Capitolo 17

Irlaviani, sergente maggiore Murrio Verdelli
Pritio Bis; Bredava, Piazza d'Aix
107M42

I momenti dopo uno scontro erano sempre complessi. Anche per dei veterani, come molti dei genieri, abbandonare la scarica di adrenalina era spiacevole.

Murrio aveva notato che il grosso dei Tiangtiani, quasi tutti alla loro prima battaglia, avevano incassato degnamente.

Molti stavano vomitando, oppure si erano chiusi in silenzi cupi; più di uno fissava il nulla, ascoltando malamente le parole dei loro sacerdoti.

Nel complesso, l'avevano presa abbastanza bene, almeno il grosso del reparto.

Nessun pianto isterico, nessuna rimostranza, nessun lamento folle contro l'inutilità della guerra o simili.

Nessuno aveva nemmeno cercato di suicidarsi, per fortuna.

Intanto, la squadra di genieri si era accaparrata un intero piano in un palazzo semi intatto, che dal bordo nord della piazza copriva tutta la più larga strada d'accesso.

I Tiangtiani avevano messo sentinelle sull'edificio di fronte, oltre ad acquartierare il grosso delle loro forze, due plotoni quasi interi, nel vecchio hotel da cui erano arrivati loro.

La scelta del palazzo dove barricarsi, per Murrio, era stata dettata da un dettaglio fondamentale. La cucina funzionava ancora.

Era una di quelle cose a induzione, e per fortuna non c'era voluto molto lavoro per farla funzionare; pochi minuti per collegare il piano a una batteria di fortuna, e Verdoni era stato messo a cucinare.

La pentola e il brodo sintetico non figuravano nell'equipaggiamento standard, ma nessuno se ne importava.

Fin quando non toglieva spazio a strumenti, armi e attrezzi, la regola era che un geniere potesse portarsi dietro qualsiasi cosa.

«Che ne dice, sergente?» fece Violini, intento a pulire il fucile melta.

«Della brodaglia o di cosa?» chiese Murrio, mentre girava pigro il cucchiaio nella sua scodella.

Il soldato ispezionò una delle valvole dell'arma con occhio critico, prima di rispondere.

«Beh, di tutto questo» col mento, Violini indicò fuori «ci stiamo scannando per ruderi e pietre, pure se la liberassimo, tanto vale radere tutto al suolo e ricostruire la città da zero».

Murrio annuì, anche se era sicuro ci fossero dei quartieri salvabili.

Anche dalla mappa, per quel poco che aveva visto, quella città non era un obiettivo così importante. Si poteva lasciarla dov'era, e anzi aggirarla a ovest, su una grossa pianura che avrebbe fatto felici i carristi.

In ogni caso, non era compito di Murrio impelagarsi nelle scelte tattiche, tanto più che c'erano già due generali e almeno sette tenenti colonnelli a preoccuparsene.

«Qualcuno al comando vuole questa città» disse, ficcandosi in bocca una cucchiaiata di zuppa per prendere tempo «ci sarà un motivo».

Con un'alzata di spalle l'altro annuì.

Murrio sapeva che non era quel discorso a interessare al commilitone, ma non l'avrebbe mai aperto lui stesso.

Che Violini prendesse coraggio.

Il ragazzo sembrava assorto nella pulizia dell'arma, e, se Murrio non avesse saputo cosa stava facendo, l'avrebbe anche scambiato per realmente concentrato sul melta.

Visto che stava pulendo la stessa valvola per la quarta volta, il sergente era convinto che volesse solo prendere tempo.

Analizzandolo con occhio critico, Murrio non poteva negare che Albio Violini fosse un bel ragazzo.

Poco più alto degli altri, con corti capelli d'un caldo castano e occhi che parevano foglie d'estate; il viso era magro, con giusto il ricordo ombroso d'una granata esplora troppo vicino all'orecchio.

Avendo dovuto spartire la doccia qualche volta, Murrio sapeva anche che disponeva di misure degne di tal nome.

Il carattere era il grosso problema, troppo remissivo per l'obiettivo che si era preposto. Ad ogni modo, non erano problemi di Murrio, al pari di quale città conquistare.

La prima e ultima parola sull'argomento non spettava a lui, anche se capiva perché Violini volesse quantomeno un suo tacito consenso.

A nessuno andava di provarci con la sorella, o sorellastra, di un ufficiale, senza prima consultarlo.

Passare da "collisione occasionale" a "saldatura definitiva", come dicevano in marina, non era facile. E, se il tizio che poteva far crepare o trasferire uno dei due, Murrio in quel caso, non acconsentiva, la cosa poteva prendere una pessima piega.

A conti fatti, a lui non importava poi così tanto chi Vav frequentasse, e anzi trovava Albio un ottimo partito. Ma si era ripromesso di non aprire l'argomento col soldato, voleva una prova che potesse trovare il coraggio di parlarne.

Proprio quando Murrio ebbe finito la zuppa, Violini posò il melta, lucido come appena uscito di fabbrica, e lo fissò dritto negli occhi.
Stava per aprir bocca, quando Bluetti entrò nella stanza.

«Sergente, chiamata dal tenente» l'addetto vox fece col capo un cenno di scuse a Violini, ma l'altro non disse nulla. Al contrario, tornò a concentrarsi sul suo fucile.

Murrio si diresse nell'altra stanza, dove il vox giaceva su un tavolino in simil marmo, salvatosi per miracolo dalla devastazione dell'appartamento.

Attorno, chiazze chiare alle pareti segnalavano dov'erano un tempo dei quadri, cocci buttati in un angolo ricordavano la presenza di statue, e le pareti scrostate evidenziavano come i predoni non avevano lasciato nulla di intentato, nel cercare oggetti di valore.

Che poi gli sciacalli fossero Tau o umani, qualsiasi fazione, non si poteva dire.

Una macchia di sangue segnalava come ci fosse stato uno scontro, ma Murrio la superò come se fosse stata un semplice decoro del pavimento.

Il grosso zaino vox era in piedi sul tavolo, la cornetta ricevente staccata e pronta all'uso.

«Sergente maggiore Verdelli» disse, accostando l'apparecchio alla faccia.

Dall'altra parte, il tenente grugnì

«Siete ancora nella piazza dello scontro?» la voce arrivava roca, con molte interferenze.

«Sissignore, abbiamo occupato una casa in attesa di ordini» disse Murrio.

L'ufficiale parlò, ma la voce arrivava a tratti.

«Vox danneggiato» decifrò Murrio «raggruppamento plenario vostra posizione; minuti cinquanta; far trovare bagno funzionante»

«Sissignore, zona nord piazza».

Visto l'arrivo del capitano, la squadra si diede da fare per rassettare alla meno peggio.

Vav e Bluetti vennero mandati a procurarsi altri tavoli, e anche un divano integro se potevano.

Violini si mise a far sparire i cocchi.

Verdoni, infine, unica ad aver usato il bagno, fu incaricato di renderlo di nuovo presentabile.

Murrio, dal canto suo, fece il giro degli ufficiali Tiangtiani, per informarli dell'arrivo del graduato.

Era anche un modo veloce per togliersi di torno, prima che qualche lavoro pesante capitasse anche a lui.

Uno dei sergenti extramondo era caduto in azione, e il suo giovane caporale, al momento, era intento a dondolarsi sui talloni vicino alla fontana, la faccia tra le mani.

Murrio scambiò un sorriso di compassione con un paio di fucilieri lì vicino, e trasmise il messaggio a un sacerdote che provava a consolare il ragazzo.

Con l'altra squadra, quella che era arrivata con loro, andò meglio.

Il sergente, che poi aveva scoperto chiamarsi Chang, aveva solo un graffio alla spalla, e forse gli sarebbe rimasta la cicatrice di un coltello kroot; per il resto, aveva perso a malapena tre soldati, oltre a cinque feriti lievi.

Quando Murrio entrò, lo trovò assieme alla psionica.

«Signor sergente» disse lui. I Tiangtiani si erano acquartierati nel vecchio hotel, ma non sembravano aver fatto molto per rimuovere le macerie.

«Ah, felice di vederti!» rispose Chang, e rimase ad ascoltare in silenzio che lui spiegasse perché era lì. Alla fine acconsentì a incontrare l'ufficiale dei genieri.

«Molte grazie» iniziò Murrio «sarebbe possibile anche la sua presenza, wu Shen?»

Onde evitare figuracce, il ragazzo si era impegnato a capire come rivolgersi alla psionica. A quanto pareva usare il nome proprio era sconveniente, e per fortuna il suo secondo cognome era facile da pronunciare.

Vide Zunyan, come aveva capito chiamarsi, arrossire e sorridere prima di rispondere.

«Con piacere, sergente; mi dovete ancora una canzone in fondo».

«Quando volete, siamo stonati, vi avviso».

La psionica sorrise di nuovo.

Murrio stava sforzando la mente per prolungare la conversazione, ma i suoi doveri lo richiamavano dai suoi uomini.

«Sergente, una curiosità» si intromise Chang «I miei soldati non mi danno tregua, vorrebbero sapere voi cosa intendete con cosa»
Murrio vide negli occhi di Zunyan la stessa confusione del suo volto.

«Sergente Chang, non sto capendo»

«La cosa che citavate mentre disinnescavate la bomba» fece l'ometto «quella che... "muove i soli e le stelle"»

«Aaah! La fi... la fiducia nell'Imperatore, ovviamente» disse di scatto, mordendosi la lingua prima di completare la definizione corretta.

Chang annuì soddisfatto, mentre Zunyan aggrottò le sopracciglia.

«Perdonate, ma il vostro reggimento non segue i dettami del Dio Macchina?»

Sudando freddo, Murrio si ritrovò a balbettare.

«Sì... ma... insomma, l'Imperatore incarna l'Omnissaiah... quindi avere fiducia nell'Imperatore è come avere fiducia nel Dio Macchina...»

Anche a migliaia di anni luce, poteva sentire il vecchio Ulpio gridare infuriato per quella definizione. Ma il tecnoprete era a distanza di sicurezza, mentre Murrio non era sicuro di come Zunyan avrebbe preso lo scoprire cosa "muoveva i soli".

E perché era dotata della cosa suddetta, e non tutte apprezzavano essere definite "forze motrici dell'universo", e perché poteva scagliare fulmini dalle dita. Entrambe le cose lo facevano parlare con cautela.

La ragazza annuì di nuovo, non così convinta della risposta. Murrio la vide aggrottare le sopracciglia, oltre a portarsi una mano al volto, tre dita che picchiettavano sulla guancia sinistra.

Il sergente maggiore la fissò imbambolato per un secondo, poi sfruttò la prima scusa che gli venne in mente e si defilò.

Il tenente arrivò in perfetto orario, cupo e incazzato.

I venti genieri erano coperti di polvere, d'umore nero e la squadra del sergente Arancini aveva ben sei feriti.

I Tiangtiani, la maggior parte che era riuscita a risollevarsi dall'orlo della crisi precedente, li guardarono passare, senza il coraggio di rivolgere loro una parola o un cenno.

Era la differenza tra reclute al loro primo scontro, che avevano a malapena intravisto la morte sul campo, e veterani che le avevano appena sputato in faccia.

Così evidente ai Tiangtiani, che decisero bene di rintanarsi per una qualche cerimonia.

Murrio attese che il tenente entrasse nella stanza adibita a centro di comando, seguito a ruota dal caporale Iovino, il basso e nervoso medico.

«Mi servono tutte le mani abili possibili» squittì Iovino, e senza attendere risposta tornò nelle camere dove erano stati alloggiati i feriti.

Con un cenno del capo, il sergente maggiore mandò Violini e Verdoni ad aiutare.

«Abbiamo del recaf» disse al tenente.

Il vecchio soldato si gettò su un divano mezzo distrutto, sbuffando.

«Lascia perdere, dammi qualcosa di forte» allungò una mano guantata, e Murrio gliela riempì con la borraccia del gropno.

L'ufficiale ne prese una sorsata copiosa, e la restituì.

«Per farla breve, veniamo dal quartiere a nord» disse il tenente, tirando fuori una mappa macchiata di sudore. «Ecco qua, abbiamo dovuto bonificare tutta questa zona».

Il dito dell'ufficiale percorse tutto il complesso vicino a Ponte Lungo.

«Non c'erano dei Tiangtiani lì vicino?» commentò Murrio, con una flebile memoria della disposizione delle truppe.

C'erano troppe unità perché se le ricordasse tutte.

«C'erano, ma avevano l'ordine di non intervenire» sputò il tenente, nel grattarsi il lato della bocca, un paio di croste si staccarono dalla pelle martoriata, sanguinando.

Murrio si limitò ad annuire. Perfino un graduato di basso rango come lui, e digiuno di tattica, aveva capito ciò che quella disposizione sottintendeva.

I grandi capi stavano di certo pensando a una qualche azione risolutiva, e per questo i reggimenti più importanti per condurla, non certo una compagnia di matti come loro, erano tenuti il più lontano possibile da scontri inutili.

Come prevedibile, essere catalogati come "sacrificabili" non era stato apprezzato dai genieri.

«Abbiamo ordini precisi?» domandò Murrio, con la voce priva di espressione.

«Gli ufficiali Tiangtiani ci raggiungeranno?» chiese il tenente. Lui annuì, e la comunicazione venne rimandata a quando sarebbero arrivati.

Nemmeno mezz'ora dopo erano tutti riuniti attorno a un tavolino, la mappa della città in mezzo a loro.

Murrio poté ammirare il lavoro compiuto sul tenente da trenta minuti di alcol, riposo e una rapida rassettata all'uniforme.

Del soldato impolverato, sporco, con la corazza macchiata e i capelli in disordine non era rimasto nulla. Adesso davanti ai due sergenti e alla psionica c'era un uomo lindo e pulito, con la giacca spolverata e perfino la barba rasata di fresco.

I due sergenti, uno fresco di nomina, lo fissavano come si guarda un miracolo. I lui si limitò a sorridere a Zunyan, che come gli altri due non riusciva a staccare gli occhi dall'ufficiale.

«Molto bene, credo che le comunicazioni vi siano arrivate, giusto?» domandò il tenente.

Sembrava ignorare l'aura di adorazione attorno a lui, ma Murrio lo conosceva abbastanza bene da scorgere il sorrisetto compiaciuto.

Chang annuì, anche perché l'altro parigrado pareva pronto a scoppiare a piangere.

Non avrebbe retto una seconda battaglia, temette Murrio.

«Al momento dobbiamo attendere la conferma ufficiale» iniziò il tenente «ma entro qualche ora il nostro maresciallo dovrebbe arrivare per prendere il comando; domani all'alba passeremo il ponte, i genieri per primi. Avremo supporto di fuoco dalle artiglierie alloggiate qui».

Il tenente posò un dito su un quartiere a qualche chilometro verso est, dove erano disegnati a matita piccoli cerchi con esplosioni stilizzate all'interno.

«Bombarderanno tutta questa zona qui» il dito si mosse oltre il ponte, circondando un'ampia porzione di caseggiati, fino a fermarsi su un'edificio a poca distanza dalla riva. «Noi sfrutteremo la cosa per attaccare questa casamatta, una volta espugnata il vostro battaglione, che ci raggiungerà entro stasera, dovrà avanzare verso la piazza e occupare questo edificio qui».

Murrio diede un lungo sguardo alla mappa, ai due luoghi indicati dal tenente.

Una grande strada passava in mezzo, più vicina alla casamatta. Era larga e dritta, e il sergente maggiore vide chiaramente dov'erano posizionati i disegni dei reparti corazzati separatisti.

Sacrificabili.

La parola gli rimbombò nelle orecchie.

«Domande?» fece il tenente.

Il sergente Chang scosse la testa, mentre il suo nuovo omologo si limitò a fissare la mappa.

Zunyan aprì la bocca, ma Murrio fu più lesto.

«Signor tenente, chiedo che la tecno prete Vav sia dislocata presso il battaglione Tiangtiano».

L'ufficiale fece un respiro profondo, guardandolo dritto negli occhi.

«Concesso, il maresciallo darà conferma effettiva al suo arrivo» poi si rivolse al sergente Chang «la caporale Azzurrelli servirà come ufficiale di collegamento».

Quello confermò i sospetti di Murrio. Anche il maresciallo allontanava la sua sottoposta.

Se Chang ebbe qualcosa da dire lo tenne per sé, al contrario, Zunyan prese la parola.

«Perdonate, ma perché? Non sarebbe meglio se stessero con voi? Fanno parte della vostra unità».

Murrio e il tenente si scambiarono un lungo sospiro, poi il sergente maggiore prese la parola.

«Perché, wu Shen... è un lavoro da uomini».

Vide un lampo di indignazione negli occhi di Zunyan, ma poté solo star zitto mentre lei e gli altri due si ritiravano.

«L'Omnissaiah sa cosa non si dice» gli disse il tenente.

«Già...» fece Murrio.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top