mia erezione. "Ma mi chiedo quanto potrai resistere prima di cedere."

"Non è una questione di resistenza, Elena," le rispondo con il tono basso, quasi un sussurro. "È questione di chi vince il gioco. E io gioco per vincere."

"Vedremo chi vincerà allora. Ma non sarà così facile per te."

Le mie mani  la tirano ancora più vicina.

"Chi ha detto che voglio che sia facile?" ribatto ma  il mio ca**o, è un bastone doloroso che spunta tra le gambe.

Quando  sento la sua lingua sul mio gla**e ho una scossa di desiderio. Mentre Elena continua a sfiorarmi con quel tocco leggero e provocante, sento il mio controllo vacillare. Elena mi guarda, notando il mio momento di esitazione. Sorride, sapendo di avere il pieno controllo della situazione.

"Lo sapevo che saresti crollato prima o poi," sussurra con tono malizioso mentre cedo e le spingo la testa sulla mia erezione. Il mio corpo si abbandona al suo e così lei mi infila il preservativo facendomi sussultare e tremare. Il suo tocco è surreale e il suo sguardo conturbante mi annienta.

"Quanto sei duro professore..." commenta lei mentre mi posiziona il preservativo su tutta la lunghezza dell'asta.

"Ah..." gemo sentendo le sue mani su di me e devo stringere i denti per trattenere l'orga**o che già sento montare. A quel punto la faccio sedere sulle mie gambe e quando mi bacia, io ricambio con la voracità di un animale. "Ti devo sco**re ora. Altrimenti se continui a strisciarti così su di me, vengo all'istante"

"Uuuh. Qualcuno qui è troppo duro"

Io le stringo una natica mentre le affondo dentro con ferocia. Le mordo un cape**olo e la sua testa fa uno scatto all'indietro. È seduta sopra di me e ad ogni spinta la poltrona trema. Quando le mie stoccate iniziano a scavare in profondità, lei emette un gemito e con le unghie graffia la mia schiena.

Sono già all'apice e anche lei lo è.

Quando le poso uno schiaffo sul sedere, arriviamo all'orgas** entrambi. Nel momento, in cui il mio liquido sembra volersi esaurire, lei scende con la mano ai sessi, raggiungendo i testi**** e prova strizzarli, come per far uscire del tutto il contenuto.

"Scusami amore... questa sera temo di aver giocato troppo" le sussurro all'orecchio mentre la abbraccio.
"Volevo durare di più"

"Ma scherzi? È stato fantastico" commenta lei.

"Bene ora levami il preservativo e buttalo. Poi lavami il ca**o! Infine rivestimi. Prenditi cura di me" le dico a bassa voce. Lei mi sfila il preservativo e mi prende per mano, conducendomi verso il bagno.

"Sei sicuro che debba lavarti?"

"Certo! Voglio sentire le tue mani su di me" mentre  mi lava le sue mani sfiorano il mio membro con attenzione e passione.

"Sei così teso. Rilassati" mi suggerisce lei. Chiudo gli occhi e mi lascio andare completamente.

"Mi fai sentire così..." esito per un attimo, cercando la parola giusta, ma lei mi interrompe.

"Amato?" sussurra, completando il pensiero.

"Amato, sì"

"Ora ti rivesto" spiega mentre mi sistema la camicia.

"Grazie"

Dopo che Elena mi ha rivestito con quella cura quasi amorevole, mi sento rigenerato ma anche leggermente in colpa. La guardo negli occhi mentre finisce di sistemarmi la camicia, il suo sguardo calmo, sereno.

Vorrei rimanere a dormire con lei, ma so che non posso.

Prendo un respiro profondo. "Devo andare. Non posso rimanere a dormire qui stanotte."

Mi passo una mano tra i capelli, cercando le parole giuste. "Ci sono delle cose... non è semplice, lo sai. Non è che non voglia, ma..." Esito, cercando di evitare i dettagli. "È complicato per ora"

Elena mi fissa per qualche istante, poi sospira, accennando un sorriso comprensivo.  Le accarezzo il viso dolcemente, poi le bacio la fronte con un gesto affettuoso.

"Buonanotte, Elena," sussurro, mentre mi allontano dalla porta, sentendo il desiderio di rimanere ma sapendo che per ora non posso.

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