Capitolo 13
Inquisitorio, commodora Lotara Haurvatat
Nave da battaglia Gatha, ponte di comando
107M42
Il ponte della nave era il solito formicaio. Figure indefinite, tutte avvolte nei loro mantelli e veli, correvano da un lato all'altro, impossibile distinguere se fossero maschi o femmine.
Lotara ormai ci aveva rinunciato, si limitava a prendere nota dei cappucci colorati. Quelli blu dei fanti semplici, quelli gialli a strisce verdi dei tecnici, e quello, unico, azzurro per il mastro di guardia.
Fav'ha El'shan si muoveva come un'ombra, riprendendo soldati e tecnici. Ancora oggi, dopo tre anni sulla nave, Lotara non riusciva davvero a capire il motivo di quei richiami.
Più di una volta, la ragazza aveva pensato che la maggioranza di quelle sanzioni fossero solo sue invenzioni. Al momento, però, non aveva tempo per star dietro al mastro.
«Gli Irlaviani sono a bordo?» domandò Lotara, la sua voce risuonò sul ponte, e ci mise qualche secondo ad ottenere risposta.
«Confermo, Shasyan» le rispose un Eremita col velo blu e nero, un addetto alle comunicazioni che i compagni quasi spinsero avanti per risponderle.
Lotara annuì, mentre forzava la sua faccia a rimanere impassibile.
Tre anni, e nemmeno chi era stato con lei tutto quel tempo aveva superato la propria paura.
Per fortuna, i marinai portavano sempre le loro maschere, così almeno Lotara non doveva vederne i volti indecisi tra il disgusto e il terrore. Non che ne avrebbero mai mostrato uno, almeno fino a quando l'inquisitrice non glielo avrebbe permesso.
Sospirando, Lotara rivolse la sua attenzione allo scontro in atto. Incredibilmente, e contrario a qualsiasi tattica lei avesse mai studiato, l'incrociatore pesante si stava accartocciando su sé stesso, come una lattina schiacciata da un'enorme mano invisibile.
Mentre la loro nave avanzava, le due fregate leggere del mechanicus apparvero dietro i vascelli tau, che deflagrarono in una salva di missili e siluri. La Euribia avanzò a tribordo, travolgendo un'altra nave con il cannone di prua.
Senza che lei potesse avere voce in capitolo, Lotara vide i marinai eremiti manovrare la Gatha contro l'ultima nave rimasta. Per un momento temette che volessero speronarla, ma si limitarono a colpirla con cannoni e siluri fino a quando non divenne nulla più di un rottame alla deriva.
«Eccellenti come sempre» disse Lotara «complimenti a tutti per l'ottimo lavoro»
Provò a suonare allegra e incoraggiante, ma tutto ciò che ottenne furono un paio di maschere che si girarono verso di lei. Il mastro di guardia, le parve, scosse appena la testa.
Era consapevole che non servisse a nulla, ma Lotara si rifiutava di non complimentarsi un minimo con il suo equipaggio. Il duro lavoro andava ripagato, anche solo con qualche parola.
«Aggiriamo i rottami da babordo» disse, alzandosi dal trono di comando. L'inquisitrice voleva essere informata subito, e anche se Lotara non aveva nessuna voglia di vederla, non poteva sottrarsi.
Lasciò il comando al mastro di guardia, che rispose con una semplice scrollata di spalle, e uscì dal ponte, seguita solo dal suo fido servoteschio. Nell'angusto corridoio tra il ponte e l'ascensore, Lotara diede un paio di carezze al piccolo drone.
Passando la mano sull'osso, appartenuto a qualche servitore inquisitorio onorato in quel modo, la ragazza immaginava che quello rispondesse scodinzolando come un cagnolino, ondeggiando i tanti sensori che pendevano dalla mascella ingiallita dagli anni.
Quando l'ascensore si fermò, l'orbita destra del servoteschio si illuminò di verde per un attimo, sincronizzandosi con i sensori di quel ponte.
«Andiamo, Lachan» disse Lotara, uscendo nel corridoio. Il servoteschio, così battezzato perché aveva inciso sulla calotta "Lachan777", la seguì, ondeggiando i sensori.
Fioche luci rosse illuminavano il tutto, dando dovunque la sensazione di una penombra opprimente. Lotara ci aveva messo molto tempo ad abituarsi, ed ancora adesso avanzava nel corridoio centrale con tutta la cautela del caso.
Eremiti andavano e venivano, tenendosi tutti a debita distanza da lei.
Un tuonare di passi pesanti la fece girare. Lotara tossicchiò, nascondendo il sorriso rasserenato che le incurvò le labbra.
«I miei complimenti, Commodoro, abbiamo forzato il blocco in un battito di ciglia» la voce profonda di Leonzio risuonò per tutto il corridoio.
«Vi ringrazio, tenente» la ragazza tentò come possibile di non sorridere, spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Come sempre, Leonzio si teneva a debita distanza, un modo gentile per non costringere Lotara a piegare troppo la testa quando gli parlava. Anche per uno space marine, Leonzio era alto, e i contorni della sua armatura nera si confondevano con le ombre del corridoio.
Il braccio sinistro dell'astartes, dipinto d'argento come segno d'appartenenza alla Deathwatch, riluceva perfino nella fioca luce. Lo spallaccio destro, dipinto di rosso, portava l'omega bianca simbolo del suo Capitolo originario.
«L'inquisitrice mi manda a dirvi di preparavi allo sbarco» disse ancora Leonzio «vuole che la accompagniate a terra»
Lotara trattenne un sospiro di sollievo. Sbarcare le avrebbe permesso di allontanarsi da quell'aria asfissiante, almeno per qualche giorno.
«Grazie, tenente; la vostra squadra è pronta allo sbarco?» il piccolo kill team della Deathwatch, cinque marine oltre al tenente Leonzio, era stato selezionato appositamente dal loro capitano per quella missione.
«Quei cinque?» Leonzio rise piano, qualcosa di simile a un lampo di nostalgia gli attraversò gli occhi «certo che sono pronti; la Deathwatch è sempre pronta!»
«Mi fa piacere» rispose Lotara. Non li aveva mai visti in azione da vicino, ma sapeva quanto fossero eccezionali li astartes sul campo di battaglia.
«Ah, commodoro» Leonzio parve ricordarsi all'improvviso di qualcosa «abbiamo alloggiato gli Irlaviani in una camerata libera, magari potreste passare da loro a salutarli»
«Ottima idea!» Lotara si illuminò di colpo, e dovette sforzarsi a fondo per riguadagnare la compostezza necessaria al suo ruolo, soprattutto quando un trio di tecnici passò lì vicino, bisbigliando a bassa voce tra di loro.
Salutando il tenente, la commodora si diresse alla camerata degli incursori. Finalmente, anche se solo per qualche momento, avrebbe potuto parlare con qualcuno che non tremava o provava disgusto alla sua vista.
Sentendosi come una bambina, bussò eccitata alla porta della stanza in questione. Attese qualche momento, controllandosi le insegne sul petto e lisciandosi i capelli. Ci teneva a fare buona impressione.
Dopo un minuto intero, Lotara stava ancora fissando la porta chiusa. Bussò più forte.
«Occupato!» urlò una voce dall'altro lato, seguita da risate e il suono di uno schiaffo.
Sollevando un sopracciglio, Lotara ordinò a Lachan di aprire la porta. Il servoteschio processò l'ordine per un mezzo secondo, per poi far scorrere di lato la piastra di metallo. Quello che Lotara trovò dall'altra parte la lasciò senza parole, con la faccia che impallidiva e le guance che andavano a fuoco.
La battaglia era durata un paio d'ore, e gli Irlaviani le avevano sfruttate al meglio.
Una mezza dozzina russava mezza nuda nelle cuccette, mentre il resto stava allegramente banchettando con razioni arrivate lì chissà come.
Lotara diede uno sguardo al pavimento, dove un assortimento di giacche, pantaloni e altri indumenti sparsi giacevano scomposti.
Un fiume di ricordi la travolse, e la ragazza si ritrovò a boccheggiare un momento, come se stesse annegando. La mano le corse alla guancia, alle cicatrici che le deturpavano il volto.
Respirare. Doveva respirare.
Era su una nave. Su una nave nera dell'inquisizione. Nessuno poteva toccarla, nessuno poteva ferirla.
«Porca puttana!» urlò uno degli Irlaviani, dando una manata al tavolo. Un gruppetto di incursori attorno a lui risero.
Lotara aprì gli occhi di scatto, i capelli che le si sollevavano per la furia.
Incrociò lo sguardo con chi aveva urlato. Aveva circa la sua età, i capelli nerissimi erano unti di sudore, e gli occhi azzurri la fissavano straniti.
Indossava solo i pantaloni, e il torso muscoloso era segnato da varie piccole cicatrici all'altezza del pettorale destro.
«Come prego?» la commodora fece un passo nella stanza. Tutti si girarono verso di lei. Venti uomini mezzi nudi la fissavano, ma Lotara ne sostenne gli sguardi, uno per uno. Non le sarebbe successo di nuovo.
«Lei è... la commodora... Hurvat... Hauvat...» balbettò l'irlaviano che aveva urlato.
«Commodoro Lotara Haurvatat» il suono di quelle parole la rasserenò un poco.
Il marinaio sorrise, borbottando qualcosa a bassa voce.
«Beh... molto piacere» cercò di superare la massa di commilitoni tra di loro, tendendole la mano «tenente Navio Bianchieri, capo degli incursori di marina irlaviani»
Il fatto che quell'ufficiale stesse facendo finta di nulla, dopo averla apostrofata in quel modo, riattizzò l'ira di Lotara. Prima che la ragazza pensasse, la sua mano era scattata, schiaffeggiando con forza il tenente.
Quello perse il suo precario equilibrio, finendo lungo disteso sul tavolo. Carte da gioco volarono in tutte le direzioni.
Un attimo dopo, Lotara si rese conto di cosa aveva fatto. Aveva colpito un uomo. Per un attimo, la ragazza fu troppo terrorizzata per parlare.
I muscoli le si irrigidirono, pronta a ricevere la punizione per la sua azione.
Risero.
Lotara sbatté le palpebre senza capire, del tutto incapace di comprendere perché quelle persone stessero ridendo. Il tenente, quello a cui aveva tirato lo schiaffo, sghignazzava più di tutti, mentre apostrofava i suoi compagni.
«Me lo sono meritato di certo» disse il tenente Bianchieri, rialzandosi «ma che ho fatto?»
Lotara, sconvolta al punto da ricordare a malapena come respirare, balbettò qualcosa di poco chiaro anche a lei stessa.
«Sbarcheremo tra poco... preparatevi» detto questo, girò i tacchi e uscì.
Un coro di assensi e di risate la seguì nel corridoio, dove Lotara rimase a fissare il vuoto, mentre eremiti andavano avanti e indietro, ognuno occupato nelle sue mansioni.
Rimase così per un qualche momento, ignorata dall'intera ciurma di quella che, in teoria, sarebbe stata la sua nave. Dietro la porta, i venti irlaviani continuavano a prendere in giro il loro tenente, ridendo mentre si rivestivano e si scambiavano parole in una lingua che lei non conosceva.
«Shasyan» la voce di un eremita, così distante che quasi doveva urlare per farsi sentire, la riscosse dai suoi pensieri «l'Inquisitrice la vuole nei suoi alloggi»
Annuendo, Lotara si incamminò verso la prua della nave.
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