9. Il canto degli spiriti

Perché costringevano sempre Finron a stare assieme all'infame? Prima dormirci insieme e poi quello! Assurdo... ci voleva andare anche lui a trattare coi capitani delle navi per trovare un passaggio, ma no! Finron doveva fare da balia!

Che rabbia...

Per fortuna il menestrello era più silenzioso del solito e se ne stava seduto a terra col cappuccio ben tirato sulla testa e una mano a tenersela. Stava smaltendo la sbornia della sera precedente e ogni tanto gemeva appena. Strano non avesse vomitato, in effetti, ma meglio così: Finron non lo avrebbe certo sorretto.

Poggiato con la schiena alla parete azzurra, il mezz'elfo fissava l'orizzonte uggioso senza vederlo davvero. Lì non era ricercato, eppure continuava a tenere il cappuccio del mantello nero a coprirgli le orecchie: non doveva attirare l'attenzione, specie con Allan Drayt che guaiva ai suoi piedi.

Il punto che aveva trovato era perfetto: sulla via principale della zona del porto, ma a ridosso di uno stretto vicolo cieco, la bottega a cui si stavano appoggiando era chiusa da un bel po', a giudicare dalle ragnatele agli angoli della porta sprangata.

Finron aveva deciso di restare in piedi poiché la pavimentazione era piuttosto malmessa, con alcuni ciottoli mancanti e altri che sporgevano, mal livellati. Da lì era possibile vedere il mare, assieme al viavai di persone affaccendate per lo più a scaricare e caricare casse e barili dai mercantili.

Gli umani indossavano abiti dai colori sgargianti e quasi tutti avevano la pelle scura, però c'erano anche parecchi mezz'orchi e giusto qualche elfo. Nessun golunnar, nessuno gnomo, nessun nano.

Quella era una terra strana.

«In principio, Endel era un pianeta sterile»

La musica sovrastò il brusio della gente, parole di un'orribile canzone s'insinuarono intorno a loro, cantate da una voce femminile.

«Cosa?»

Il menestrello alzò la testa, l'occhio sano strabuzzante.

«un insieme di terre e mari desolati.»

«Questo... il canto degli spiriti...»

Allan scattò in piedi e avanzò, rapidissimo.

Merda.

«Il cielo era ricolmo di stelle e le stelle formavano Alanmaeth.»

Finron gli afferrò un braccio prima che potesse allontanarsi da lui.

«Che cazzo fai? Non dobbiamo attirare l'attenzione!»

Il menestrello scosse la testa e provò a divincolarsi.

«No, tu non capisci! Lasciami!»

«Egli era solo a contemplare il silenzio e nulla c'era a far trascorrere i suoi giorni»

Il bardo alzò il braccio libero e la sua mano cominciò a brillare, lo sguardo pareva dolorante, disperato. Finron deglutì e lo liberò, le viscere d'un tratto contorte.

«ad allietare le notti.»

La mano di Allan tornò normale e lui corse verso il suono; Finron poté solo seguirlo e, avanzando lungo la costa, ci misero poco a scoprire chi era la stronza che stava cantando.

«Per millenni si limitò a esistere»

In piedi su una pila di casse a ridosso di uno dei numerosi moli, una donna dalla pelle chiara e con lunghi capelli biondi suonava un liuto bianco, lo stesso colore della lunga gonna che si muoveva mossa dalla brezza. Finron notò subito l'abbondante seno, visto che lei lo teneva schiacciato in un corsetto di cuoio. Le spalle e le braccia erano scoperte.

«raccogliendo in sé la forza per compiere una decisione.»

Forse perché Finron odiava la musica, ma lei non sembrava particolarmente talentuosa; tuttavia, un buon numero di persone si era fermato ad ascoltarla, compreso Allan, che la fissava con la bocca semi aperta e ancora una lieve smorfia di dolore a corrucciargli le sopracciglia.

Quando mosse un braccio dietro la schiena per liberare il liuto dall'imbragatura, Finron non ebbe più dubbi: doveva fare qualcosa o sarebbero stati guai seri. Ammazzare la cantastorie? No, non era il caso di farsi arrestare. Tirare una pacca al menestrello per farlo svenire? No, erano in mezzo alla gente, avrebbe attirato l'attenzione anche in quel caso e poi l'infame avrebbe chiesto spiegazioni.

«Infine il desiderio superò le preoccupazioni»

Il mezz'elfo raccolse un ciottolo da terra e lo strinse tra le dita.

«e Alanmaeth agì.»

«E Alanmaeth agì.»

Allan bisbigliò, cantando assieme alla donna, il suo strumento quasi libero.

«Scommettiamo che riesco a colpire quel fastidiosissimo liuto?»

«Cosa?»

Il bardo distolse lo sguardo dalla donna e fermò i suoi movimenti per guardare Finron, che sorrise, prese bene la mira e caricò il colpo, sicuro: sbagliare non era un'opzione.

«Donò a sé stesso una form— ehi! Chi è stato?»

Il ciottolo, preciso, si era schiantato nella cassa armonica del liuto bianco, rompendone le corde. La bionda strillò come un'oca, scrutando la folla alla probabile ricerca del colpevole.

«Ah, ho vinto!»

Finron rise e la gente cominciò a guardarli: qualcuno sogghignava, altri parevano irritati.

«Siete stati voi! Bastardi! Come avete osato interrompere il mio magnifico spettacolo?»

La donna li indicò con il liuto, l'altra mano stretta a pungo che si agitava nell'aria. Anche Allan stava fissando Finron coi palmi aperti sui fianchi, gli occhi socchiusi, le narici che si aprivano e chiudevano ricercando l'ossigeno. Davvero strano vederlo arrabbiato, ma era meglio quello piuttosto che la prospettiva di farlo cantare in mezzo alla gente: qualcuno lo avrebbe riconosciuto di certo.

Il mezz'elfo non abbandonò il suo grande sorriso e indicò la donna di rimando.

«Magnifico spettacolo? Una gallina spennata canterebbe meglio di te! Scendi da lì, sei ridicola!»

Lei si coprì le labbra carnose con la mano libera ed emise un verso aspirato, paonazza. Il silenzio gelò l'aria primaverile per qualche secondo, poi la risata di un grosso mezz'orco dall'altra parte della folla richiamò l'attenzione dei presenti.

«Quel tipo ha ragione: fai schifo.»

«Come osate? Voi...»

La cantastorie si scaldò, ma interruppe la sua veemenza di colpo, forse notando che il mezz'orco aveva appoggiato con noncuranza una mano su una specie di mazza di legno, appesa alla sua cintura.

«Voi non capite l'arte!»

Scese dalle casse e corse via. Finron riuscì giusto a notare che i grandi occhi azzurri le si erano riempiti di lacrime. Con un po' di fortuna, lei avrebbe scelto di cambiare carriera e sul pianeta ci sarebbe stata una barda in meno a rompere i coglioni.

La folla si disperse e il mezz'elfo trovò il coraggio per riafferrare un braccio di Allan, che si lasciò condurre davanti alla bottega chiusa a testa bassa. Una volta soli, però, s'infilò nella via buia e incrociò le braccia, scrutando Finron con la stessa aria seria di poco prima.

«Perché lo hai fatto?»

Il mezz'elfo alzò un sopracciglio e lo seguì nel vicolo per arrivare fino al muro di pietra bianca che lo bloccava; meglio stare lontani da occhi indiscreti.

«E me lo chiedi? Ma l'hai sentita?»

«Non stava cantando così male. La tua è stata un'enorme mancanza di rispetto.»

Ok, c'era bisogno di una buona idea, e in fretta. Finron sospirò ed allargò le braccia.

«Senti, Ben, io non ti riconosco più. Te ne sei accorto almeno che stavi per prendere il liuto?»

«Sì, e allora?»

«E allora? Tralasciando il fatto che dobbiamo tenere un basso profilo, se tu avessi cominciato a cantare l'avresti surclassata! Tutti avrebbero cominciato ad applaudire te, mentre lei avrebbe fatto una figura pessima, di certo peggiore di quella che le ho fatto fare io.»

L'infame lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e l'aria arrabbiata si trasformò in una confusa. Finron scosse la testa e gli mise un braccio intorno alle spalle, continuando a fissarlo negli occhi e modulando il tono per accrescere la sua gentilezza.

«Lo so che non te lo ricordi, però devi fidarti. Tu sei imbattibile nelle gare tra bardi e non ti limiti a voler essere il migliore: l'avresti umiliata così tanto che quella poverina avrebbe di certo smesso di suonare per la vergogna. Per te la musica è come la magia, no? Una volta preso il liuto e cominciato a cantare, dubito che ti saresti trattenuto.»

Allan abbassò lo sguardo.

«Sì, forse...»

«Anzi, conoscendoti, è molto probabile che nel bel mezzo del componimento l'avresti ammaliata per portartela a letto.»

«Fin!»

«Che c'è? Ma hai visto quelle tette? Ben, ti conosco meglio di te: dopotutto, è solo perché non sai tenerlo nei pantaloni che sei stato aggredito mentre eri solo, fuori Mahyr. Stavi tornando dal bordello, Iamila te lo aveva già detto.»

Il menestrello era sempre più mortificato a ogni nuova parola e la cosa era galvanizzante. Forse Finron stava toccando un tasto davvero dolente e non si sarebbe certo risparmiato.

«Una volta fomentato, ci avresti provato anche se quella non fosse stata attraente. Sei incorreggibile: per te ogni buco è buono.»

Allan s'irrigidì e la sclera dell'occhio sano circondò l'iride marrone, tanto aveva aperto le palpebre.

Cazzo, forse Finron aveva esagerato.

«Cos'hai... det—»

Il bardo si fece gobbo, le mani a circondarsi la testa e il petto che si alzava e abbassava, frenetico.

«Che ti prende?»

Finron strinse i pugni, incapace di muoversi, di capire come comportarsi. Allan ormai scuoteva la testa senza sosta, tenendosela stretta.

«Dolore... il tempo...»

Stava piangendo, cadde in ginocchio. Il mezz'elfo lo imitò e gli si mise davanti giusto per provare a scuoterlo; si mosse così rapido che il cappuccio gli cadde sulle spalle.

«Ben!»

Merda, merda, merda!

Cos'era quella crisi? Gli stava tornando la memoria? L'infame stava crepando?

«Jaira...»

Allan bisbigliò, crollando addosso al mezz'elfo, gli occhi chiusi ricolmi di lacrime.

Finron si scostò e lo lasciò stramazzare prono, poi fu il suo turno di mettersi le mani tra i capelli.

«Iamila mi ammazza...»

Restò fermo a fissare il corpo immobile in quel maledetto vicolo cieco per un tempo che non riuscì a definire, poi trovò la forza di mettergli due dita al lato del collo. Sentì il battito e infine si sciolse in un lungo respiro di sollievo: l'infame era vivo.

Aveva ricordato?

Il nome che aveva sussurrato gli ricordava qualcosa, ma Finron non riuscì a capire che cosa. La situazione era spinosa e il non sapere cosa sarebbe successo una volta sveglio prese a tormentarlo, tanto che non riuscì a spostarsi da lì, ancora in ginocchio accanto a lui.

«Finron! Che cos'è successo?»

Lui sobbalzò e alzò la testa, ritrovandosi a osservare una Iamila alquanto scandalizzata ferma all'imboccatura del vicolo con le braccia unite al petto. Phime, statuario e più serio del solito, torreggiava dietro di lei, fulminandolo coi piccoli occhi socchiusi.

Anche se avrebbe tanto voluto mantenere un atteggiamento di superiore pacatezza, il mezz'elfo si alzò e indicò il bardo senza poter contenere l'agitazione.

«Per le dannatissime stelle di Alanmaeth! Non ditegli mai che è un puttaniere!»

Ah, la testa...

La realtà era buia, i suoni ovattati, e il suo corpo oscillava con lentezza mentre il dolore a poco a poco diminuiva. Solo quando il capo smise di essere pesante quanto un macigno, il bardo riuscì ad aprire gli occhi; la prima cosa che vide furono delle tavole di legno, a poco più di un metro sopra di lui. Abbassò lo sguardo, riscoprendosi sdraiato supino su una specie di amaca grigia appesa tra una parete e un pilastro di legno.

Una nave.

Che ci faceva lui su una nave?

L'ambiente era rischiarato solo da fasci di luce che attraversavano quella specie di stiva-dormitorio da parte a parte, entrando da delle piccole aperture tonde lungo tutta la murata.

Chiedendo al suo corpo uno sforzo enorme, si mise seduto sullo straccio dondolante e scorse Fin sdraiato sull'amaca accanto alla sua; si era tolto il mantello e gli abiti da viaggio, restando con delle mutande di lino e una camicia larga, sbottonata. Dormiva con un braccio penzolante e l'altro a coprirsi gli occhi.

Cos'era successo?

I ricordi erano confusi, mischiati, e Ben si portò la mano a sorreggersi una tempia per trovare una risposta. Nella mente affiorò l'immagine di un porto, di una ragazza che cantava.

Che cosa?

La nausea s'impossessò delle sue viscere e lui perse l'equilibrio: cadde all'indietro e la schiena impattò contro le tavole del pavimento, producendo un tonfo sordo che fece sobbalzare Fin.

«Cazzo! Tu...»

Il mezz'elfo si era messo seduto di scatto, forse spaventato a causa del brusco risveglio, e Ben poté solo osservarlo dal basso, sdraiato supino con le dita davanti alle labbra a trattenere un potente conato che gl'inacidì la gola.

L'espressione di Fin cambiò appena i loro sguardi s'incrociarono, riempiendosi di paura; si precipitò giù dall'amaca e s'inginocchiò davanti al bardo, afferrandolo dalle braccia per aiutarlo a mettersi seduto.

«Ben! Come stai? Sei svenuto all'improvviso e ora ti ritr—»

«Perché siamo su una barca?»

Lo interruppe e riuscì a tornare con la schiena dritta, ricacciando in gola il vomito mentre cercava di ristabilire un contegno. Lo stomaco era ancora in subbuglio, ma parlare lo aiutò.

«Stiamo andando a Dragalion, Iamila ha trovato un passaggio.»

Oh, giusto: l'isola dei draghi, la missione... loro erano cacciatori di reliquie, Ben lo aveva dimenticato.

Si alzò e solo in quel momento notò che qualcuno lo aveva spogliato, lasciandolo con gli stessi indumenti di Fin; il suo liuto non si vedeva da nessuna parte, ma c'era un baule piuttosto grosso tra le loro due amache.

«Per quanto ho dormito?»

Fin si avvicinò alla murata e guardò fuori dal buco, il viso più tranquillo.

«Più di un giorno. Siamo partiti ieri e l'ora del pranzo è passata da un po'.»

Il bardo corrugò la fronte e si massaggiò la pancia: non aveva appetito. Andò anche lui a guardare fuori e non si stupì nell'osservare solo un'infinita distesa di acqua blu, smossa dalla brezza e illuminata dal sole pomeridiano.

«Mi avete portato qui e spogliato mentre ero incosciente.»

Non riuscì a trattenere una nota di disappunto, che si accentuò quando Fin gli si avvicinò, dandogli una delle sue pacche sulla spalla. Quei colpi erano un po' troppo violenti per i suoi gusti.

«Credevi forse che avremmo aspettato i tuoi comodi? Lo sai che Iamila ha fretta e ovviamente ti ha trasportato Phime. Tra l'altro, siamo riusciti a farci imbarcare senza sganciare neanche uno Zuli! Pare che queste acque siano piene di pirati e quattro abili combattenti come noi fanno sempre comodo su una caracca mercantile.»

Ben annuì, massaggiandosi la spalla, poi andò ad aprire il baule e non si stupì nel trovarlo pieno di abiti, sotto al suo liuto scuro. Nonostante fosse in mutande, preferì afferrare lo strumento e richiudere il coperchio bombato; si sedette di nuovo sull'amaca e cominciò ad accordare, fissando davanti a sé.

L'ambiente era piccolo, con giusto due bauli e sei di quei letti di fortuna appesi a tre pilastri centrali e due pareti, una con le piccole finestre e l'altra senza nulla. La porta si trovava su una delle altre due, entrambe spoglie.

Quel mercantile doveva essere davvero grosso, perché quella stanza sembrava essere a tutti gli effetti una specie di dormitorio sottocoperta distaccato da quello per l'equipaggio. Non sapeva bene come, ma Ben conosceva alla perfezione la struttura interna della maggior parte delle imbarcazioni: doveva aver viaggiato molto, anche se non lo ricordava.

Sospirò, producendo una nota acuta mentre le dita carezzavano le corde e i piroli. Aveva voglia di cantare, ma la mente era troppo impallonata e non gli sovveniva nessun brano, solo melodie spezzate.

Fin emise un verso basso e andò ad aprire il secondo cassone, quello vicino alla parete senza finestre. Estrasse un grosso otre di pelle marrone e si avvicinò a Ben, porgendoglielo.

«È da ieri che non bevi, devi essere molto assetato.»

«In realtà no.»

«Be', devi bere lo stesso. Essere disidratati non fa bene e potrebbero attaccarci da un momento all'altro.»

Il mezz'elfo non si mosse e Ben alla fine cedette, appoggiando a terra il liuto; afferrò l'otre e lo portò alle labbra, strozzandosi un istante dopo aver sentito in bocca un sapore dolce fin troppo forte. Tossì, sputacchiando, accompagnato dalla risata di Fin, che scosse la testa bionda.

«Sei una mezza sega.»

«Credevo fosse acqua!»

«Ma secondo te i marinai possono andare avanti a lavorare per ore e ore campando ad acqua? Questo è l'idrosucco prodotto sui monti del Cintira Yasa, una rarità! Bevi e vedi di non sprecarlo.»

Titubante, Ben ubbidì; quella bevanda era senza dubbio ottima, ma lui aveva ancora le viscere in subbuglio ed era improbabile che sarebbe riuscito a sopravvivere per giorni bevendo solo roba alcolica.

Se non fossero stati suoi amici, Ben avrebbe persino ipotizzato che i compagni lo preferissero da ubriaco... ma no, sarebbe stato assurdo.

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