Capitolo 4

Irlaviani, sergente maggiore Murrio Verdelli
Pianeta: Pritio Bis; città: Villa Pritiana, base imperiale
107M42

La base dell'esercito Imperiale era molto vicina a una città, cosa che fece la felicità del battaglione.

Avere bar e locali a portata di mano, e un paio di giorni per usarli a piacimento, fece risollevare il morale delle truppe.

Murrio, come tutti i genieri, si era lamentato a mezza voce di quella situazione orrenda.

Come gli altri, anche lui aveva odiato dover passare da una guerra a un'altra; lo aveva messo in conto, quando aveva firmato l'arruolamento, che per i successivi dieci anni non avrebbe fatto altro che combattere in posti terribili, lontani migliaia di anni luce dal suo pianeta natio.

Ma anche i veterani avevano diritto a protestare, quando tra una guerra e l'altra non passavano nemmeno tre settimane intere.

Una delle cose belle di essere così ammanicati con il Navis Nobilite, almeno dalla sua prospettiva di sergente maggiore, era che rinforzi e rimpiazzi erano facili da ottenere.

Circolavano numerose storie, tra i vari reggimenti dell'Astra Militarum, di formazioni abbandonate a loro stesse, dimenticate tanto dai loro mondi quanto dalla burocrazia; visto il numero di Navigatores che Irlava poteva mettere in campo, avere truppe fresche era relativamente semplice.

Il battaglione genieri aveva perso pochi uomini, grazie all'essere stati lontani dai combattimenti, ma i granatieri erano a metà dell'organico.

Quindi, Irlava si impegnava a far arrivare i rimpiazzi, e qualche altro soldato di rinforzo.

In teoria, quella non era la loro guerra, Murrio non ce la faceva più a sentirlo dire dal maggiore dei granatieri Anneia, ma comunque il re non li avrebbe abbandonati.

Si poteva far colpo su un'inquisitrice dell'Ordo Xenos, in fondo, quindi il premio valeva il rischio.

In ogni caso, mentre entrava nel bar vicino alla base, Murrio sorrise, perchè per i prossimi tre giorni non c'era nulla in vista.

Alla fine, almeno per il momento, erano passati dal festeggiare la vittoria a bordo di una nave, a far baldoria su un pianeta.

Il bar era grande, con le pareti in finto legno e tavolini rotondi. Trovò il sergente Rosselli al bancone, assieme al resto della sua squadra.
Si rivolsero un cenno del capo, e Murrio prese posto al tavolo là vicino.

«Allora? Tutto pronto?» chiese il tenente Bianchini, lisciandosi i lunghi baffi neri.

«Tutto pronto, i ragazzi lo stanno portando qui» rispose lui, senza trattenere un sorrisetto furbo.

Tutto intorno, i membri di altri reggimenti parlottavano tra di loro.

Un gruppo di Pritianii beveva e confabulava, giocando a qualche strano gioco di dadi e carte.

Li guardavano storto, da quando erano arrivati al campo, e tutti gli Irlavinani dovevano ancora capire perchè.

I Tiangtiani occupavano il grosso del locale, e sembravano nutrire uno strano disinteresse per gli alcolici. La maggior parte di loro se ne stava a chiacchierare nella loro lingua, o leggevano, oppure giocavano su uno strano tabellone che ricordava gli scacchi.

Preso dai suoi impegni, Murrio aveva avuto poco tempo per chiacchierare con gli altri reparti.

Vide il caporale Verdini entrare, accompagnato da due uomini del suo plotone. Dopo un incontro ravvicinato del suo sergente con un necron, era lui a fare le veci di ufficiale.

Murrio lo aveva sempre considerato un po' come uno zio, complice il fatto che andasse per la trentina, e fosse tra i più vecchi del reparto.

«Caporale! Vieni, vieni qui!» lo salutò il tenente Bianchini, quasi portandolo di peso al bancone

«Tenente» disse Verdini, lisciandosi i baffi. «Sergente maggiore... che cosa...»

Un lampo di comprensione passò negli occhi del caporale.

«No! No cazzo no!» Murrio fu lesto ad acchiappare il commilitone, forzandolo assieme al tenente sullo sgabello.

Le altre due squadre di genieri balzarono in piedi, mentre il caporale cercava senza successo di fondersi col bancone.

«Sii lontana dal mi' core! A te veng' co' pensiero! Nulla bramo e nulla spero, che tenert' qui accant' a me!»

Il coro stonato di quasi venti voci fece girare più di una testa, mentre il soldato Azzurri riprendeva tutto con una videocamera trovata chissà dove.

Il caporale Verdini, dopo vari insulti alle loro madri, sorelle, mogli e parenti femminili assortite, balzò di scatto sullo sgabello, gridando a squarciagola il ritornello.

Una fiumana di applausi investì il plotone, soprattutto dai Tiangtiani.

Murrio gridò al barista di servire da bere, mentre Azzurri inquadrava Verdini che salutava la moglie, piangendo, e le prometteva che sarebbe tornato presto.

Un soldato si infilò nell'inquadratura, provando a baciare sulla bocca il caporale tra le sue bestemmie e le risate del gruppo.

«Siete molto allegri» disse un uomo accanto a Murrio. Lui si voltò, sorridendo per educazione al carrista di Pritio.

Perchè quella gente fosse così irritata con loro non lo capiva, e nemmeno voleva capirlo.

«Già» rispose lui. «È il suo anniversario, ha pure due figli, ma per il video al loro compleanno devi aspettare»

Il carrista storse le labbra, la carnagione pallida dei Pritiani colorata di rosso sulle guance; Murrio non sapeva se per il liquore o la rabbia.

Tutti gli abitanti di quel pianeta erano alti, alcuni di una testa intera oltre gli Irlaviani, tutti con capelli scuri e occhi chiarissimi, cosa che lo metteva un po' a disagio.

«Vuoi una birra anche tu? Oggi offre il maresciallo, anche se ancora non lo sa» disse Murrio, porgendo al carrista una bottiglia.

L'altro fece una smorfia, sputando verso di lui ma riuscendo a sporcarsi la sua stessa tuta verde. Murrio evitò di ridere per miracolo.

«Lo capite che questa è una guerra? Una guerra, idioti!» molti dei genieri nemmeno fecero caso a lui, cosa che lo fece irritare di più.

«Si, grazie della spiegazione» il sergente maggiore gli tese di nuovo la birra. «Bevi o no?»
Il carrista divenne color porpora, balbettò per qualche momento e poi riuscì ad articolare una frase.

«Che siete, delle reclute allegre?!» sbraitò così forte che perfino il resto degli Irlaviani lo notò.

«Dici a noi?» chiese il tenente, venendo a mettersi dritto davanti al carrista.

«Sì! Voi che bevete, cantate, fate casino la notte! Questa è una caserma! Qui ci sono delle unità combattenti! Dei veterani che hanno visto la morte in faccia»

«Primo, questo è un bar» disse Murrio, guadagnandosi un'occhiataccia sia dal carrista che dal tenente. «Poi, anche noi siamo un'unità  combattente»

«Hai idea di quanti mesi di servizio ho?» gridò il carrista, allungando una mano verso Murrio. Un terzetto di suoi commilitoni si alzarono e vennero a spalleggiarlo.

«Che sei, un formaggio che ti misuri in mesi?» disse una voce tra i genieri. Murrio vide più di una mano serrarsi a pugno, o attorno a una bottiglia.

Per fortuna, almeno i Tiangtiani si stavano facendo gli affari loro.
  
«Ho sei mesi di servizio! Sei mesi!» urlò il carrista.

Murrio si intromise, prima che qualcuno rispondesse.

«Sei di stanza qui da sei mesi, o...»

«Ho finito l'addestramento sei mesi fa!»

Non ci fu modo di fermarli. Tutti i genieri scoppiarono a ridere, dando manate sui tavoli e quasi rotolandosi sul pavimento; il tenente riuscì a reggersi al bancone, ridendo fino alle lacrime.

Murrio si morse la lingua a sangue, per non fare altrettanto.

«Senti, non è cattiveria» disse al carrista. «Ma adesso tu torni al tuo tavolo, e ci lasci bere, va bene?»

Il carrista strinse i denti, e uno dei suoi compari mise mano al coltello che portava alla cintura. Murrio non aveva davvero voglia di innescare una rissa, ma nemmeno gli andava di farsi picchiare.

Il carrista estrasse il coltello dalla cintura, dieci centimetri di acciaio dritto.

«Che ne dici? Vediamo se lo so usare?» gracchiò il ragazzo, gli occhi acquosi per l'alcol e la mano che tremolava sull'impugnatura.

Murrio alzò le spalle, sbuffando. Il carrista affondò il coltello.

Fu un colpo penoso, e il ragazzo per poco non inciampò nei suoi stessi piedi. Il sergente maggiore si spostò appena di lato, lasciando l'altro a pugnalare il bancone di legno.

Gli assestò una ginocchiata in pancia, lasciandolo a vomitare e contorcersi sul pavimento.

Gli altri due si fecero avanti, ma l'intero plotone era già in piedi. Venti genieri irritati, le mani strette attorno alle bottiglie di birra.

«Beh? Controlliamo la stagionatura?» Murrio sorrise ai carristi, e quelli ebbero abbastanza lucidità da raccattare il loro compagno e andarsene.

I Tiangtiani non dissero nulla, anche se molti sussurravano e si scambiavano sguardi.

«Barista! Un altro giro!» disse Murrio, buttando giù un lungo sorso di birra.

«Rossini!» chiamò il tenente «lascia quella bottiglia, fila dal maresciallo; se gli fai gli occhi da cucciolo forse ci scampiamo la strigliata!»

Il più giovane dei soldati venne buttato fuori dal bar a calci. Il ragazzo si lamentò, ma era l'ultimo arrivato.

Murrio afferrò un'altra bottiglia, mentre Rossini, con i suoi tre anni di servizio, scontava il suo stato di recluta.

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