Capitolo 16
Tiangtiani, sororitas Zunyan
Pritio Bis; Bredava, Piazza d'Aix
107M42
Con la piazza in sicurezza, il plotone aveva iniziato a prendersi cura di morti e feriti.
Mentre camminava, Zunyan vedeva molti soldati del suo mondo fissare il vuoto, raccolti attorno alla fontana.
Più di uno tremava, molti piangevano, qualcuno cercava malamente di trattenere un conato. Lei stessa, mentre camminava, si sentiva le ginocchia molli.
Passata l'adrenalina, adesso la stanchezza si era impossessata della psionica, oltre alle immagini disgustose che aveva ignorato durante lo scontro.
Soldati dilaniati dai coltelli e dai becchi dei kroot, la pelle che sfrigolava e si spaccava sotto i suoi fulmini, persone che si sparavano a pochi centimetri, con le budella che esplodevano.
Arrivata all'edificio conquistato ai Tau, Zunyan dovette appoggiarsi alla porta.
Non aveva ancora mangiato, ma sentiva che qualcosa stava cercando di risalire il suo stonaco.
«Tutto bene?» chiese una voce femminile.
Con i nervi a fior di pelle, Zunyan strillò, prima che riconoscesse la tecno prete.
«Io... sì, sto... sto bene» balbettò. L'altra scosse appena la testa.
«Sei sull'orlo di una crisi di nervi, non direi che stai bene». La voce dell'altra era troppo calda per essere davvero di una serva dell'Omnissaiah.
Le tutrici dicevano sempre che chi si votava al Dio Macchina smetteva di essere umano, e quelle poche volte che Zunyan li aveva sentiti parlare le loro voci sembravano lo stridio di vox rotti.
«Sto... sto bene» insistette lei «devo... solo riprendermi».
«Prima volta, vero?» la tecno prete sorrise, rovistando nelle borse che teneva alla cintura. Ne tirò fuori una bottiglia piena di liquido giallognolo.
«Io... non bevo alcolici» disse Zunyan.
Molti suoi compagni erano venuti meno a quella prescrizione, dopo i primi scontri, e incredibilmente perfino lo Xi non li aveva rimproverati più di tanto.
Per Zunyan, però, l'idea di venir meno ai precetti con cui era cresciuta era impensabile.
«Non sai che ti perdi» disse Vav. «In ogni caso, questo è analcolico».
Per nulla convinta, Zunyan seguì lo stesso l'altra verso quella che sembrava una vecchia sala da pranzo.
A giudicare dai mobili e da ciò che rimaneva della tappezzeria, quello doveva essere stato un albergo di lusso.
Nella sala, invasa dai resti di tavoli, sedie e banconi in vero legno, lo scheletro di un grosso lampadario dorato pendeva dal soffitto, dove rimanevano i resti di cherubini, piante e animali dipinti.
«Erano olografici, penso fosse uno spettacolo vederli muoversi» disse Vav, alla ricerca di un tavolo integro.
La tecno prete ne localizzò uno in buono stato, con ancora vicino la tovaglia un tempo candida, e adesso sporca di polvere e con un angolo macchiato di sangue.
Vav non si scompose, raddrizzò il tavolo con una sola mano, e vi pose sopra la tovaglia, incurante del cupo orlo cremisi.
«Sembri a tuo agio» disse Zunyan, con forse una punta di gelosia di troppo nella voce.
Non lo sapeva bene nemmeno lei, ma vedere l'altra far sfoggio dei suoi arti bionici la indispettì. Per non essere da meno, fece fluttuare due sedie vicino al tavolo.
«Un po' lo sono, sì» Senza scomporsi, la tecno prete si sedette. Mise la bottiglia sul tavolo, come se aspettasse che lei bevesse.
Zunyan, in realtà, aveva interesse per tutto meno che per il liquore.
Si prese un lungo momento per guardare bene Vav.
La superava di almeno tutta la testa, e la tunica bianca e argento ne evidenziava il fisico tonico e slanciato. Capelli candidi fluivano lungo le spalle, ma senza nascondere l'occhio bionico.
Tutta l'attenzione della psionica era concentrata lì, sulla placca di metallo brunito fissata alla pelle, dal sopracciglio allo zigomo, con la lente tonda illuminata fissa di rosso.
«Allora... chiacchiere tra donne...» Vav, dopo qualche momento di silenzio, storse il naso, come imbarazzata. «Argomento difficile»
«In che senso?» chiese Zunyan, anche se aveva almeno due decine di domande da fare all'altra.
Poche che potessero essere considerate chiacchiere, e nessuna che le interessava davvero.
Anche se, in effetti, un tarlo le rosicchiava la lingua, ma lei sapeva bene che c'erano cose più importanti da chiedere.
«Beh... va bene, siamo dirette! Ho passato tre anni in questa spedizione, e prima ancora ne ho fatti undici di apprendistato, e credo non mi servirebbe una mano intera per contare le donne con cui ho parlato!» Vav rise, e la sua schiettezza costrinse anche Zunyan a sorridere.
«Non ci sono molte donne tecno preti?»
«Boh» fece l'altra con un'alzata di spalle. «Ero l'unica della mia classe, e non avevamo modo di parlare con le altre; e i magi... come dire, di certi non è facilissimo capire cosa fossero, sotto tutte quelle protesi che hanno ora, credo che alcuni non lo sappiano più nemmeno loro».
Zunyan spalancò la bocca, sbalordita.
«Anche noi, insomma, io sono entrata nella Piccola Corte a tre anni, e stavamo sempre divisi tra maschi e femmine... ma potevamo parlare con le altre classi! Beh... non con i maschi, non prima dei sedici anni».
La tecno prete rise forte. La cosa fece sentire la psionica un po' in imbarazzo, perché temette di aver frainteso qualcosa.
«Non è che era proibito, ma non c'era il tempo» Vav prese la bottiglia, e fece un lungo sorso prima di proseguire. «Su Malapha il giorno dura ventidue ore: ne avevamo sei per dormire, due per mangiare, e le altre quattordici erano per le lezioni»
«Quattordici ore di lezione? È una tortura!»
«Vero?»
Le porse la bottiglia. Zunyan la prese, circospetta, ma dopo un paio di annusate non le parve che ci fosse alcol. Ne prese un sorso cauto. Era denso, e aveva un sapore strano, aspro e acidulo, che lei non riuscì a identificare.
«Che cos'è?» chiese alla fine, protendendosi verso Vav. Sapeva di essere ridicola, con gli occhi spalancati, ma la curiosità era troppa.
«Citrolio, analcolico» la tecno prete ne buttò giù un sorso molto più lungo. «Un piccolo vizio per noi tecno preti, la bevanda originale costa troppo ed è inutile»
«In che senso?» Zunyan cercò di capire il senso di quel nome, ma non le veniva in mente niente. Non c'era nessuna parola in gotico o in tiangtiano che suonasse anche solo simile.
«Beh, non ho il fegato» la psionica spalancò così tanto la bocca che l'altra quasi cadde a terra dalle risate. «Più precisa, ho un filtro artificiale al posto del fegato, che funziona circa sei volte meglio; potrei scolarmi un litro di citrolio vero, e non farebbe effetto!»
Stavolta anche Zunyan rise di gusto, e sotto le domande della tecno prete iniziò a parlarle della Corte Interna.
Le raccontò di come ci era entrata da bambina, dopo che avevano scoperto le sue capacità psioniche. Degli anni passati a istruirsi nel controllo delle sue doti, e di tutte le altre abilità che aveva appreso.
«Quindi, fino ai dodici anni vi facevano ballare, cantare, scrivere e ricamare tutto il giorno?» domandò Vav, allibita.
Stavolta fu il turno di Zunyan di ridere.
«Non la metterei così, ci insegnavano le danze rituali e i sacri inni all'Imperatore; e facevamo pratica di calligrafia per tracciare meglio i sigilli»
«Che tortura...» commentò la tecno prete, accorgendosi che la bottiglia era finita.
Zunyan annuì. Non che gli anni passati con le sue compagne le pesassero, anzi, ma poteva capire come dall'esterno sembrasse molto più noioso e ripetitivo di quanto fosse nella realtà.
All'improvviso, Vav schioccò le dita. Il suono riscosse Zunyan dai suoi pensieri, e per poco non saltò dalla sedia.
«Ecco perché volevi una canzone per bambini!» disse la tecno prete, sorridendo sorniona.
«Eh? Beh... ecco...» colta alla sprovvista, la psionica non sapeva bene cosa dire. Si limitò ad annuire, anche perché il ragionamento di Vav non era sbagliato.
Era cresciuta sentendo sempre e solo inni, litanie e canti sacri, tutto il giorno, e sembrava che nessuno sapesse nemmeno cosa fossero le ninne nanne; però, al contempo, le ragazze che arrivavano già grandi nella Corte Interna raccontavano di mamme che sedevano vicino ai loro letti, di padri che le cullavano cantando canzoni che loro stesse ricordavano appena.
Ogni volta che glielo raccontavano, Zunyan non poteva fare a meno di sentire un poco di invidia per loro.
Non aveva memoria di alcuna canzone, e di certo le Alte Sorelle non avevano tempo o voglia di cantare per bambine che faticavano ad addormentarsi.
«Non ne ho mai sentite, però tutti mi dicono che sono bellissime» confessò.
«Mi sembrava troppo strano come approccio romantico».
Zunyan fu così travolta dalla confusione, e dall'imbarazzo, che per un istante valutò di alzarsi e scappare.
«Io... io non ci sto provando col tuo ragazzo! Lo giuro! Lo giuro sulla Sacra Terra!»
Lo disse tutto d'un fiato, annaspando nella sua stessa lingua. Mentre Vav la fissava sorniona, Zunyan provò a mettere un freno alla sua confusione.
Non era la prima volta che sentiva dell'attrazione fisica, anche se non si era mai consolidato in nulla. Non una relazione duratura, non una notte di passione. Era arrivata al bacio, una volta, ma non era andata oltre. E quel Murrio non era male, carino a sufficienza perché anche Daiyi lo apprezzasse, e con un carattere che la psionica non riusciva ancora ad inquadrare del tutto, cosa che la intrigava.
«Meno male, anche perché è difficile provarci se non ci parli» fece la tecno sacerdotessa. E Zunyan credette di vedere un lievissimo rossore sulle sue guance.
Doveva essere la bevanda, forse non era del tutto analcolica.
«In che senso?»
Non era sicura che quella nella sua camera contasse come conversazione, ma comunque era strano che l'altra la provocasse in quel modo.
«Va bene, via il dente via il dolore» Vav bevve, solo per ricordarsi che la bottiglia era vuota e tossicchiare imbarazzata. «Murrio è mio "fratello", più o meno, siamo cresciuti nello stesso orfanotrofio. Interesse romantico nei suoi confronti? Zero. Anche sotto lo zero, se proprio devo, e posso garantirti che là sotto non c'è nulla per cui valga la pena litigare» Zunyan non capì del tutto, ma arrossì lo stesso, per istinto. «detto questo, io purtroppo devo rientrare, pare debbano arrivare ordini dai piani alti».
«Capito» annuì lei. «Ci è stato comunicato di rimanere qui e attendere il resto della vostra unità; poi ci sposteremo verso il ponte».
Vide Vav annuire, lo sguardo cupo.
«A che pensi?» le chiese.
«Che arriveranno guai, e che noi ci finiremo dritti in mezzo».
Su quella nota così poco allegra, le loro chiacchiere tra donne giunsero al termine.
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